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Regalami una fiaba: Harmony Collezione
Regalami una fiaba: Harmony Collezione
Regalami una fiaba: Harmony Collezione
E-book150 pagine2 ore

Regalami una fiaba: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Opal e Nico non si conoscono, ma hanno bisogno l'uno dell'altro. Le ragioni non sono particolarmente romantiche: i loro affari potrebbero risollevarsi solo con un accordo speciale. Appena decidono di metterlo in atto, Nico si chiede come farà a vivere ogni giorno con quella donna senza cedere alla tentazione di sedurla.
LinguaItaliano
Data di uscita9 apr 2021
ISBN9788830527713
Regalami una fiaba: Harmony Collezione
Autore

Trish Morey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Regalami una fiaba - Trish Morey

    Copertina. «Regalami una fiaba» di Morey Trish

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Italian’s Virgin Bride

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2004 Trish Morey

    Traduzione di Maura Arduini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-771-3

    Frontespizio. «Regalami una fiaba» di Morey Trish

    1

    Nico Silvagni era solo a un terzo della relazione quando l’interfono prese a squillare, per la seconda volta in cinque minuti. Lui si lasciò sfuggire un gemito di irritazione e fece cadere la stilografica sul piano della scrivania.

    Di nuovo suo padre.

    Nessun altro sarebbe mai riuscito ad aggirare i rigidi controlli della signora Hancock, il rottweiler umano che curava le sue Pubbliche Relazioni durante la visita agli alberghi della catena Silvers in Australia. Ed era una vigilanza necessaria, considerato che lui doveva concentrarsi sull’esame dello scarso rendimento delle proprietà familiari prima di ritornare a Roma, quella notte stessa.

    Era stato molto chiaro. Niente telefonate. Tantomeno telefonate di rimprovero da parte di suo padre, per via di certe foto pubblicate il giorno prima in una rivista di gossip.

    Suo padre, Guglielmo Silvagni, non perdeva occasione per esprimergli quel che pensava della sua fama di dongiovanni e delle sue frequentazioni femminili. «Puoi trovare di meglio che non modelle o stelline del cinema» gli diceva. «Qualcuna che abbia grinta, e intelligenza... una donna che sappia mettere a frutto tutti i tuoi soldi.»

    Emma e Kristin avrebbero anche potuto offendersi. Dopotutto, era solo un luogo comune che modelle e stelline del cinema fossero senza cervello. Di sicuro, però, avevano dimostrato di essere molto gelose l’una dell’altra, dal momento che nessuna delle due aveva apprezzato le foto.

    In ogni caso, Nico preferiva lasciar perdere l’argomento. Nonostante le pressioni di suo padre, non cercava una moglie, e non voleva una famiglia, almeno per il presente.

    Che diamine. Aveva solo trentadue anni!

    La spia dell’interfono ricominciò a lampeggiare. Lui soffocò la frustrazione e sollevò la cornetta.

    «Dica a mio padre che lo richiamerò più tardi, quando avrò finito di leggere questa benedetta relazione.»

    «Mi dispiace, signor Silvagni... ma non è suo padre...»

    Lui ascoltò, sorpreso. Dov’era finito il tono da generale d’armata in azione di guerra? Per la prima volta dal momento del suo arrivo, la signora Hancock gli sembrò titubante.

    «C’è qui una signorina...»

    Nico serrò i denti. Non aveva tempo da perdere. Doveva riportare la compagnia dei Silvers Hotels, orgoglio di tutta la famiglia, all’antico splendore. Lo doveva al nonno, che da un piccolo albergo a Napoli aveva iniziato a creare quella splendida catena di hotel di lusso sparsi per tutto il pianeta. E lo doveva a suo padre, che da qualche mese si era ritirato nella campagna toscana per combattere la sua difficile battaglia contro un male ritenuto un tempo incurabile.

    Una signorina?

    «Le avevo detto: niente telefonate.»

    «Ma non è al telefono.» La signora Hancock tradì un sospiro. «È qui... Dice che si tratta di una questione urgente. E che lei di sicuro sarà contento di vederla.»

    Nico si appoggiò all’indietro, contro lo schienale della poltrona girevole. Tamburellò le dita sulla scrivania. «Chi è?» Intanto, si sforzò di riflettere. Emma era in Texas, per girare il suo prossimo film, mentre Kristin si trovava in Marocco, per un servizio fotografico di Vogue. Entrambe avevano giurato di non volerlo rivedere mai più, dopo quella faccenda delle foto, e di conseguenza lui non le aveva informate del suo viaggio in Australia.

    «È Opal Clemenger, della prestigiosa Compagnia Clemengers. C’è una delle Maisons Clemengers anche poco lontano da qui, all’angolo con la...»

    «Conosco le Maisons Clemengers» tagliò corto lui. «Che cosa vuole?»

    «Dice che ha un affare da proporle. Un’occasione unica, che sicuramente lei si pentirà di non aver colto. Devo farla entrare?»

    Opal, in piedi vicino alla scrivania dell’ufficio, trattenne il fiato e strinse tra le dita il materiale che aveva raccolto in fretta, prima di precipitarsi lì a chiedere un colloquio.

    Doveva vedere Silvagni. Il futuro delle Maisons Clemengers e di tutto il personale dipendeva da lei.

    «Le dica di prendere un appuntamento» replicò secca la voce dentro l’interfono. «Sarò di ritorno fra un paio di settimane. Approfitterò della pausa pranzo per lavorare. Può farmi avere un caffè e qualcosa da mangiare?»

    La signora Hancock prese nota, mentre la voce del principale si dissolveva in una scarica elettrostatica. Rivolse a Opal un sorriso partecipe. «Mi dispiace, cara. Di solito non lo interrompo mai, ma pensavo che si sarebbe incuriosito. Dovrai tornare un’altra volta. Credi che ti sarà possibile?»

    Opal scosse la testa e si morse un labbro. Due settimane erano troppe. Le rimanevano solo due giorni per risolvere la faccenda. Quarantotto ore per convincere qualcuno a investire nelle Maisons Clemengers, qualcuno che capisse la situazione e non ne approfittasse. Qualcuno che fosse l’opposto di Aldebaran McQuade, un avvoltoio che speculava sulle vendite di immobili di pregio per frammentarli e ricavarne appartamenti.

    Entro due giorni il tempo dell’offerta pubblica sarebbe scaduto e, a meno che lei non trovasse un cavaliere dalla lucente armatura, McQuade avrebbe avuto partita vinta nell’aggiudicarsi l’acquisto, la famiglia di Opal avrebbe perso tutto ciò per cui aveva sempre lavorato, e almeno duecento dipendenti fedeli e affezionati sarebbero rimasti senza lavoro.

    Ma McQuade non sapeva ancora con chi aveva a che fare.

    «Devo assolutamente vederlo oggi» sospirò Opal. Si scostò, e mosse qualche passo sulla moquette color amaranto, cercando una soluzione, mentre la signora Hancock parlava con la caffetteria.

    Forse aveva sbagliato qualcosa, pensò Opal. Sfogliò rapidamente la cartella di documenti messi insieme in fretta, non appena aveva saputo che Nico Silvagni era in visita nel loro emisfero. Magari, tra quei dati scaricati da Internet c’era la chiave di ciò che le serviva...

    I fogli si schiusero sopra alla pagina patinata di una rivista. Sotto al titolo, Playboy a cinque stelle, c’erano due fotografie di Nico, al braccio di due donne diverse. Donne molto belle, bionde e giovanissime...

    Entrambe lo guardavano con espressione adorante. Il titolo gli si accordava alla perfezione, come la camicia di seta candida sotto allo smoking, in una delle due foto.

    Nico Silvagni era un uomo di straordinaria prestanza fisica. I suoi occhi scuri la guardavano dalle foto, contornati da ciglia così folte da fare invidia a qualunque donna. Le labbra, forti e ben disegnate, alludevano a misteriosi segreti, e il mento squadrato lasciava intuire un’innata attitudine al comando.

    Anche senza tutte le sue ricchezze, Nico Silvagni era uno schianto. Con le ricchezze... be’, di sicuro non gli mancavano le pretendenti.

    Buona fortuna a tutte, pensò Opal, amara. Non avrebbero avuto vita facile, sposando un playboy. La vita di sua madre le aveva insegnato almeno questo...

    Ma qualunque fossero i suoi sentimenti, aveva bisogno di lui. O meglio, dei suoi soldi. E ne aveva bisogno adesso.

    Fece dietrofront. «Aspetterò» dichiarò in tono deciso. «Dovrà pure uscire, prima o poi.»

    La signora Hancock fece una piccola smorfia e si guardò intorno. Non c’era nessuno, oltre a loro. Si sporse in avanti. «Io devo uscire per qualche minuto» sussurrò, in tono di cospirazione. «Da un momento all’altro arriverà il carrello con il pranzo. Mi auguro che tu non voglia fare niente di sciocco, mia cara.»

    Opal sentì salire alle labbra un sorriso. Il primo sorriso assolutamente genuino da quando aveva appreso le condizioni finanziarie della Clemengers, tre mesi prima. E il sorriso era tutto merito di Deirdre Hancock, che molti anni prima era stata la segretaria di suo padre.

    Lei aveva capito di essere protetta da una buona stella fin da quando l’aveva riconosciuta, seduta lì alla scrivania. Deirdre si era immediatamente alzata e l’aveva stretta forte in un abbraccio, come se lei fosse ancora una bambina.

    Di sicuro, anche per una segretaria di grande esperienza come lei, lavorare con Nico Silvagni non doveva essere una passeggiata. A giudicare dalla telefonata di poco prima il principale usava modi piuttosto sbrigativi, se non apertamente sgarbati, mentre Deirdre era impeccabile, come sempre. Suo padre l’aveva sempre considerata efficiente e gentile al massimo grado. Era chiaro che Silvagni non la meritava.

    «Io?» rispose Opal, soave. «Qualcosa di sciocco? Assolutamente no

    Qualche minuto più tardi Deirdre si alzò con un pacco di carte tra le mani, e Opal capì che il carrello del pranzo era in arrivo da un momento all’altro. Avvertì una scarica di adrenalina, e si rese conto di quanto la segretaria stesse rischiando per lei. «Deirdre, non voglio che tu perda il posto per me...»

    La signora Hancock alzò le braccia. «Chi può mai dirlo, cara?» Le si avvicinò e le strinse una mano sul braccio. «Magari, alla fine lui mi ringrazierà. E comunque, vado in pensione la prossima settimana. Che cosa può fare? Licenziarmi? Ho dirottato le chiamate dall’esterno nella sala fotocopie, dove sarò per almeno mezz’ora. Così, nessuno vi potrà interrompere.» Opal fece appena in tempo a mormorare qualche parola di ringraziamento, prima di vederla sparire.

    Trenta secondi più tardi un giovane inserviente sbucò dall’ascensore, spingendo un carrello. Si avvicinò alla scrivania della signora Hancock e si guardò intorno perplesso, non vedendola. Alla fine, mise a fuoco Opal. «L’ordinazione della signora Hancock» annunciò, in tono incerto.

    «Sì, grazie» replicò lei. «La signora torna subito. Lasci pure lì.»

    Lui annuì e, apparentemente soddisfatto, tornò verso l’ascensore. Scomparve, in un brusio sommesso di porte scorrevoli e cavi che rientravano in funzione.

    Opal riprese rapidamente fiato e si alzò da una delle poltroncine di attesa.

    Ora veniva il bello.

    2

    «Chi è lei?»

    Opal non aveva ancora fatto nemmeno due passi all’interno dell’ufficio.

    «E dov’è la signora Hancock?»

    Per un istante le sembrò di avere i piedi inchiodati al pavimento. Però doveva proseguire, avvicinarsi, non poteva perorare la sua causa da lì. Stampò un sorriso sulle labbra, ignorò l’agitazione crescente e spinse il carrello verso la scrivania, senza alzare gli occhi. «Le ho portato il pranzo, signor Silvagni.»

    «Questo lo vedo!» ruggì lui. «Ma come è entrata qui dentro?»

    Opal si concentrò sul carrello. Sollevò il coperchio d’acciaio di uno dei piatti: pasta e carciofi. Nell’altro c’erano delle scaloppine. «Prima la pasta, immagino.» Trasferì il piatto su uno spazio libero della scrivania.

    Lui era già alla porta. L’aprì. «Signora Hancock!» prese a gridare. «Signora Hancock!»

    «Credo che sia in sala fotocopie, e ne avrà per almeno mezz’ora. Mi dispiaceva che il suo pranzo, intanto, si raffreddasse...»

    Lui si girò finalmente a guardarla. «Si può sapere chi diavolo è lei?»

    Opal prese fiato e alzò gli occhi. Per

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