Una bugiarda dal cuore tenero
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Kathryn Jensen
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Anteprima del libro
Una bugiarda dal cuore tenero - Kathryn Jensen
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Boss Man’s Fortune
Silhouette Desire
© 2004 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Elefante
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-664-8
Frontespizio. «Una bugiarda dal cuore tenero» di Jensen Kathryn1
«L’ho trovata!» La voce squillante dall’altro capo del cellulare comunicava a Ian la prima buona notizia che riceveva da diverse settimane a quella parte.
Interrompendo gli esercizi a cui dedicava immancabilmente un’ora ogni mattina, il giovane amministratore delegato della Danforth & Co. si allungò verso l’asciugamano che aveva posato sulla panca della palestra riservata ai dirigenti. Se ne servì per tamponarsi la fronte imperlata di sudore, poi si appoggiò il morbido telo di cotone su una spalla.
«Bene» rispose, riprendendo fiato. «Quando può cominciare?»
«Anche subito, ma sarà soltanto una sostituzione temporanea.» Holly Francis, responsabile del personale, sembrava sollevata. «Si chiama Kathie O’Brien. Ci ho scambiato due chiacchiere e penso che le piacerà. Sicura di sé, modi impeccabili, anche se non ha molta esperienza...»
«Non mi interessa la sua biografia!» tagliò corto Ian, impaziente. Fece ruotare prima una spalla, poi l’altra per sciogliere i muscoli tesi dopo tre serie di sollevamenti. Si rese conto di essere stato troppo brusco con Holly, la quale non era responsabile del fatto che la sua più stretta collaboratrice fosse dovuta andare via improvvisamente. E non aveva colpa nemmeno della tensione che lui aveva accumulato in quegli ultimi tempi, dopo gli avvenimenti che in un modo o nell’altro avevano coinvolto la sua famiglia.
Tutto era cominciato quando suo padre, Abraham Danforth, aveva deciso di candidarsi al Senato.
Da quel momento, una sciagura dopo l’altra si era abbattuta su una delle famiglie più in vista dello stato e sulla compagnia che ora lui dirigeva. L’imprevedibile partenza della sua segretaria personale era stata soltanto l’ultima proverbiale goccia, ma quello non lo autorizzava a perdere la pazienza con Holly.
Cercò di addolcire il tono. «Be’, purché sappia rispondere al telefono e tenermi in ordine gli archivi, mi accontenterò. E tu, nel frattempo, mi cercherai una segretaria come si deve.»
«S’intende, signore.» Ci fu una breve esitazione prima che Holly riprendesse a parlare con una voce esageratamente zuccherina. «La mando subito nella tana dei leoni o...?»
«Basta così» replicò Ian, senza tuttavia riuscire a trattenere un sorrisino. Era un bene che, nonostante tutto, qualcuno dei suoi collaboratori avesse conservato il senso dell’umorismo.
Nella soffitta di Crofthaven, la casa di famiglia, era stato rinvenuto il cadavere di una giovane donna in avanzato stato di decomposizione, una scoperta che aveva sconvolto tutti. Dopo un approfondito esame, il medico legale aveva dichiarato che si trattava della figlia della governante, una ragazza disturbata e cardiopatica, e che la morte era avvenuta per arresto cardiaco tre anni prima.
Qualche settimana più tardi, un ordigno esplosivo aveva fatto saltare in aria diversi uffici della sede della compagnia, subito dopo che lui si era rifiutato di entrare in affari con alcuni fornitori di caffè colombiani, loschi individui legati a doppio filo a grossi narcotrafficanti che avevano bisogno di riciclare denaro sporco.
Da quel giorno, aveva perso il buonumore.
Fortunatamente, il massiccio edificio a cinque piani che ospitava la Danforth era vuoto al momento dell’esplosione. Non c’erano stati feriti, ma uno dei cinque piani aveva subito forti danni, subito riparati. La polizia non aveva ancora acciuffato i responsabili dell’episodio e tutti avevano paura che potesse ripetersi.
Ian, in veste di amministratore delegato nonché presidente della compagnia, si sentiva responsabile per i suoi dipendenti. Capiva che si era trattato di un lavoretto fatto a regola d’arte da un professionista, un avvertimento inteso a intimidirlo e a costringerlo a muoversi in una direzione che lui si rifiutava di prendere.
Scacciò dalla mente quegli oscuri pensieri, riproponendosi di risolvere un problema alla volta.
«Ho quasi finito. Dammi il tempo di cambiarmi. Mandamela di sopra.»
«È qui con me. L’accompagno io.»
«Grazie, Holly. Mi hai fatto davvero un grosso favore.» Ian spense il cellulare e si avviò a passi lenti alla doccia.
La precipitosa partenza della sua segretaria una settimana prima aveva tramutato le sue giornate in un inferno. Gloria gli era stata indispensabile fin da quando il padre gli aveva ceduto le redini della compagnia. Era stato un passaggio di consegne a lungo meditato e voluto, ma non dettato dall’età avanzata del patriarca dei Danforth, che avrebbe potuto guidare ancora con successo la società, leader nel campo delle spedizioni e delle importazioni. Suo padre, che aveva alle spalle un passato da militare in carriera e aveva portato a termine eroiche missioni in Vietnam, era un uomo perennemente in cerca di nuove sfide. A un certo punto della sua vita aveva deciso di affacciarsi al mondo della politica. E a cinquantasei anni credeva che fosse arrivato il momento giusto.
Abraham era un uomo onesto. Tutta la sua campagna elettorale, magistralmente gestita da un’esperta in materia, puntava su quello: sull’immagine di un uomo pulito, al di sopra di ogni sospetto e per questo inattaccabile. Dunque era importantissimo proteggerlo dal biasimo del pubblico, risolvendo in fretta qualunque questione pruriginosa che potesse farlo finire al centro di uno scandalo.
Nel frattempo, però, Ian doveva dirigere una grossa compagnia. E oltre a quella, era socio di una catena di caffetterie di lusso, la D&D’s, di cui lui stesso si era fatto promotore, coinvolgendo nell’iniziativa suo cugino e suo fratello.
Con un’agenda tanto fitta di impegni, Gloria si era rivelata impagabile. Lo aveva aiutato a ricordare tutti gli appuntamenti e a organizzare al meglio le sue giornate. Aveva filtrato le chiamate dirette a lui che potevano solo fargli perdere tempo prezioso e aveva tenuto a bada le telefonate dei rappresentanti della stampa quando si era risaputo del ritrovamento di quel cadavere. Poi, da un giorno all’altro, Gloria aveva dovuto trasferirsi in Ohio per accudire la madre, che si era ammalata improvvisamente.
Con un sospiro, Ian si ripromise di chiedere a Holly se avesse lasciato un recapito, per mandarle dei fiori.
Venti minuti dopo, fresco di doccia e con indosso un completo di sartoria in fresco di lana, uscì dall’ascensore del quinto piano. Salutò con un mezzo grugnito gli impiegati che incrociò nel corridoio e spinse la massiccia porta di mogano dell’ufficio presidenziale, ampio ed elegante quasi quanto una suite di un albergo a cinque stelle.
Una giovane donna con una massa fiammeggiante di riccioli rossi lo guardò dal divanetto dell’anticamera su cui sedeva impettita e fissò su di lui due occhi verdi scintillanti di entusiasmo e pieni di aspettative. Si alzò solerte nel vederlo entrare e gli andò incontro con una mano tesa.
«Signor Danforth, sarà un piacere lavorare per lei» esordì. «Non immagina quanto sia felice di trovarmi qui, in questo ufficio, a svolgere un lavoro così importante. Qualunque cosa le occorra, non ha che da chiedermela.» Parlava a raffica, sciorinando una frase dopo l’altra, senza dargli il tempo di replicare. «All’agenzia, le avranno detto che non ho molta esperienza, ma sono una che si dà da fare e che impara in fretta. Ha la mia parola che non resterà deluso.»
Mentre lei gli stritolava la mano, Ian aggrottò la fronte. Si era stancato soltanto a sentirla. «Basta così!» esclamò.
La giovane batté più volte le palpebre, perplessa. «Ho detto qualcosa che non va?»
Ian dovette letteralmente strattonare la mano che la ragazza ancora gli teneva stretta. Quindi si mosse verso l’ufficio interno. «Lei parla troppo.» Ed è terribilmente giovane, rifletté tra sé e sé.
«Ha detto, scusi?» Senza farsi pregare, la ragazza lo seguì. Percorse a passo deciso la stanza tappezzata di quadri d’autore fino all’enorme scrivania disposta al centro di un tappeto persiano antico.
Ian le indicò distrattamente una sedia. «Cerchi di non ambientarsi troppo, qui dentro, signorina O’Brien. La nostra compagnia non si rifiuta mai di dare una mano a chi è alle prime armi, ma i nostri dipendenti devono rispondere tutti, indistintamente, a standard qualitativi altissimi.»
«Certo. È comprensibile.»
«Come forse saprà, il nostro ufficio personale ha avviato da tempo i colloqui con varie candidate per questo posto. È questione di una, due settimane al massimo, poi non avremo più bisogno di lei. Perciò si rilassi, risponda al telefono quando squilla, tenga in ordine gli schedari e sarò più che soddisfatto del suo operato.»
«Oh» mormorò lei. E abbassò gli occhi.
Ian sapeva di essere stato duro, ma non voleva darle false illusioni. «Comunque, la sua presenza qui è importante. In pratica, dovrà difendere il forte in attesa che arrivi il settimo cavalleggeri.»
La ragazza si illuminò all’istante. «Conti pure su di me, signor Danforth.»
Contare su di lei? Con la sua esuberanza, quella ragazza probabilmente sarebbe stata capace di fermare un treno in corsa.
Una sferzata di energia. Di vibrante vitalità. Perché no? Erano qualità positive, per quanto di primo acchito, di fronte al fiume di parole di quella ragazzina, Ian avesse avuto quasi un giramento di testa.
Girando intorno alla scrivania, si soffermò a pensare all’accento della sua nuova segretaria. Di sicuro non era nata in Georgia e nemmeno nel Sud. Non che la cosa fosse importante, visto che sarebbe rimasta in quell’ufficio solo due settimane. Prese posto sulla poltrona. «Si sieda» le disse. Una via di mezzo tra un ordine e un invito.
Lei si sedette.
«Sa battere a macchina, signorina O’Brien?»
La giovane esitò un istante. Forse non aveva compreso che la domanda era stata rivolta a lei? «Oh, sì!» esclamò poi ridendo, una risatina nervosa. «Certo.»
«E sa usare un programma di videoscrittura?»
«Naturalmente.» Lei sorrideva, mentre sedeva con le ginocchia incollate e le mani allacciate in grembo. Anche le caviglie erano premute, come se le avessero insegnato a stare seduta compostamente in una scuola esclusiva per signorine perbene.
Qualcosa in lei non quadrava, pensò Ian. «Che titolo di studi ha, signorina O’Brien?»
«Kathie» disse lei. «Mi chiami Kathie.»
Ian si adagiò sullo schienale della poltrona di pelle, mettendosi più comodo. «D’accordo, Kathie. Che scuole ha frequentato?»
La giovane ebbe bisogno di qualche secondo prima di rispondere: «Il Belmont College».
«Mai sentito nominare.»
«È un’università molto piccola, in effetti. Si trova in Arizona.»
«Ah. E ha mai lavorato in un ufficio?»
Lei si affondò un dente bianchissimo nel labbro inferiore e lo guardò con apprensione. «No, ma come le dicevo prima imparo in fretta. Sono velocissima a battere a computer. Ho una certa dimestichezza con gli schedari, anzi, tenerli in ordine mi piace molto e...»
«Le piace tenere in ordine gli schedari?»
«Perché? C’è qualcosa di male? È un lavoro come un altro, no?»
Ian dovette costringersi a non