Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

E adesso, piccolo uomo?
E adesso, piccolo uomo?
E adesso, piccolo uomo?
E-book499 pagine7 ore

E adesso, piccolo uomo?

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Uomini in caduta libera
“In un mondo nel quale si possono contare circa venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé”.
Questo è l’incipit della recensione alla prima edizione italiana, anche se sembra un articolo di cronaca dei nostri giorni.
Il romanzo, scritto in quattro mesi — dall’ottobre del 1931 al febbraio del 1932 — viene inizalmente pubblicato a puntate sul feuilleton di un quotidiano berlinese e poi pubblicato in volume in coincidenza dell’uscita dell’ultima puntata. Ottiene immediatamente un successo straordinario in Germania ma non solo. Viene subito tradotto e pubblicato da almeno altre dieci case editrici straniere.
La vicenda narrativa si svolge nell’arco temporale di circa due anni (primavera 1930 – inverno 1932) e dunque per i lettori del quotidiano il testo di Fallada costituiva effettivamente una descrizione “in presa diretta” della realtà tedesca. Una realtà contrassegnata, come abbiamo letto, dal vertiginoso aumento del numero dei disoccupati.
Le date, a proposito di questo libro, sono importanti. Ricordiamoci infatti che in Germania il 27 febbraio 1933 viene incendiato il Reichstadt e che il 23 marzo 1933 Hitler ottiene i pieni poteri.
Fallada descrive con realismo e precisione una coppia giovane, onesta, lavoratrice e perbene in caduta libera verso la povertà. A poco a poco, Hans ed Emma Pinnenberg si ritrovano ad aver sempre meno fiducia e speranze nei confronti di questa Germania degli anni ’30. La crisi economica li travolge nella sua spirale infernale senza più lasciar loro se non il loro amore reciproco.
Tremendamente attuale, “Kleiner Mann, was nunn?” (tradotto con piccolo uomo per significare la condizione di inferiorità verso la quale si indirizzano i protagonisti), è un testo che denuncia i pericoli verso i quali si può incamminare una società, qualora perda di vista valori fondanti come la solidarietà, la giustizia, la fratellanza.
L’autore
Hans Fallada (1893-1947) si chiamava in realtà Rudolf Ditzen, ma quando decise di fare lo scrittore si scelse uno pseudonimo, e lo fece mettendo insieme i nomi di due personaggi tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm.
Fallada è una delle figure di quel neorealismo tedesco (la Neue Sachlihkeit) del Novecento di cui fanno parte anche due importanti autori come Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz) ed Heinrich Mann (L’angelo azzurro).
Dopo aver esercitato i mestieri più disparati — guardiano notturno, mercante di cereali, agente pubblicitario — Fallada si lancia nel 1929 nel giornalismo. Si dedica poi esclusivamente alla narrativa scrivendo opere con cui disegna un quadro molto fedele della società tedesca della sua epoca.
Kleiner Mann, was nun? (del 1932) è il suo secondo romanzo. Acuminato profilo della società tedesca fra le due guerre, gli garantisce una grande notorietà anche al di fuori dei confini tedeschi.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2018
ISBN9788833260310
E adesso, piccolo uomo?
Autore

Hans Fallada

Hans Fallada, eigentlich Rudolf Wilhelm Friedrich Ditzen (* 21. Juli 1893 in Greifswald; † 5. Februar 1947 in Berlin) war ein deutscher Schriftsteller. Bereits mit dem ersten, 1920 veröffentlichten Roman Der junge Goedeschal verwendete Rudolf Ditzen das Pseudonym Hans Fallada. Es entstand in Anlehnung an zwei Märchen der Brüder Grimm. Der Vorname bezieht sich auf den Protagonisten von Hans im Glück und der Nachname auf das sprechende Pferd Falada aus Die Gänsemagd: Der abgeschlagene Kopf des Pferdes verkündet so lange die Wahrheit, bis die betrogene Prinzessin zu ihrem Recht kommt. Fallada wandte sich spätestens 1931 mit Bauern, Bonzen und Bomben gesellschaftskritischen Themen zu. Fortan prägten ein objektiv-nüchterner Stil, anschauliche Milieustudien und eine überzeugende Charakterzeichnung seine Werke. Der Welterfolg Kleiner Mann – was nun?, der vom sozialen Abstieg eines Angestellten am Ende der Weimarer Republik handelt, sowie die späteren Werke Wolf unter Wölfen, Jeder stirbt für sich allein und der postum erschienene Roman Der Trinker werden der sogenannten Neuen Sachlichkeit zugerechnet. (Wikipedia)

Correlato a E adesso, piccolo uomo?

Titoli di questa serie (49)

Visualizza altri

Ebook correlati

Arti dello spettacolo per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su E adesso, piccolo uomo?

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    E adesso, piccolo uomo? - Hans Fallada

    cover.jpg

    Hans Fallada

    E adesso, piccolo uomo

    Maree

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Prima edizione digitale: 2018

    Edizione originale: Kleiner Mann, was nun?, 1932.

    Traduzione di Alessia Quadri

    ISBN 9788833260310

    Seguici su Facebook

    Seguici su Twitter @kpiebook

    img1.png

    Questo ebook è concesso in licenza solo per il vostro uso personale. Questo ebook non è trasferibile, non può essere rivenduto, scambiato o ceduto ad altre persone, o copiato in quanto è una violazione delle leggi sul copyright. Se si desidera condividere questo libro con un’altra persona, si prega di acquistarne una copia aggiuntiva per ogni destinatario. Se state leggendo questo libro e non lo avete acquistato direttamente, o non è stato acquistato solo per il vostro uso personale, si prega di ritornare la copia a KKIEN Publishing International (info@kkienpublishing.it) e acquistare la propria copia. Grazie per rispettare il nostro duro lavoro.

    Table Of Contents

    Prologo

    Gli spensierati

    Pinneberg viene a sapere qualcosa che riguarda Lämmchen e prende una decisione importante

    Mamma Mörschel - Il signor Mörschel Karl Mörschel: Pinneberg arriva nel paese dei Mörschel

    Chiacchierata notturna: amore e quattrini

    Parte prima

    La piccola città

    Il matrimonio comincia in piena regola, con un viaggio di nozze, ma... ci vuol proprio una casseruola?

    Pinneberg diventa misterioso e Lämmchen si imbatte in qualche enigma

    I Pinneberg fanno una visita di presentazione, scorrono lacrime, e l’orologio del fidanzamento non la smette di battere

    Il velo del mistero si solleva, Bergmann e Kleinholz, e perché Pinneberg non deve sembrare sposato

    Cosa si mangia? E con chi è lecito ballare? Bisogna sposarsi adesso?

    Comincia la torchiatura. Il nazista Lauterbach, il demoniaco Schulz e il marito clandestino sono in pericolo

    Si prepara una minestra di piselli e si scrive una lettera, ma la minestra è troppo acquosa

    Kleinholz pianta grane, Kube pianta grane e gli impiegati si tirano indietro. Piselli ancora non ce n’è

    Pinneberg non ha niente in programma, ma fa una passeggiata che dà nell’occhio

    Com’è che Pinneberg combatte con l’angelo e con Mariuccia Kleinholz e come sia tuttavia troppo tardi

    Il signor Friedrichs, il salmone e il signor Bergmann, ma è tutto inutile: per i Pinneberg non c’è niente

    Arriva una lettera e Lämmchen, in grembiule, attraversa di corsa la città per andare a piangere da Kleinholz

    Parte seconda

    Berlino

    La signora Mia Pinneberg come ostacolo alla circolazione. Piace a Lämmchen - non piace a suo figlio e racconta chi è Jachmann

    Un autentico letto principesco alla francese, ma troppo caro. Dell’impiego Jachmann non ne sa nulla, e Lämmchen impara a chiedere

    Che tipo di uomo è Keßler, com’è che Pinneberg non fa fiasco e Heilbutt salva una situazione

    Dei tre tipi di commessi, e di qual è il tipo preferito dal vicedirettore Jänecke. Invito ad uno spuntino

    Pinneberg prende lo stipendio, tratta male un commesso e diventa proprietario di una toletta

    Lämmchen riceve una visita e si guarda allo specchio. Per tutta la sera non si parla di denaro

    Abitudini coniugali dei Pinneberg. Madre e figlio. Jachmann arriva sempre in aiuto

    Keßler fa delle rivelazioni e viene schiaffeggiato. Ma i Pinneberg devono comunque traslocare

    Lämmchen cerca, nessuno vuole bambini, e lei sviene, ma ne vale la pena

    Un alloggio come non mai. Il signor Puttbreese tira, e il signor Jachmann dà una mano

    Viene stabilito un bilancio preventivo e la carne scarseggia. Pinneberg trova che la sua Lämmchen è strana

    L’albero di Natale profumato e la madre di due bambini. Heilbutt dice: ne avete di coraggio. Ma ne abbiamo davvero?

    Bisogna che Pinneberg vada via a mezzogiorno e che Frieda prenda esempio. E se non la rivedessi più?

    Troppo poco da rigovernare! La messa in cantiere del piccolo. Anche Lämmchen griderà

    Pinneberg fa una visita e si lascia indurre alla nudità

    Che cosa ne pensa Pinneberg del naturismo e cosa ne dice la signora Nothnagel

    Pinneberg si fa offrire una birra, va a rubare dei fiori e alla fine mente alla sua Lämmchen

    Lor signori vanno a prendersi i bambini, e Lämmchen abbraccia Puttbreese

    La carrozzina del bambino e i due fratelli nemici. Quando va corrisposto il sussidio d’allattamento?

    Aprile mette paura, ma Heilbutt dà una mano. Dov’è Heilbutt? Heilbutt è perso

    Pinneberg viene arrestato, e Jachmann vede dei fantasmi. Rum senza tè

    Ospitalità controvoglia. Jachmann scopre le buone cose nutrienti

    Jachmann inventore e il pover’uomo che diventa re. Ma noi siamo insieme!

    Il cinematografo e la vita. Lo zio Knilli rapisce il signor Jachmann

    Il piccolo si ammala. Che succede, mio giovane papà?

    Se non e zuppa è pan bagnato. Gli inquisitori e la signorina Fischer. Un altro rinvio dell’esecuzione, Pinneberg!

    Di nuovo la signora Mia. Queste valigie mi appartengono! Sta arrivando la polizia?

    L’attore Schlùter e il giovanotto della Ackerstraße. È finito tutto

    Epilogo

    Tutto continua

    È il caso di rubare della legna? Lämmchen guadagna parecchio e dà al marito qualcosa da fare

    L’uomo al posto della donna. La buona acqua e il piccolo che non ci vede. Lite per sei marchi

    Perché i Pinneberg non abitano dove abitano. Agenzia fotografica Joachim Heilbutt. Hanno liquidato Lehmann!

    Pinneberg come pietra dello scandalo. Il burro dimenticato e il poliziotto. Nessuna notte è abbastanza nera

    Arriva una visita in auto. Due persone aspettano nella notte, Lammchen è davvero fuori discussione

    Un cespuglio fra i cespugli. E l’antico amore

    Prologo

    Gli spensierati

    Pinneberg viene a sapere qualcosa che riguarda Lämmchen e prende una decisione importante

    Sono le quattro e cinque. Pinneberg se n’è appena accertato. È un giovanotto biondo, dall’aspetto simpatico, fermo davanti al numero 24 della Rothenbaumstraße. E aspetta.

    Dunque, sono le quattro e cinque e Pinneberg aveva appuntamento con Lämmchen alle quattro meno un quarto. Rimesso in tasca l’orologio, Pinneberg guarda con aria impensierita una targa all’ingresso del numero 24 della Rothenbaumstraße. Dove legge:

    Dr. Sesam

    Ginecologo

    Orario di visita: 9-12 e 4-6

    «Proprio come pensavo! E però adesso sono le quattro e cinque. Se m’accendo un’altra sigaretta, Lämmchen ovviamente svolterà subito l’angolo. Meglio non farlo. Oggi sarà di nuovo una giornata abbastanza cara».

    Smette di guardare la targa. La Rothenbaumstraße ha case da un solo lato; di là dalla carreggiata, dalla bordura verde e poi dall’argine, scorre la Strela, che qui è già bella larga, un po’ prima di sfociare nel Baltico. Dal mare arriva un vento gagliardo, i rami dei cespugli ondeggiano, gli alberi mandano un leggero fruscio.

    «È qui che si dovrebbe poter abitare!», pensa Pinneberg. «Questo Sesam ha di sicuro sette stanze. Guadagnerà soldi a palate. D’affitto pagherà... duecento marchi? Trecento? Vabbè! Non ne ho proprio idea. Le quattro e dieci!».

    Pinneberg infila la mano in tasca, prende dall’astuccio una sigaretta e la accende.

    Svoltando l’angolo, arriva a volo Lämmchen, con la gonna bianca pieghettata, una camicetta di seta grezza, senza cappello, i capelli biondi in disordine. «Ciao, amore. Prima di così non ce l’ho fatta proprio. Sei arrabbiato? ».

    «Per niente. Solo che adesso ci toccherà aspettare chi sa quanto. Sono entrate almeno trenta persone, da che sto qui».

    «Non è detto che siano andate tutte quante dal dottore. E poi, noi avevamo chiesto un appuntamento».

    «Hai visto che è stato giusto chiederlo? ».

    «Certo che è stato giusto. Tu, caro mio, hai sempre ragione! ». E per le scale gli prende la testa fra le mani e lo bacia con impeto. «Dio, come sono felice di riaverti qui! Pensa, quasi quindici giorni... ».

    «È vero, Lämmchen. E m’è pure passato il malumore».

    Si spalanca la porta e nella penombra dell’ingresso gli si para di fronte qualcosa di bianco, che ringhia: «Le richieste della mutua! ».

    «Ma prima ci faccia almeno entrare», dice Pinneberg, lasciando andare avanti Lämmchen. «D’altra parte siamo qui per una visita privata. Ho un appuntamento. Mi chiamo Pinneberg».

    Alla parola privato il biancume fa un gesto con la mano e accende la luce nell’ingresso. «Il dottore arriva subito. Un attimo, prego. Si accomodino di là».

    Si avviano verso un uscio e, varcatolo, si trovano a passare davanti ad un altro uscio, che è socchiuso. E quello della normale sala d’attesa, dove han preso posto, a quanto pare, quei trenta che Pinneberg s’è visto passare davanti. Tutti guardano verso i due e si leva il brusìo di più voci:

    «Ma è incredibile! ».

    «Noi siamo qui da prima! ».

    «Ma i contributi della cassa mutua perché li paghiamo?! ».

    «Questi signorini non valgono mica più di noi».

    L’infermiera s’affaccia sulla soglia della sala: «Facciano un po’ di silenzio! Sennò disturbano il dottore! Non è come pensate. Questo signore è il genero del dottore con la moglie. Va bene? ».

    Pinneberg sorride compiaciuto, Lämmchen si affretta verso l’uscio successivo. C’è un attimo di silenzio.

    «E adesso, presto! » sussurra l’infermiera, spingendo Pinneberg davanti a sé. «Questi pazienti della mutua sono proprio degli screanzati. Non si capisce cosa si aspettino per quei quattro soldi che paga la cassa malattia... ». L’uscio si richiude. Il giovane e Lämmchen si ritrovano in un mare di peluche rosso.

    «Dev’essere il suo salotto privato», dice Pinneberg. «Ti piace? A me sembra all’antica da far paura».

    «Poco fa è stato orribile», dice Lämmchen. «Anche noi, di solito, non siamo altro che pazienti della mutua. Ora sappiamo che cosa dicono di noi, quando si va dal medico».

    «Perché te la prendi? E così che va. Con la gente semplice come noi fanno quel che vogliono... ».

    «E però mi manda in bestia... ».

    L’uscio si apre. Spunta un’altra infermiera: «Il signore e la signora Pinneberg? Si accomodino. Il dottore li prega di pazientare ancora un momento. Se intanto potessi registrare le loro generalità? ».

    «Prego», dice Pinneberg e subito parte la domanda: «Età? ».

    «Ventitré anni».

    «Nome: Johannes».

    Dopo un momento di incertezza: «Contabile».

    E poi, più speditamente: «Sempre stato sano. Le solite malattie infantili. Nient’altro. - Per quanto ne so io, tutt’e due sani».

    Di nuovo con un po’ di incertezza: «Sì, mia madre è ancora viva. Mio padre non più, no. Non so di cosa è morto». E Lämmchen... «Ventidue anni. - Emma».

    Adesso è lei a mostrarsi esitante: «Nata Mörschel. - Sempre sana. Tutte due i genitori in vita. Tutt’e due sani».

    «Allora ancora un attimo. Il dottore si libererà subito».

    «Che bisogno c’è di tante domande», borbotta lui dopo che l’uscio s’è richiuso. «Visto che noi veniamo soltanto per... ».

    «Non è che tu avessi tanta voglia di dirlo, quel contabile».

    «E neanche tu quel nata Mörschel! ». Si mette a ridere. «Emma Pinneberg, detta Lämmchen, nata Morschel. Emma Pinne... ».

    «Piantala! Oh Dio, dovrei assolutamente andare in bagno. Ne sai niente di dove può essercene uno, qui? ».

    «Insomma, con te è sempre la stessa storia...! Anziché andarci prima... ».

    «Ma ci sono andata. Davvero. Ancora alla piazza del mercato. M’è pure costato dieci centesimi. E però, quando ho i nervi... ».

    «Insomma, Lämmchen, sforzati un po’. Se è vero che ci sei appena... ».

    «Ma non ce la faccio... ».

    «Prego», dice una voce. Sull’uscio c’è il dottor Sesam, il celebre dottor Sesam di cui mezza città e un quarto della provincia sussurrano che sia di larghe vedute e che abbia, ce 1’aggiungono alcuni, anche un buon cuore. Comunque stiano le cose, è l’autore di un opuscolo divulgativo sui problemi sessuali, ed è per ciò che Pinneberg ha avuto il coraggio di scrivergli e di prendere un appuntamento per sé e per Lämmchen.

    E questo dottor Sesam, dunque, che sta sull’uscio e che dice: «Prego».

    Poi cerca la lettera sulla scrivania. «Signor Pinneberg, lei mi ha scritto di non potersi permettere ancora dei bambini, dato che i soldi non bastano».

    «Sì», dice Pinneberg terribilmente imbarazzato.

    «Lei intanto cominci a mettersi un po’ in libertà», dice il medico a Lämmchen. E quindi, proseguendo:

    «Vorrebbe perciò sapere da me quale prevenzione può dare una vera sicurezza. Eh già, una vera sicurezza... ». Dietro i suoi occhiali d’oro c’è un sorriso di scetticismo.

    «Nel suo libro», dice Pinneberg «ho letto di questi fessali... ».

    «I pessari», corregge il medico, «sì, ma non è che vadano bene a tutte. E poi, sono una cosa complicata. Non so se sua moglie è così brava... ».

    Leva gli occhi verso di lei, che ha cominciato a spogliarsi, soltanto un po’, la gonna e la camicetta. Sulle gambe slanciate si erge in tutta la sua statura.

    «Va bene, passiamo di là», dice il medico. «Per quel che ci serve, la camicetta non c’era bisogno di toglierla, mia piccola sposina».

    Lämmchen diventa tutta rossa.

    «Ormai resti pure così. Venga. Un attimo, signor Pinneberg».

    I due vanno nella stanza accanto. Pinneberg li segue con lo sguardo. Il dottor Sesam, tutto intero, non arriva neanche alle spalle della piccola sposina. Ancora una volta Pinneberg trova che è splendida, la più bella ragazza del mondo, l’unica in assoluto. Lui lavora a Ducherow e lei qui a Platz; la vede, ai massimo, ogni quindici giorni, cosicché il suo estasiarsi ha sempre un che di nuovo e la voglia che ha di lei cresce a dismisura.

    Dall’altra stanza, di tanto in tanto, sente il medico chiedere qualcosa sottovoce; uno strumento sbatte contro il bordo di una bacinella; è un rumore che conosce per averlo sentito dal dentista; non ha niente di piacevole.

    Ora ha un sussulto: questo tono di Lämmchen gli riesce nuovo. E lei che dice a voce altissima, quasi gridando, molto distintamente: «No, no, no! ». E poi di nuovo: «No! ». E quindi molto piano, ma tanto da riuscire a percepirlo: «Oh Dio! ».

    Pinneberg fa tre passi verso l’uscio. Che c’è? Cosa può essere? Si sente spesso raccontare di quanto siano depravati i medici di questo tipo... Ma adesso il dottor Sesam ricomincia a parlare, non si capisce nulla; e di nuovo lo strumento che sbatte.

    Poi, a lungo, silenzio.

    E un giorno di piena estate, quasi la metà di luglio, un sole sfolgorante. Il cielo, fuori, è di un azzurro cupo; ci sono un paio di rami che arrivano fino alla finestra, dondolando al vento che soffia dal mare. Una vecchia canzoncina, di quando Pinneberg era bambino, gli ritorna in mente:

    O vento, tu che soffi malandrino,

    non portar via il berretto al mio bambino!

    Trattalo sempre bene il mio bambino,

    o vento, tu che soffi malandrino!

    Quelli della sala d’attesa discorrono fra di loro. Anche lì il tempo non passa mai. Vorrei averceli io i vostri pensieri, i vostri pensieri...

    I due ritornano. Pinneberg getta a Lämmchen uno sguardo pieno d’ansia; sembra che uno spavento le abbia dilatato gii occhi, rendendoli così grandi. È pallida, ma ecco che gli sorride, dapprima stentatamente; poi quel sorriso le si spande per tutto il volto, si fa sempre più deciso, in una piena fioritura... il medico se ne sta in un angolo, si lava le mani. Guarda di sottecchi Pinneberg. Poi gli dice, tutto in una volta: «E un po’ tardi per le precauzioni, signor Pinneberg. La porta è chiusa. Penso che siamo al secondo mese».

    Pinneberg resta senza fiato. Come se gli avessero dato una botta in testa. Poi dice a precipizio: «Dottore, ma è impossibile! Siamo stati così attenti! Non è affatto possibile. Diglielo tu stessa, Lämmchen... ».

    «Questa è la situazione», dice il medico. «Non può esserci errore. E inoltre mi creda, signor Pinneberg, in nessun matrimonio fa male se arriva un bambino».

    «Dottore», dice Pinneberg, col labbro che gli trema. «Dottore, io guadagno centottanta marchi al mese! La prego, dottore! ».

    Il dottor Sesam assume un’espressione profondamente tediata. Sa già cosa seguirà, se lo sente ripetere trenta volte al giorno.

    «No», dice. «No. Non me lo chieda proprio. Neanche per idea Siete tutt’e due in buona salute. E il suo stipendio non è per niente basso. Per-nien-te-bas-so». «Dottore! », dice Pinneberg con tono febbrile. Lämmchen, alle sue spalle, gli carezza i capelli: «Lascia stare, amore, lascia stare! Ce la caveremo».

    «Ma non è proprio possibile. sbotta Pinneberg. Poi tace. E entrata l’infermiera.

    «Dottore, la vogliono al telefono».

    «Avete sentito», dice il medico. «Badate bene che, col senno di poi, ne sarete contenti. E, quando ci sarà il bambino, venite subito da me. A quel punto penseremo alle precauzioni. Non fidatevi del periodo dell’allattamento E allora... Coraggio, cara signora! ».

    Stringe la mano a Lämmchen.

    «Vorrei già... » dice Pinneberg, tirando fuori il portamonete.

    «Ah già», dice il medico ormai sull’uscio. E toma a guardare i due come per valutarli. «Beh, quindici marchi».

    «Quindici... », dice Pinneberg, strascicando la parola e fissando l’uscio. Il dottor Sesam se n’è già andato. Cava fuori con cura una banconota da venti marchi; osserva con la fronte corrugata la stesura della ricevuta, che gli viene quindi consegnata.

    La sua fronte torna un po’ a spianarsi: «Questi me li rimborsa la mutua, no? ».

    L’infermiera guarda prima lui e poi Lämmchen. «Diagnosi di gravidanza? ». E senza neanche aspettare la risposta: «No, le mutue non la rimborsano».

    «Lämmchen, vieni».

    Scendono le scale lentamente. Ad un pianerottolo Lämmchen si ferma e gli prende la mano fra le sue. «Non essere così triste! Te ne prego! Un modo ci sarà».

    «Sì, sì», dice lui, sprofondato nei suoi pensieri.

    Fanno un pezzo della Rothenbaumstraße, poi svoltano nella Mainzerstraße. Qui i palazzi sono alti e c’è parecchia gente, passano un sacco di automobili, sono già usciti i giornali della sera. Nessuno bada a quei due.

    «Uno stipendio per niente basso, mi fa., e intanto, dei miei centottanta marchi, quindici se li prende lui. Che ladro! ».

    «Me la caverò», dice Lämmchen. «Me la caverò». «Lascia perdere! ».

    Dalla Mainzerstraße arrivano nel Krumperweg. Qui, ad un tratto, è tutto tranquillo.

    Lämmchen dice: «Ora capisco certe cose». «Cioè? » chiede lui.

    «No, niente. Solo che la mattina mi sento sempre male. E poi, in generale, da qualche tempo mi è sembrato tutto quanto così strano... ».

    «Vuoi dire che te ne saresti dovuta accorgere? ». «Sì, ma dicevo sempre: arriveranno. Chi è che va a pensare subito a una cosa del genere? ».

    «Forse quello s’è sbagliato! ».

    «No. Non credo. E così come ha detto lui».

    «Ma non può essere, forse, che s’è sbagliato? ». «No, io credo... ».

    «Per piacere! Stammi a sentire, un momento soltanto! Può essere!? ».

    «Può essere...? Tutto può essere! ».

    «E dunque! Magari già domani arrivano le mestruazioni. Ma a quel punto sì che gli scrivo una di quelle lettere...! ». Si immerge nei suoi pensieri, sta scrivendo una lettera.

    Dopo il Krumperweg c’è la Hebbelstraße; tutti presi dalle loro riflessioni, i due camminano nel pomeriggio d’estate; lungo questa strada ci sono dei begli olmi.

    «Ma, se è così, voglio che mi restituisca i miei quindici marchi», fa Pinneberg all’improvviso.

    Lämmchen non ribatte. Procede attenta, poggiando la scarpa per intero e badando bene a dove mette i piedi. E tutto così diverso.

    «Dov’è che stiamo andando? » domanda lui ad un tratto.

    «Devo tornare un attimo a casa», dice Lämmchen. «Alla mamma non gliene avevo detto niente del fatto che stavo fuori».

    «Ci mancava pure questa! ».

    «Senti, non t’infuriare», lo prega. «Alle otto e mezza farò in modo di scendere un’altra volta. Con che treno parti? ».

    «Quello delle nove e mezza».

    «Allora t’accompagno alla stazione».

    «Tutto qui e basta», dice lui. «Ancora una volta. Ma che vita! ».

    La Lutjenstraße è proprio una strada proletaria, c’è sempre un brulicare di bambini, non ci si può accomiatare come si deve.

    «Non prendertela tanto», dice lei, dandogli la mano. «Vedrai che me la cavo».

    «Già», dice lui, cercando di sorridere. «Tu sei l’asso di briscola, Lämmchen, quello che piglia tutto».

    «Alle otto e mezza sono quaggiù. Tranquillo».

    «E ora neanche un bacio? ».

    « Non si può, davvero; andrebbero a sparlare subito in giro. Sii bravo, su! ».

    «E vabbè, Lämmchen», dice lui. «Non prendertela tanto neanche tu. In qualche modo ce la faremo».

    «Di sicuro», dice lei. «Non sono il tipo che si scoraggia, io. Ciao, a dopo».

    S’allontana alla svelta su per le scale buie, la sua borsetta sbatte contro la ringhiera: clap-clap-clap.

    Pinneberg segue con lo sguardo il chiarore delle sue gambe. Centomila volte Lämmchen se n’è già scappata a questo modo, su di corsa, per queste maledettissime scale.

    «Lämmchen! » grida. «Lämmchen! ».

    «Che c’è? » chiede lei da su, affacciandosi alla ringhiera.

    «Un momento! » dice lui. Prende d’assalto le scale, si ferma davanti a lei senza fiato, la tiene per le spalle. «Lämmchen! » dice, ansimando per l’eccitazione e per l’affanno. «Emma Mörschel! Come sarebbe, se tu ed io ci sposassimo...? ».

    Mamma Mörschel - Il signor Mörschel Karl Mörschel: Pinneberg arriva nel paese dei Mörschel

    Lämmchen Mörschel non ha detto nulla. Si è staccata da Pinneberg e si è seduta piano piano su uno dei gradini. Le gambe, all’improvviso, non se l’era più sentite. Ora se ne stava seduta lì, guardando da sott’in su il suo ragazzo. «Dio! » ha detto. «Se davvero lo facessi! ».

    I suoi occhi sono diventati risplendenti. Erano blu scuro, ma digradavano un po’ sul verde; adesso, poi, si sono colmati d’una luce addirittura raggiante.

    Come se ad un tratto le si fossero accesi dentro tutti gli alberi di natale della sua vita, ha pensato Pinneberg, imbarazzatissimo per la commozione.

    «Allora, tutto a posto, Lämmchen», ha detto. «Facciamolo. E magari alla svelta, che ne dici? ».

    «Amore, tu però non devi sentirti obbligato. Me la cavo anche da sola. Ma in una cosa hai ragione: se il piccolo ha un padre, di sicuro è meglio».

    «Il piccolo», ha detto Johannes Pinneberg. «Eh già, il piccolo».

    È rimasto un attimo in silenzio. Dentro di sé si chiedeva se era il caso di dire a Lämmchen che, proponendole di sposarsi, non aveva pensato affatto al piccolo, ma soltanto a quant’era ingiusto starsene per tre ore ad aspettare per strada la propria ragazza in una sera d’estate come questa. Ma non l’ha detto. Le ha raccomandato invece: «Su, Lämmchen, alzati. La scala è sicuramente sporca. La tua bella gonna bianca... ».

    «Lasciala perdere la gonna! Che ce n’importa a noi di tutte le gonne del mondo? Come sono felice! Hannes! Amore! ». Adesso le gambe c’erano di nuovo, si è alzata e gli si è stretta contro. E il caseggiato è stato benevolo: degli appartenenti alle venti famiglie, che andavano su e giù per queste scale, non ne è venuto neanche uno; benché fossero le cinque del pomeriggio passate, l’ora di traffico in cui chi lavora torna a casa e le donne scendono un attimo a prendere qualcosa che mancava per approntare la cena. Non è passato nessuno.

    Finché Pinneberg non si è liberato dall’abbraccio, dicendo: «Ma ormai possiamo farlo anche su da te - visto che siamo fidanzati. Saliamo».

    Un po’ indecisa, Lämmchen ha chiesto: «Vuoi venire subito? Non sarà meglio che preparo i miei, dato che di te non sanno ancora proprio niente...? ».

    «Quando bisogna fare una cosa, è meglio farla subito», ha dichiarato Pinneberg, che continuava a non avere alcuna voglia di tornare per strada. «E poi, ne saranno sicuramente contenti, no? ».

    «Mah! » ha detto Lämmchen pensierosa. «La mamma, molto. Con mio padre è meglio non aversela a male. Gli piace fare qualche battuta, sai, ma non è che dica sul serio».

    «La prenderò nel modo giusto, vedrai», ha detto Pinneberg.

    Lämmchen ha aperto la porta: un piccolo ingresso. Dietro un uscio socchiuso si è udita una voce: «Emma, vieni subito qui! ».

    «Un attimo, mamma, che mi tolgo le scarpe».

    Ha preso Pinneberg per mano e lo ha condotto, in punta di piedi, in una cameretta che dava sul cortile e in cui c’erano due letti.

    «La tua roba posala lì, è il mio letto, ci dormo io. Nell’altro letto dorme la mamma. Papà e Karl dormono in un’altra camera, di là. Su, vieni. No, sta’ fermo: i capelli! ». Gli ha pettinato alla svelta la testa arruffata.

    Avevano tutt’e due un certo batticuore. Lei gli ha preso la mano, sono passati per l’ingresso, hanno schiuso l’uscio della cucina. Davanti al focolare c’era una donna, le spalle tonde e incurvate, e stava friggendo qualcosa in una padella. Pinneberg ha scorto un vestito marrone e un gran grembiule azzurro.

    La donna non ha levato lo sguardo. «Emma, va’ un po’ di corsa in cantina a prendermi del carbone. A Karl, anche se glielo dico cento volte... ».

    «Mamma», ha detto Emma, «questo è il mio ragazzo, Johannes Pinneberg, di Ducherow. Vogliamo sposarci».

    La donna che stava al focolare ha levato lo sguardo. Aveva un volto dalla carnagione scura, con una bocca ben marcata, tagliente e minacciosa; un volto con degli occhi chiarissimi e assai svegli, pieno di mille rughe. Una vecchia moglie d’operaio.

    Per un istante la donna ha scrutato Pinneberg, in modo cattivo, pungente. Poi si è volta di nuovo alle sue frittelle di patate. «Che fesserie», ha detto. «I tuoi cascamorti adesso me li rimorchi pure in casa?! Va’ a prendere del carbone, non ho più brace».

    «Mamma», ha detto Lämmchen, cercando di sorridere, «lui vuol sposarmi davvero».

    «Ragazzina, t’ho detto di andare a prendere del carbone», ha esclamato la donna, dandosi da fare con la forchetta.

    «Mamma...! ».

    La donna ha levato lo sguardo. Poi ha detto con tono strascicato: «Non sei ancora scesa? Vuoi un ceffone?! ».

    Lämmchen ha dato una stretta veloce alla mano del suo Pinneberg. Poi ha preso una cesta, ha gridato, con quanta allegria ci ha potuto mettere: «Torno subito! » - e si è sentita sbattere la porta di casa.

    Pinneberg è rimasto nella cucina, sperduto. Ha guardato cauto verso la signora Mörschel, quasi che solo a guardarla potesse farla arrabbiare, poi verso la finestra. Si vedevano soltanto l’azzurro del cielo estivo e un paio di comignoli.

    La signora Mörschel ha spostato di lato la padella e ha trafficato con gli anelli del focolare. C’è stato un gran fracasso di ferri sbattuti. Ha rovistato in mezzo alla brace con l’attizzatoio, borbottando qualcosa fra sé e sé. «Prego...? » ha chiesto Pinneberg con fare cortese. Era la prima parola che pronunciava in casa Mörschel. Avrebbe fatto meglio a non dirla. La donna, infatti, è piombata su di lui come un avvoltoio: in una mano teneva l’attizzatoio e nell’altra aveva ancora la forchetta per rivoltare le frittelle, ma fin lì non c’era poi tanto da spaventarsi, benché con quegli arnesi non stesse affatto ferma. Ciò che spaventava era l’espressione del suo volto, con tutte le rughe che si rattrappivano tremolando, e quella dei suoi occhi, cattivi e spietati.

    «Se lei quella mia ragazza me la rovina...! » ha gridato, fuori di sé.

    Pinneberg è arretrato di un passo. «Ma signora Mörschel, io Emma voglio sposarla! » ha detto con apprensione.

    «Crede che non lo sappia di che si tratta? », ha detto la donna nello stesso tono di prima. «E da due settimane che sto qui ad aspettare. E penso: me la dirà qualcosa; e penso: fra poco me lo porterà, questo farabutto; me ne sto qui e aspetto». Ha ripreso fiato. «È una brava ragazza la mia Emma, perché lei lo sappia, lei non se la merita mica. È stata sempre contenta. Non mi ha mai risposto malamente - e lei vuol rovinarla? ».

    «No, no», mormora Pinneberg impaurito.

    «E invece sì! E invece sì! » grida la signora Mörschel. «E invece sì! Da due settimane sto qui e aspetto che mi dia le sue pezze da lavare - niente! Com’è che c’è riuscito? Dico a lei! ». Pinneberg non sa cosa rispondere.

    «Siamo giovani», dice poi debolmente.

    «Ah, ecco», ribatte la donna, sempre nello stesso tono malevolo, «e doveva riuscirci giusto con la mia ragazza». Ad un tratto riprende ad urlare: «Maiali, voi uomini siete tutti quanti dei maiali, puah! ».

    «Ci sposiamo non appena le carte sono pronte», fa sapere Pinneberg.

    La signora Mörschel sta di nuovo ai fornelli. C’è del grasso che sfrigola, e lei chiede: «Che lavoro fa? E comunque, tanto per cominciare, è in grado di sposarsi? ».

    «Sono contabile, in un’azienda di cereali».

    «Impiegato, dunque? ».

    «Sì».

    «Avrei preferito un operaio. - E quanto guadagna? ».

    «Centottanta marchi».

    «E con le trattenute? ».

    «Quelle sono a parte».

    «Bene», dice la donna, «non è tanto. Mia figlia non deve montarsi la testa». E, tornando sgarbata: «Non creda che porterà qualcosa di dote. Noi non ne facciamo. Siamo dei proletari. Solo quel po’ di biancheria che s’è comprata lei».

    «Non c’è bisogno di niente», dice Pinneberg.

    Un altro scatto d’ira: «Ma neanche lei porta niente. Non ha l’aria di uno che pensi a risparmiare. Quando si va in giro vestiti a sto modo, da parte non resta niente».

    Che la donna ci abbia quasi azzeccato, Pinneberg può far a meno di confessarlo, perché arriva Lämmchen col carbone. È di ottimo umore. «Ha già finito di sbranarti, povero il mio Hannes? » domanda. «Mamma è un vero bolliacqua, trabocca in un momento».

    «Non fare tanto la sfacciata, signorina», la sgrida la vecchia. «Sennò il ceffone di poco fa te lo prendi adesso. - Andate a sbaciucchiarvi di là, in camera. Con papà voglio parlarci prima da sola».

    «E allora», dice Lämmchen. «Hai già chiesto al mio fidanzato se gli piacciono le frittelle di patate? Oggi è il giorno del nostro fidanzamento».

    «Fuori dai piedi! » dice la signora Mörschel. «E non chiudetevi a chiave. Ogni tanto verrò a guardare che non facciate sciocchezze».

    Si mettono intorno al piccolo tavolino, sulle sedie laccate di bianco, l’uno di fronte all’altra.

    «La mamma è una donna semplice, una che lavora», dice Lämmchen. «È così sgarbata, ma non fa sul serio».

    «Oh, sì che fa sul serio», dice Pinneberg, ridacchiando. «Tutto quello che ci ha detto oggi il dottore, tua madre lo sa perfettamente. Capisci? ».

    «Certo che lo sa. La mamma sa sempre tutto. Credo che tu le sia piaciuto».

    «Ma che dici!? Non sembrava proprio».

    «La mamma è fatta così. Ha sempre bisogno di imprecare. Io non sto più neanche a sentirla».

    Un attimo di silenzio, i due stanno seduti di fronte, bravi bravi, le mani sul tavolino.

    «Dobbiamo comprarci anche degli anelli», dice Pinneberg pensieroso.

    «Dio, è vero», dice subito Lämmchen. «Rispondi, andiamo, quali preferisci, lucidi o matti? ».

    «Matti! » dice lui.

    «Anch’io! Anch’io! » esclama lei. «Credo che noi due abbiamo gli stessi gusti in tutto, è una bella cosa. - Quanto costeranno? ».

    «Non saprei. Trenta marchi? ».

    «Tanto? ».

     «Se li vogliamo d’oro? ».

    «Ovvio che li vogliamo d’oro. Vediamo un po’, prendiamo la misura».

    Lui le si fa vicino. Prendono un pezzo di filo da un rocchetto di cotone. Non è facile. Una volta il filo stringe troppo e un’altra è troppo lento.

    «Quando ci si guarda le mani, poi si litiga», dice Lämmchen.

    «Ma io non le guardo mica», dice lui. «Le bacio. Le tue mani le bacio, Lämmchen».

    Delle nocche assai dure picchiano contro l’uscio. «Venite! Che è arrivato papà! ».

    «Subito», dice Lämmchen, sciogliendosi dall’abbraccio. «Svelto, mettiamoci un po’ a posto. Papà ha sempre la battuta pronta».

    «Ma che tipo è, tuo padre? ».

    «Dio mio, fra un istante lo vedrai. E comunque non ha importanza. Tu sposi me, me, me, senza padre né madre».

    «Ma col piccolo».

    «Infatti, col piccolo. Che bei genitori sventati che gli toccano! Non sanno star seduti neppure un quarto d’ora, senza perdere la testa... ».

    Al tavolo di cucina sta seduto un uomo, lungo lungo, con dei pantaloni grigi, un gilè grigio e una maglietta bianca, non ha né giacca né colletto. Ai piedi porta delle pantofole. Un volto scolorito e rugoso, gli occhi piccoli e penetranti dietro un paio di lenti senza stanghetta sbilanciate in avanti, i baffi grigi, ma il pizzo del mento quasi bianco.

    Sta leggendo la «Volksstimme»; ora che entrano Pinneberg ed Emma, però, lascia cadere il foglio e si dà ad osservare il giovane.

    «Lei dunque è il giovanotto che vuole sposarsi con mia figlia? Molto lieto, si metta a sedere. Vorrà pensarci ancora un po’, comunque».

    «Cosa? » chiede Pinneberg.

    Lämmchen s’è messa un grembiule e dà una mano alla madre. La signora Mörschel dice con stizza: «Chissà che fine ha fatto quel ragazzo. Le frittelle diventano tutte dure».

    «Straordinario», dice laconico il signor Mörschel. E volgendosi a Pinneberg con un cenno d’intesa: «Anche lei, qualche volta, fa delle ore di straordinario, no? ».

    «Sì», dice Pinneberg. «Abbastanza spesso».

    «E gliele pagano? ».

    «Purtroppo no. Il principale dice... ».

    Cosa dica il principale, al signor Mörschel non interessa: «Ha visto? E per questo che per mia figlia preferirei un operaio; quando Karl, mio figlio, fa dello straordinario, glielo pagano».

    «Il signor Kleinholz dice... » riattacca Pinneberg.

    «Giovanotto, quel che dicono i datori di lavoro», spiega il signor Mörschel, «lo sappiamo da un pezzo. E non c’interessa. A noi interessa quel che fanno. Anche da voi ci sarà un contratto tariffario, o no!? ».

    «Credo», dice Pinneberg.

    «Credere è una cosa che riguarda la religione, con gli operai non ci ha niente a che fare. Un contratto ce l’avrete di sicuro. E là dentro c’è scritto che lo straordinario va pagato. Ora, perché deve giusto capitarmi un genero che non glielo pagano? ».

    Pinneberg si stringe nelle spalle.

    «Perché voi non siete organizzati, voi impiegati», gli chiarisce la questione il signor Mörschel. «Perché non siete uniti, non siete solidali. E per questo che di voi fanno quel che vogliono».

    «Io sono organizzato», dice Pinneberg, risentito. «Sto in un sindacato».

    Emma! Mamma! L’avete sentito? Il nostro giovanotto sta in un sindacato. Chi l’avrebbe mai detto! Così sciccoso e pure in un sindacato! ». Mörschel, lo spilungone, ha ree linaio il capo tutto da un lato e sta a guardare il suo futuro genero con gli occhi socchiusi. «E come si chiama questo suo sindacato? Me lo dica, giovanotto, coraggio! ».

    «Sindacato tedesco degli impiegati», dice Pinneberg; e la sua rabbia va montando,

    Lo spilungone reagisce piegandosi letteralmente in due «La D. A. G.! Mamma, Emma, tenetemi, il nostro giovanotto è un Dackel; e la chiama un’organizzazione sindacale! Un sindacato giallo, che non sta né di qua né di là. Ah Dio, ragazzi, che ridere... ».

    «Ma insomma, mi permetta», dice Pinneberg furibondo, «Noi non siamo un sindacato giallo! Non sono i datori di lavoro a finanziarci. Siamo noi che paghiamo le quote federali».

    «Per i capoccia! Per i capoccia gialli! Beh, Emma, ti sei scelto proprio quello giusto. Un uomo della D. A. G.! Un vero Dackel! ».

    Pinneberg guarda verso Lämmchen, in cerca d’aiuto; ma Lämmchen non ricambia lo sguardo. Forse c’è abituata, ma ciò non toglie che la cosa lo fa star male.

    «Impiegato, mi basta già la parola», dice Mörschel. «Voi pensate di esser meglio di noi operai».

    «Io non lo penso».

    «E invece sì. E perché lo pensate? Perché voi dal datore di lavoro la paga non state ad aspettarla per una settimana, ma per tutto un mese. Perché fate delle ore di straordinario non retribuite; perché vi fate pagare meno della tariffa contrattuale, non scioperate mai e state sempre dalla parte dei crumiri... ».

    « Non è soltanto una questione di denaro», dice Pinneberg. «Noi abbiamo altre esigenze, la pensiamo in modo diverso dalla maggior parte degli operai... ».

    «Diverso», dice Mörschel, «diverso: lei la pensa tale e quale come un proletario... ».

    «Non credo», dice Pinneberg, «io, per esempio... ».

    «Lei, per esempio», dice Mörschel, socchiudendo gli occhi con malizia e ridacchiando. «Lei, per esempio, non ha forse preteso un anticipo? ».

    «In che senso? » dice Pinneberg malsicuro. «Quale anticipo...? ».

    «Ma sì, un anticipo», sghignazza l’altro ancor più forte. «Quello

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1