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La Sfida
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E-book402 pagine5 ore

La Sfida

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Info su questo ebook

Lui è il suo paziente, lei il suo dottore. Non dovrebbero ma… Dio quanto lo desiderano.
Camden Harris, il gigante e notoriamente sexy giocatore di calcio, è bloccato a letto in un ospedale di Londra, ma il suo ginocchio rotto non gli impedisce di mettere in atto il gioco in cui è esperto con Indie Porter, un peperino dai capelli rossi, nonché suo medico.
Non è neanche lontanamente il suo tipo, ma potrebbe essere la distrazione perfetta dal devastante danno che questo incidente potrebbe procurargli.
Indie è stanca che la sua ingenuità sia come un bersaglio sulla sua schiena. Come bambina prodigio ha da sempre messo la sua istruzione al primo posto, ma un'avventura con un giocatore di calcio come Camden potrebbe essere proprio ciò di cui ha bisogno per afferrare la vita e godersela. E lui potrebbe anche essere l'uomo perfetto per il progetto su cui sta lavorando da due anni.
Ma quando a fare la mossa finale saranno i sentimenti, non ci sarà medicina che possa guarire i loro cuori.
 
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2020
ISBN9788855310987
La Sfida

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    Anteprima del libro

    La Sfida - Amy Daws

    Capitolo 1

    Il rituale

    Camden


    «Dai, Camden» si lamenta Tanner, entrando in cucina e vedendomi seduto al tavolo. Si smonta subito quando vede che sono immerso in un libro. «Abbiamo solo un’ora prima di dover andare e bisogna che porti a termine il tuo rituale prima di fare troppo tardi. Papà è sempre sull’orlo di una crisi di nervi quando siamo in ritardo per il riscaldamento.»

    L’ultimo romanzo di James Patterson, della serie di Alex Cross, si chiude con un tonfo mentre guardo il viso del mio fratello gemello. La tetra luce del giorno di Londra illumina lievemente l’emozione che si sta affacciando sotto quel viso trasandato pieno di peli. Scuoto la testa. «Non pensare nemmeno di giudicare il mio rituale. Tu sei quello che assomiglia a un Hagrid in versione bionda.»

    Lui sorride e si accarezza la barba. «Oh, questa è la cosa più bella che tu mi abbia mai detto, Cam. Lo pensi davvero? Forse, se optassi per una barba lunga e piena come quella di Silente, la nostra squadra sarebbe promossa in serie A.»

    Alzo gli occhi azzurri al cielo in risposta all’impazienza riflessa nei suoi, identici ai miei. Io e Tanner non siamo gemelli omozigoti, ma in passato, quando lui aveva tagliato i capelli biondi più corti rispetto a quel disastro indisciplinato che ha adesso in testa, ci ingannavamo a vicenda. Una volta, mi capitò di guardare una partita registrata per quaranta minuti prima di rendermi conto che non ero io a calciare il pallone lungo il campo, ma Tanner. Anche se ora lui ha molti più tatuaggi di me.

    Gli altri nostri due fratelli, Gareth e Booker, non ci assomigliano per niente. Gareth è il più vecchio e Booker è il più giovane. Hanno preso da nostro padre i capelli più scuri, ma dal momento che siamo tutti cresciuti giocando a calcio, i nostri fisici sono abbastanza simili. Anni di lavoro sul campo presidiati da nostro padre, uniti a un intenso regime di sollevamento pesi, ci hanno reso i calciatori di stazza più elevata in gran parte degli stadi.

    Conoscere il nome degli Harris per quanto riguarda il calcio europeo è come conoscere i Manning del football americano. Il calcio è più della nostra ossessione nazionale, è lo stile di vita degli Harris. Tant’è che da quando è iniziata la nostra serie di vittorie, quattro mesi fa, Tanner non si taglia i capelli. Il segaiolo indossa persino una pretenziosa fascetta per allontanare i capelli dal viso durante le partite.

    Avere un gemello, in generale, è una gran rottura di palle. Averlo poi nella stessa squadra è come un brutto caso di emorroidi. Il fatto di giocare nello stesso ruolo è come un vibratore anale dentellato e infilato dall’angolazione sbagliata.

    Tuttavia, la sua recente affezione per i capelli incolti mi ha reso la vita dieci volte più facile quando si tratta di competere per le donne: incredibilmente, le ragazze tendono a non cadere ai piedi di giocatori conciati da straccioni. Il mio aspetto ben curato, d’altro canto, le fa tremare di desiderio. Fidatevi di me, non mi lamento.

    «Non hai intenzione di tagliarti i capelli?» I miei occhi si fissano su due ciuffi scarmigliati che pendono più in basso degli altri. «Rasarli, magari? Lavarli? Riesco a sentire l’odore da qui. Puzzano peggio degli stivali di Booker.»

    Gli occhi di Tanner si spalancano. «Io i capelli li lavo. La scorsa settimana ho anche preso un olio particolare a Shoreditch. Ma non li raserò. È un rituale, Camden» aggiunge in tono tagliente. «Vogliamo parlare nel dettaglio di quello che fai tu con il tuo?»

    Sollevo le sopracciglia, ma lui non si ferma abbastanza a lungo da permettermi di schioccargli una risposta come si deve. «Muoviti. Booker passerà presto a prenderci.» Con due passi, mi prende per le spalle e mi tira giù dalla sedia. Fa di tutto per spingermi lungo il corridoio verso il bagno.

    «Sto andando, va bene? Non c’è bisogno di allungare le mani.» Arriccio il naso quando guardo oltre la spalla e mi allontano dal suo viso. «E tieni quella cosa lontano da me.»

    La sua presa su di me si rafforza mentre tenta di strofinarmi la barba in faccia, ma riesco a entrare nel bagno giusto in tempo e a chiuderlo fuori. Ride in segno di trionfo, molto probabilmente perché ha raggiunto il suo obiettivo. Dio, mio fratello mi dà proprio sui nervi. Vivere con lui è una fatica enorme, ma ricordo a me stesso per la millesima volta questa settimana che è per una buona ragione.

    Circa sei mesi fa, il nostro compagno di squadra, Will, si era ritrovato in un mare di guai. A quanto pare, stava perdendo silenziosamente la propria battaglia contro la dipendenza dal gioco. Non avevamo idea che avesse un problema. Venne da noi e ci disse di essere in ritardo di sei mesi con l’affitto. Il suo padrone di casa non solo stava minacciando di sporgere denuncia, ma aveva anche chiamato il nostro dirigente per farlo buttare fuori dalla squadra. Dato che il dirigente della squadra per la quale giochiamo è nostro padre, sapevamo che quello era un esito molto probabile.

    Tanner e io non dovemmo scambiare nemmeno una parola prima di accordarci per pagargli l’affitto arretrato. Poi, quando Will volle trasferirsi a casa dei suoi per avere un maggiore aiuto, ci offrimmo di subentrare nel suo contratto di locazione.

    Malgrado tutto, per noi è stata comunque un’ottima scelta. Io e Tanner abbiamo compiuto venticinque anni due mesi fa, e vivere a casa con nostro padre stava diventando sempre più difficile da motivare. A nostra difesa, la casa di papà è più simile a un hotel di lusso che a una dimora privata: una villa di mattoni a Chigwell, appena fuori la zona est di Londra. A parte i tempi in cui nostra sorella, Vi, arrivava per preparare la cena a tutti, era il quartier generale del calcio per tutti noi. Lì abbiamo anche tenuto le riunioni della squadra.

    Adesso, però, vivere stipato in un piccolo appartamento di due camere a Bethnal Green con un Gesù biondo, non è più così emozionante come all’inizio, anche se viviamo vicino al campo da calcio e sopra un negozio di tatuaggi e un pub.

    In men che non si dica, sono sotto la doccia a lasciare che acqua calda e vapore mi colpiscano i muscoli della schiena. Proprio come faccio prima di ogni partita, serro gli occhi e inizio la mia tecnica di visualizzazione orientata alla concentrazione, diventata ormai un rituale, al punto che senza mi sembra di sentirmi perso.

    Immagino la folla che intona il mio nome all’interno di un affollato Tower Park Stadium.

    «Harris… Harris… Harris…»

    Il Tower Park nel giorno della partita è diverso da qualsiasi altro campo da gioco di tutto il mondo. Se non fossi già duro, lo diventerei adesso.

    Immagino la morbidezza dell’erba sotto i piedi. La soffice cedevolezza di quel campo così perfetto, il dolce affondare dei miei tacchetti, il fresco profumo dell’erba appena tagliata e la zaffata nostalgica di hot dog e birra stantia che permane sugli spalti. Cristo, è fantastico.

    Tornato alla realtà, la mia mano si allunga verso il basso; accarezzo lentamente la mia asta turgida e assaporo la sensazione del sapone sulla pelle scivolosa. Premo la testa contro il lato del muro piastrellato e trasformo il suono dell’acqua calda nel ruggito della folla che mi incoraggia lungo il campo.

    Sento immediatamente l’aumento della tensione.

    Stringo più forte e accelero i colpi. Visualizzo me stesso zigzagare sul campo, superando due centrocampisti che si scontrano l’un l’altro con grande disappunto. Poi dribblo un difensore che cade in ginocchio, sconfitto. Quando mi avvicino al portiere, lui decide di uscire dalla sua area. Faccio un largo sorriso.

    «Non si esce mai dall’area con Camden Harris nel tuo campo visivo.» La mia voce roca riecheggia nel bagno con un livello di eccitazione che ho sempre prima di un grande risultato.

    Tiro indietro il piede con lo scarpino e lancio.

    Poi…

    Poi…

    C’è un silenzio di tomba mentre la palla vola in aria. Tutto lo stadio attende con il fiato sospeso nella speranza di sentire quello schiaffo del tutto orgasmico del cuoio che colpisce il nylon.

    Cazzo.

    goal!

    La folla esplode festosa…

    …insieme al mio uccello.

    Emetto un gemito quando il fiotto caldo schizza contro la parete della doccia, provocandomi un’intensa liberazione: la perfezione dell’orgasmo calcistico. I miei addominali si contraggono mentre rabbrividisco per le scosse successive e muovo su e giù un altro paio di volte, sussultando al tocco della punta sensibile, fino a ogni terminazione nervosa. «Goal, cazzo, Camden. Ottimo lavoro.»

    Quando apro gli occhi, la mia vista si riadatta alla luce mentre fisso il mio dipinto di sperma sulla parete, proprio un Picazzo. Non male come ispirazione per il giorno della partita. Sorridendo, butto un po’ d’acqua sul disastro, in modo da far scivolare il mio sperma artistico giù per lo scarico e unirlo a tutti gli altri pre-partita che ho mollato sulla stessa parete della doccia.

    Rituale terminato.

    Quindi sì, immagino significhi che Camden Harris si masturba con immagini del calcio. E sì, a volte si riferisce a se stesso in terza persona. Ci sono modi più inquietanti per passare un sabato mattina.

    A dire il vero, se ci pensi, il calcio e il sesso sono collegati: tanto sudore, numerosi respiri pesanti, tantissimi fluidi. Accomunati dallo scopo di scivolare all’interno di un obiettivo, trovando spazio tra due accoglienti fessure. Non è facile. A volte è un po’ stretto. Ma diamine, ti fa sentire bene quando quel varco per fortuna si apre, permettendo alle tue palle di raggiungere il punto più profondo possibile. Poi la folla - o la donna che si contorce sotto di te - diventa selvaggia.

    Questa non è un’analogia che condivido con i miei fratelli, i quali sostengono tutti che masturbarsi prima di una partita allenti la tensione e stanchi. Ma questa stagione è stata la migliore della mia vita. Non esiste sfidare la sorte e cambiare rotta.

    «Potresti essere più pervertito?» La voce attutita di Tanner urla attraverso la porta del bagno.

    «Ma che cavolo?» Chiudo l’acqua e apro con uno strattone la porta di vetro.

    «Sento i tuoi latrati di passione fino in fondo al corridoio. Sembri uno scimpanzé catturato in un fulmina-insetti.» Il mio viso si distorce con una smorfia. «Sei uno di quelli che sta fuori dalla porta del bagno» sbotto, mentre strappo l’asciugamano dalla barra di riscaldamento e mi asciugo il petto.

    «Direi che sei tu il pervertito in questo caso. Levati dalle palle!»

    La sua voce si affievolisce quando batte in ritirata con una protesta poco convinta, borbottando qualcosa sul fatto che presto passerò alle docce dorate. Esco e mi avvolgo l’asciugamano intorno alla vita, sussultando quando il tessuto sfiora la mia punta sensibile.

    Tanner riesce a essere proprio un bastardo a volte. Non solo mi irrita all’inverosimile, ma mi fa sudare sul campo solo per stargli dietro.

    A dire il vero, è sempre stato un calciatore migliore di me. I reclutatori dell’Arsenal avevano cominciato a informarsi su di lui quando il loro attaccante si era ritirato l’anno prima, lasciando i Gunners con un uomo in meno davanti. Di tutte le squadre con sede a Londra, quella era l’unica che avrei voluto mi guardasse.

    Poi sono arrivato io, e già a metà stagione avevo segnato nove reti. Una cosa senza precedenti. Ora, nessuno sa chi metteranno sotto contratto.

    Mi avvicino allo specchio appannato e tolgo la condensa. Scrollo via l’umidità dai miei capelli bagnati prima di guardarmi.

    I miei occhi azzurri si scuriscono per la determinazione. «La stagione è quasi finita, Camden. Continua così e lascia che le cose seguano il proprio corso. Tu sei il calcio. Il calcio sei tu. Se vuoi un contratto in prima divisione, questo è il momento di metterti alla prova una volta per tutte. Mostra il tuo valore.»

    Poi mi balena in mente un pensiero fugace e un sorriso furbo mi si allarga sul viso. «Ma quando la stagione del calcio finisce, inizia quella delle donne. E tu sei sempre stato meglio di Tanner in quel gioco.»

    Capitolo 2

    Tequila Sunrise

    Indie


    «Oh, mio Dio, sono a pezzi» affermo quando entro nella stanza del medico di guardia e mi butto su una delle asettiche brandine blu dell’ospedale, che sono terribili. La plastica dura mi fa male contro le vertebre sotto sforzo.

    La mia amica e collega specializzanda, Belle, mi guarda dal suo lettino. I suoi occhi scuri sono in parte chiusi e stanchi, come i miei a quest’ora della giornata. «Il tuo tempismo è perfetto» dice, alzando la voce. «Ho appena guardato l’orario. Hai nove giorni di fila con me. Dobbiamo discutere.»

    Mi volto, appoggiando la testa sulla mano, e annuisco alla prospettiva di raggiungere la fine della settimana lavorativa con la mia amica. «L’ho visto anche io stamattina. Abbiamo già avuto tre giorni di riposo, quindi ti comunico che il nono giorno faremo un po’ di baldoria al Club Taint.»

    «Diamine, sì» concorda con un sorrisetto malizioso. Quando si alza, i lunghi capelli neri le ricadono alla perfezione sulle spalle. Li fisso assorta mentre aggiunge: «Il Club Taint è sempre un momento di pazza gioia. Sono così emozionata che siamo nello stesso turno. L’ultima volta mi sono persa la tua uscita e mi rifiuto di farlo di nuovo. Per me, vedere la piccola Miss Innocenza imperversare nelle discoteche di Londra è divertente come un giorno di festa.» Fa un profondo sospiro. «Mi stai fissando di nuovo i capelli, Indie.»

    I miei occhi scattano su quelli di lei. «Scusa.» Sento una vampata di calore sulle guance, mi tiro su e mi dirigo a lunghi passi verso la parete degli armadietti, consapevole che la mia pelle chiara è davvero penosa per mascherare le emozioni. Non è che mi interessino le ragazze. È solo che mi piacciono quei setosi, lisci, lucidi…

    «La tua ossessione per i miei capelli sta quasi diventando inquietante, cara.» Il suo tono è leggero, ma il suo umorismo è caustico come al solito.

    Apro il mio armadietto e mi guardo allo specchio. «Non hai idea di quanto sei fortunata» sospiro, abbandonandomi in silenzio al mio destino. La mia ingestibile massa di capelli rossi e ricci è acconciata nel suo abituale chignon disordinato in cima alla testa. Alla nona ora consecutiva di lavoro è passato dalle dimensioni di un mandarino a quelle di un melone. Cerco di schiacciarne una parte, ma è inutile.

    Mi spingo gli occhiali leopardati sul naso e mi impongo di fare un cenno convinto di accettazione di fronte al mio aspetto. Questi occhiali sono la prova vivente di quanto sia uscita dal mio guscio rispetto all’infanzia… di quanto sia cambiata.

    Sembra strano che un paio di occhiali ridicoli abbiano così tanto significato, ma la mia educazione è stata a dir poco unica. Sono cresciuta in esclusive scuole femminili. Come se ciò non fosse già abbastanza brutto di per sé, durante il terzo anno un’insegnante mi sorprese a leggere Il giovane Holden e mi fece fare gli esami del quinto anno. Subito dopo, mi fecero avanzare di tre classi. Fui piazzata in un’aula di ragazze che indossavano reggiseni e parlavano di maschi.

    Era come essere di fronte a una grande e succosa bistecca senza avere i denti per morderla. Non importa quanto si provi a masticarla, non si riesce a buttare giù. Non riuscii a fare amicizia con nessuna di loro. Quindi, trascorsi la maggior parte dei miei anni di formazione per conto mio, nascondendomi dietro ai libri. Mi immersi nello studio perché era più facile che fare amicizie. Alla fine, la cosa diede i suoi frutti perché ricevetti una borsa di studio per l’Università e, in seguito, per la scuola di medicina.

    Lì, incontrai l’estremamente audace Belle Ryan. Si avvicinò a me il giorno dell’inizio delle lezioni e sapeva già chi fossi, persino dove vivesse mia nonna a Brighton. Lavorava nel dipartimento delle borse di studio al campus e aveva inserito i miei dati nel sistema. Entrare nella scuola di medicina a diciannove anni non è la norma, così aveva deciso di assicurarsi che non fossi una terrorista. Infine, aveva scherzato sul fatto che essere bambini prodigio ed essere anche carini e svegli fosse orribilmente ingiusto per il resto del mondo.

    Nel mio unico atto di sfrontatezza avevo risposto: «Beh, aspetta ancora un po’. Fuori piove, i miei riccioli dovrebbero raggiungere le vette di Einstein entro la fine della giornata.»

    Sono sempre stata diffidente nei confronti delle ragazze per alcune brutte esperienze avute a scuola, ma c’era qualcosa in Belle di talmente trasparente che era impossibile non amarla; quell’impertinente mi fissò i capelli durante tutta la lezione, e da allora siamo migliori amiche.

    Sorrido al ricordo mentre mi spruzzo sul viso l’acqua Evian, mi metto alla meglio un nuovo strato di deodorante e mi posiziono davanti al lavandino per lavarmi i denti. Belle, quel modo di lavarsi così veloce lo chiama lavaggio da puttane, ma lei va oltre e usa anche le salviette per neonati nelle parti intime… una cosa che mi fa sentire terribilmente in imbarazzo.

    Lancio un’occhiata all’orologio e vedo che mancano solo tre ore prima delle sei di glorioso riposo che mi spettano, anche se ho intenzione di dormire di nuovo su queste orrende e scomode brandine.

    «Allora, raccontami quanto ti sei scatenata l’ultima volta. Da quel momento, Stanley non ha più smesso di spogliarti con gli occhi.» Belle si alza dal suo letto e si liscia il camice blu, fermandosi mentre nota uno sbaffo di sangue su una gamba dei pantaloni. «Accidenti, prima non l’ho visto.»

    «Non posso dire di essermi scatenata completamente questa volta.» Mi mordo nervosamente le labbra, ricordando la serata con Stanley in modo più dettagliato.

    È un collega tirocinante al secondo anno con cui mi sono sbaciucchiata senza ritegno sulla pista da ballo al Club Taint la scorsa settimana. È andata così, vero?

    Poi, come se le porte della memoria si aprissero per un istante, ricordo di essermi sfregata contro di lui. Sussulto dentro di me quando mi viene in mente di averlo persino sfiorato attraverso i jeans prima di piantarlo in asso come una ladra nella notte. Ubriaco, solo e duro come una pietra di quarzo blu.

    «Accidenti, non stavo cercando di provocarlo.» Impallidisco, sentendomi mortificata perché non ho più pensato a quella sera con lui fino a questo momento. «Mi ha solo preso in un momento di debolezza. Folleggiare è una questione di sopravvivenza.»

    «Lo so, lo so. Tequila Sunrise» aggiunge Belle, lanciando il nostro personale mantra.

    Tequila Sunrise è essenzialmente la nostra versione più originale del carpe diem. In realtà, dire carpe diem mi fa accapponare la pelle. È quello che gridano le ragazzine quando decidono di acquistare una bibita piena di calorie invece di una che non ne contiene. Tequila Sunrise è molto di più.

    Durante il nostro primo giorno in pronto soccorso, o Reparto Rattoppi come lo chiamano in ospedale, Belle e io dovemmo entrambe fare i conti con una dose devastante di realtà quando un neonato fu portato di corsa su una barella e dichiarato morto solo pochi istanti dopo per sindrome della morte improvvisa del lattante. Le urla della madre ci sconvolsero così tanto che Belle finì per vomitare in bagno mentre io rimasi lì, paralizzata e scioccata.

    La pediatra di turno, quella notte, ci trascinò nel suo ufficio e tirò fuori un blocco di fogli appiccicoso su cui scarabocchiò alcuni ingredienti.


    Tequila Sunrise:

    1 parte di Granatina

    3 parti di tequila

    6 parti di succo d’arancia

    Non mescolare.

    Ci disse di andare a casa e prepararlo alla fine dei nostri turni, e di ricordare che la luce del sole splende ancora sopra il caos. Belle e io facemmo esattamente così e io finii per ubriacarmi completamente. In quel momento, capimmo che la scuola di medicina ci aveva preparate per dare delle risposte, ma non per affrontare il dolore. Quindi, piuttosto che crogiolarci nella tristezza, adottammo la filosofia Tequila Sunrise come parte delle nostre vite quotidiane.

    Da ventiquattrenne single, in qualche modo ingenua, e decisa a vivere la vita al massimo, credevo che ciò volesse dire sciogliermi i capelli nelle discoteche, bere esageratamente, ballare fino a essere fradicia di sudore, e viaggiare – quando riuscivo a trovare il tempo per farlo. Anche flirtare occasionalmente e pomiciare faceva parte di quello schema di gioco. Non si tratta di essere disinibiti o facili; è questione di vivere l’unica vita che ti viene data e divertirti finché puoi. Poi, quando arriva il tuo turno, torni subito in trincea e fai del tuo meglio per ridurre la tristezza nel mondo e aggiungerci un po’ di sole.

    Ma quello che ho fatto con Stanley non è stata un’ottima decisione da Tequila Sunrise. «Temo che Stanley fosse solo... lì» aggiungo con rammarico. «Avevo appena finito una settimana lavorativa di nove giorni, e non penso che sia una cosa inaudita voler ricordare a me stessa che sono ancora viva e che le mie parti femminili sono tutte perfettamente funzionanti. Devo ringraziare te per il mio lato oscuro, sai» accuso.

    Belle si infila un nuovo paio di pantaloni della divisa da medico sopra il perizoma nero. «Giusto» ammette con orgoglio. «Mi prenderò la colpa perché ci siamo divertite molto alla scuola di medicina e non molte persone possono dire lo stesso. Ma povero, povero Stanley.»

    «Oh, non sentirti così dispiaciuta per lui» dico esitante. «Odio che quando si bacia un uomo lui pensi che si finirà a letto. Voglio dire, sul serio. Che fretta c’è? I preliminari sono sufficientemente eccitanti.»

    La mia amica scuote la testa e ridacchia. «No. No, non lo sono, Indie. Te lo dico per la centesima volta: so che hai studiato in scuole femminili e probabilmente hai dovuto imparare a baciare facendo le prove sul dorso della tua mano, ma stai seriamente perdendo delle occasioni.»

    Alzo gli occhi al cielo e borbotto: «Non ho imparato a baciare sul dorso della mano.» A essere sincera, fino all’Università non avevo dato nemmeno il mio primo bacio e quando accadde, fu terribilmente imbarazzante. Penso che i miei denti abbiano raschiato la lingua a quel tipo, perché non sapevo nemmeno che sarebbe successo. Non dovrebbe esserci una sorta di segnale universale per l’aggiunta della lingua in un bacio? Un colpetto alla spalla? Un paio di schiocchi sulla guancia? Qualcuno che dice: «Ehi, signora! Sto per infilare la mia lingua nella tua bocca, apriti sesamo!» Probabilmente, il tizio doveva aver pensato che fossi mentalmente instabile, perché non mi parlò mai più.

    «Ascolta» dice Belle, avanzando verso di me per appoggiarsi all’armadietto accanto al mio. «Sappiamo che hai studiato e che sei brava, Indie. Sei più sveglia della maggior parte dei tirocinanti del terzo anno e probabilmente di alcuni dei presenti. Dopotutto, sei la mia piccola bambina prodigio.»

    «Oh, taci» scatto, bloccandole la mano per impedirle di pizzicarmi la guancia come una mamma orgogliosa.

    I suoi occhi brillano di determinazione. «Ma devi smettere di preservarti per Mister Perfezione: non arriverà. Molto probabilmente non esiste nemmeno. Dalla a qualcuno come Stanley, così la smetterai di ossessionarti tanto. La Lista dei Peni che abbiamo fatto è uno schema concreto, ma non deve andare a scapito della spontaneità.»

    I miei occhi si spalancano per la palese destituzione della sacra lista su cui avevamo passato ore di ubriachezza al fine di darmi la spinta necessaria a perdere la verginità. Avevo persino creato una bacheca su Pinterest e aggiunto lei come amministratore.

    Prima il giudizio sulla Tequila Sunrise e adesso questo.

    Okay, quindi sono una ragazza vergine di ventiquattro anni leggermente ossessionata da come perderà tale status. Come ho detto prima, però, parte del motivo per cui sono ancora in possesso della mia V–Card è Belle. Non è colpa sua, di per sé, ma dopo averla conosciuta, ero così concentrata a divertirmi con la mia prima vera amica che la mia verginità non era una priorità assoluta. Diamine, non ero mai stata a una festa prima che Belle mi ci trascinasse.

    Poi, al termine dei nostri tre anni alla scuola di medicina, mi resi conto che mi ero concentrata del tutto sul mantenere la mia borsa di studio e guardavo a malapena i ragazzi. Certo, avevo interagito molto con loro: in quel periodo avevo imparato ad accettare e dare un buon bacio alla francese, oltre ad alcune cose relative ai preliminari di base, ma nessuno di quei ragazzi mi era parso abbastanza giusto per andare fino in fondo. Non ero pronta. La scuola di medicina mi aveva inondato di prime volte e l’idea di entrare in intimità era opprimente.

    L’idea di stilare la Lista dei Peni era stata di Belle: pensava che avere uno schema di gioco e un tipo preciso da cercare, mi avrebbe aiutato a considerare il sesso come un’equazione e non come una conquista. Era iniziata come un mezzo scherzo, ma riuscivo a vedere la strategia che c’era dietro anche da sobria.

    Quindi, ecco la lista!


    La Lista dei Peni

    Pene #1: il ladro di verginità.

    Dovrebbe essere un ragazzaccio; un playboy; uno un po’ trasandato. Sexy… il tipo più figo che abbia mai visto nella vita reale. Spavaldo, sicuro di sé e persino arrogante. Dovrebbe darmi il miglior sesso della mia vita e dovrebbe anche essere ben dotato dal punto di vista della lunghezza.

    Pene #2: il tenerone.

    Dovrebbe essere gentile, sensibile, amorevole e dolce: la personificazione del bravo ragazzo. Dovrebbe vestirsi bene, infilarsi la maglietta nei pantaloni. Potrebbe piangere quando viene. Dovrebbe mettere le mie esigenze davanti alle sue. Ma soprattutto: un donatore di pene.

    Pene #3: la combinazione massima.

    La perfetta combinazione di numero uno e numero due. Dovrebbe sia dare che ricevere. Essere sia un DOM che un SUB; sia un amante che un combattente. Un meraviglioso equilibro di lunghezza. Adatto a fare il marito.


    «Senti, Belle, c’eri anche tu quando abbiamo scritto la Lista dei Peni.» Unisco le mani a coppa e sussurro l’ultima parte, i miei occhi che scrutano la stanza per verificare di essere ancora sole. «Non mi sto preservando per Mister Perfezione: lo sto facendo per il Pene Numero Uno

    «Abbiamo scritto quella lista due anni fa, Indie. Quando hai intenzione di trovare il Pene Numero Uno?» chiede, con il tono che si avvicina a essere stridulo. «Non dev’essere il Santo Graal degli uccelli per l’amor di Dio. Io ti adoro, ma in questo momento hai urgente bisogno di una spinta, quindi non farmi fare la mamma chioccia che ti caccia fuori dal nido. Perché lo farò: ti butterò fuori e ti farò volare.»

    Faccio un respiro profondo e appoggio la testa contro il mio armadietto, rivolgendo lo sguardo al soffitto e pregando il cielo per un intervento divino che mi faccia arrivare al punto.

    «È troppo chiedere all’universo di farmi cadere in grembo un ragazzaccio sportivo? Non voglio accontentarmi di uno Stanley, lui è il numero due e io non voglio perderla con il numero due. Voglio che la mia prima scopata sia la più epica di sempre, una notte che non dimenticherò mai, che mi farà diventare rauca a furia di urlare che amo la vita per avermi fatto provare quell’esperienza. Il tipo di scopata che sarò in grado di raccontare un giorno ai miei nipotini.»

    «Sai che stai parlando ad alta voce, vero?» Il naso di Belle si arriccia mentre chiede: «Perché hai intenzione di raccontare ai tuoi nipoti come hai perso la verginità?»

    Alzo gli occhi al cielo. «È solo un modo di dire. Tuttavia, mi figuro di essere una nonna davvero forte e alla moda che condivide con la propria piccola fazione di ragazzini sfacciati tutte le follie fatte nei propri anni d’oro.»

    Ridacchiando, Belle risponde: «Okay, ci sono un paio di cose che non vanno in quello che hai appena detto. Fazione? Non siamo post-apocalittici, quindi smetti di essere così melodrammatica.»

    Mi aggiusto gli occhiali e le lancio un’occhiataccia, ma la cosa non la frena. «Inoltre, nessuno usa il termine mi figuro nella lingua parlata. Ecco che si rivela la tua prodigiosità.»

    «Ah, ah» borbotto.

    «Okay, torniamo all’argomento principale.» Belle si dirige verso il suo letto e infila i piedi nelle scarpe da ginnastica, con gli occhi socchiusi per la concentrazione. «Penso che possiamo

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