Ritorno di fiamma per il capo: Harmony Collezione
Di Trish Morey
5/5
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Info su questo ebook
Leo Zamos ha assoluto bisogno di una donna al proprio fianco per un'importante cena d'affari: solo in quel modo il suo cliente tratterà con lui. Così convince la sua assistente personale, che lui non ha mai visto, a fingere di essere la sua donna. Quando però si trova di fronte Eve Carmichael, capisce l'errore commesso: quel corpo sinuoso e quelle labbra carnose non trasmettono certo una rassicurante immagine famigliare. E, soprattutto, gli ricordano qualcuno...
E questa volta Leo non se la farà scappare.
Trish Morey
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Ritorno di fiamma per il capo - Trish Morey
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Fiancée for One Night
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2011 Trish Morey
Traduzione di Cristina Proto
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-020-9
1
Leo Zamos amava ideare piani.
Non che non trovasse piacere in altre occupazioni più quotidiane. Era più che piacevole avere una donna nuda nel proprio letto, e più era nuda la donna, più quel piacere si intensificava, come quando sfrecciava con la sua Maserati Granturismo S per i tornanti del Passo dello Stelvio ogni volta che si trovava in Italia.
Eppure niente poteva battere quell’euforia che derivava dal concepire un piano così audace da diventare irrealizzabile, per poi governarlo attraverso battaglie e manovre societarie, aggirando gli infiniti ostacoli burocratici fino alla conclusione finale – e all’inevitabile successo.
E ora era già all’apice del suo più audace successo.
Tutto ciò che gli occorreva era una moglie.
Scese dal jet privato nella mite aria primaverile di Melbourne: un dettaglio insignificante come quello non gli avrebbe rovinato il buon umore. Era troppo vicino a sferrare il suo colpo migliore per permettere che accadesse. Inspirò a pieni polmoni l’aria intrisa di benzina e sentì solo il profumo del successo mentre scendeva la scala verso l’auto in attesa. La Culshaw Diamond Corporation, proprietaria e produttrice dei più raffinati diamanti rosa del mondo e una potenza in quel mercato, era da sempre nelle mani di una grande dinastia australiana. Leo era stato l’unico a intuire un cambiamento nella dinamica di chi ne governava gli affari, a individuare le sottili fenditure che avevano iniziato a mostrarsi nel team gestionale dei fratelli Culshaw, anche se neanche lui aveva avuto sentore del recente scandalo, le circostanze del quale avevano reso indifendibile la loro posizione nel consiglio.
L’interesse si era allora moltiplicato da ogni parte, ma Leo si era trovato in pole position. Aveva già presentato Richard Alvarez, capo della squadra interessata ad acquistare l’attività, a Eric Culshaw senior, un uomo tanto spaventato dallo scandalo da voler solo svanire in silenzio nell’ombra. E così ora, per la prima volta nella sua lunga storia, la Culshaw Diamond Corporation stava per passare di mano, grazie a Leo Zamos, mediatore per milionari.
Date le circostanze, forse avrebbe dovuto prevedere quest’ultima complicazione. Ma Eric Culshaw, sposato da quasi cinquant’anni con il suo amore di sempre, aveva decretato che avrebbe fatto affari con persone dalle impeccabili credenziali e solidi valori familiari, e dato che Alvarez aveva accettato di portare con sé la moglie, anche Leo avrebbe dovuto trovarsene una.
Davvero ironico, dato che aveva evitato il matrimonio con successo per tutti quegli anni. Le donne non facevano l’errore di pensare che ci fosse qualche speranza di trattenerlo quando avevano l’occasione di apparire al suo braccio o nel suo letto.
Non a lungo comunque.
Ma una moglie per una sera? Era una questione gestibile. Averne una per le otto di quella sera non era un vero problema.
Evelyn gli avrebbe trovato la persona giusta.
Dopotutto non era che avesse proprio bisogno di sposarsi. Una fidanzata sarebbe andata bene: con una fidanzata trovata dopo lunghi anni di ricerca della perfetta anima gemella, Eric Culshaw non avrebbe avuto argomentazioni contro di lui, giusto?
Salì sulla limousine lucida stilando mentalmente una lista dei necessari attributi della donna.
Chiaramente non voleva una donna qualsiasi. Doveva essere di classe, intelligente e affascinante. L’abilità di reggere una conversazione, però, non era essenziale. Non aveva importanza, finché fosse stata piacevole da vedere.
Evelyn avrebbe selezionato i suoi contatti, estraendo la candidata adatta. Leo sorrise, prese il telefono e la chiamò, mentre il suo autista si immetteva nel flusso infinito del traffico dell’aeroporto.
Fare a meno dell’ufficio due anni prima era stata una delle migliori decisioni che avesse mai preso. Ora, invece di un ufficio, aveva un jet che poteva portarlo ovunque nel mondo, un garage in Italia per ospitare la sua Maserati, avvocati e finanziatori su onorario, e un’assistente virtuale che gestiva tutto il resto gli occorresse con un’efficienza sconvolgente.
Quella donna era una meraviglia. Poteva solo applaudire a qualunque crisi di mezza età l’avesse spinta a spostarsi da un impiego d’ufficio al mondo virtuale. Non che conoscesse la sua età, ora che ci pensava. Non sapeva nessun dettaglio personale, non ne aveva bisogno, ed era metà del suo fascino. Niente più scuse perché qualcuno faceva tardi al lavoro, niente più accenni a imminenti compleanni o profumi favoriti o infuocati sguardi di disponibilità. Non doveva tollerare niente di tutto questo perché aveva Evelyn a portata di e-mail, e date le referenze che aveva offerto e le qualifiche e l’esperienza che aveva citato nel suo curriculum, avrebbe dovuto averne almeno quarantacinque. Non c’era da stupirsi che non volesse più una vita spericolata. Lavorando in quel modo, avrebbe potuto farsi un sonnellino quando ne aveva bisogno.
La telefonata raggiunse la segreteria e una voce da maggiordomo snob lo invitò a lasciare un messaggio, interrompendo le sue congratulazioni con se stesso. Leo si accigliò, non abituato a chiedersi dove fosse la sua assistente. Normalmente avrebbe mandato una e-mail a Evelyn da dovunque si trovasse senza preoccuparsi dei collegamenti internazionali o dei fusi orari. Quell’organizzazione funzionava bene, così bene, in effetti, che per metà del tempo lei rispondeva immediatamente, anche quando lui era sicuro che in Australia dovesse essere piena notte. Ma nella sua città, alle undici del mattino, si sarebbe aspettato che lei fosse lì a rispondere al telefono.
«Sono Leo» ringhiò dopo il bip che lo invitava a lasciare il messaggio. Attese ancora, e ancora, per vedere se il suo nome avrebbe spinto la sua assistente virtuale ad alzare la cornetta. Quando fu chiaro che nessuno lo avrebbe fatto, sospirò, si strofinò la fronte con l’altra mano e pronunciò con impeto il suo messaggio. «Ascolta, ho bisogno che mi trovi una donna per stasera...»
«Grazie di aver chiamato.»
Leo imprecò tra sé mentre la voce del maggiordomo poneva fine al messaggio. A pensarci bene, c’era una dannata buona ragione se di solito scriveva e-mail.
Eve Carmichael attaccò la terza molletta sui leggings e sbuffò, frustrata. Era stata sulle spine tutto il giorno. Più esattamente tutta la settimana. Da quando aveva saputo che lui sarebbe venuto a Melbourne.
Alzò gli occhi verso il sole pallido, desiderando che le asciugasse il bucato prima che il tempo notoriamente variabile della sua città cambiasse improvvisamente, ed ebbe un brivido, sottile, che le scese lungo la schiena.
E poi diede un’occhiata all’orologio.
Sbagliato. Leo Zamos era già arrivato.
Non faceva differenza ricordarsi che era illogico sentirsi in quel modo. Non aveva ragione, alcuna ragione, di sentirsi in apprensione. Non le aveva chiesto di accoglierlo all’aeroporto. In realtà, non aveva fissato un appuntamento per vederla. Logicamente, non c’era alcuna ragione perché lo facesse – in fondo era la sua assistente virtuale. La pagava per correre in vece sua attraverso le meraviglie del web, non per aspettarlo dovunque andasse.
Inoltre, anche se avesse avuto anche una sola ragione, comunque non avrebbe avuto uno spazio libero nella sua fitta agenda. Lo sapeva con certezza perché gli aveva spedito via e-mail l’ultima versione quella mattina stessa alle sei, proprio prima di infilarsi nella doccia e capire che la caldaia aveva scelto quel giorno tra tutti per guastarsi. Un segno? Sperava di no. Se lo era, non era buono.
Non c’era da stupirsi che fosse nervosa.
E non c’era da stupirsi di quello strano senso di presentimento che le sobbolliva nell’intimo come una pentola a pressione.
Dannazione.
Scoccò un’occhiata di avvertimento a una nuvola che minacciava di oscurare il sole e diede al vecchio stendino rotabile una spinta, sperando di incoraggiare la brezza mentre malediva il fatto che in quel momento aveva probabilmente più speranza di controllare il vento di quanta ne avesse di governare i propri pensieri illogici, e controllare il tempo variabile di Melbourne era praticamente impossibile.
E poi irrigidì la schiena nervosa e si diresse di nuovo in casa, cercando di liberarsi dall’impulso irrazionale di andare a dormire finché Leo Zamos non se ne fosse andato dalla sua città. Quale diamine era il problema?
Semplice, la risposta la colpì subito, cogliendola così di sorpresa che dimenticò di aprire la porta posteriore andandoci quasi a sbattere.
Hai paura di lui.
Si bloccò per un attimo.
Ridicolo, borbottò, mentre con la mente cercava di cancellare quell’ipotesi e con il fiato corto costringeva le dita a girare la maniglia della porta e a farla entrare. Leo Zamos non era niente per lei, se non la migliore paga oraria che avesse mai avuto. Era un buono pasto, il buono per rinnovare il suo bungalow di fine Ottocento che affettuosamente definiva un tugurio, un buono per qualcosa di meglio nella vita e per ottenerlo molto prima di quanto sarebbe mai successo altrimenti. Si augurava solo di non dover spendere ora il suo denaro per la ristrutturazione degli impianti, prima di avere anche solo un’idea di quale sarebbe stato il progetto finale.
Alzò lo sguardo verso le strisce di pittura che si staccavano dalle pareti della lavanderia e l’edera che si stava insinuando tra le fessure in cui sessant’anni prima suo nonno l’aveva inchiodata sul retro del bungalow, e si disse che avrebbe dovuto essere grata per il lavoro di Leo, non ridursi a un fascio di nervi solo perché era in città. Il loro accordo funzionava bene. Era tutto ciò che importava. Era su questo che si doveva concentrare. Non su un lontano ricordo polveroso ormai sproporzionato.
Dopotutto, Leo Zamos certamente non stava perdendo tempo a crucciarsi per lei. E in meno di quarantott’ore se ne sarebbe andato. Non c’era assolutamente niente da temere.
E poi aprì lo sportello cigolante della lavatrice e sentì una profonda voce intensa che riconobbe subito, anche solo per il brivido che le causò sulla pelle, "... trovami una donna per stasera..." e il sangue freddo che stava racimolando per persuadersi si disintegrò in mille pezzi.
Rimase inchiodata sul posto, a fissare il telefono, le emozioni in lotta nel suo intimo. Furia. Rabbia. Incredulità. Tutte intrecciate nel filo spinato di qualcosa che le solleticava la pelle, e più in profondità qualcosa che non riusciva – o non voleva definire.
Ignorò quel pungolo assillante. Puntò diretta alla furia.
Chi diavolo pensava di essere Leo Zamos?
E chi pensava fosse lei? La proprietaria di un bordello?
Si mosse rapida per la minuscola cucina, raccogliendo i piatti e impilandoli rumorosamente nel lavandino. Oh, sapeva che lui aveva le sue donne. Aveva procurato sufficienti gingilli Tiffany e bottiglie di profumo da inviare alle innumerevoli Kristina e Sabrina e Audrina negli ultimi due anni – e tutti con lo stesso messaggio finale:
Grazie per la tua compagnia.
Abbi cura di te.
Leo
Sapeva che sarebbe potuto sopravvivere una notte senza una donna nel letto. Ma solo perché stava nella sua città non significava che potesse aspettarsi che gliene trovasse una lei.
I tubi borbottarono mentre lei apriva inutilmente il rubinetto dell’acqua calda, finché si rese conto che doveva mettere su il bollitore per sperare di avere acqua calda. Ma alla fine il lavandino si riempì di schiuma e la piccola stanza si riempì di vapore. Infilò le mani in guanti di gomma e si preparò ad attaccare la pila di piatti e tazze di plastica, quasi sommerse da schiuma e bolle.
Era stata una fortuna