Cuore Grattato
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Cuore Grattato - Luigi Passarelli
Luigi Passarelli
Cuore Grattato
Cuore Grattato
Luigi Passarelli
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Carlo se ne stava comodamente seduto sulla solita panchina che da anni ormai sembrava riservata a lui. In realtà, quel parco sgangherato era frequentato, al massimo all’ora di pranzo, da qualche impiegato che cercava di mangiarsi il suo panino senza rovinarsi troppo il fegato vagando in piedi alla ricerca di un posto a un bar o tavola calda. Ma lui no, aveva appuntamento fisso col giornalaio del suo eterno quartiere e sceglieva sempre il quotidiano di punta della propria città, quantomeno per arrivare al clou della pagina sportiva dove la sua squadra solitamente aveva un trattamento di favore qualunque fosse il risultato. Insomma era un modo di far parte di un club senza dover presenziare a sedute con qualcun altro o recarsi in una curva a urlare. Già fatto in gioventù, ma la sua voce starnazzante dopo un paio di olè diventava un gracchiare fastidioso per sé e per gli altri.
Fortunatamente, quella mattina, o meglio verso mezzogiorno, il parco non era vuoto. Di fronte a lui, sulla panchina vicino alla fontanella, dove solitamente sostavano famiglie di zingari sine pater per rifocillarsi e riempire le bottigliette, c’erano due sue vecchie conoscenze.
Maria e Ugo. Ben coperto da un utilissimo, in tal caso, giornale, Carlo si gustava beatamente la scena, o meglio il remake dei tempi che furono. Maria e Ugo si conobbero quando frequentavano ambedue la facoltà di ingegneria, per altro non molto lontano dal parco. Ebbene, il loro fidanzamento di certo non passò inosservato né ai futuri ingegneri né a chi, sventurato, passava per il cortile di detta facoltà. I due infatti amavano limonare en plein air. Ma in un modo così appassionato che rimase nella storia più di qualsiasi occupazione. E così Carlo, a distanza di anni, quando ormai aveva messo nel dimenticatoio quella scena, si trovò a riviverla. Il loro baciarsi gli pareva più consono all’età, più maturo e pudico, ma ciò che lo sorprendeva era il fatto che dieci anni dopo, di fatto non avessero perso lo smalto. Maria, si vedeva ad occhio nudo, era ingrassata almeno un chilo per anno, mentre Ugo difendeva a stento la panciotta e le guanciotte già messe in preventivo da tempo.
Fra un’occhiata e l’altra, Carlo arrivò alla pagina sportiva, ma riusciva giusto a concentrarsi sulle statistiche, le classifiche e qualche occhiello. Un senso di forte turbamento lo scosse. Ragionando si chiedeva come avrebbe potuto alzarsi senza che loro lo vedessero. La sensazione oscillava fra ansia e depressione. Fortunatamente, sentì una suoneria polifonica che ancor meglio, non era la sua. Diede una fugace occhiata: Ugo si divincolava dal tenero abbraccio e rispondeva con la solita agitazione, aumentata dall’essere colto sul fatto.
Devo andare Mary!
Ma non hai mangiato niente!
Lo so ma devo scappare… C’è Alvaro che mi aspetta, dobbiamo fare un sopralluogo al volo per un nuovo cliente…
Va bene, ma fermati a prendere qualcosa!
E certo, ciao, ti chiamo appena ho finito il giro! Ciao!
Bacio amore!
.
Purtroppo l’esperienza da guardone per Carlo non era ancora finita. Poteva sollevarsi pensando al fatto che Ugo si stesse allontanando di corsa ed ormai era fuori pericolo, ma non si rammentava se Maria potesse conoscerlo almeno di vista. In fondo la possibilità che Ugo in passato gli avesse parlato di lui, e sicuramente in termini negativi, c’era. Comunque i due non si erano nemmeno stretti la mano per presentarsi, neanche una volta. Carlo ormai aveva deciso di uscire pulito da questa situazione e non gli restava che continuare a coprirsi dietro il giornale. Naturalmente dentro di sé era furibondo con Maria in quanto non si decideva per alzarsi.
Fu un’attesa spasmodica ma tutto sommato breve, almeno a giudicare dall’orologio. Che fra l’altro gli ricordava quanto mancasse all’appuntamento con il Milongo.
Maria si alzò dalla panchina e prese la stessa direzione già seguita da Ugo.
Carlo, dopo tre minuti esatti, accartocciava il giornale, davanti agli occhi infastiditi di due signore che per puro caso passavano di lì, chissà, forse per prendere una scorciatoia. Una volta appallottolato il giornale e disciplinatamente inseritolo sulla sommità dello strapieno cestino, il nostro prendeva il largo.
2
Ad aspettarlo al bar Matassa, come al solito alle prese con il cellulare, il suo vecchio compagno di scuola. Il Milongo era uno dei pochi amici che Carlo conservava dalla sua infanzia e non era un caso. Quest’ultimo infatti, era a conoscenza, e purtroppo per il cosciente Carlo, non il solo, del piccolo segreto che lo condusse al di fuori della vita normale di studente a carico della famiglia.
Purtroppo per Carlo, il Milongo lavorava già, e non sarebbe potuto essere altrimenti, considerando l’indole di tale personaggio, come promotore finanziario di una nota banca. E fu più il destino che non il caso a far sì che i due compari si trovassero insieme quando Carlo, allora studente, grattò il gratta vinci che gli cambiò, in peggio, la sua vita.
Fu allora che Carlo abbandonò gli studi di lettere, peraltro condotti malissimo. Il Milongo da par suo, non lo mollò più un attimo e in un certo senso lo ricattò sempre contando sul fatto che il suo amico fortunello non voleva assolutamente che la cosa si sapesse in giro. Un gratta vinci non poteva certo farlo diventare un nababbo, ma la cifra vinta gli consentiva di acquistare una casa e stare tranquillo per un bel po’. In fondo una bella fortuna per un giovane, e Carlo agì come tutti i ventenni più o meno assennati. Stette un anno ancora a casa dei suoi senza dire nulla, facendo finta di studiare e conducendo una vita per nulla, se non di poco, differente dalla precedente. Poi, trovata l’occasione più a miglior mercato nel quartiere, acquistò il bilocale, in contanti. Questo perché voleva assolutamente risparmiare il più possibile per affrontare nel migliore dei modi la vita che aveva di fronte. E in fondo senza perder di vista la sua fissazione, e cioè quella di recitare.
La fissa dell’attore la coltivava un po’ da sempre, avendo iniziato per gioco a fare imitazioni, e ad immedesimarsi sempre in alcuni attori di grido, da lui amati. Poi durante gli studi, frequentò in ogni modo, scuole e stage di teatro e cinema, senza però mai avere opportunità serie di riuscire, in fondo perché era conscio dei suoi limiti. Tant’è vero che vincere quei soldi gli consentì di riflettere con più calma sui suoi reali desideri, senza però, sul momento, venirne a capo.
Milongo era venuto a conoscenza del fatto che il padre di Carlo era morto da poco. Dopo settimane di sms, email e telefonate di condoglianze aveva chiesto un appuntamento. Le cose stavano così: Milongo era riuscito a far investire una discreta somma a Carlo in prodotti finanziari da lui gestiti. Il risultato fu che la metà del valore dell’investimento si era bruciato, ma Milongo era fiducioso su un recupero. Ora il suo obiettivo era un altro e Carlo lo sapeva.
Come ne hai parlato con tua madre? Ma ti sei ammattito?
Il Milongo non poteva credere letteralmente alle sue orecchie, almeno così voleva mostrare.
Che pensavi, che nessuno sospettasse? Ora che papà se n’è andato mi è sembrato giusto, almeno nei confronti di mia madre. E poi se avessi avuto dei fratelli, con loro mi sarei confrontato!
E lei che ha detto?
Non gliene importa granché…
Non ci credo!
Comunque è ancora sconvolta per papà. Una cosa per volta.
Sì ma pensaci bene a quello che le dirai, anzi se vuoi posso intercedere, dirgli che ora lavori per me. Insomma per la banca. Le farebbe piacere, sicuro, è certo!
No, senti, lascia perdere…
Carlo voleva andare al dunque per levarsi il pensiero. La morte del padre lo aveva disilluso nuovamente, e ora l’atteggiamento di quella specie di amico neanche lo infastidiva più di troppo.
Insomma che mi volevi raccontare, di un po’…
Milongo si accese la sigaretta che aveva fra le mani da 10 minuti.
Niente, solo che, tu e tua madre dovete pensare al futuro, all’eredità. Insomma tuo padre era un professionista serio, qualcosa vi avrà lasciato!
Carlo sorrise con un poco di amaro in bocca.
E tu vorresti metterci le mani sopra?
Lo sai che mio padre ci ha lasciato qualcosa, ma sta tutto in mano di mia madre e di questo sono contento. L’unica cosa è l’ammiraglia, se vuoi te la vendo…
Milongo rimase un poco in silenzio, poi ripartì.
Per la macchina vediamo, ma io con tua madre ci voglio parlare, basta che le dici che mi consigli tu! Ti rendi conto, tutti quei soldi a morire in un conto?
Carlo si fece offrire una sigaretta.
Ma tu non hai proprio vergogna? Io non ce l’ho e ti dico la verità, se tu avessi un briciolo di capacità per aumentare i soldi di mia madre te la porterei qui, ma così non è. Mi hai bruciato metà di quello che ti ho dato e fai le storie pure per quello che è rimasto…
Il Milongo sbottò.
Ma io ci ho messo il cuore per te, pensi che lavorerei in banca se non sapessi come fare? Abbiamo rischiato, ma tu mi hai dato una cifra con cui potevo solo rischiare, altrimenti ti potevi fare i buoni postali!
Non sarebbe stata una cattiva idea
.
Milongo riprendeva a parlare come una macchinetta, abituato ormai da anni a non spegnersi mai. Carlo sapeva come far passare e uscire, senza rimanerne influenzato, il mare di parole dell’amico. Ripensava a suo padre, ai continui tradimenti che infliggeva a sua madre, senza neanche curarsi troppo di nasconderli. All’amore ben presto finito fra i due. Tutto questo mentre il Milongo finiva la sigaretta e faceva una pausa non troppo convinta per poi riprendere a manetta il suo discorso. Il cameriere del Matassa, sempre diverso ad ogni stagione, stavolta era di nazionalità rumena. Non si era scordato dei tempi suoi, fisso tutti i week end come cameriere alle feste in villa; un buon impiego pensava, gli permetteva di studiare la recitazione ma mai di autoprodursi coi colleghi almeno un piccolo spettacolo teatrale. E ora tutti quei compagni chissà cosa stavano facendo: se erano andati avanti, se avevano avuto ciò che volevano. Come mai lui aveva abbandonato tutto? E perché continuava a frequentare questo strano tizio? Si chiedeva quasi di buon umore, ma con un tono acidamente sarcastico.
Sì, io ti capisco Milo, probabilmente hai ragione, ma fammici pensare su, magari una volta te ne vieni a pranzo da mia madre e ne parliamo, ma con molta calma, lei è distrutta, lo sai…
.
La madre di Carlo, Marta, era sì distrutta ma più per la lunga malattia del marito che per la sua reale perdita. Ormai si sentiva svuotata ma anche, a tratti, liberata da un peso. Carlo, durante la malattia, e se ne rendeva conto, aveva fatto il meno possibile. Naturalmente era da una parte costretto a fingere di lavorare, e quindi durante il giorno o la notte, a seconda dei turni che si inventava mano mano, dava la sua rarissima disponibilità. Per distrarsi continuava ad osservare il lavoro del cameriere rumeno che gli procurava un misto di invidia e nostalgia.
Ad un tratto notò un giovane che non riusciva bene a distinguere a causa del look. Se fosse stato un estremista di destra o un cyber punk o chissà cos’altro diavolo si erano inventati. Quel giovane, al riparo fornitogli dai suoi occhiali scuri, sembrava fissarlo incessantemente.
3
Ugo si trovava dal suo analista di fiducia, il dottor Patriarca. Aveva mentito come al solito a Maria. Quello del‐ l’analista era il suo unico segreto che conservava nei confronti della donna. L’unico segreto in quanto per il resto le diceva solo e unicamente la verità.
Con l’analista, che pagava profumatamente più per la disponibilità a tenergli il gioco che per le effettive qualità terapeutiche, si sfogava per il problema e le conseguenze che gli procurava: l’impotenza.
Oggi non doveva succedere…
Disse Ugo dopo un quarto d’ora di silenzio.
Che cosa mai non doveva succedere?
Il fatto che Maria era presente alla telefonata, mi disturba!
"Ma è successo tante volte in questi