Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Conrad
Conrad
Conrad
E-book301 pagine4 ore

Conrad

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Sin dal primo momento in cui l’ho vista, attraverso la vetrina del suo negozio di fiori, qualcosa ha preso vita nella mia oscurità. Charlie brillava come un faro in un mondo, il mio, da troppo tempo privo di luce. Sapevo che non avrebbe potuto essere mia, non di un uomo in grado di uccidere senza rimorso e solo per soldi.
Ho pensato che starle lontano l’avrebbe tenuta al sicuro, l’avrebbe protetta da me, dal male. Dalla morte che mi seguiva, passo dopo passo.
Ma mi ero sbagliato. E ogni cosa ha un suo prezzo, soprattutto le seconde opportunità.

Uccidere per lei era facile.
Vivere per lei si stava rivelando più difficile.

 
LinguaItaliano
Data di uscita25 dic 2019
ISBN9788855311069
Conrad
Autore

Celia Aaron

Celia Aaron is the self-publishing pseudonym of a published romance and erotica author. Dark to light, angsty to funny, real to fantasy--if it's hot and strikes her fancy, she writes it. Thanks for reading. Sign up for my newsletter at aaronerotica.com to get information on new releases. (I would never spam you or sell your info, just send you book news and goodies sometimes). ;) You can find me on: Twitter: @AaronErotica Facebook: facebook.com/aaronerotica Instagram: celia_aaron

Leggi altro di Celia Aaron

Autori correlati

Correlato a Conrad

Titoli di questa serie (2)

Visualizza altri

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Conrad

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Conrad - Celia Aaron

    Capitolo 1

    Conrad

    Parcheggiai nel mio solito posto sotto il lampione rotto. I colpi sordi provenienti dal portabagagli si erano finalmente placati, ma non che me ne importasse più di tanto.

    Passò una macchina, che illuminò con i fanali il leggero nevischio che cadeva lungo le vetrine sporche dei negozi. Tutte sporche a eccezione dell’unico posto luminoso, dall’altra parte della strada: I Fiori di Jesse.

    La luce che proveniva dalle finestre si rifletteva sull’asfalto nero, bagnato, e i fiori in vetrina promettevano romanticismo a chiunque si fosse avventurato all’interno del negozio per comprarli. Charlie, la proprietaria, era dietro al bancone; i capelli scuri le ricadevano sulle spalle in morbidi ricci, mentre litigava con un nastro, attorno a un vaso di rose gialle e rosa.

    Quante volte l’avevo osservata attraverso la vetrina? Non potevo contare le notti, i momenti; erano decisamente troppi. Ogni volta, sarei voluto entrare a salutarla. Ogni volta, restavo fuori dalla sua calda aura. Una donna come lei non era fatta per un uomo come me.

    Un altro calcio proveniente dal bagagliaio diede ancor più consistenza a quel pensiero.

    «Dacci un taglio, Benny!» imprecai a denti stretti. «È finita.»

    Ci stava mettendo un sacco di tempo a dissanguarsi.

    Figlio di puttana!

    Charlie piegò la testa da un lato e si fece indietro per esaminare il proprio lavoro. Per niente soddisfatta, slegò il fiocco e tagliò le lunghezze del nastro satinato. Poi fece scorrere le forbici lungo le strisce. Queste scattarono indietro, con i viticci che si arricciavano uno contro l’altro, finché non assunsero l’aspetto di una bianca fioritura selvatica. Le sue dita lavoravano con delicata precisione, ogni movimento teso a creare bellezza dal niente.

    Abbassai lo sguardo sulle mie nocche piene di cicatrici e tatuaggi. La pelle a chiazze raccontava una storia di sangue, dolore, e una vita al servizio della morte. Non riuscivo a immaginare nulla di diverso. Queste mani erano violenza e niente di più. Anche così, fantasticavo sulla sensazione della pelle di Charlie sotto il mio tocco ruvido: morbida, così morbida.

    Voltandomi di nuovo verso la vetrina, osservai ogni suo movimento, catalogandolo nella mia mente. Lei era come uno specchio d’acqua: l’emozione ne increspava la superficie e ne mostrava i sentimenti al mondo. Catalogai nella mia mente tutte le espressioni che apparvero sul suo viso a forma di cuore, e le accantonai, così avrei potuto tirarle fuori più tardi e analizzarle. Colsi il mio riflesso sullo specchietto retrovisore: occhi freddi, mandibola severa e una crudeltà che risiedeva appena sotto la superficie. Sapevo cos’ero e che qualsiasi cosa avessi toccato si sarebbe trasformata in decadimento e morte. Ciò, però, non mi impediva di desiderarla.

    Ancora una volta, fece un passo indietro e osservò la sua creazione, la fronte aggrottata per la concentrazione. Il tempo che avevo trascorso a guardarla da fuori mi aveva insegnato molte cose di lei. Perfezionista. Amichevole, eppure cauta. Parlava del più e del meno con i suoi clienti, ma il linguaggio del suo corpo restava di chiusura. Avevo indagato un po’ più a fondo di quanto avrei dovuto e avevo scoperto che non era sposata. Non aveva neanche un ragazzo. Aveva ventisei anni ed era più giovane di me di sette; non che ciò avesse importanza, visto che non ci saremmo mai incontrati.

    Una Mercedes nera passò di lì, le gomme che scivolavano sull’asfalto luccicante. I finestrini oscurati mi impedirono di vedere chi fosse al volante. Mi irrigidii, la mia mano fu attirata come una calamita verso il freddo metallo nascosto dentro al mio cappotto. La macchina proseguì lungo la strada e poi svoltò. Quando le sue luci posteriori rosse scomparvero alla mia vista, mi rilassai e ripresi la mia sorveglianza. Dopo una lunga giornata, vederla era l’unica cosa che potesse calmare la tempesta di sangue che infuriava dentro di me. La vendetta trasudava dai miei pori fino al momento in cui potevo guardarla; e solo in quel momento conoscevo la pace. Potevo starmene seduto per ore, semplicemente a osservarla.

    Finalmente soddisfatta, Charlie prese il vaso e lo ripose nel refrigeratore più vicino alla porta. Lanciò un’occhiata verso l’esterno, nella notte, e gli occhi viaggiarono fino alla mia macchina. Mi si drizzarono i peli sul collo quando rivolse lo sguardo verso il finestrino del guidatore... verso di me. Ma il vetro era troppo scuro e tutto ciò che avrebbe potuto scorgere sarebbe stato un riquadro nero; la vera oscurità, quella che stava dietro quel finestrino, era nascosta alla vista. Continuò a fissare, alla ricerca di qualcosa che non le avrei mai permesso di trovare; poi, tornò al suo lavoro.

    Il rantolo di morte che udii provenire dal bagagliaio mi disse che non avevo più tempo: dovevo portare Benny alla discarica, la macchina al lavaggio e poi dormire un po’. Vince aveva già altri due lavori programmati per il giorno seguente. I cambiamenti di comando portavano sempre un mucchio di lavoro alla mia porta. Ma il nuovo capo era uguale a quello vecchio, e ogni capo aveva bisogno di un uomo come me nel proprio libro paga.

    Allungai la mano verso la leva del cambio e colsi un movimento con la coda dell’occhio; mi nascosi, mentre la stessa Mercedes di prima si avvicinava, fermandosi di fianco a me. Questa volta, il finestrino dalla parte del passeggero era abbassato e una testa di cazzo con una semiautomatica fece fuoco contro il lato della mia macchina. Lo sparo e il rumore assordante dei proiettili che si schiantavano contro il metallo risuonarono nella notte. Il finestrino dalla mia parte esplose. Io rimasi immobile, il mio sangue più freddo dei fiocchi ghiacciati che fluttuavano intorno alla macchina. Charlie sarebbe stata abbastanza sveglia da nascondersi dietro qualcosa; ne ero certo, tanto quanto ero certo che lo stronzo che mi stava sparando addosso sarebbe morto prima che la canna della sua pistola avesse l’opportunità di raffreddarsi. Lei era al sicuro dall’altra parte della strada. Speravo solo che non stesse guardando fuori dalla finestra, perché lo scenario stava per diventare molto sanguinoso.

    Aprii lo sportello quanto bastava a far passare nella fessura la mia 9 millimetri con silenziatore. Premetti il grilletto, mettendo fuori uso una ruota posteriore della Mercedes. Il lieve rumore della mia pistola si perse in mezzo ai rapidi colpi del mio aggressore. Molti altri spari fendettero l’aria, seguiti da un suono di click: doveva ricaricare.

    «Vieni fuori, Conrad. È finita!» strillò una voce più alta, che era come una firma. Geno, uno degli uomini più vicini al vecchio boss.

    «Geno, sei tu?» Finsi un gemito acuto. «Sono ferito gravemente, amico.»

    Un’altra raffica di proiettili, questa volta da una pistola di calibro più piccolo.

    Attesi di sentire il click. Nell’istante in cui udii la pistola sparare a vuoto, mi raddrizzai sul sedile e colpii Geno dritto in mezzo agli occhi. La sua espressione di sorpresa mi fece contrarre le labbra, divertito. Lui si accasciò sul sedile del passeggero. Sparai un altro colpo alla ruota anteriore, poi mirai più in alto, al parafango, e piantai tre proiettili nel motore. Con uno stridio, l’autista tentò di svignarsela. L’idiota non aveva notato di avere le gomme a terra.

    La macchina procedette vacillando lungo la strada, andando alla stessa velocità di una sedia a rotelle elettrica. Il guidatore era in trappola. Ancora più importante, era morto; solo che non lo sapeva ancora. Di solito, me la prendevo comoda con chiunque attentasse alla mia vita, ma non potevo permettermi il lusso di farlo soffrire. Non quando Charlie aveva un posto in prima fila davanti alla mattanza.

    Lanciai una rapida occhiata verso il suo negozio: non la vidi da nessuna parte. Bene. Scesi dalla mia auto e colpii la ruota posteriore dalla parte del guidatore con un tiro facile.

    Sapevo già come sarebbe andata a finire. Parte di ciò che mi rendeva un killer eccellente era la mia capacità di calcolare tutto in anticipo. Uccidere qualcuno era come un pezzo di un puzzle logico. Se lo stronzo A vede lo stronzo B che viene ammazzato, quale sarà la prossima mossa dello stronzo A? Il fatto era che io sapevo sempre le tre mosse successive, non solo la prima. Tutto ciò che dovevo fare era aspettare.

    Seguii a piedi la macchina, nascondendomi lungo la fiancata, mentre il guidatore sparava qualche altro colpo alla rinfusa che uscì dal lunotto posteriore. Infine, l’auto scricchiolò fino a fermarsi, con il motore che lanciava un gran vaffanculo! alle ruote sgonfie. Mi spostai silenziosamente verso il retro, il tubo di scarico borbottava intorno a me, in un’esalazione di fumi e vapore. Poi, udii ciò che stavo aspettando: passi di corsa. Mi raddrizzai e freddai il guidatore con un unico colpo alla nuca. Lui cadde, scivolando lungo l’asfalto, finché la sua faccia andò a sbattere contro il marciapiede.

    Era uno schifo sparare a un uomo alle spalle, ma alcune cose – come cercare di uccidermi – non potevano restare impunite. Raggiunsi l’uomo e riconobbi il compagno di Geno, Mikey. Aggiunsi un proiettile a quello già sparato. Veloce. Clinico. E non provai un cazzo di niente.

    Arrivò una macchina. No, un minivan. Dietro al volante, gli occhi di una tipica madre di famiglia si spalancarono. Quello fu il mio segnale: mi voltai e corsi verso la mia macchina. Si mise in moto, nonostante i buchi dei proiettili.

    Lanciai un ultimo sguardo a I Fiori di Jesse. Non potevo tornare qui, non dopo quello che era successo. Maledissi Geno e quell’altro idiota per avermi rovinato questo posto. L’unico isolato di Filadelfia che mi faceva sentire un essere umano... completo.

    Charlie era in piedi davanti alla vetrina, una mano sulla bocca, mentre l’orrore le dipingeva i lineamenti di un tenue rossore. Qualcosa dentro di me faceva male, come se una vespa mi avesse affondato il suo pungiglione nel petto. Portava con sé un promemoria. Questa sarebbe stata la sua vita insieme a me: terrore e sangue. Una non vita.

    «Ti ho aspettata così a lungo, Charlie.» Inserii la prima e mi allontanai, mentre alcune sirene in lontananza promettevano guai.

    Capitolo 2

    Charlie

    La BMW si immise in strada con uno stridore di ruote e scomparve alla vista. Non appena se ne fu andata, corsi fuori dal negozio e verso la Mercedes. Frammenti di vetro scricchiolarono sotto le mie scarpe e il mio respiro uscì come una piuma bianca in mezzo ai fiocchi di neve.

    «Ehi? State bene?» Mi avvicinai alla portiera aperta dalla parte del guidatore e sbirciai all’interno della vettura.

    Mi si rivoltò lo stomaco. Un uomo morto, gli occhi vacui e appannati, sembrava guardarmi dal sedile del passeggero. Il sangue gli colava a lato del naso in un rivolo sottile, che partiva dal buco in mezzo ai suoi occhi. Fui scossa da un conato di vomito e mi allontanai.

    Un altro corpo giaceva a faccia in giù e senza vita, vicino al marciapiede. Sapevo che non poteva essere vivo. Non dopo che l’uomo con il completo scuro gli aveva sparato da una distanza così ravvicinata.

    Ma dovevo controllare, in caso potesse essere salvato. Mi protesi verso di lui: «Signore?»

    Non si mosse. Infilai le mani nelle tasche del cappotto e feci qualche altro passo avanti. La sua nuca era un macello cremisi, con i capelli impiastricciati di sangue e carne. Indietreggiai, poi mi piegai su me stessa e vomitai. Tutto quello che avevo mangiato a pranzo si sparse sull’asfalto.

    «Charlie?» Il signor Chan era sulla soglia della lavanderia a secco, due edifici più in là.

    «Stia dentro.» Alzai una mano. «Non c’è niente che possiamo fare.»

    «Ho chiamato la polizia.» La sua vecchia voce gracchiò nel tentativo di arrivare fino a me attraverso l’aria gelida. «Torna dentro. Non è sicuro.»

    «Sto andando.» Mi voltai e tornai di corsa al mio negozio. Le vetrine accoglienti sembravano non essere state toccate dallo spargimento di sangue all’esterno.

    Dopo aver chiuso la porta a chiave, raggiunsi il bancone come un automa, le gambe rigide, mentre la bile mi bruciava la gola.

    Il rumore delle sirene divenne sempre più forte, finché le luci lampeggianti rosse e blu presero a riflettersi sulle vetrine del negozio vuoto dall’altra parte della strada. Due macchine della polizia e un’ambulanza si fermarono vicino alla fine dell’isolato. Lottai con me stessa all’idea di spegnere le luci e far finta di aver chiuso il negozio.

    Dopotutto, il signor Chan sarebbe stato un testimone perfetto per raccontare ciò che era successo. I poliziotti non avevano bisogno di me. Non avevo voglia di parlare, non di quello che era successo e sicuramente non di lui... dell’uomo che mi spiava da mesi. Se n’era andato, facendo stridere le gomme, mentre girava intorno all’isolato e scompariva nella notte. Qualcosa mi diceva che non sarebbe tornato a occupare il suo posto abituale dall’altra parte della strada.

    Non sapevo chi fosse, non sapevo nulla di lui, ma, per qualche ragione, ogni volta che notavo la sua macchina appostata sotto il lampione rotto, mi sentivo al sicuro. Era una cosa ridicola, soprattutto considerato il fatto che quel tizio era un perfetto sconosciuto. Avrebbe potuto essere lì in attesa per farmi del male. Non sarebbe stata la prima volta. Ma non era quello il suo scopo, potevo sentirlo. Invece, non faceva altro che osservare.

    Non avevo mai visto il suo volto, non finché non aveva attraversato la strada a passo deciso e con una furia omicida negli occhi. Aveva dato il colpo di grazia al tizio che aveva guidato l’altra auto, con un tiro preciso. In quel momento, l’immagine dell’assassino mi era rimasta impressa nel cervello. Capelli scuri, pelle chiara, mandibola squadrata coperta dalla barba incolta e occhi chiari. Non sapevo dire se fossero verdi o azzurri, ma ero certa che fossero intensi. Si era mosso con un’impronta aggressiva; ogni parte di lui trasudava una vendetta calcolata. Perfino la sua camminata da predatore gridava pericolo!. Eppure, era stranamente bello, per essere un uomo che uccideva senza rimorsi.

    Rabbrividii e sfrecciai verso la porta. Con un movimento del polso, il negozio piombò nell’oscurità. Speravo solo che i poliziotti non avessero notato le luci accese quando erano arrivati. Le ombre che mi circondavano mi erano un po’ di conforto, così sprofondai in esse, allontanandomi dalla vetrina e mimetizzandomi nel buio.

    Il compressore nella cassa dei gigli alla mia destra si accese, con un ronzio sommesso, familiare e confortante. Da quell’angolazione, potevo ancora vedere la Mercedes, ma non l’uomo morto sulla strada. Due agenti di polizia si avvicinarono al veicolo con le pistole in mano. Si resero presto conto che il cadavere all’interno non era una minaccia e riposero le armi. Uno dei due controllò l’interno della vettura e l’altro ispezionò la strada in lungo e in largo, mentre la neve cominciava a cadere più forte, in grossi fiocchi ghiacciati.

    Arrivarono altri agenti e cominciarono a spargersi nella zona, bussando alle porte, mentre delimitavano il circondario con il nastro della polizia. Due poliziotti passarono davanti alla mia vetrina e si fermarono. Mi appiattii il più possibile contro la parete, mentre una serie di colpi alla porta risuonarono nel negozio.

    «Signorina Fairbanks. Venga fuori, signora» esortò la voce di un giovane uomo, con una nota di insicurezza. «I suoi vicini dicono che si trovava in strada dopo l’accaduto. Vorremmo sapere cosa ha visto.»

    Ho visto un assassino in completo scuro con occhi inquietanti e sete di uccidere. Non ero una sostenitrice del parlare con i poliziotti; erano una fonte di guai, di certo l’ultima cosa di cui avevo bisogno.

    Altri colpi alla porta, questi ancora più forti dei precedenti.

    «Avanti, apra!» Una voce più burbera si fece strada a forza fino alle mie orecchie. Immaginai che fosse il poliziotto cattivo, mentre il ragazzo giovane aveva giocato il ruolo di quello buono.

    Mi allontanai furtivamente e attraversai la porta che conduceva sul retro del negozio. I due agenti parlarono tra di loro a bassa voce.

    «Senta, adesso andremo a far due chiacchiere con i suoi vicini, poi torneremo qui e lei ci farà entrare. Non vorrà certo che pensiamo che abbia inquinato la scena del crimine o che stia cercando di ostacolare le indagini, giusto?» A quanto pareva, il poliziotto cattivo aveva avuto la meglio nella discussione sussurrata. «Abbiamo diversi motivi per portarla alla centrale.» Fece una pausa e si schiarì la gola: «Sia pronta a parlare quando ritorneremo.»

    Quando il silenzio si prolungò per diversi secondi, lasciai andare il respiro che avevo trattenuto, con un sospiro rumoroso. Dovevo trovare la mia borsa e sgattaiolare fuori dalla porta secondaria. Non avrei parlato con la polizia. Ombre del mio passato tentarono di violare la mia mente, invadendo la materia grigia con le loro dita scheletriche. Scacciai quei pensieri. Non ero più una vittima, non questa volta; se la polizia voleva costringermi a parlare, avrei chiamato il mio avvocato.

    Raccolsi la mia borsa dal bancone, vicino al grande lavandino, ma non ebbi la possibilità di andare oltre. Una mano si schiantò sulla mia bocca e una voce mi sussurrò un ammonimento all’orecchio: «Di’ una fottutissima parola e sei morta, puttana.»

    Un forte dolore a lato della testa mi fece dapprima vedere le stelle e poi scomparve, non lasciando altro che oscurità.

    Capitolo 3

    Charlie

    Una fitta acuta mi attraversò la guancia sinistra e mi svegliò. Pian piano misi a fuoco la stanza, poi l’uomo imponente che mi stava davanti. La pelata che aveva sulla testa luccicava, alla luce di una nuda lampadina, appesa a qualche metro sopra di lui. Non riuscivo a sentire le mani; erano legate dietro la schiena, mentre le gambe erano bloccate alla sedia di legno su cui ero seduta.

    «Berty, si è svegliata!» L’uomo mi rivolse un sorriso; l’assenza degli incisivi creava un buco nero, dietro al labbro superiore.

    Un dolore lancinante mi perforò la testa e si irradiò lungo tutta la schiena. Gemetti, mentre un rumore di passi riecheggiava dalla parte opposta della stanza. La lampadina lasciava intravedere il fondo di una scala di legno, ma niente di più. Non sapevo dove fossi, ma c’era freddo, quel tipo di freddo che penetrava nelle ossa e che mi faceva battere i denti. L’odore di muffa contaminava ogni mio respiro.

    «Hai freddo?» Un paio di scarpe nere lucide si materializzò davanti ai miei occhi. Un passo, poi un altro. Pantaloni grigio scuri si fecero distinti, man mano che l’uomo si avvicinava al fascio di luce.

    L’uomo pelato si spostò da una parte per fare spazio a Berty. Doveva avere sui trentacinque anni, capelli neri, occhi scuri e una cicatrice che gli solcava la mascella. L’abbigliamento era curato e la giacca calzava a pennello sulla sua corporatura esile.

    «Charlie, giusto?» Fece girare un anello d’oro intorno all’indice della mano sinistra, mentre puntava gli occhi color dell’onice su di me.

    I miei denti presero a battere ancor più violentemente. «La-lasciami andare.»

    Lui scoppiò a ridere e allargò le braccia, in un gesto ampio. «Non gradisci l’ospitalità?»

    Al suono di quella voce, mi schiacciai contro lo schienale. C’era qualcosa, in essa, in grado di evocare un’oscurità che avevo già visto in passato e che mi faceva accapponare la pelle.

    «Voglio solo andarmene.»

    Mi zittì con un "shh" e strinse gli occhi in due fessure. «Non così in fretta, Charlie. Ho alcune domande per te.»

    La mia mente cominciò a lavorare freneticamente. Domande? Cosa voleva?

    «Se non risponderai in un modo che mi soddisfi, il mio amico qui, Gary, sfogherà un po’ della sua aggressività su di te.» I suoi occhi scivolarono sul mio corpo, poi tornarono a fissarsi sul mio viso. «Ma forse potrei aver bisogno di sfogarmi un po’ anch’io prima.»

    Il mio cuore si ripiegò su se stesso e la sua superficie sfregiata sembrò appassire di colpo, proprio quando aveva appena ricominciato a mostrare segni di vita.

    «Oh, dai!» L’uomo sorrise e la cicatrice sulla sua mascella si tese. «Non sono poi così male.»

    Scossi la testa, le lacrime mi traboccavano dagli occhi e scendevano sulle mie guance. «P-per favore...»

    «Cominciamo.» Si sfilò la giacca e la porse a Gary, poi si tirò su le maniche. «Come hai conosciuto Conrad Mercer?»

    «Chi?» Alzai lo sguardo su di lui.

    Il suo sorriso vacillò mentre la sua mano fendeva l’aria: l’anello che aveva al dito entrò in collisione con il mio zigomo, facendomi girare la testa di lato, mentre un sibilo di dolore fuoriusciva dai miei polmoni con un rantolo.

    «Proviamo ancora, Charlie.» Si sedette sui talloni davanti a me, le mani sulle mie ginocchia. «Come hai conosciuto Conrad Mercer?» Fece scivolare le mani lungo le mie gambe. Cercai di chiuderle, ma erano legate.

    Il cuore mi martellava furiosamente nel petto e tutto dentro di me si fece freddo, mentre lui raggiungeva la parte superiore delle mie cosce.

    «Non so chi sia» risposi. «Per favore, smetti...» aggiunsi, ma la supplica mi morì in gola.

    Fece scorrere le mani fino al mio punto vita e mi sbottonò i jeans. Tutto il mio corpo prese a tremare.

    «Charlie, non ci crederò mai. Lui ha l’abitudine di appostarsi fuori dal tuo negozio e osservarti. Sai di chi sto parlando, non è così?» Mi abbassò la cerniera. «Belle mutandine.»

    La consapevolezza si fece strada nella mia mente. «La macchina? La macchina nera parcheggiata dall’altra parte della strada?»

    «Proprio quella.» Le sue dita fredde scivolarono dentro l’elastico della mia biancheria.

    «Non farlo!» Provai a ritrarmi dal suo tocco, ma non potevo andare da nessuna parte.

    «Sei la sua ragazza, vero?» Si alzò in piedi e mi afferrò i capelli, tirandomi la testa all’indietro, mentre incombeva su di me.

    «Cosa? No!» Cercai di mettere quanta più verità possibile nelle mie parole. «Non lo conosco. Non l’avevo neanche mai visto prima di stasera, quando ha sparato

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1