L'isola di Corentin
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Anteprima del libro
L'isola di Corentin - Cristiano Pedrini
Corentin
CAPITOLO PRIMO
Parigi sarà sempre Parigi
Corentin osservò per l’ennesima volta il numero civico, accanto al monumentale portone d’ingresso dell’edificio, per sincerarsi di essere giunto a destinazione.
Quell’elegante palazzo, con la facciata rivestita di pietra chiara, impreziosita dai numerosi vasi di edera che pendeva dai balconi, era la sua meta. Tolse dalla tasca dei pantaloni il ritaglio di giornale rileggendo quell’annuncio.
L’indirizzo era corretto e, sebbene fosse la prima volta che si trovava in quel quartiere, doveva ammettere che la fama di quel luogo era ben meritata. Era, infatti, uno dei più antichi di Parigi, risalente al secolo XII.
Il VII arrondissement, che si trovava nella parte ovest del centro della città, sulla Rive gauche, ospitava un nutrito gruppo di luoghi d’interesse come il Parco dello Champ de Mars, l’Hôtel des Invalides, il Museo d'Orsay oltre a numerosi ministeri. La sua storia si poteva leggere in molti particolari, a partire dai palazzi come quello che Corentin aveva dinnanzi, un tempo dimora della nobiltà parigina. Palazzi che silenziosi godevano della protezione della leggera sagoma della Torre Eiffel che si ergeva alle loro spalle e, sebbene fosse immersa nella foschia di quella fredda mattina di marzo, la sua presenza riusciva a incutere una certa apprensione. Il gigante osservava la città che ai tempi della sua edificazione non l’aveva certo amata, ma che ora non poteva immaginare di separarsene neppure per un solo giorno.
Corentin osservò per l’ennesima volta la torre ripromettendosi di visitarla un giorno. I suoi occhi castani si posarono di nuovo sul foglietto di carta che stringeva tra le mani. Quello poteva essere una soluzione al suo bisogno, anche se non si sentiva affatto convinto di quel passo.
«Bene, Corentin. Restarsene qui non servirà a molto» si disse tenendo lo sguardo fisso sul portone dell’ingresso, sormontato da un timpano di pietra dove era scolpito un bassorilievo in parte danneggiato dal tempo.
Respirò profondamente. Si sistemò lo zainetto a tracolla e attraversò veloce la strada, zigzagando tra alcune vetture ferme in colonna, prima di arrestarsi davanti alla porta di legno dalle cui vetrate poteva scorgere l’elegante ingresso rivestito di pannelli di mogano.
Non volle dare ascolto alla voce dell’insicurezza che sentiva farsi sempre più forte. Stavolta non l’avrebbe fatto e si decise a oltrepassare la soglia attraversando l’atrio dominato da alte pareti tinte, che culminavano nelle ampie volte decorate da stucco bianco e rischiarate da un grande lampadario di vetro.
Evitò l’ascensore che sembrava appena uscito da un film del secolo scorso: quella piccola cabina rivestita di legno scuro e i vetri smerigliati che ricoprivano la porta d’ingresso non gli ispiravano alcuna fiducia, anche per via del suo terrore per gli spazi troppo angusti.
Iniziò a salire la lunga rampa di scale deciso a non fare dietrofront e non si fermò fino a che non si ritrovò davanti alla porta dell’appartamento indicato sull’inserzione.
Si chinò per leggere la targhetta dorata con inciso, in corsivo, Flavie Cossé.
Quella era l’ultima occasione per fermarsi e dimenticarsi di tutto, ma meccanicamente vide la sua mano protendersi fino a pigiare con forza il tasto del campanello, sentendo le sue gambe inchiodarsi al lustro pavimento di maiolica. Solo lo scatto della serratura sembrò alleviare quella sgradevole sensazione.
Davanti a lui comparve una donna minuta con uno sguardo arcigno che neppure le piccole lenti rotonde e la folta chioma canuta, riuscivano ad addolcire.
«Buongiorno. Sono qui per questo» esordì Corentin allungando il ritaglio verso di lei che non lo degnò neppure di uno sguardo.
«Ha chiamato per prenotarsi?» chiese, squadrandolo da capo a piedi.
«In verità ho letto l’annuncio solo un’ora fa.»
«Il Maestro è molto impegnato e accetta solo poche candidature. Se tutti si presentassero qui senza appuntamento ci sarebbe la fila fuori da questa porta.»
«Io… capisco – indietreggiò il ragazzo – ma non potrebbe fare un’eccezione per stavolta?»
Quell’appello, sottolineato da un timido sorriso, parve intaccare le resistenze della donna. Osservò con maggiore attenzione il ragazzo domandandosi se dietro quell’apparente normalità si nascondesse qualcosa che fosse capace di suscitare l’interesse del suo padrone.
«Aspetti qui» disse lei, chiudendogli la porta in faccia.
Corentin pensò che quella era una buona occasione per andarsene e concludere quell’assurdo tentativo di racimolare il denaro di cui necessitava. Osservando la rampa delle scale, strinse la tracolla dello zainetto e si voltò, bene intenzionato ad allontanarsi sfruttando quell’insperata situazione, ma la porta si riaprì di nuovo, accompagnata da quel tono che non sembrava ammettere repliche
«Il maestro può riceverla. Mi segua.»
E ora, che fare? Ringraziare e darsela a gambe levate, oppure entrare e andare fino in fondo?
Un dilemma che s’infranse sul viso perplesso della donna.
«Dunque? Un gatto le ha mangiato la lingua?»
«No, affatto» tentennò il ragazzo, ritornando sui suoi passi.
Varcò la soglia dell’appartamento incamminandosi lungo un corridoio alle cui pareti erano appese decine di dipinti di ogni dimensione, realizzati con tecniche diverse: acquerelli, ritratti a olio, schizzi a carboncino… sembrava di trovarsi in un museo le cui parete disadorne e incolori, conferivano maggiore solennità a quelle opere esposte in rapida successione. Del resto cosa poteva attendersi di diverso dalla residenza di un noto pittore? Era invece la sua presenza in quel luogo a essere poco comprensibile. Aveva l’esigenza di guadagnare quel che gli serviva e probabilmente avrebbe potuto ricevere quella somma dalle persone che aveva conosciuto dal suo arrivo in città, ma non se la sentiva di bussare ancora alle loro porte.
La donna gli aprì una porta esortandolo a entrare. «Il maestro arriverà tra poco, intanto lo attenda in questa stanza.»
Corentin si limitò ad annuire entrandovi ma, quando udì la porta chiudersi alle sue spalle, ebbe un lieve sussulto.
«Calmati stupido! Non sei in trappola e puoi andartene quando vuoi!» si ripeté guardandosi attorno, ma quella rassicurazione scemò rapidamente, sostituita da un senso di rabbia per quello che stava per compiere. L’ennesimo gioco a cui il destino lo stava obbligando a partecipare e al quale una parte di sé non voleva sottrarsi, anzi. Considerava quella prova, in fondo, meno terribile di altre che aveva subito, un’occasione per solleticare quel suo ego che non aveva mai voluto sfidare.
Quei pensieri non impedirono alla sua mente di ritornare indietro a quella mattina.
Sembrava fosse trascorso un secolo, in realtà tutto era accaduto solo due giorni prima.
***
Aveva richiuso velocemente la porta alle sue spalle, incurante del festoso scampanellio che aveva accompagnato quel gesto stizzito. Sentiva le sue mani strette alla maniglia d’acciaio. Avrebbe voluto strapparla via e gettarla con tutta la sua forza nella strada antistante, sfogando così tutta la rabbia per quell’ennesimo rifiuto.
Il ragazzo aveva abbassato lo sguardo, scorgendo il libro che teneva stretto contro il petto.
Quell’oggetto, che molti vedevano inanimato e privo di valore, rappresentava, al contrario, il suo bene più prezioso, frutto d’innumerevoli ore, di notti, passate davanti ai quaderni che avevano raccolto ogni suo pensiero. Era riuscito a stamparne solo poche copie e avrebbe desiderato con tutto il cuore che qualche libreria lo esponesse, non con l’intento di racimolare qualche soldo, ma solo con l’intento di farlo leggere a qualcuno. In fondo era questo il sogno a cui ogni scrittore anelava e lui provava lo stesso desiderio. Un desiderio che pochi minuti prima si era infranto in un cortese ma deciso rifiuto del titolare di quella libreria in Boulevard Saint-Germain.
Se non riusciva neppure a far leggere il suo romanzo a qualcuno del settore, come poteva sperare un domani di presentarlo a qualche editore? Non era stata solamente la fretta di mostrare il frutto del suo estro che l’aveva convinto a decidersi di pubblicarselo da solo, quanto la sua scarsa fiducia nel credere che bastassero solo la volontà e l’impegno per farsi aprire certe porte.
S’incamminò lentamente lungo la via, fino a che si fermò scrutando il suo riflesso in una vetrina e si accorse solo ora che non si radeva da qualche giorno e anche i suoi lunghi capelli castani, che scendevano disordinati coprendogli la fronte, rafforzavano quel senso di trascuratezza che lo accompagnava. Tuttavia erano le occhiaie che risaltavano sul viso pallido a mostrare chiaramente la sua stanchezza. Si toccò le labbra screpolate prima di inumidirle con la saliva, poi fece un profondo sospiro prima di compiere di nuovo lo stesso rituale.
Vide una panchina poco distante e s’incamminò verso di essa. Vi posò lo zainetto che teneva a tracolla, lasciando accanto a esso la copia del suo romanzo.
Dopo aver aperto la zip rovistò all’interno, traendone una busta di plastica che conteneva un elenco trascritto a mano, tolse il cappuccio della penna tenendolo con i denti e cancellò l’ennesimo nome di quella lista che ormai si faceva di giorno in giorno sempre più scarna. Ma non fece in tempo a leggere il nominativo successivo che sentì un trillo giungere dalla tasca dei pantaloni. Sapeva perfettamente chi poteva essere a interrompere quella sconsolante liturgia. L’unica persona che in tutte quelle settimane pareva leggergli nel pensiero e anticipare ogni sua mossa con una precisione e un’accuratezza che lo lasciava ogni volta disarmato.
Gli bastò scorgere le iniziali del nome che erano comparse sullo schermo, crepato sull’angolo, del suo smartphone per avere la certezza che anche stavolta le sue premonizioni si erano trasformate in realtà. Quell’icona a forma di gatto, con accanto lo pseudonimo Cookie, dietro il quale si celava la sua misteriosa beta reader, campeggiava nel centro dello schermo.
Com’è andata? lesse mentalmente il giovane.
Le sue dita si mossero veloci sulla tastiera.
Vuoi una risposta sincera, pietosa o mista?
Mista!
La trama sembra buona ma purtroppo ho già rifiutato di esporre opere di autori che si promuovono da soli. Mi spiace
ecco la risposta che ho ricevuto oggi" rispose Corentin.
Be’, forza, avanti con la prossima.
Non so se…
Se cosa? seguito da una sfilza di faccine perplesse.
Forse hanno ragione loro confessò a denti stretti mentre esternava il risultato di quell’ennesimo rifiuto.
O forse no! Fu la pronta risposta che vide comparire sul display. Non finirò di ripetertelo, stupito testone! La tua storia è semplicemente adorabile, proprio come lo sei tu, piccolo Robespierre.
Corentin arricciò il naso nel leggere per l’ennesima volta il nomignolo che gli aveva affibbiato.
Ancora? Lo sai che…
Non fece neppure in tempo a terminare la frase che subito un nuovo messaggio lo bloccò.
Lo so, non ti piace sentirti chiamare così, ma la tua scrittura è davvero intransigente come quell’uomo. Chi ti legge o ti adora o ti odia. Avanti, ricordami il mio passo preferito.
Corentin accolse quella richiesta, che vedeva come l’ennesimo tentativo di sostenere la sua autostima, con un profondo sospiro.
Devo proprio?
Sto aspettando!
Corentin appoggiò le spalle alla panchina scuotendo ripetutamente il capo.
"Una persona può essere coraggiosa, al pari del condottiero più audace, quando si espone agli altri, anche nelle proprie debolezze, senza nascondere il