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Una fredda mattina d'inverno
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Una fredda mattina d'inverno
E-book438 pagine6 ore

Una fredda mattina d'inverno

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Info su questo ebook

Un grande thriller

In una fredda mattina di ottobre, Lauren Wilder arriva a un pelo dall’investire Bo Laughlin, che cammina lungo il bordo della strada. Bo, un giovane molto conosciuto nella piccola città di Hardys Walk, sembra non aver riportato danni, anche se il sesto senso di Lauren le suggerisce il contrario. La verità è che la donna non si è più ripresa veramente dall’incidente che ha avuto due anni prima e non è in grado di fare affidamento sulle sue capacità mentali. Succede, però, che Bo scompare e la polizia cerca di appurare se la sparizione possa essere ricollegata a lei. Lauren è terrorizzata, non tanto da quello che ricorda, ma soprattutto da ciò che non riesce a mettere a fuoco. Proprio perché non sa ricostruire cosa sia successo davvero, Lauren inizia la sua indagine personale per trovare la soluzione del mistero della scomparsa di Bo. Ma la verità può rivelarsi scioccante più di qualunque menzogna, e purtroppo non sarà lei la sola ad affrontarne le conseguenze…

Uno stupido incidente, una nebbia di ricordi.
Cosa è successo davvero quella fredda mattina?

«Una storia che sembra uscita dalle pagine di un quotidiano. I personaggi vivono emozioni vere e accattivanti. Il risultato è un romanzo dal ritmo incalzante, che non si riesce a dimenticare.»

«Mi sono tuffata tra le pagine di questo romanzo come in apnea e sono riemersa solo per respirare di nuovo. Magnifico.»

«In un solo minuto la tua vita può cambiare in meglio o in peggio. E in questo romanzo ci sono un sacco di minuti determinanti. I personaggi sono ben sviluppati e la fine vi lascerà a bocca aperta.»
Barbara Taylor Sissel
È nata a Honolulu, alle Hawaii, ed è cresciuta in diversi posti nel Midwest. Giardiniera per passione, ha due figli e vive in una fattoria non distante da Austin, in Texas. Una fredda mattina d’inverno è il suo sesto romanzo di successo, il primo a essere pubblicato in Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2016
ISBN9788854199583
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    Anteprima del libro

    Una fredda mattina d'inverno - Barbara Taylor Sissel

    1385

    Titolo originale: Crooked Little Lies

    Copyright © 2015 Barbara Taylor Sissel

    All rights reserved.

    This edition made possible under a license agreement originating

    with Amazon Publishing, www.apub.com

    Traduzione dall’inglese di Marta Silvetti

    Prima edizione ebook: novembre 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9958-3

    Realizzazione a cura di The Bookmakers Studio editoriale, Roma

    www.newtoncompton.com

    Barbara Taylor Sissel

    Una fredda mattina d’inverno

    Newton Compton editori

    A David, detto Buddha Boy,

    un faro che riesce sempre a illuminare il mio cammino,

    e a Jo, sorella del cuore e anima gemella.

    1

    Quando lo vide camminare lungo il margine della strada quel venerdì di ottobre, Lauren non poteva sapere che da lì a poco sarebbe scomparso, o che subito dopo la sua scomparsa, decine di persone avrebbero sentito l’obbligo di cercarlo.

    Quella mattina lo notò quasi nello stesso istante in cui si rese conto di aver preso l’uscita sbagliata dell’autostrada. Una frazione di secondo dopo, eccolo lì, a pochi centimetri dal paraurti, così vicino da farle fermare il cuore. Lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore dopo averlo sorpassato, un po’ timorosa di ciò che avrebbe potuto vedere. La sua indignazione come minimo. Ma la sua andatura rimase regolare, come se lui fosse ignaro di quanto era andato vicino a essere investito. Ancora tremante, Lauren accostò sul ciglio della strada, tenendolo d’occhio. Le era già capitato di vederlo passeggiare fuori città. In realtà lo avvistava con una regolarità tale che, se passava qualche giorno senza vederlo, si chiedeva che fine avesse fatto, e addirittura si preoccupava per lui. Ma non lo aveva mai visto lì, dove il traffico era costante e intenso.

    Sembrava giovane, sui vent’anni, pensò. Abbastanza giovane da poter essere suo figlio. Così giovane che, a guardarlo, provava una fitta di angoscia. Chi era? Perché andava a piedi? Le domande le passavano per la testa. Non aveva l’aspetto di un barbone o di un vagabondo, o di un pazzo omicida. Ebbe la sensazione che la sua fosse una situazione diversa. Ma ciò che più l’aveva spaventata era stata la facilità con cui avrebbe potuto rimanere ucciso. Riusciva a vederlo nella sua immaginazione: un passo falso, l’auto che si avvicinava a tutta velocità, sbalzandolo a centinaia di metri di distanza.

    Il mercoledì seguente, quando la polizia la interrogò subito dopo la sua scomparsa, disse che quella mattina si era fermata perché aveva avuto paura per lui. Ma in realtà non lo sapeva. Forse si era fermata perché era andata molto vicina a fargli del male, o forse il fatto di aver lei stessa appena sfiorato la morte aveva accentuato la sua percezione della fragilità della vita. O forse era il suo senso materno. E se fosse stato uno dei suoi figli?

    Tenne lo sguardo fisso sulla sua immagine riflessa. Sembrava così… non perso, ma emarginato, solitario, tanto da farle stringere il cuore. Aveva il busto goffamente piegato a destra e quell’inclinazione era di ostacolo alla sua camminata, eppure la sua andatura era decisa, come se avesse avuto una meta. E in qualche modo fu quell’impressione di dedizione, di fedeltà allo scopo, a farla stare più male. Qualcuno sapeva che si trovava lì? A qualcuno importava? Fu una pazzia, ma quando lui giunse a pochi centimetri dalla sua auto, aprì la portiera e uscì.

    Lui si era fermato all’improvviso, la testa dritta sul collo, gli occhi spalancati, le narici dilatate. Sembrava quasi un animale all’erta, che fiutava l’aria satura di gas di scarico delle auto, accompagnata da un vago sottofondo di cibo fritto del McDonald’s poco più a nord. Lauren percorse lentamente la distanza che li separava, non voleva spaventarlo, e alzò la voce per sovrastare il rumore del traffico. «Stai bene?».

    Lui evitò il suo sguardo, guardando invece oltre le sue spalle un punto all’orizzonte. Era qualche centimetro più alto di lei, snello, e aveva dei bei lineamenti. Gli occhi erano scuri e profondi, i capelli arruffati e arricciati sopra al colletto come se non li tagliasse da un po’. Ma i vestiti erano puliti e stirati. Indossava una camicia di cotone blu a quadri abbottonata fino al collo, sopra a dei pantaloni chino grigi. Sembrava curato, pensò Lauren.

    Si presentò. «Sono Lauren Wilder», disse. «Vivo qui, ad Hardys Walk. Anche tu vivi qui?».

    Lui annuì e la guardò negli occhi, ma solo per un istante. Tuttavia, non c’era nulla nel suo atteggiamento che potesse farle temere per la sua sicurezza. Alla polizia avrebbe detto di aver provato semplice preoccupazione per lui, e che si sarebbe fermata anche per un cane randagio. A volte gli uomini e gli animali si perdono e hanno bisogno di soccorso. Hanno bisogno d’aiuto per ritrovare la strada di casa. Lei sapeva tutto questo sulla base della propria esperienza. Comunque la polizia sarebbe venuta presto a sapere del suo incidente, e data la natura delle lesioni e i loro effetti persistenti, avrebbero messo in discussione l’accuratezza della sua memoria. A quel punto lei avrebbe insistito sul fatto che la sua ricostruzione era affidabile, come se insistere la rendesse tale. D’altronde su cos’altro al mondo si può contare se non sulla propria vita e la propria mente e sull’agire razionale delle due cose insieme?

    La luce cambiò, e il flusso del traffico che passava generò un vento caldo, oleoso, che colpì le gambe di Lauren fasciate dai jeans e l’ampio orlo della sua camicia. Guardò di nuovo il ragazzo. Un uomo, a dire il vero. Suo figlio e sua figlia, Drew e Mackenzie, avevano rispettivamente quattordici e undici anni, ma in appena una manciata di anni ne avrebbero avuti venti, e sarebbero stati considerati adulti. La consapevolezza che quello sconosciuto di fronte a lei non fosse per niente un bambino la fece esitare. Gli chiese come si chiamasse, per poi scusarsi subito dopo. Non erano affari suoi, e sarebbe stato spregevole usarlo come distrazione per dimenticare la propria sofferenza.

    «Mi chiamo Bo Laughlin», rispose lui prontamente, sempre guardando al di là delle sue spalle. «Vivo in una casa bianca, sì, una casa bianca. Ho un grosso cane di nome Lentiggine. Mia sorella si chiama Annie. Annie Beauchamp. Sto andando a comprarle delle caramelle. I soldi mi bastano. Vedi?». Tirò fuori un rotolo di banconote tenute insieme da un elastico, e lo mostrò a Lauren.

    «Oh, dovresti metterlo via». Il suo cuore si strinse per l’apprensione. C’era qualcosa di sbagliato, ma non le era ben chiaro cosa. Il suo modo di parlare era accurato e tagliente, e sebbene non incrociasse mai il suo sguardo, gli occhi erano limpidi, rivelavano intelligenza.

    «Ora devo andare», disse.

    «Annie sa che sei qui?».

    Lui non le rispose, ma sgranò improvvisamente gli occhi di fronte a qualcosa, reale o immaginaria che fosse.

    Lei catturò di nuovo il suo sguardo. «Posso chiamarla?»

    «Là». Indicò il minimarket a pochi metri da lì. «Sto andando là a comprare le caramelle. Grazie. Arrivederci», disse in tono formale e la sfiorò passando oltre.

    Lauren si voltò, lo guardò andare via e si sentì in egual misura impotente e confusa. A differenza di lei, lui sembrava così sicuro del suo obiettivo e totalmente ignaro dei suoi limiti. Visti i suoi spiacevoli precedenti, chi era lei per giudicare dove stavano i limiti? Eppure, non appena lui sparì all’interno del negozio, rientrò in macchina, prese il cellulare dalla borsa e rimase a fissarlo per un po’. Doveva fare qualcosa per lui, no? Ma chiamare il 911 non le sembrava la cosa giusta. Non era quel genere di emergenza.

    Digitò il numero del cellulare di Tara, sua sorella minore, e le lasciò un messaggio dal momento che non rispose. Poi, con il telefono in mano, prese in considerazione l’idea di chiamare Jeff. Non molto tempo prima, non ci avrebbe pensato due volte. Ma ora era diverso. Jeff era diffidente nei suoi confronti. Cauto. Sosteneva di averla perdonata, ma anche se così fosse stato, Lauren non aveva dimenticato e non si fidava di sé stessa. Perché avrebbe dovuto? La maggior parte della gente era sospettosa verso i tossicodipendenti, anche quelli in via di recupero.

    Lauren non gliene dava la colpa. Si teneva d’occhio; doveva farlo, dopo quello scivolone. Il panico era suo perenne compagno ed era brutale come un pugile che continua a picchiare ben oltre il suono della campanella. Sentiva sempre i colpi feroci dei suoi pugni serrati colpirle le costole e massacrarla. Non poteva permetterlo, non poteva credere a quella paura immotivata. Le avrebbe strappato la sua sanità mentale e se la sarebbe portata via. Sempre che non l’avesse già fatto.

    Cercando su internet trovò il numero dell’ufficio dello sceriffo di Lincoln e chiamò. La donna che rispose si identificò come Marilyn Wingate e quando chiese come poteva esserle utile, Lauren descrisse Bo Laughlin ed espresse la sua preoccupazione per lui.

    «Dove si trova in questo momento?», chiese Marilyn.

    Lauren le disse che si trovava sulla parallela in direzione nord dell’I-45, poco più a nord di Bayberry, all’incrocio che tagliava in due Hardys Walk, vicino al centro. «Non l’avrei mai visto se non avessi sbagliato strada. Ho troppi pensieri per la testa, credo». Guardandosi nello specchietto retrovisore, si rese conto di aver minimizzato.

    «Manderemo una pattuglia, se ce n’è una in zona», disse Marilyn. «Il problema è che probabilmente se ne sarà andato per quando gli agenti arriveranno sul posto».

    «Deve averlo visto anche qualcun altro. Io lo vedo spesso in giro per la città. Forse non c’è motivo di preoccuparsi. In fondo non sembra abbia un ritardo mentale». Lauren stava pensando al modo di parlare conciso di Bo, al suo aspetto ordinato. Allora, si stava immischiando in faccende che non la riguardavano? La sua era una fantasia delirante? È quello che avrebbe detto Jeff. Avrebbe concluso che lei era sotto effetto di droghe, che probabilmente aveva rivoltato la casa in cerca di una dose. Pensarci la fece star male, pensare che erano arrivati a questo. Ecco come vivevano, sui bordi scuri e sfilacciati del dubbio e della fiducia perduta, dell’amore incerto.

    «Non ricordo altre segnalazioni, ma questo non significa che non ce ne siano state», disse Marilyn.

    Lauren menzionò il denaro che Bo le aveva mostrato.

    «Era molto?»

    «Non saprei, ma c’è gente che uccide per un dollaro, o anche per meno».

    Marilyn le chiese un recapito e, quando Lauren disse che lei e Jeff erano i proprietari dell’impresa di demolizioni Wilder & Tate, Marilyn fece una breve pausa prima di dire: «Sul serio?», in un tono che Lauren conosceva bene, quello di chi sapeva tutta la storia, per cui avrebbe dovuto prepararsi alle inevitabili domande. Ho saputo del suo incidente, avrebbe detto Marilyn. Non riesco a immaginare quello che ha passato, come sia sopravvissuta. Hardys Walk era talmente piccola che quando Lauren era precipitata per undici metri nella tromba delle scale di un campanile ed era sopravvissuta per raccontarlo, la notizia era stata riportata dai giornali locali. I suoi terribili quindici minuti di celebrità…

    Ma Marilyn disse solo: «Può rimanere in linea? Solo un secondo, mentre riferisco questa informazione, ok?»

    «D’accordo», rispose Lauren sollevata, anche se aveva una lunga lista di commissioni da sbrigare. Mentre aspettava teneva d’occhio il negozio. Bo era entrato dentro, ma finora non l’aveva visto uscire.

    Marilyn tornò in linea. «Proveranno a trovare un agente in zona che possa fare un controllo».

    Non era una priorità. Lauren lo aveva capito dal tono di voce di Marilyn. Riferì anche questo alla polizia il mercoledì successivo, quando la interrogarono a proposito di Bo, a proposito di quello che si sarebbe rivelato il suo penultimo avvistamento. Dissero che se fosse arrivato un agente al momento della sua chiamata, Bo non sarebbe scomparso.

    «Wilder & Tate, eh? Io e mio marito abbiamo comprato da voi delle finestre d’epoca per il nostro bungalow. Ci avete detto che provenivano da una vecchia fattoria che avete demolito. Non riesco a immaginare come riusciate a farlo, smantellare un vecchio edificio».

    Ah. Ci siamo, pensò Lauren. Marilyn ci stava arrivando in punta di piedi. Piuttosto che fare la figura dell’impicciona, era riuscita a sembrare in qualche modo rispettosa e accorta.

    «Non sono molte le donne che fanno questo tipo di lavoro, vero? Dev’essere difficilissimo».

    Lauren disse che a volte era così, che gli incarichi erano spesso noiosi, faceva caldo e ci si sporcava. Poteva passare pomeriggi interi senza fare altro che tirare via chiodi da listelli e rivestimenti vecchi di cent’anni. Il fatto di essere una donna faceva di lei una rarità. Gli uomini del settore facevano fatica a credere che potesse fare bene il suo lavoro. Ma lei era più forte di quello che sembrava, o almeno lo era stata, e la sua corporatura esile le permetteva di lavorare in luoghi stretti, come un campanile. «Perlopiù mi occupo dei lavori meno gravosi». Lauren si dedicava alla parte relativa al recupero e alla conservazione di tesori storici. «È mio marito che si occupa dei grossi incarichi commerciali. È fissato con i macchinari e la dinamite».

    Marilyn rise. «Come tutti gli uomini». Fece una pausa, poi disse qualcosa a proposito del fatto che aveva bisogno di una porta.

    Lauren realizzò che intendeva una porta d’epoca. «Ne abbiamo diverse», disse. «Parecchie in realtà». Rise, pensando alle file di vecchie porte impilate come soldati nel magazzino. Ci volevano giorni per esaminarle tutte.

    «Magari io e mio marito passiamo a dare un’occhiata questo weekend. Siete aperti? Sarebbe bello vederci».

    «Siamo aperti, ma purtroppo durante il weekend sarò fuori città».

    Marilyn si disse dispiaciuta.

    «Immagino che non conosca nessuno che voglia comprare una casa e tre ettari di terreno in campagna, giusto?». Lauren non sapeva perché glielo avesse chiesto, come se potesse essere così facile.

    «Dove si trova?»

    «A circa un’ora d’auto a nord di qui. È la fattoria dei miei nonni vicino Lufkin. Tra Lufkin e Nacogdoches».

    «Un posto bellissimo», disse Marilyn. «Non dovrebbe essere difficile venderla velocemente».

    «Lo spero», disse Lauren perché quella era la risposta che ci si aspettava, quella che chiunque, specialmente Jeff e Tara, avrebbero voluto. Non volevano che creasse loro altri problemi, altri litigi e infelicità. Non ne potevano più. Lauren immaginava che avrebbe provato la stessa cosa. Tuttavia, l’idea che degli estranei potessero andare a vivere nell’amata casa dei suoi nonni le risultava così estranea, così incomprensibile, come vendere il proprio braccio o il proprio cuore, l’eredità della propria famiglia. Gran parte della loro infanzia aveva avuto come cornice quella casa, con le colonne del portico e i pavimenti scaldati dal sole, le nicchie nascoste che solo loro conoscevano. Chi avrebbe potuto amarla di più? Chi altri avrebbe potuto sentire l’eco delle loro risate in ogni angolo?

    «Cercherò di verificare più a fondo la situazione di questo ragazzo, vediamo se riesco a rintracciare la sorella. Annie Beauchamp, giusto?», chiese Marilyn.

    Lauren ringraziò Marilyn, mise via il cellulare, poi imboccò lo svincolo e svoltò bruscamente a destra nel parcheggio del minimarket. Fu allora che intravide di nuovo Bo, quello che si sarebbe rivelato il suo ultimo avvistamento, mentre usciva dal negozio e saliva su un’auto, una berlina. Una Cadillac? Lauren non era brava con le auto. Era nera e lucente. La sua era un Navigator, non perché ci tenesse a guidare un’auto enorme e ad alto consumo, ma perché aveva sempre qualcosa da portare. Rallentò mentre superava la macchina, abbastanza da vedere una donna alla guida, una donna anziana, con i capelli bianchi. Bo era sul sedile passeggero anteriore, e rideva. Evidentemente, stava bene, benissimo.

    Lauren rallentò ancora un po’, osservandoli apertamente, guardando la faccia sorridente di Bo e i capelli bianchissimi della donna, raccolti in uno chignon.

    Emanava un’aria di eleganza, del tipo che fa provare invidia alle altre donne. Era il genere di donna che ti faceva pensare che invecchiare non era poi così male se riuscivi a farlo come lei, con quella grazia. Lauren scommetteva che era anche saggia. Troppo saggia per fare una cosa stupida come abbordare un ragazzo, uno sconosciuto, per poi chiamare la polizia.

    Un clacson suonò. Lo sguardo di Lauren andò di colpo allo specchietto retrovisore, e i suoi occhi incontrarono quelli del conducente di un furgone blu dietro di lei, per poi spostarsi in direzione della fila di veicoli che si snodava dietro di lui, in attesa. Spinse il piede sull’acceleratore più forte di quanto avesse intenzione, facendo balzare in avanti il Navigator, agitandosi ancora di più. Ecco cosa intendeva Jeff quando diceva che non era più in sé. Sei settimane dopo essere stata dimessa dall’ospedale, il dottor Bettinger l’aveva autorizzata a guidare, a condizione di affrontare brevi percorsi e su strade conosciute, ma anche se il dottor Bettinger aveva dato l’ok, Jeff pensava che fosse troppo presto. A volte, quando lei gli lanciava un’occhiata da un capo all’altro della stanza o quando andavano a fare compere o erano fuori per lavoro, lui si dava dei colpetti sulla tempia. Pensa. Voleva che pensasse, che fosse vigile, che fosse assennata. Voleva che fosse di nuovo se stessa. Ed era quello che faceva Lauren, solo nella maniera peggiore.

    Recuperò delle scatole da imballaggio al negozio di un trasportatore e, prima di uscire, richiamò l’ufficio dello sceriffo, sperando di ritrovare Marilyn, per dirle di non preoccuparsi di Bo Laughlin. Ho esagerato, voleva dirle. Non era preparata a sentire la segreteria telefonica e balbettò delle scuse imbarazzate. Poi cercò di non pensare all’incidente, ma non ci riusciva, non completamente. Non sapeva perché, ma quando la settimana successiva scoprì della scomparsa di Bo Laughlin, rimase scioccata, tuttavia si sentì anche scagionata. In fondo, forse non era del tutto pazza. Le parve sensato contattare le forze dell’ordine e ricordare loro del suo incontro con Bo. Jeff ribatté che era meglio evitare, che non aveva bisogno di ulteriore stress. Lei disse a se stessa che quando aveva visto Bo salire sull’auto – che si rivelò poi essere una Lincoln, non una Cadillac – era già troppo tardi per salvarlo.

    Ma secondo Lauren, il concetto di troppo tardi non era così facile da definire; non era un punto che potevi indicare dicendo: Ecco, è questo, il momento esatto in cui la vita di tutti i giorni finiva e aveva inizio l’incubo. Con il senno di poi, per quanto si sforzasse di individuarlo, Lauren non riusciva a capire quale fosse stato il momento esatto in cui, se solo avesse realizzato la natura della calamità che stava prendendo forma, avrebbe potuto fare qualcosa, agire in qualche modo per prevenirla, in modo da tenere tutti al sicuro.

    2

    Il guaio della vita, per quel che ne sapeva Annie Beauchamp, è che non ti dà mai la possibilità di capire cosa ti aspetta. Quando succede qualcosa di terribile, la vita semplicemente ti attacca, correndo a tutta velocità e colpendo, di solito alle spalle. Allora finisci a terra. Rimani lì dolorante, con il cuore spezzato, cercando di riprenderti, di rimettere insieme i pezzi e, quando ti guardi indietro, ti rendi conto che non avevi avuto alcun sentore, neanche un sospetto.

    Era stato così quando suo padre se ne era andato, lasciando lei e la madre. Annie aveva tre anni. Ed era stato così quando era morta sua madre, una notte di aprile di due anni prima, in un incidente stradale. Era stato così anche quel venerdì mattina d’ottobre, quando si era recata al Madeleine’s, il bar dove lavorava come cameriera, solo che ancora non lo sapeva.

    Annie non aveva avuto il minimo presentimento quando Madeleine era uscita dalla cucina dopo la calca dell’ora di pranzo per chiedere di Bo e sapere da Annie se poteva chiamarlo e chiedergli se era disposto a lavorare durante il turno della cena. Spesso Madeleine impiegava Bo come cameriere o come lavapiatti. Inoltre, quando prendeva le medicine, era un ottimo aiuto cuoco.

    Annie disse che avrebbe cercato di contattarlo e, dopo aver appoggiato la zuccheriera che stava riempiendo, prese il cellulare dalla tasca del grembiule pensando, come sempre, a quanto fosse gentile Madeleine. Pensò che Bo avrebbe fatto meglio ad avere il cellulare acceso – spesso non lo era – e ad accettare di venire lì ad aiutare Madeleine, altrimenti l’avrebbe ucciso. Ma non rispose, e quando chiamò il padre – il suo patrigno in realtà, sebbene non l’avesse mai chiamato in altro modo se non JT – lui rispose che non sentiva né vedeva Bo da una settimana.

    «Allora, come stai? Cosa fai di bello?», chiese Annie. JT non la degnava di uno sguardo da più di un mese, ma lei non si aspettava che commentasse la cosa né che le chiedesse come stava. Si erano allontanati da quando sua madre era morta.

    «Oh, sai, le solite cose», rispose JT, il che significava lavoro, casa, cibo pronto davanti alla tv e a letto, in quest’ordine. Il giorno dopo, tutto daccapo. Un giorno Annie aveva chiesto a sua madre cosa ci trovasse in JT, e sua madre le aveva risposto che era una certezza, come il notiziario delle sei. Poteva contare sul fatto che aveva un lavoro, che portava a casa lo stipendio, che cenava con lei a casa e rimaneva lì, in più era gentile. A differenza del padre di Annie, intendeva dire. Chissà dov’era finito?

    Annie disse a JT che magari lui e Bo potevano venire al bar e cenare insieme uno di quei giorni, riunire la famiglia, come un tempo. Questo era il massimo della sua capacità di anticipare il futuro e pianificarlo.

    «Sì», disse JT. «Certo che sì, bambina. Lo faremo, magari la prossima settimana».

    Annie riagganciò. Non si era minimamente allarmato per Bo. Ma neanche lei si preoccupava troppo spesso per il suo fratellastro. Conosceva il suo modo di fare e i posti che frequentava e sapeva che poteva distrarsi. Si affacciò in cucina e disse a Madeleine che non era ancora riuscita a trovarlo, ma che avrebbe continuato a cercarlo. Madeleine annuì, imperturbabile quanto Annie.

    Poi disse: «Domattina devi venire presto per preparare i dolci».

    Glielo stava letteralmente ordinando, ma dopo un anno e mezzo di lavoro al bar, Annie si era abituata alle maniere brusche dell’anziana donna. In effetti, era arrivata ad apprezzarle. Sapevi sempre qual era il tuo posto con Madeleine, e comunque sotto sotto aveva il cuore tenero come burro in una giornata d’estate. Chi altri avrebbe lasciato a Bo la possibilità di lavorare? Frequentava il liceo quando Madeleine lo aveva assunto per la prima volta, era più affidabile e meno pazzo, ma da allora ogni anno, lui aveva ceduto sempre più terreno di fronte all’avanzata del mondo immaginario che aveva fatto apparire nella sua testa.

    Annie gestiva i suoi soldi quando lui le permetteva di farlo. Pagava le sue bollette e, come JT, aveva sempre un letto pronto per lui, sebbene lui preferisse vivere per strada. Vivere in libertà, diceva. Vivere a contatto con la natura. Portava con sé il cellulare che lei gli aveva dato solo perché aveva insistito. Non voleva apparecchi elettronici, neanche la tv; non riusciva a guardarla. Le immagini in movimento e le voci lo facevano agitare. Non aveva neanche bisogno di un letto. Non dormiva molto. Perlopiù camminava, camminava moltissimo. E scriveva su un piccolo taccuino che teneva nel taschino della camicia. Diceva di essere come Thoreau. «Lo conosci?», le aveva chiesto. Annie non capiva perché camminasse così tanto. O almeno non del tutto. Quando ci si metteva era risoluto. A ventitré anni, sembrava più sicuro della direzione che voleva far prender alla sua vita di quanto non lo fosse lei a ventisette. Annie si disse che all’epoca anche a Thoreau avevano detto che era uno svitato e un fanatico.

    C’erano giorni in cui Bo si presentava di punto in bianco sul portico davanti casa sua all’alba, o a mezzogiorno, o alle due del mattino, con in mano dei fiori infangati, erbacce che aveva strappato con tutte le radici lungo il ciglio della strada, o un bouquet floscio che aveva trovato nella spazzatura. Altre volte, più di recente, l’aveva incrociata per strada e si era comportato come se non la conoscesse. Annie lo sfamava e lo teneva d’occhio meglio che poteva, quando lui lo glielo permetteva. Era quello che aveva fatto sua madre, anche se Bo non era figlio suo. Lo aveva tenuto d’occhio per i diciassette anni in cui era stata sposata con il padre di Bo. Secondo Annie, a sua madre era importato più della salute di Bo di quanto non importasse a JT. Non che JT lo trascurasse intenzionalmente. Era solo che man mano che Bo andava alla deriva nel suo mondo, JT sembrava meno capace di relazionarsi con lui, di stare con lui e di prendersi cura di lui. Così Annie aveva deciso di assumersi la responsabilità perché qualcuno doveva pur farlo. Qualcuno doveva pur interessarsene.

    Uscì dal bar dalla porta sul retro e si diresse verso la sua macchina, una bmw malandata del 1983 che sua madre aveva comprato usata e che proprio in quel momento aveva raggiunto qualcosa come i 519.000 chilometri. Ogni giorno, Annie si chiedeva quanto ancora poteva reggere. Odiava dover contare così tanto sull’auto e il fatto di dover essere così grata per una cosa che aveva solo perché sua madre era morta.

    Annie aprì la portiera della bmw e mentre aspettava che si disperdesse il calore, Carol Fisher parcheggiò il furgone accanto a lei. Il furgone di Carol era se possibile ancora più vecchio e malmesso dell’auto di Annie. In più, non aveva neanche una mano di vernice. Ma a Carol non poteva importare di meno. Anche lei serviva ai tavoli del Madeleine’s, e rideva sempre quando qualcuno – uno dei loro clienti abituali, per esempio – ci scherzava su. «Ehi, guarda che l’ho pagato, stronzo», scherzava.

    Annie le voleva bene; amava il modo in cui Carol viveva la vita come se fosse una fonte di gioia, una grande avventura. Lei e suo marito, Leonard – Carol lo chiamava Len – e quattro figli grandi, che a eccezione di uno erano rimasti a Hardys Walk, erano i proprietari della fattoria biologica Fisher and Sons, dove allevavano bestiame, coltivavano ortaggi e si occupavano del raccolto, tutto naturale e biologico. Madeleine si riforniva dai Fisher, come molte altre persone. A volte erano proprio le stesse persone che dicevano che non si facevano i soldi con l’agricoltura, specialmente nel modo in cui i Fisher facevano gli agricoltori. Quando Carol li sentiva faceva scoppiare la sua contagiosa risata e diceva che avevano ragione, di sicuro non ci si ricavavano molti soldi. Solo una gran soddisfazione, diceva. Soddisfazione e appagamento. Annie ne era invidiosa.

    «Come si diventa così?», avrebbe voluto chiedere. Voleva tanto saperlo. Ma nessuno sapeva spiegarglielo, neanche Carol. «Lo fai e basta», diceva. «È facile», diceva. «Tesoro, puoi essere felice negli stessi panni in cui sei triste, credimi», diceva.

    La porta del furgoncino sbatté, e Annie aspettò di veder apparire Carol. Di solito, dal lunedì al giovedì, Carol arrivava prima della calca del pranzo e lavorava durante la cena fino a chiusura, ma quel giorno aveva un appuntamento dal dottore.

    «Ehi», disse Annie quando Carol spuntò dal retro del furgone.

    «Ehi». Carol ripose le chiavi nella borsa. «Stai andando alla fattoria? Len ha ricevuto il tuo ordine. Gli ho detto di metterti da parte qualche zucca».

    «Le Small Sugar?». Era l’unica varietà che Annie usava per fare i muffin alla zucca, per i quali era famosa. Non sapeva bene per quale motivo fosse diventata la pasticcera ufficiale del bar. Madeleine e Carol – tutti in realtà – avevano dato per scontato che le piacesse, ma Annie non sapeva se era così. Non si era azzardata a replicare, se non per dire che per lei non era un problema. Tranne che per gli orari, quelli erano terribili. Prima del canto degli uccelli, Annie era già al lavoro, con le mani immerse nella pasta fino ai gomiti, ogni giorno tranne la domenica, quando il bar era chiuso. Madeleine era vecchio stampo. Diceva che il Signore sapeva il fatto suo quando aveva dichiarato la domenica giorno di riposo. Madeleine diceva che solo perché hai la possibilità di rimanere aperto e lavorare sette giorni su sette, questo non significa che tu debba farlo.

    Madeleine diceva anche che la pasticceria dava uno scopo e una direzione alla vita di Annie, ma Annie non era certa neanche di questo.

    Guardò Carol. «Non è che per caso hai visto Bo mentre venivi qui?»

    «No, è sparito di nuovo?»

    «È andato a fare una delle sue camminate, suppongo. Oppure in biblioteca».

    Annie pensò a quando, circa un anno prima, la biblioteca aveva chiuso e Bo era rimasto intrappolato dentro per tutta la notte. Non se ne era nemmeno accorto. Lo avevano trovato il mattino seguente, addormentato nella corsia tra i libri di filosofia e astrologia, con un libro di Carl Sagan in mano. Aveva ripetuto brani di quel libro per settimane dopo l’episodio, così spesso che Annie aveva pensato di impazzire. Poteva ripeterli ancora se qualcuno glielo avesse chiesto: "Per preparare una torta di mele, devi prima aver inventato l’universo". Bo lo aveva ripetuto migliaia di volte. Annie non sapeva bene cosa significasse, anche dopo che lui aveva cercato di spiegarglielo. Si ricordò che lui diceva che la citazione lo faceva pensare a lei, al suo amore per la pasticceria.

    «Ma io non sono sicura che mi piaccia la pasticceria», ribatteva lei.

    «Imparerai», diceva lui, «se lo fai abbastanza a lungo. Hai bisogno di qualcosa da amare nella vita». Di qualcuno, aveva aggiunto. Non solo sua madre, intendeva. Anche se era impossibile. Nessun altro sarebbe mai potuto essere dolce e costante come sua madre. A nessun altro sarebbe importato così tanto di lei. Quando sua madre era morta, molto tempo prima che lei fosse pronta a lasciarla andare, Annie aveva pensato che sarebbe morta anche lei. Ma non era successo.

    Ora incrociò lo sguardo di Carol. «Mi fermo in biblioteca mentre vado alla fattoria. Probabilmente si è perso tra gli scaffali».

    «E sta facendo impazzire tutti quanti», disse Carol.

    «Già», disse Annie. C’erano persone in città che cambiavano strada pur di evitare Bo. Lo ignoravano, facevano finta che fosse invisibile, e ce n’erano altre che lo tolleravano e se ne prendevano cura, ma erano anche esasperate da lui, dal modo in cui camminava avanti e indietro e parlava incessantemente o non rispondeva mai. In biblioteca riusciva a diventare una piaga, visto il modo in cui vagava per i corridoi, parlando da solo, citando interi brani a memoria per ore e ore. Prendeva anche i libri dagli scaffali, ma i bibliotecari erano in qualche modo riusciti a insegnargli a rimetterli al loro posto. Altrimenti, Annie era certa che lo avrebbero cacciato via.

    «Hai chiamato JT?», chiese Carol.

    «Non lo ha visto». Annie salì sulla bmw, chiuse la portiera, accese il motore, e una parte del suo cervello registrò uno strano singhiozzo, che non aveva mai sentito prima. Ma lo ignorò. Abbassando il finestrino disse: «Ci vediamo dopo».

    Carol la salutò con la mano. «Chiamami se trovi Bo».

    Annie disse che l’avrebbe fatto. Non notò che Carol aveva detto se e non quando.

    3

    «Ehi».

    Lauren sentì Jeff che si sedeva di fianco a lei sul bordo del letto. Sentì il suo palmo, fresco sulla guancia, lo sentì sistemarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e rimase sorpresa dalla sua tenerezza. Non la toccava da giorni, forse da settimane. Non sapeva dire esattamente quando era iniziato il suo allontanamento. Era possibile che avesse immaginato il suo distacco, e la tensione crescente tra di loro. Le sembrava che i suoi pensieri, le impressioni che la sua mente sfruttava, fossero come castelli di sabbia, costruiti e distrutti in base al capriccio di una qualche marea mentale al di là del suo controllo, persino della sua comprensione. Ma la sua vicinanza ora le aveva causato uno struggimento, come se il suo corpo avesse riconosciuto il tocco premuroso che le era mancato.

    «Come va la testa?», chiese. «Fa ancora male?»

    «Mi dispiace tanto», disse lei come se il dolore fosse colpa sua. I mal di testa erano parte della serie di sintomi che continuavano ad affliggerla dall’incidente. Non erano vere e proprie emicranie. Non aveva i disturbi visivi che spesso le accompagnavano, né soffriva di nausea, ma era comunque un colpo in grado di metterla a tappeto.

    «Cosa hai preso?».

    Ovvio che Jeff voleva saperlo. Era normale, visti i precedenti.

    «Solo quello che mi ha dato il dottor Bettinger». Lauren non riusciva a ricordarsi il nome. Ma si ricordava che quando aveva espresso la sua preoccupazione, lui le aveva detto che era perfettamente consapevole della situazione e che il farmaco che le stava prescrivendo non era un narcotico. Le aveva lanciato un’occhiata offesa. Forse era ridicolo pensare che un medico potesse prescrivere farmaci che causano dipendenza a una tossicodipendente in via di recupero. E comunque, il dottor Bettinger non le piaceva molto. I suoi modi erano più freddi delle sue mani.

    A Lauren mancava Margaret. Quando la visitava, aveva sempre le mani calde. Quando Lauren era piccola, Margaret faceva scorrere l’acqua calda sul disco dello stetoscopio prima di appoggiarglielo sul petto. Ma Margaret era più di un medico per Lauren; era anche la sua madrina

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