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Un milionario dal passato: Harmony Jolly
Un milionario dal passato: Harmony Jolly
Un milionario dal passato: Harmony Jolly
E-book155 pagine2 ore

Un milionario dal passato: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Chi lo ha detto che i milionari devono essere sempre solo belli e dannati? Esistono anche quelli romantici e sognatori e ve lo dimostreremo!
Quando il destino ci mette lo zampino. La villa davanti alla quale Georgia e il figlio Josh si fermano a causa di una tempesta di neve è la stessa in cui molti anni prima lei e il suo fidanzato del tempo, Sebastian, si erano amati. Tempi lontani. Ora Georgia è una madre single, che ha troppo da fare per pensare all'amore, o forse no.
Sebastian appena ha potuto ha comprato la villa in cui lui e Georgia erano stati. L'ha completamente ristrutturata e vi si è stabilito. Vive lì nel ricordo di un amore che lo ha segnato per sempre. Se solo potesse rivederla e magari ricominciare da dove si erano interrotti. Chissà dove si trova ora.
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2019
ISBN9788858996041
Un milionario dal passato: Harmony Jolly
Autore

Caroline Anderson

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Un milionario dal passato - Caroline Anderson

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Snowed in with the Billionaire

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2013 Caroline Anderson

    Traduzione di Paola Picasso

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5893-048-9

    1

    «Che cosa...?»

    Le condizioni atmosferiche erano pessime e tutto quello che Georgia riusciva a vedere erano le luci posteriori del mezzo che la precedeva. Rallegrandosi di essersi tenuta a distanza di sicurezza, premette il pedale del freno.

    Appena l’auto si fermò, accese i lampeggianti d’emergenza e cercò di capire quale fosse l’ostacolo che impediva alla colonna di macchine di procedere.

    Sebbene fosse ancora giorno, la tormenta di neve era tanto fitta da formare una cortina impenetrabile e la radio non faceva che parlare della nevicata arrivata prima del previsto, ma non dava alcuna notizia sul traffico, o su eventuali interruzioni stradali.

    Negli ultimi minuti, a causa della scarsissima visibilità, la processione di macchine era stata costretta a rallentare sempre di più e adesso si era fermata completamente.

    Inguaribilmente, caparbiamente ottimista, Georgia si era messa a cantare delle vecchie canzoni natalizie, cercando di non lasciarsi prendere dal panico e dicendosi che andava tutto bene. Quando avrebbe imparato?

    Scrutando la strada, riuscì a vedere i fanalini di coda di un fila di veicoli fermi e il fascio azzurro di un lampeggiante.

    Altre luci azzurre stavano sopraggiungendo da dietro, poi un’auto della polizia le passò accanto e scomparve, inghiottita dalla tormenta.

    Doveva essere successo qualcosa di grave, ma non poteva restare lì in attesa dei soccorsi mentre il tempo peggiorava di minuto in minuto. E pensare che era così vicina a casa, circa dieci chilometri. Vicina, eppure lontanissima.

    I fiocchi di neve le volteggiavano intorno sempre più fitti. A poca distanza c’era un’altra strada che conosceva bene, una specie di viottolo che aveva usato spesso come scorciatoia, ma che aveva evitato non solo per la neve...

    «Perché ci siamo fermati, mamma?»

    Georgia incrociò lo sguardo del suo bambino di due anni nello specchietto retrovisore. «Credo che un’automobile si sia rotta» rispose per non spaventarlo. Poi sorrise e incrociò le dita. «Non preoccuparti, faremo un’altra strada e tra poco saremo a casa del nonno e della nonna.»

    «Andiamo dalla nonna. Ho fame» piagnucolò il piccolo.

    Il cuore le si strinse. «Ho fame anch’io, Josh. Non ci metteremo molto» assicurò. Poi compì un’inversione a U e sentì che le ruote slittavano. Accidenti. Il passaggio dei veicoli aveva compattato la neve e il fondo era scivoloso come se fosse ghiacciato.

    Quando imboccò la strada laterale, Georgia aveva il cuore in gola. I fiocchi di neve le volteggiavano intorno, accecandola, ma anche nei pochi momenti di maggiore calma, i bordi della stradina non si vedevano assolutamente.

    Perché doveva succedere proprio adesso, invece di aspettare che lei e Josh fossero arrivati sani e salvi a casa dei suoi genitori?

    Controllò il suo cellulare e gemette. Non c’era segnale. Fantastico. Doveva evitare di bloccarsi, pensò, mettendo via il telefonino e procedendo con cautela.

    Il vento spingeva masse di neve sul viottolo e di lì a poco percorrerlo sarebbe stato impossibile. Doveva accelerare. Se non altro nella neve fresca la trazione era migliore e non correva il pericolo d’incrociare un’altra macchina. Tra meno di un chilometro sarebbe sbucata sulla statale.

    Poteva farcela. Doveva farcela...

    D’improvviso vide alla sua sinistra un alto muro di mattoni incrostato di neve come una torta natalizia e respirò di sollievo. Era quasi arrivata. Quella vecchia parete correva di fianco alla stradina fino al termine. Le sarebbe bastato raggiungere la statale, sperando che fosse libera.

    A metà circa del muro c’era l’imponente ingresso di un mondo segreto, sorvegliato da due colonne su cui posavano dei grifoni di pietra. Di solito il grande cancello di ferro battuto era aperto, quella sera invece era sbarrato.

    Non solo, ma era stato anche dipinto di nuovo e non pendeva più, notò mentre si fermava. Un tempo era sempre rimasto socchiuso, tentazione irresistibile per una ragazzina in bicicletta e per suo fratello.

    I due grifoni, animali mitici con la testa e le ali di aquile e il corpo di leoni, li avevano sempre impauriti, ma la tentazione di entrare in quel posto misterioso, pieno di infiniti nascondigli, era stata davvero irresistibile.

    Al centro di quel giardino immenso, vero gioiello della corona, c’era la villa più bella che avesse mai visto. Il grande portone sormontato da una lunetta a ventaglio si trovava in fondo a un colonnato ai cui lati, perfettamente simmetriche, si aprivano sei finestre. Non tutte si vedevano, perché la metà di esse era coperta da un glicine che si arrampicava fino al tetto e il profumo dei fiori che pendevano simili a grappoli lilla contro la parete, era intossicante.

    La villa era vuota da anni e Georgia e suo fratello, con il cuore in gola, vi erano entrati attraverso una finestra della cucina e avevano perlustrato in punta di piedi le stanze un tempo lussuose, spaventandosi a morte con racconti di fantasmi che erano vissuti e morti là. Lei si era innamorata perdutamente della casa.

    Anni dopo, quando suo fratello aveva fatto amicizia con Sebastian, lei lo aveva portato là. Sebastian era venuto a trovare suo fratello che in quel momento non c’era e lei, sedicenne invaghita, ne aveva approfittato per mostrargli il suo segreto.

    Anche Sebastian era rimasto affascinato dalla bellezza della villa e insieme avevano fantasticato su come sarebbe stato poterci vivere, su come l’avrebbero ammobiliata con un tavolo tanto lungo da non vedere la persona seduta al capo opposto, uno Steinway nella sala da musica e un letto a quattro posti nella camera padronale.

    Nella fantasia di Georgia il letto sarebbe stato tanto ampio da contenere loro due e i loro figli, una quantità di bambini da dare vita a una dinastia.

    Un giorno, dopo essersi rincorsi, Sebastian l’aveva baciata, dando inizio a una relazione che era durata anche mentre lui frequentava l’università, lontano da casa. Una settimana dopo il suo diciottesimo compleanno, Sebastian l’aveva portata nella villa e aprendo la porta della camera da letto le aveva mostrato la sorpresa che le aveva preparato.

    Il caminetto era illuminato da decine di candele. Per terra c’era un folto tappeto bianco cosparso dei petali del glicine che oscurava la finestra e in quello scenario fiabesco lui aveva preparato un picnic squisito. C’erano tartine di salmone e di caviale, fragole affogate nel cioccolato e una bottiglia di champagne rosé servito in coppe di carta, cosparse di tanti piccoli cuoricini.

    Alla fine teneramente e lentamente, tanto da farla impazzire, aveva fatto l’amore con lei. In precedenza, benché lei fosse stata pronta a donargli la verginità, l’aveva fermata, dicendo che il giorno in cui avrebbero fatto l’amore le avrebbe promesso di amarla per sempre e lei gli aveva creduto.

    Si sarebbero sposati, avrebbero avuto i figli che desideravano e li avrebbero cresciuti insieme. Il posto in cui sarebbero vissuti non importava perché sarebbero stati insieme.

    Ma due anni dopo, spinto da un’ambizione che lei non era riuscita a capire, Sebastian era diventato un altro uomo. Il loro sogno si era trasformato in un incubo e pur essendo devastata dal dolore, Georgia l’aveva lasciato.

    Erano nove anni che non veniva in quel posto. Poco prima della nascita di Josh aveva saputo che Sebastian aveva comprato la villa e la stava ristrutturando.

    Era stato un inglese di passaggio, durante una cena a cui partecipavano lei e David, che aveva detto in tono indifferente: «Credo che un tizio pieno di soldi abbia acquistato Easton Court. Si chiama Sebastian qualcosa...».

    «Corder?» aveva suggerito lei impietrendosi.

    L’uomo aveva annuito. «Proprio lui. Gli auguro buona fortuna. Quella villa merita di essere ristrutturata, ma il lavoro sarà molto impegnativo.»

    Poi la conversazione si era spostata e lei aveva cercato di capire il motivo per cui Sebastian avesse comprato quella vecchia dimora.

    «Come fai a conoscere quel Corder?» le aveva domandato David mentre tornavano a casa.

    «Era un amico di mio fratello» gli aveva risposto con falsa disinvoltura. «La sua famiglia abitava da queste parti.»

    Non era stata una bugia, ma nemmeno tutta la verità. Per scusarsi, Georgia si era detta che era ancora sconvolta dalla notizia che aveva ricevuto.

    In realtà era rimasta soprattutto sorpresa. Aveva creduto che Sebastian avesse preso le distanze da tutto quello che lo collegava al passato e sapere che non l’aveva fatto l’aveva affascinata e turbata.

    Ma pochi giorni dopo era nato Josh, e alcune settimane più tardi era morto David e lei, travolta da quegli eventi, si era dimenticata di Sebastian.

    Tuttavia da allora, ogni volta che era andata a trovare i suoi genitori, aveva evitato di passare per quel viottolo.

    Il suo cuore accelerò i battiti. Sebastian era laggiù, dietro quel cancello che la intimidiva? Era solo, o insieme a una donna che condivideva i suoi sogni?

    Ma che cosa importava?, si domandò. I suoi sogni erano morti da un pezzo. Rivolgendo un sorriso al suo bambino, decise di proseguire.

    Premette l’acceleratore e l’auto slittò paurosamente, ricordandole quanto fosse pericolosa la situazione. Stringendo con forza il volante, provò ad avanzare adagio adagio nel turbinare della neve, ma compiuti pochi metri, urtò contro un muretto di neve, l’auto ruotò su se stessa e si fermò in mezzo alla stradina. La parte posteriore infilata nella neve. Tentò di ripartire, ma le ruote slittarono, affossandosi ancora di più. Frustrata, sbatté le mani sul volante ed emise un grido di rabbia.

    «Mamma?»

    «Va tutto bene, tesoro. Siamo solo rimasti un po’ bloccati. Devo dare un’occhiata fuori. Non ci metterò molto.»

    Cercò di aprire lo sportello ma per quanta fatica facesse, non ci riuscì. Abbassando il finestrino e schermandosi gli occhi contro quei fiocchi gelidi che parevano arrivare dall’Artico, guardò all’esterno e vide che il fianco della macchina era incastrato contro una parete di neve. Aprire la portiera sarebbe stato impossibile.

    Richiuse il finestrino e si asciugò la faccia.

    «Caspita come nevica forte!» esclamò ridendo, ma Josh non parve rassicurato.

    «Non mi piace, mamma» mormorò il piccolo con voce tremante.

    «Non preoccuparti. La nevicata finirà. Uscirò dall’altra parte per vedere che cosa si può fare.»

    «No! Resta qui, mamma!»

    «Tesoro, rimarrò qui fuori. Non andrò via.»

    «Promesso?»

    «Promesso.» Georgia

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