Travolgente ripicca: Harmony Collezione
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Info su questo ebook
Tre anni prima, Kayla è stata spinta dal padre a lasciare il suo sposo poche ore dopo il matrimonio. Ora circostanze disperate la costringono a cercare l'aiuto proprio di Duardo, il suo ex marito. Il prezzo che Kayla dovrà pagare, però, è molto alto: se non diventerà di nuovo sua moglie, lui non muoverà un dito per aiutarla.
Kayla non ha quindi scelta: moglie da esibire durante il giorno, e giocattolo di Duardo la notte. Nonostante questo, lei continua a trovare l'alcova matrimoniale calda e appassionata, proprio come tre anni prima.
Helen Bianchin
Helen è nata e cresciuta in Nuova Zelanda. Amante della lettura e dotata di grande fantasia, ha iniziato a scrivere storie sin dall'adolescenza. I passatempi di Helen spaziano fra il tennis, il ping-pong, lo judo e la lettura. Inoltre adora il cinema e conduce un'intensa vita sociale.
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Anteprima del libro
Travolgente ripicca - Helen Bianchin
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Purchased by the Billionaire
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2006 Helen Bianchin
Traduzione di Maria Elena Vaccarini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-719-6
1
«Tu hai fatto... cosa?»
Kayla impallidì e sul suo viso si dipinse un’espressione incredula e costernata.
«Credi che sia stato facile per me andare da Duardo Alvarez e pregarlo?» si difese Jacob, adirandosi.
Le parole del fratello colpirono Kayla con la forza di un pugno. Per qualche secondo rimase sospesa fra la collera e la disperazione.
Duardo Alvarez.
Il solo accenno a quel nome le dava i brividi. Il ragazzo di strada che aveva fatto carriera, diventando un imprenditore miliardario con case in alcune delle principali città del mondo. Il suo ex marito... e l’ultima persona al mondo disposta ad aiutare lei o il fratello.
«Perché diavolo l’hai fatto?»
«Non avevo scelta!» L’espressione di Jacob rivelava uno strazio che le serrò lo stomaco.
Oh, santo cielo!
L’ultima volta che aveva visto l’ex marito era stato al funerale del padre. Una cerimonia mesta, alla quale avevano partecipato poche persone sinceramente afflitte e parecchi curiosi. Kayla era stata troppo stordita dal dolore per rendersi conto di ciò che le accadeva intorno.
Da allora non aveva avuto alcun contatto con Duardo, e non desiderava nemmeno averne.
«Dannazione, Jacob! Come hai potuto?»
Il fratello non rispose. Non che ce ne fosse bisogno.
In ogni caso, non c’era tempo per continuare a discutere. Entro nove minuti doveva prendere un treno per andare in città, altrimenti sarebbe arrivata in ritardo al lavoro. Kayla afferrò la giacca e la borsetta e si girò verso il fratello. «Continueremo più tardi questa discussione.»
Jacob le porse un foglietto. «Il numero di Duardo. Chiamalo entro mezzogiorno.»
Neanche morta!, pensò Kayla.
«Per favore» la pregò Jacob. La sua espressione era così disperata che Kayla prese il foglietto e se lo mise in tasca.
«Mi chiedi troppo.» Troppo. Più di quanto fosse in grado di dare. Senza aggiungere altro, Kayla lasciò il piccolo appartamento di due camere situato in uno squallido sobborgo della città. Vecchie case a schiera che mostravano i segni della decadenza e dell’abbandono fiancheggiavano la strada. Una bella differenza dalla sua vita di un tempo.
Fino a cinque anni prima, la famiglia Enright-Smythe era annoverata fra le più ricche e famose di Sydney. A ventidue anni, e con una laurea in economia aziendale, Kayla riceveva un ottimo stipendio lavorando nell’azienda di famiglia. Apparteneva alla gioventù dorata della città, frequentava tutte le feste, spendeva somme enormi in vestiti, viaggiava e usciva con un uomo diverso ogni settimana.
Finché nella sua vita non era comparso Duardo Alvarez.
Sui trentacinque, sofisticato, in rapida ascesa nel settore finanziario locale e con un ambiguo passato, si diceva, infatti, che avesse frequentato ambienti loschi di New York. Era esattamente ciò che i genitori di Kayla non avrebbero voluto per la loro unica figlia.
Una ragione in più per interessarsi a Duardo, in quel periodo caratterizzato da ribellione e noia.
Quell’uomo la eccitava, così come la eccitava il fascino del proibito. Conquistarlo divenne un gioco. Tenerlo a distanza richiese enorme autocontrollo. Ma ci riuscì, e in un momento di pura follia accettò la sua proposta di fuggire alle Hawaii e sposarlo.
Settantadue ore dopo, il matrimonio era finito.
Grazie all’ultimatum di Benjamin Enright-Smythe e all’improvvisa morte della madre in seguito a un attacco di cuore.
Una tragica perdita di cui Benjamin attribuiva la responsabilità alla figlia e al suo gesto irresponsabile.
L’accusa del padre aveva ferito profondamente Kayla, lasciandola torturata dal senso di colpa all’idea che il matrimonio avesse contribuito alla morte di Blanche. Confidente e amica, ancor più che madre, Blanche era sempre stata lì per lei, agendo spesso da cuscinetto fra due personalità contrastanti: l’arroganza di Benjamin e l’atteggiamento ribelle di Kayla.
Nel devastante stordimento seguito al funerale di Blanche, Kayla era rimasta accanto al padre, aveva consolato Jacob ed era riuscita in qualche modo a tirare avanti giorno dopo giorno. Desiderando il conforto del solo uomo che avrebbe potuto lenire il suo dolore: suo marito.
Era stato un periodo straziante per Kayla, lacerata fra l’amore per Duardo e la lealtà verso la famiglia. Nonostante gli esami clinici avessero dimostrato che Blanche soffriva da tempo di disturbi cardiaci, Benjamin era stato accecato dal desiderio di vendicarsi dell’uomo che riteneva responsabile della morte della moglie. Lascia questa casa e non metterci mai più piede, era stato il suo ultimatum.
Kayla era consapevole del fragile stato mentale del padre e del bisogno di stabilità e di conforto di Jacob. Come poteva dare la precedenza alla propria esistenza personale in un momento del genere? Ma quanto tempo sarebbe stato disposto ad aspettare Duardo?
La famiglia. Una cosa che sua madre aveva considerato sacrosanta.
L’opera di denigrazione di Benjamin era continuata, finché un giorno aveva tirato fuori la prova scritta che Duardo mirava a impossessarsi dell’impero Enright-Smythe e che Kayla era stata soltanto una pedina nel suo gioco.
Quel giorno, in lei, era morto qualcosa.
Aveva rifiutato le telefonate di Duardo e accettato la pretesa del padre che non gli fosse permesso mettere piede in casa.
A quel punto fu Duardo a darle un ultimatum. Scegli: tuo marito o la tua famiglia.
Kayla non aveva proferito una parola. Si era sfilata l’anello nuziale e glielo aveva consegnato. Ed era restata a guardarlo voltarsi e allontanarsi.
Nei mesi che seguirono, aveva assistito all’acquisizione dell’impero commerciale Enright-Smythe da parte di Duardo Alvarez, etichettato ormai come un avvoltoio con in mente un solo scopo.
Le feste avevano perso ogni attrattiva per Kayla e pian piano gli amici avevano smesso di invitarla. I soli eventi sociali ai quali partecipasse erano quelli imposti dal padre: noiose cene d’affari durante le quali era stata costretta ad assistere al declino di Benjamin.
Nel giro di un anno la società, sommersa dai debiti, era passata nelle mani di Duardo Alvarez. Ma ormai tutto era stato messo all’asta: la dimora di famiglia, la Bentley, le opere d’arte, i gioielli di sua madre. Benjamin aveva completato l’opera suicidandosi, un tragico gesto che aveva sconvolto Kayla e gettato Jacob in una spirale di disperazione.
Da tre anni, ormai, Kayla svolgeva il proprio lavoro di giorno mentre di sera e nei weekend serviva in un ristorante locale, nel tentativo di mantenere un tetto sulla testa e contribuire a pagare una montagna di debiti. Jacob faceva la sua parte, dopo aver dovuto lasciare l’università a diciannove anni, abbandonando ogni speranza di studiare medicina.
Ma non era sufficiente. E non lo sarebbe mai stato, pressati com’erano dagli strozzini. Questo perché il fratello, in un gesto disperato, aveva giocato al casinò e perduto.
Kayla arrivò all’ingresso della metropolitana e, mentre scendeva la scala mobile, vide il treno che si allontanava. Una risata amara le morì in gola. Che altro ancora sarebbe potuto andare storto quel giorno?
Non era il caso di sfidare la sorte, nemmeno per scherzo, rifletté mentre rispondeva al telefono, risolveva una disputa fra due dipendenti e calmava un cliente furioso.
A mezzogiorno mangiò uno yogurt e un po’ di frutta alla scrivania e nel pomeriggio fu impegnata in una serie di riunioni. Erano passate le cinque quando spense il computer, lieta che quella parte della giornata fosse terminata.
Restava ancora la sera, pensò, afferrando la borsetta.
Aveva solo quarantacinque minuti per prendere il treno e recarsi al lavoro in un ristorante italiano. Oltre a essere vicino a casa, quel lavoro le consentiva di cenare gratis. Un pasto che consumava in piedi, mentre correva da un tavolo all’altro.
Il telefono sulla scrivania squillò e Kayla esitò prima di rispondere. Chiunque fosse, gli avrebbe concesso solo due minuti, poi sarebbe uscita.
«Grazie al cielo ti ho trovata!» esclamò sollevata una familiare voce maschile.
«Jacob?» Era successo qualcosa. Se lo sentiva.
«Non sarò a casa stasera.» Il fratello parlava a scatti. «Sono all’ospedale. Ho una rotula fratturata.»
«Quale ospedale?» Kayla soffocò un gemito mentre il fratello ne menzionava uno dalla parte opposta della città. «Sarò lì il più presto possibile.»
«Chiama Duardo, Kayla. È superfluo che ti spieghi perché.»
Jacob riattaccò e Kayla si sentì raggelare. Una rotula fratturata come avvertimento? Che cosa sarebbe successo la prossima volta? Quanto avrebbero aspettato gli strozzini prima di impartirgli un’altra lezione? Pochi giorni? Una settimana?
La loro situazione economica non sarebbe certo migliorata. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima che Jacob potesse tornare al lavoro. Senza il suo stipendio, e con tutte le spese mediche da affrontare... non c’era speranza.
Kayla chiuse gli occhi e li riaprì. In tasca aveva il foglietto che le aveva dato quella mattina Jacob. Lo prese, compose il numero e aspettò che Duardo rispondesse.
«Alvarez.»
Il suono della sua voce la turbò al punto da lasciarla quasi senza voce. «Sono Kayla.» Oh, cielo, come avrebbe superato quella prova?
Silenzio.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
Duardo avrebbe accettato, o avrebbe interrotto la comunicazione?
«Nel mio ufficio.» Le diede l’indirizzo esatto. «Fra dieci minuti.» E riattaccò.
Kayla non poteva essere contemporaneamente in tre luoghi diversi, così telefonò al ristorante, spiegò il motivo del ritardo, promise che sarebbe arrivata non appena possibile e ascoltò la risposta adirata.
Ci mancava solo di subire una sfuriata in un rapido italiano, mitigata solo alla fine da espressioni di comprensione per l’incidente del fratello.
Kayla uscì in strada e gettò un’occhiata al cielo plumbeo. Avanti, piovi! Rendi memorabile questo giorno!
Quasi in risposta, incominciarono a cadere le prime gocce di pioggia, che aumentarono subito d’intensità.
Grandioso! Così adesso avrebbe dovuto affrontare l’ex marito bagnata come un pulcino.
Kayla acquistò un giornale per ripararsi almeno in parte dall’acquazzone e dieci minuti dopo entrò nell’imponente atrio di marmo di un elegante grattacielo di vetro e acciaio. Gettato via il giornale fradicio, prese l’ascensore e salì all’ultimo piano.
L’Alvarez