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I sogni non svaniscono all'alba (Literary Romance)
I sogni non svaniscono all'alba (Literary Romance)
I sogni non svaniscono all'alba (Literary Romance)
E-book145 pagine2 ore

I sogni non svaniscono all'alba (Literary Romance)

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Info su questo ebook

«Le ferite non vanno nascoste, ma valorizzate, perché ci riportano a ciò che siamo, fanno parte del nostro cammino. Non possiamo nasconderle. Non puoi fingere con te stessa che lo strappo non ci sia stato, ma puoi fare in modo che quello strappo ti renda più bella e determinata, più di quanto tu non lo sia già.»
LinguaItaliano
EditorePubGold
Data di uscita5 lug 2018
ISBN9788894839920
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    Anteprima del libro

    I sogni non svaniscono all'alba (Literary Romance) - Silvia Mango

    Mango

    I SOGNI NON SVANISCONO

    ALL’ALBA

    Romanzo

    A

    Beatrice, Bianca e Fiorella

    Siate sempre fedeli ai vostri sogni

    class=center>CAPITOLO UNO

    1 ottobre 2014, Los Angeles Police Department, Hollywood Division, L.A.

    Com’era la storia dei due poliziotti? C’erano il poliziotto buono e il poliziotto cattivo. Un connubio di malvagità. Fatto sta che il poliziotto buono, che poi è sempre più cattivo del cattivo, con le sue mani bianche da damerino era quasi sul punto di sollevarla di peso dalla brandina, e nel contempo le stringeva i polsi così forte da farle rimpiangere le manette. Come cavolo sono potuta finire in una situazione tanto assurda? Si domandò esasperata Patty. Ma soprattutto, per quale folle ragione, dopo quello che era stata costretta a subire tre notti prima, era stata proprio lei a finire dietro le sbarre? E per quale motivo si trovava ancora lì? In fondo non aveva ucciso nessuno, e non era plausibile che il suo gesto potesse essere stato catalogato come tentato omicidio! Inoltre, se proprio si doveva urlare allo scandalo, bisognava chiedersi perché una ballerina di lap-dance del Cheetahs Club, uno dei night club più in voga di Los Angeles, avesse lanciato un portarotoli di carta igienica in ceramica sul muso di un cliente. Perché non si domandavano se un micro-tanga paillettato, abbinato a un corpo da far girare la testa, condito con movimenti acrobatici, autorizzassero l’ennesima arrogante star del cinema ubriaca a metterle le mani addosso? Diamine! Avrebbe urlato di rabbia, se solo avesse potuto. Peccato che il poliziotto buono, o quello cattivo – chissenefrega, ormai – fin dal primo momento avesse messo in chiaro come stavano le cose, ammonendola con la celebre frase di rito: «Ha il diritto di rimanere in silenzio, perché quanto dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale…»Proprio come nei film, pensò Patty con sarcasmo.

    «Tocca a te» le intimò in quel momento l’agente, trascinandola malamente fuori dalla cella. «Che succede, ora?» chiese Patty tra l’infastidito e il preoccupato.

    «Nulla. Ti scatteranno solo un paio di fotografie.»

    «Un attimo» rispose lei, e divincolandosi dalla stretta si lisciò frettolosamente le pieghe della gonna da cui spuntavano due gambe bianche, slanciate e perfettamente tornite. Si sfilò l’elastico dai capelli e le onde biondo miele le cascarono morbide sulle spalle.

    «Accidenti! Miss Patty Boom Boom, davvero niente male…» commentò il poliziotto. «Peccato per quei cerchi neri sotto gli occhi…»Dopodiché, con un grugnito, la scortò fuori dalla stanza. «Forza, un bel sorriso per la stampa.» Chiunque nel mondo dello spettacolo… cioè, di un certo tipo di spettacolo… conosceva Patty Boom Boom.

    Patty aprì il portacipria e si passò sulle labbra carnose un filo di rossetto, tonalità rosso fatale, che in breve tempo era diventato il suo tratto distintivo. Circostanza di cui avrebbe fatto volentieri a meno, dal momento che adorava i gloss morbidi, iridescenti e dal sapore fruttato. Una sera si era presentata al locale senza il solito trucco di ordinanza, azzardando una tonalità rosa chiaro sulle labbra, e le sue colleghe l’avevano accolta come se d’improvviso avesse contratto una malattia rara di cui non si conosceva ancora la cura, temendo soprattutto che fosse contagiosa! Stessa cosa con i costumi di scena; sì, insomma, non ne poteva davvero più di quei minuscoli perizoma e ridicoli copri-capezzoli piumati. E poi, ogni tanto, cambiare è pure terapeutico, no? Così aveva provato a presentarsi con una gonna a tubino, che però durante lo spettacolo le era salita fin sopra l’ombelico, perciò tanto valeva… Aveva tentato dunque con un tailleur, pantalone da uomo che trovava davvero molto sexy, ma quando il direttore del locale l’aveva vista aveva osservato scettico: «Sei appena tornata dal commercialista, vero?» Patty aveva alzato gli occhi al cielo. «No. Sono stata in chiesa a confessarmi!» aveva risposto con la sua voce dal timbro pieno e armonioso dovuta al fatto che studiava canto da quando era in fasce. Possibile che a quello zotico non entrasse in testa che anche se Patty Boom Boom si manteneva esibendosi ogni sera seminuda davanti a una platea di uomini arrapati e scatenati, ciò non significava che si lasciasse andare ad altri, ben più lascivi, atteggiamenti. Certo, accettava di buon grado le mance, anche quelle maliziosamente infilate tra i laccetti dello slip, e di sicuro quando l’atmosfera diventava particolarmente calda si divertiva a interagire con qualche cliente, invitandolo sul palco, ma solo per stuzzicarlo e magari riuscire a rovesciargli sulla camicia firmata una bottiglia intera di vodka ghiacciata.

    Ma questo era tutto. Perché Patty era un’artista. Una ballerina vera. E nonostante le apparenze, a dispetto delle circostanze contingenti, aveva uno stretto, personalissimo, rigore morale. Proprio come suo fratello. Solo che nel caso di Bill la cosa risultava un pochino più evidente, dal momento che lui aveva scelto di diventare avvocato, e dopo anni di estenuante gavetta gli era finalmente capitato tra capo e collo il caso della vita, quello che se afferrato al volo avrebbe cambiato il corso della sua carriera: difendere l’uomo che la stampa nazionale si era divertita a definire «il nuovo Al Capone». Da quel momento, Bill correva dritto come un treno verso il traguardo con una meravigliosa fidanzata accanto. Per lei, invece, era stato esattamente il contrario: dopo un inizio promettente, la sua brillante carriera di ballerina classica si era bruscamente arenata. Per non parlare della sua vita amorosa: più desolante del deserto del Gobi. Patty aveva ventotto anni e da sette lavorava come lap-dancer, carriera che di sicuro stava per ricevere una brusca battuta di arresto dopo l’incidente di quella notte di ottobre al Cheetahs. Erano trascorse tre lunghe notti, ma il ricordo era nitido come se una pellicola non facesse altro che riprodurre ogni singola scena davanti ai suoi occhi stanchi. Non appena era salita sul palco l’attenzione del pubblico si era catalizzata su di lei in modo quasi palpabile, sul provocante abito argento che aveva indosso e su quello che c’era sotto: un corpo guasto, ma che per quei tizi era semplicemente un corpo mozzafiato per cui avrebbero fatto pazzie. La sua piccola personale rivincita. Nessuno di loro avrebbe potuto immaginare che appena qualche anno prima, Patty era stata costretta su una sedia a rotelle. Non sarebbe mai riuscita a dimenticare gli sguardi carichi di commiserazione delle persone che incrociava per strada. «E allora?! Ti vuoi dare una mossa!» la ridestò dai suoi pensieri il poliziotto, spintonandola in un corridoio stretto e umido. Sulla parete alle sue spalle erano posizionate le tacche dei centimetri per l’altezza. Da qualche parte, in un angolo la cui visuale era nascosta a Patty, qualcuno accese d’improvviso dei fari accecanti su di lei. D’istinto, serrò gli occhi, portando il palmo della mano davanti al volto come a volersi proteggere. Tuttavia, poiché non voleva dare l’impressione di vergognarsi di essere lì, in quella situazione deprimente, alzò la testa e vedendo la faccia della star del cinema che l’aveva importunata, niente meno che Kevin Away, il protagonista di un paio di action movie di grande successo degli anni Novanta, spalancò gli occhioni nocciola con aria di sfida. Non poté fare a meno di rivivere ciò che le era capitato, tutti i passaggi che l’avevano condotta dietro le sbarre della Divisione Hollywood del Los Angeles Police Department. Non era la prima volta che le succedeva, anche se doveva ammettere che in altre occasioni non avevano avuto proprio tutti i torti ad arrestarla, e comunque avevano sempre portato via con lei anche i clienti, il proprietario del night e qualche collega, e non aveva mai passato più di una notte in cella. Invece, quella volta era lì, da sola, da tre giorni. Ingiustamente e inspiegabilmente rinchiusa. Ripercorse ogni attimo di quella maledetta notte come se fosse possibile tornare indietro e cancellare una mossa o cambiare una frase, nella speranza che rimettendo a fuoco il presente si sarebbe ritrovata come per magia a casa sua, magari con una tisana bollente tra le mani, e non in una lurida cella.

    L’aveva conosciuto al bar del locale mezz’ora dopo la fine del suo spettacolo. Lui era il classico cliente Alfa: belloccio, famoso… okay, non a livello planetario, ma tanto da attirare l’attenzione di paparazzi e curiosi fuori dal locale. Aveva l’irritante e arrogante convinzione che per questo tutto gli fosse dovuto ed era uno di quelli che dopo ogni consumazione (e di consumazioni ne chiedeva tante, troppe…) allungavano al barista una mancia da cinquanta dollari, nemmeno fossero Bradley Cooper. «Balli bene» le aveva detto offrendole il secondo cocktail, che però Patty aveva rifiutato garbatamente con un mezzo sorriso, cercando di evitare di guardarsi troppo in giro come un uccello in gabbia e mettendo in pratica le regole che «per contratto» era tenuta a rispettare. Regole che facevano capo a un unico imperante diktat: trattare sempre il cliente con i guanti di velluto. E dunque: accavallare le gambe, inclinare maliziosamente la testa di lato, disegnare con il dito minuscoli cerchi attorno a un punto immaginario sul ginocchio. Ma anche dare l’idea di ascoltare le parole più interessanti del mondo senza però pendere dalle labbra dell’uomo. E infine avvicinarsi al volto dell’interlocutore, lanciargli una succulenta occhiata alla bocca per poi riprendere le distanze. Insomma, una sapiente miscellanea di coinvolgimento e riservatezza. Patty avrebbe potuto fare tutto questo anche davanti a un asino, ma quegli uomini continuavano a pensare di essere gli unici a suscitare tante attenzioni. «Ti andrebbe di andare a bere da un’altra parte, non appena finisci qui?»

    In realtà no, non le andava affatto… Ѐ tardi, sono stanca e tu sei disgustoso… Questo però l’aveva solo pensato, limitandosi a sorridergli lusingata. A quel punto lui aveva allungato una mano e le aveva accarezzato l’incavo delicato dietro il ginocchio, per poi risalire con una leggera pressione sempre più su, lungo la gamba. «Sei molto bella…» le aveva sussurrato, sibilando come un serpente. Senza dare a vedere quanto quella carezza l’avesse infastidita, Patty si era risistemata con nonchalance sullo sgabello, e per allontanare definitivamente quella mano da sé, si era messa a dondolare le gambe a ritmo di musica. Era sempre stato così, per lei, risolveva tutti i problemi con un passo di danza. Però il divario tra la vita che avrebbe voluto e quella che non avrebbe mai avuto le appariva l’essenza del suo destino. «Sono molto stanca. Organizziamo per un’altra sera» gli aveva risposto, già presagendo che non ci sarebbe stata un’altra sera, che una volta

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