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Dominare
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E-book355 pagine5 ore

Dominare

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Info su questo ebook

L’attesa conclusione della dilogia sul maggiore dei fratelli Harris.

Dominare il proprio cuore è la vera libertà.
Dopo la vile aggressione ai danni di Gareth e Sloan, non ci sono solo le ferite fisiche da dover sanare.
Guarire e lasciare andare il loro oscuro passato è l’unico modo, per Gareth e Sloan, di costruire davvero un futuro insieme.
Chi dei due si arrenderà? Chi dominerà?


Dominare è il secondo e conclusivo volume della dilogia con cui termina la serie sui fratelli Harris. La dilogia è autoconclusiva, ma si consiglia anche la lettura dei primi tre libri sugli altri fratelli: La Sfida, Resistenza e Il Portiere.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2022
ISBN9788855314374
Dominare

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    Anteprima del libro

    Dominare - Amy Daws

    Capitolo 1

    Una Telefonata Non è Mai Semplice

    Vaughn Harris


    Una semplice telefonata può cambiarti del tutto la vita.

    Ricordo di aver chiamato l’ambulanza quando mia moglie, Vilma, è morta.

    Ricordo di aver chiamato un impresario delle pompe funebri per organizzare il funerale.

    Ricordo di aver chiamato il Manchester United per dire loro che non sarei tornato. Mai.

    Ricordo tutte quelle telefonate, e ognuna di esse ha demolito a poco a poco la vita che una volta amavo.

    Non volevo stare al telefono. Non volevo chiamare nessuno. Volevo morire in quel letto con la mia migliore amica, che mi stava lasciando a crescere da solo i nostri cinque figli. Quattro ragazzi selvaggi e una ragazzina emotiva. Tutto da solo.

    Prima di dover fare quelle telefonate, vedevo i nostri figli come un sogno divenuto realtà. Per me, la nostra famiglia rappresentava l’unica cosa al mondo in grado di rendere la vita degna di essere vissuta. Guardare Vilma metterli al mondo aveva reso tutto ciò che ci circondava uno zampillo di colore brillante, intenso e bellissimo.

    Ero sicuro che il resto del mondo non avesse mai amato nessuno come io amavo mia moglie. La mia famiglia. Pianificavo di trascorrere la vita con lei, guardare i nostri figli crescere.

    Pianificavo di stringerla a me, a letto, finché non saremmo diventati vecchi e canuti.

    Ecco che cosa hanno di buffo i piani. Fanno di testa loro.

    La vita può dirti Fanculo i tuoi piani. Ecco come andrà.

    La vita me l’aveva portata via.

    La mia migliore amica.

    E per quel motivo, non volevo fare altre telefonate. Non volevo avere altri legami. Desideravo rinchiudermi e rimpiangere il giorno in cui mi ero innamorato. Rimpiangere il giorno in cui avevo dato a qualcuno il controllo sul mio cuore.

    Una sola telefonata può alterare tutto ciò che pensavi di sapere su te stesso.

    Uno squillo del cellulare sulla mia scrivania mi spinge ad abbassare lo sguardo e vedo il viso di Vi, mia figlia, che illumina lo schermo. Chiunque voglia superare la fobia di rispondere alle telefonate dovrebbe diventare manager di una società di calcio o genitore di cinque figli, tutti fuori di casa. Si impara subito come andare avanti nella vita.

    Ora è buio nel mio ufficio al Tower Park. Sono arrivato qui qualche ora fa per sorvegliare alcuni operai che aggiustavano il tabellone, cosa che ha richiesto molto più tempo del dovuto. Nell’attesa ho iniziato a guardare le ecografie alla caviglia del nostro attaccante, Roan DeWalt. Secondo mia nuora, Indie, si riprenderà del tutto dalla lesione della settimana scorsa, ma non ne sono sicuro. Presto il calciomercato si aprirà e credo che forse, per lui, sia arrivato il momento di trovare un’altra squadra.

    Guardo l’ora sul computer e noto che sono appena passate le undici di sera. Vi non può già essere tornata da Manchester. Sblocco lo schermo e mi schiarisco la gola prima di rispondere. «Pronto, tesoro. Sei tornata a Londra? Com’è andata la premiazione di Gareth? Ha fatto un discorso?»

    «Papà.»

    Basta quella parola per farmi scattare in piedi. È incredibile come si riesca subito a decifrare il tono di voce dei propri figli, dopo essere stato padre per così tanti anni. Nonostante tutti gli anni di smarrimento, dopo la morte di Vilma, riconosco ancora il tono preoccupato di Vi, senza nemmeno bisogno di fare domande.

    «Che cosa è successo?» sbotto.

    «Si tratta di Gareth… e forse di Sloan. Non ne sono certa. Eravamo a un’ora di strada da Manchester quando ho ricevuto la telefonata di un poliziotto. Gareth è ferito, papà. È… grave.»

    «Come si è ferito?» sbraito. Non aveva nemmeno una partita in programma. È venerdì sera. Stava ricevendo un premio e non era in campo. Come può essersi infortunato?

    «C’è stata un’aggressione in casa sua.»

    «Che cosa?» ringhio, afferrandomi i capelli grigi e stringendo le ciocche corte fino a tirarle. «Che genere di aggressione? Chi diavolo è Sloan? Non conosco nessuno dei suoi compagni con questo nome.»

    «Sloan sta… con Gareth.»

    «Vi, quello che dici non ha alcun senso!» esclamo e premo il palmo sul petto quando una fitta di dolore mi esplode dentro. Gareth non ha una ragazza. Lo saprei. Non ha nessuno con cui confidarsi, a parte i fratelli e la sorella, e Dio solo sa quanto davvero si confidi con loro. Gareth è come una porta chiusa a chiave.

    «Papà, calmati» piagnucola Vi al telefono, scuotendomi dai miei pensieri. «Sloan è la stilista di Gareth. Quella che ha vestito i ragazzi per il matrimonio di Tanner.»

    «Oh, la sua personal shopper» confermo, mentre lentamente tutto inizia ad avere un senso. «Perché diavolo era lì a quest’ora della notte?»

    «È una cosa nuova. L’abbiamo conosciuta ufficialmente soltanto questa sera.»

    «Ufficialmente? Di che diavolo stai parlando, Vi? Dimmi soltanto cosa è successo.»

    «Non conosco i dettagli!» esclama con voce sempre più stridula. «L’agente ha soltanto detto di andare subito in ospedale, ma siamo bloccati in un traffico assurdo. C’è stato un incidente più avanti e siamo fermi. È un incubo. Sono sul punto di uscire e correre. Il poliziotto non ha nemmeno voluto informarmi sulla gravità delle condizioni di Gareth. Ha detto soltanto che si è trattato di un’effrazione con diverse ferite sulla scena del crimine.»

    «Cazzo» ringhio mentre un nodo mi si forma in gola.

    «Papà, ho paura» frigna Vi con voce spezzata. «Non ha voluto dirmi se Gareth sta bene, e non è certo un buon segno. E se…»

    «Vi» sbraito interrompendo il suo flusso di pensieri. «Passami uno dei tuoi fratelli.»

    «Papà» balbetta lei. «Si tratta di Gareth… lui è indistruttibile, giusto?»

    «Passami uno dei tuoi fratelli, tesoro» insisto digrignando i denti.

    Per un attimo, sento un suono ovattato, poi la voce di Camden: «Papà?»

    «Camden, qualcuno deve aiutare tua sorella. Sta crollando.»

    «Booker è con lei. La sta abbracciando.»

    Tiro su con il naso e strizzo gli occhi con forza. «D’accordo. In quale ospedale?»

    «Papà.» Il tono di Camden sembra cauto, più di quanto non fosse qualche secondo fa. «Il Royal Trafford Hospital.»

    Il cuore mi sprofonda nel petto. Non quell’ospedale.

    Ovunque, ma non lì.

    «Va tutto bene, papà. Stiamo andando lì. Ti chiameremo per aggiornarti» aggiunge Camden.

    Conosce i miei problemi con gli ospedali. Un anno fa, Camden ha subìto un infortunio al ginocchio e io ho dovuto far ricorso a tutte le mie forze per valicare le porte del London Royal Hospital, dove era stato operato. Tuttavia, ci sono riuscito perché quell’ospedale non evoca in me alcun ricordo.

    Il Royal Trafford Hospital, invece, racchiude i ricordi peggiori della mia vita. In sottofondo sento mia figlia che piange e singhiozza. Immagino Booker che la stringe contro il petto e quella scena riporta a galla ricordi orribili.

    «Sto arrivando» dico a denti stretti, cercando già le chiavi nella tasca.

    «Che cosa?»

    «Sto arrivando» ripeto con più fermezza questa volta.

    «Sicuro che ce la farai?» domanda Camden, e la sua voce è tesa e incredula.

    Annuisco fiducioso, anche se non mi sento per niente sicuro. «Ce la farò. Ti chiamerò una volta atterrato.»

    Chiudo la telefonata senza aggiungere una parola e mi precipito fuori dalla porta mentre compongo il numero di Lilly, la mia segretaria. Ho già un jet in attesa, per una giovane promessa del calcio che avrei dovuto incontrare domattina presto. Non ci sarà nessun incontro, ormai.

    Solo quando mi trovo in autostrada verso l’aeroporto mi rendo conto che le mie mani sono intorpidite da quanto forte stringo il volante. Allento la presa, e il modo in cui tremano mi terrorizza.

    Non torno a Manchester da venticinque anni. Quattro anni fa, Gareth ha subìto un infortunio e io non sono riuscito comunque a mettere piede nella città che mi tormenta con il ricordo di Vilma… l’amore della mia vita.

    E il Royal Trafford Hospital è proprio il luogo in cui è iniziato il mio incubo.

    Capitolo 2

    Arrendersi e Dominare

    Gareth

    8 anni


    «Gareth, voglio raccontarti di quando mi sono innamorata di tuo padre.»

    Mamma smette di scrivere sul suo diario, appoggia la testa all’indietro sulla sedia e i suoi occhi puntano il soffitto.

    «Non voglio sentire una storia carina su papà, adesso. Sono arrabbiato con lui.»

    «Non sei arrabbiato, Gareth.» Abbassa il mento per guardare me seduto su uno sgabello accanto a lei.

    «Sono arrabbiatissimo. Lui è cattivo. È tutta la settimana che sbraita contro tutti.»

    «Abbiamo avuto un paio di giorni difficili.»

    «Lo so. Continua a trascinarti dai dottori. Gliel’ho detto che non ci vuoi andare, ma continua a costringerti. Perché devi per forza, mamma?»

    Lei mi rivolge un sorriso triste e fa un respiro profondo. «Papà sta cercando di farmi stare meglio.»

    «Ma stai sempre peggio quando torni dall’ospedale. Non ti stanno aiutando. Ti stanno facendo del male.»

    «Lo so, piccolo mio adorato. Ma è ciò che tuo padre deve fare per essere sicuro di aver provato a fare di tutto per aiutarmi.»

    «Questo non vuol dire che deve fare il cattivo.»

    Il mento di mamma tremola e l’espressione triste sul suo volto mi fa ribaltare lo stomaco. Non voglio che mia mamma stia peggio. Voglio che stia meglio. È questo il mio compito: farla stare bene. «Raccontami di quando ti sei innamorata di papà.»

    Lei sorride. Lo vedo che sta già meglio, e questo fa stare meglio anche me.

    «Dunque, ci eravamo incontrati solo la sera prima, in un pub di Londra, e lui già dichiarava di essere innamorato di me.»

    «La prima volta che lo hai incontrato, lui già ti amava?» chiedo.

    «Sì» risponde lei con una risatina. Una piccola lacrima le scivola sulla guancia, ma non sembra una lacrima di tristezza. «Era matto. Credevo fosse solo un calciatore birichino in cerca di…» La sua voce si affievolisce e lei si schiarisce la gola. «… Farsi due risate. Ad ogni modo, non gli credevo. Poi ha cominciato a tartassarmi senza sosta per convincermi ad andare all’incontro del giorno successivo a Manchester, insistendo che voleva che partecipassi a tutti i costi.»

    «Fico!» rispondo, mi piace questa parte della storia.

    «Molti la vedono così, ma io non ero come le altre ragazze. Non volevo andare a Manchester. Mi divertivo a Londra con i miei amici. Ma lui era irremovibile e non accettava un rifiuto. Ha persino offerto dei biglietti per la partita alle mie amiche e prenotato un volo privato per noi. Un pazzo.»

    «Tu cos’hai fatto?»

    «Be’, ci sono andata. Voleva che fossi lì a tutti i costi, e io sarei stata una stupida a non accettare il viaggio della mia vita. Per tutto il tragitto fino a Manchester, ho pensato fosse solo uno sciocco calciatore che faceva lo stupido. Ma quando l’ho visto giocare, tutto è cambiato.»

    «Era molto bravo, vero?» le chiedo, ricordando le partite a cui ero andato con mamma, prima che papà lasciasse il calcio e ci trasferisse tutti a Londra.

    «Era un sogno, Gareth. I suoi movimenti sul campo mostravano chiaramente che stava facendo proprio ciò per cui era nato. Aveva una luce che non avevo visto in nessun uomo prima. E sapevo che un ragazzo che viveva con una tale gioia avrebbe apprezzato tante altre cose nella vita.»

    «Mamma, credi che io sarei bravo a calcio?» chiedo, pensando ai modi in cui potrei far emozionare mamma come ha fatto papà.

    «Secondo me tu sarai bravo in qualsiasi cosa vorrai fare, bambino mio. Non deve essere per forza il calcio, ma qualsiasi cosa ti infiammi di gioia e passione e ti faccia desiderare di sanguinare pur di ottenerla, perché ci credi davvero tanto. Una cosa per cui non ti arrenderai finché non l’avrai dominata in tutti i modi possibili. Capito?»

    Annuisco con la fronte corrugata, mentre ripenso alle parole che mi ha appena detto. Sembrano importanti, più di quanto io possa capire. Ma voglio che mamma sia felice, perciò dirò tutto ciò che la fa stare bene. «Ho capito, mamma.»

    Lei sorride e io sono felice. Credo di esserle d’aiuto. E magari, se giocassi a calcio come papà, l’aiuterei ancora di più. Forse, la farebbe sorridere per sempre.

    Perciò, in questo preciso istante, prendo la decisione: sarò un calciatore. E sarò anche migliore di mio padre.

    Capitolo 3

    Proteggi e Difendi

    Sloan


    Il bip del monitor dell’ospedale è come il timer di una bomba a orologeria che si fa sempre più forte. Ogni secondo che passa in assoluto silenzio, la mia ansia si intensifica a dismisura.

    Che diavolo è successo stanotte? Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? Un attimo prima ero tra le braccia di Gareth, pronta ad accettare tutto ciò che stava per cambiare tra di noi, e quello successivo sul pavimento e lui era accanto a me, con il sangue che gli colava da un lato della testa.

    Quando poso lo sguardo sulla macchia rossa che inzuppa la garza intorno alla fronte di Gareth, mi sento morire. Pare così debole su quel letto. Così spezzato e fragile. È lontanissimo dall’uomo potente che prometteva di prendermi in modi in cui nessun uomo mi aveva mai posseduta.

    Mi vibra il telefono in mano, e ingoio il nodo in gola per rispondere. «Ciao, Freya» gracido con voce roca ed esausta.

    «Come stai?»

    Faccio una smorfia di dolore quando il telefono urta contro il livido sullo zigomo. «Bene, suppongo. Ho la parte destra della faccia viola, ma la sento a malapena. Forse sono ancora sotto shock.»

    «Be’, ringraziamo almeno per questo» risponde lei con tono dolce. «Novità su Gareth?»

    «No. Ancora non si è svegliato.» Mi mordo il labbro per trattenere il singhiozzo che vorrebbe lacerarmi il petto ogni volta che ci penso. «Dicono che ci possono volere ore o giorni… qualsiasi cosa significhi.»

    «Andrà tutto bene» afferma lei pragmatica. Freya è eccellente durante le crisi. «Ti porto una tazza di tè?»

    «No» brontolo, facendo scorrere un dito sulla mano intubata di Gareth. «Non ti farebbero entrare qui e io non voglio lasciarlo.»

    «Dirò che sono sua sorella o qualcos’altro.»

    Quel pensiero mi fa sorridere appena. «Ho già detto loro di essere sua moglie. Teniamo le bugie al minimo, così non mi cacciano. Sapere che sei in sala d’attesa è già un gran conforto.»

    Per un attimo rimane in silenzio. «E se alla stampa arrivasse la voce che ti definisci la moglie di Gareth?»

    Sbuffo e chiudo gli occhi, pizzicandomi la curva del naso. «Non ci ho pensato, ma a dire il vero non mi importa. Non lo lascerò qui da solo. Buon Dio, Freya… è Gareth. Avevamo appena cominciato. Se non si riprende da tutto questo, io…»

    Freya mi interrompe prima che la mia voce inizi a tremare: «Non occorre preoccuparsi dei se, è inutile e irreale. Gareth starà bene, punto.»

    D’un tratto, mi sembra di sentire un gruppo di persone litigare lungo il corridoio. Vedo un lampo di capelli biondi superare la porta e poi riapparire nel piccolo oblò che dà nella stanza.

    È la sorella di Gareth, Vi. Ha ancora indosso l’abito rosso della serata, ma il top è coperto dalla giacca di un completo da uomo. Apre la porta e lancia un’occhiata a Gareth trattenendo il fiato, mentre gli altri fratelli, Camden, Tanner e Booker, compaiono alle sue spalle.

    «Ti richiamo, Freya.» Chiudo la chiamata e osservo con occhi arrossati i fratelli di Gareth muoversi verso di noi.

    Nel silenzio immobile che regna nella camera, mentre i fratelli guardano incupiti il loro fratello maggiore steso e incosciente, si potrebbe udire il suono di uno spillo cadere. Sono visibilmente scossi e non posso di certo biasimarli. Ha perso quasi un litro di sangue e il suo volto pallido e cadaverico sembra quello di un fantasma, con un orribile livido su un lato. Senza contare che è attaccato alle macchine. È un’immagine spaventosa.

    Sento dei passi arrestarsi dietro di loro e poso lo sguardo su un uomo anziano che è appena entrato. Si fa strada spingendo tutti e si arresta dalla parte opposta del letto di Gareth. È dritto di fronte a me, ma è talmente concentrato su Gareth che non mi nota.

    Mi prendo un attimo per squadrarlo. È alto più di un metro e ottanta e ha un corpo atletico, sebbene appena più fiacco di quanto, di certo, non fosse in gioventù. Il taglio degli occhi è uguale a quello di Gareth e mi ci vogliono due secondi netti per capire che sto fissando Vaughn Harris, il padre di Gareth.

    «Come ha fatto ad arrivare qui?» La mia voce sorprende persino me stessa. Non era alla premiazione, perciò come fa a essere già qui? Sono passate solo poche ore dall’aggressione.

    Lui batte rapido le palpebre e mi guarda a occhi stretti; poi lancia un paio di sguardi agli abiti casual che mi ha portato Freya. La sua espressione sembra quella di un sergente istruttore che ispeziona un’uniforme; per nulla amichevole.

    Se questa è la sua reazione di fronte a qualcuno in abiti puliti, tremo all’idea di come reagirebbe se avessi ancora addosso l’abito coperto di sangue.

    «Lei chi è?» mi chiede con tono acido.

    Ingoio il nodo in gola. «Sloan.»

    Arriccia le labbra. «Perché è qui con mio figlio?»

    «In che senso, scusi?»

    «Papà» lo rimprovera Vi, facendo un passo avanti verso i piedi del letto. «Sloan sta con Gareth. Te l’ho detto al telefono, ricordi?»

    «Non mi interessa» abbaia, fissando il livido sulla mia faccia gonfia. «Non la conosco e l’infermiera mi ha appena informato che afferma di essere la moglie di Gareth. Credo di avere il diritto di fare qualche domanda.»

    Faccio una smorfia. «Ho dovuto mentire, o non mi avrebbero fatta entrare con lui. Sarebbe rimasto qui da solo. Vi era imbottigliata nel traffico…»

    «Molto bene. Ma non ha ancora risposto alla mia domanda. Perché è qui e si spaccia per sua moglie? Chi è lei per Gareth?»

    La sua domanda mi provoca un senso di frustrazione che non mi aspettavo. Ciò che abbiamo io e Gareth è sempre rimasto privato. A casa sua. In completa segretezza. Non ci siamo rivelati molte cose, ma sento di conoscerlo. Per lui, sono più di una stilista o una scopata occasionale, ma non abbiamo mai definito cosa siamo davvero l’uno per l’altra. Forse, in camera da letto, sì, ma in questo momento siamo ancora in una zona grigia.

    Mi allontano di un passo dal letto e mormoro: «Non sono… nessuno.»

    «Esatto!» afferma Vaughn, confermando ciò che temo potrebbe avverarsi dopo che tutto sarà passato.

    So che nulla di ciò che è accaduto stasera è colpa mia, ma io sono il motivo per cui Gareth era distratto quando è entrato in casa. Se non lo avessi mandato in confusione emotiva, chissà dove saremmo ora. Finora, ho decisamente fatto più male che bene alla sua vita.

    Vi mi cerca con lo sguardo e mima con le labbra una parola di scuse, poi si avvicina al padre per parlare con lui in privato. I fratelli di Gareth sembrano ancora scioccati e si avvicinano piano al letto.

    D’un tratto, mi sento del tutto fuori luogo.

    Questa è la sua famiglia. Le persone che lui conosce e di cui si fida. Io sono un’estranea, e anche poco gradita. Non è il mio posto, questo.

    Mentre considero l’idea di levare le tende e mi allontano ancora un po’, il medico più anziano dai capelli bianchi, con cui ho parlato poco fa, entra a grandi passi nella stanza con un iPad stretto tra le mani. Scivola accanto ai fratelli di Gareth e si presenta a Vaughn.

    «Signor Harris, salve. Sono il dottor Howard.»

    «Mi dica cosa sta succedendo a mio figlio.»

    Il medico mi lancia un’occhiata accigliata. «Come ho spiegato a sua nuora, per il momento possiamo solo tenere Gareth costantemente monitorato. Commozioni cerebrali così gravi possono creare conseguenze dopo ore o anche giorni.»

    «Commozione cerebrale grave?» L’espressione granitica di Vaughn viene deformata dallo shock.

    Il medico sembra ancora più perplesso per il fatto che io non gli abbia già riferito tutte le informazioni. «Sì, ma le sue condizioni sono stabili e non ci sono rigonfiamenti nel cervello, il che è un buon segno. Tuttavia, un trauma alla tempia può essere molto pericoloso, quindi lo stiamo monitorando per assicurarci che durante la notte non si formino emorragie cerebrali.»

    Vaughn guarda il medico a occhi stretti, poi si volta verso Vi. «Bene. Lo porteremo a casa.»

    «Cosa?» esclamiamo all’unisono io e Vi.

    «Ho un jet privato pronto. Lo porteremo in un ospedale a Londra. Dobbiamo andarcene da qui.» Vaughn si guarda intorno, con le mani strette a pugno stese ai fianchi. Noto un rivolo di sudore sulla sua fronte, che prima non c’era. È agitato.

    Il dottor Howard alza una mano. «Signor Harris, le assicuro che riceverà le migliori cure mediche in questo ospedale.»

    Vaughn non pare convinto. «Non mi interessa cosa riceverà. Lo porteremo via da Manchester questa notte stessa.»

    «Viaggiare non è consigliabile, nelle sue condizioni» replica il medico in tono cauto.

    «È un volo breve. Mi dia i moduli da firmare. Lo porteremo a casa.»

    «Papà.» Vi fa un passo verso Vaughn e alza le mani nascoste sotto le lunghe maniche della giacca di Tanner. «Non è necessario. Credo che dovremo dare retta al dottore.»

    «Vilma!» quasi ruggisce Vaughn. «La mia decisione è definitiva.»

    Vi si rannicchia come un cucciolo frustato sotto l’ordine perentorio del padre. Booker le accarezza la schiena e lei volta le spalle al padre. Rivolgo uno sguardo a Camden e Tanner e li vedo paralizzati dalla paura. O forse è lo shock. Non saprei dire. A prescindere, si comportano tutti come persone affette da sindrome post traumatica risvegliata da qualcosa. Che problema ha questa famiglia?

    «Cosa stiamo aspettando?» sbraita Vaughn al dottor Howard, facendolo scattare all’indietro. «Dobbiamo organizzare un’ambulanza e un’infermiera che voli con noi. Ancora meglio, un medico. Forse conosco qualcuno.»

    Vaughn tira fuori il telefono e borbotta a bassa voce tra sé e sé, tentando di organizzare il trasporto del figlio incosciente.

    Mentre culla la sorella stretta al petto, Booker incontra il mio sguardo. Sembrano tutti molto più giovani di quanto sembrassero al gala, qualche ora fa. Camden e Tanner sono paralizzati; Booker è pietrificato e Vi è squassata dai singhiozzi. Mi ricordano la mia Frittellina in ospedale, in preda al panico, mentre aspettava che le infermiere venissero a inserirle un catetere arterioso. Nel frattempo, Vaughn è al telefono e sembra Hitler che richiama le sue truppe.

    È in quel momento che rivedo tutti i travolgenti eventi della mia vita che mi hanno condotta a Gareth. Rimanere incinta. Sposarmi. La diagnosi di cancro di Sophia e il doverla tenere ferma mentre i medici le praticavano le cure. Essere stata costretta a trasferirmi in Inghilterra ed essermi buttata in un lavoro che non mi appassiona. Il sentirmi dire come devo vestire mia figlia dalla madre di Callum. Il tradimento, il divorzio, la custodia condivisa. Tutto mi piomba addosso come un macigno fatto di una vita di sottomissione.

    Poi vedo Gareth. Vitale e virile. Forte e mascolino. Con tutti gli attributi del maschio Alfa. Eppure, invece di sopraffarmi, fare pressione, perseguitarmi e costringermi a sottomettermi, lui si inginocchia. Lui si dona del tutto a me perché è altruista, protettivo, generoso. Un vero dominatore.

    «Alt! Aspettate un attimo, cacchio.» La mia voce risuona nella piccola stanza d’ospedale piena di Harris. Mi mordo la guancia nervosa e mi avvicino al letto di Gareth. Mi aggrappo alla pediera in ferro con tutte le forze, cercando di rievocare la stessa determinazione di quando Sophia era malata, quando aveva bisogno di un sostegno e di qualcuno che fosse coraggioso al posto suo. «Non lo porterete da nessuna parte.»

    «Se lo scordi!» sbotta Vaughn. «Lei non ha alcuna voce in capitolo in questa faccenda!»

    «Sono sua moglie!» esclamo, gridando la mia bugia come un’impertinente rappresaglia.

    «Cazzate!» ribatte Vaughn e inchioda il medico con uno sguardo tempestoso. «Lei non è la moglie di mio figlio. Ha controllato la sua identità? Non porta nemmeno la fede.»

    «È arrivata con un’ambulanza, senza documenti, signore. Non avevamo motivo di non crederle.» Il dottor Howard mi rivolge l’occhiata eloquente di chi sa benissimo come stanno le cose, ma non dirà nulla perché sono l’unica in questa stanza che è dalla sua parte.

    «Se io fossi davvero la moglie di Gareth, lei non lo saprebbe nemmeno» continuo in tono ostile.

    Vaughn mi lancia uno sguardo minaccioso. «Lo saprei eccome, se mio figlio fosse sposato. Questa conversazione è chiusa. Ho un jet in attesa e lo riporteremo a Londra. Si rimetterà in salute a casa, con me.»

    «No!» ruggisco, stringendo più forte le mani sulla sponda del letto. In questo momento, il senso di protezione che provo nei confronti di Gareth è travolgente, al punto che controllo a malapena la determinazione che mi ribolle nelle vene. «Non lo porterà via. Chi si crede di essere?»

    «Mi scusi?» Vaughn mi fissa a occhi stretti, poi si volta verso Vi in cerca di supporto. Lei continua a rimanere fulminata dal suo sguardo, e questo suo atteggiamento mi rende perplessa perché non mi pare abbia avuto problemi ad approcciarsi a me con modi aggressivi, nel bagno della festa.

    In ogni caso, quest’uomo mi può guardare con tutto il disprezzo che vuole. Forse, in questo momento non sono la moglie di Gareth, o la fidanzata, o la scopamica, perché non abbiamo avuto occasione di discutere della faccenda; tuttavia, so esattamente cosa è

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