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Natale a Notting Hill
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E-book509 pagine41 ore

Natale a Notting Hill

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Info su questo ebook

Numero 1 in Italia
Dall'autrice del bestseller Un diamante da Tiffany

Migliaia di addobbi e luci scintillanti decorano Londra mentre si avvicina il Natale, ma Nettie Watson non è in vena né di feste né di regali. Il Natale, per lei, è solo il ricordo doloroso di quello che aveva, della vita che era abituata a fare e di chi non c’è più… Quando, con sua grande sorpresa, si ritrova al centro di una campagna mediatica senza precedenti e, ancora più inaspettatamente, attira l’attenzione di Jamie Westlake, la popstar più amata del momento, la situazione la coglie del tutto impreparata. Jamie è famoso per essere un impenitente spirito libero ma l’attrazione nei confronti di Nettie è evidente e innegabile, come del resto i suoi sforzi per ignorare i propri sentimenti e la straordinaria chimica tra loro… Nettie, dal canto suo, è alle prese con profonde ferite: il dolore per la scomparsa della madre è ancora troppo fresco e non ha idea di come lasciarselo alle spalle per accogliere la gioia di quelle luci sfavillanti, della pienezza degli abeti carichi di neve e la promessa di quell’amore che sta bussando al suo cuore…

«Colta, capace di gestire la propria immaginazione con la lucida professionalità di un orologiaio svizzero, Karen Swan sa bene come creare un bestseller.»
Il Messaggero

«Uno scrigno che è un mix di leggerezza e sentimento.»
D – la Repubblica

«È il libro da regalare, regalarsi e divorare.»
Panorama
Karen Swan
Ha iniziato la carriera di giornalista di moda, prima di rinunciare a tutto per prendersi cura dei suoi tre figli e realizzare il sogno di diventare una scrittrice. La casa in cui vive si affaccia sulle splendide scogliere del Sussex. Con la Newton Compton ha pubblicato i bestseller Un diamante da Tiffany (numero 1 nelle classifiche italiane), Un regalo perfetto, Shopping da Prada e appuntamento da Tiffany, Quell’estate senza te, Natale a Londra con amore, Quell’estate da Tiffany, Natale sotto la neve e Natale a Notting Hill. Ha partecipato al prestigioso Festival Internazionale di Roma – Letterature.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2016
ISBN9788854199699
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    Anteprima del libro

    Natale a Notting Hill - Karen Swan

    Prologo

    Novembre, tre anni prima

    Il biglietto giaceva sul tavolo in una chiazza di sole, granelli di polvere roteavano nell’aria come una danza di folletti. Tutto intorno era silenzio. Una tazza di caffè lì accanto era mezza piena, ma si era formato come un velo sulla superficie e il liquido riposava sotto la linea di marea lungo la parete interna. La sedia era posta a un’angolazione insolita, il giornale chiuso e non letto, il contenuto della fruttiera eccessivamente maturo.

    Era rimasta sulla porta, fissando la scena come se fosse un dipinto olandese – questo è quel che avrebbe sempre ricordato di quel momento, mentre il suo istinto registrava la storia che si dipanava davanti a lei.

    C’erano voluti alcuni minuti per spostarsi dalla soglia ed entrare in scena, diventare un attore sul palcoscenico. Ma i piedi avevano fatto il loro lavoro, e gli occhi, sul biglietto, il loro.

    Fu così che tutto ebbe inizio.

    Capitolo 1

    Dicembre, oggi

    «Sono un coniglietto blu gigante. Un bizzarro coniglietto blu. Certo che lo sono. Certo che lo sono», borbottò Nettie, la voce soffocata sotto l’enorme testa da coniglio di peluche, un lungo orecchio penzoloni a oscurarle la visuale già ridotta.

    «Il lato positivo è che ti fa il sedere carino», sogghignò Jules, dando un colpetto al pompon bianco della coda.

    «Davvero?». Nettie torse il busto per sbirciare il grosso fondoschiena modellato nello specchio, ma l’orecchio si mise in mezzo ancora una volta.

    «Davvero», confermò Jules con un ghigno perfido. «Tanto meglio per Alex quando lo agguanterà la prossima volta che tornerai a…».

    «Non ci sarà una prossima volta», sbottò Nettie, ruotando su se stessa e battendo il piede – be’, la zampa – sul pavimento. «Non questa volta. Abbiamo chiuso. Chiuso completamente… Che c’è?».

    Jules era crollata contro il muro come fosse stata lei a scaraventarla. «Fallo ancora».

    «Cosa?»

    «Batti il piede».

    «Vuoi dire così?». Nettie batté di nuovo il piede a terra.

    Jules scoppiò in una risata chioccia. «Mi hai riportato alla mia infanzia! Sai che sei tale e quale a Tamburino quando lo fai?»

    «Oh, be’, se ti diverti con così poco…». Cercò di schiacciare indietro l’orecchio pendulo con una zampata. «Tu sarai favolosa, mentre io devo sopportare la consueta umiliazione di indossare questo coso».

    «Ah, non preoccuparti – nessuno saprà che ci sei tu lì dentro», disse Jules, sforzandosi di soffocare una risatina mentre armeggiava con l’orecchio di peluche perché rimanesse piegato indietro. «E poi, è per una buona causa».

    «Ma non vedo perché devo essere un coniglietto blu gigante! Non c’è mica una festa per marmocchi, là fuori. A chi verrà in mente di dare dei soldi a me? Guardati. Sei uno schianto vestita in quel modo. Aspetteranno tutti che sia tu ad andare in giro con il secchiello per la raccolta fondi». Nettie considerò con invidia il costume tradizionale svizzero in versione ridotta e ultra sexy che indossava Jules, con i seni che spuntavano dal corpetto come due pesche servite su un vassoio. Anche lei avrebbe fatto la sua figura con quel vestito, lo sapeva, se le avessero dato una mezza possibilità. Ok, forse non proprio come le sue affascinanti colleghe – non aveva gambe lunghe fino al soffitto o il ventre piatto come un’asse per il bucato, tanto per cominciare – ma le sue curve dolci e gli occhi a mandorla (non solo nella forma, anche nel colore) e, come punto forte, una liscia chioma nocciola, lucida e morbida allo stesso tempo, meritavano qualcosa di più dell’essere mummificata dentro quel costume mostruoso.

    «Già, può darsi, ma era una svendita per cessazione d’esercizio ed erano rimasti solo tre di questi costumi». Jules annuì con enfasi, tirandosi il corpetto un po’ più in basso. «L’unica altra cosa che avevano era una banana gigante, a quanto pare. Immagino che Mike abbia pensato di farti un favore».

    «Mi farebbe un favore se mi indicasse dove, nella descrizione delle mie mansioni, è contemplato il mascherarsi con un costume ridicolo. Santo cielo, siamo dei professionisti!».

    Jules scrollò le spalle con aria impotente. «Be’, guarda il lato positivo – almeno starai calda dentro a quel coso. Fuori fa un freddo boia».

    «Farei volentieri a cambio», disse in fretta Nettie.

    «No, stai benissimo». Jules ammiccò, una luce maliziosa negli occhi castano chiaro. «Trovo che quel corridore canadese sia piuttosto attraente… com’è che si chiama?»

    «Cameron Stanley?»

    «Sì, lui. Suppongo che questo potrebbe aiutare la mia causa». Armeggiò ancora un po’ con la scollatura e rinfilò qualche ciuffo ribelle nelle trecce corte e spesse; i capelli neri e ricci le arrivavano appena sotto la linea del mento e acconciarli in quel modo era stato un lavoro infernale. «Credi che abbia una ragazza?»

    «Non ne ho idea», borbottò Nettie, accigliandosi al pensiero che non avrebbe avuto alcuna possibilità di rimorchiare dentro quel costume ridicolo. Non che avesse voglia di uscire con uno di quei ragazzi. Erano pazzi, tutti. Da rinchiudere, in realtà. Altrimenti perché si lancerebbero giù per una pista di ghiaccio ripida e tortuosa su un paio di pattini?

    Dall’altro lato degli schermi balenavano luci rosse, rosa, verdi e blu, il clamore della folla sempre più intenso via via che il dj la portava a uno stato di frenetica eccitazione. Sembrava più un concerto rock che un evento sportivo, sebbene gli sponsor (e i migliori clienti della sua agenzia di marketing), quelli della White Tiger, si fossero ritagliati una nicchia come sostenitori di sport duri ed estremi che erano in pratica non assicurabili, attirando una folla di irriducibili appassionati, e questo appuntamento annuale era diventato la competizione preferita dai fan.

    Ed eccola lì, nel bel mezzo dell’evento, nei panni di un coniglietto blu gigante. Nettie prese il suo secchiello per la raccolta fondi. Le prime eliminatorie erano state completate e aspettavano l’inizio della seconda manche da un momento all’altro; poi sarebbero andate in giro a raccogliere fondi per Tested, l’associazione che sosteneva la lotta contro il tumore testicolare e che al momento stava godendo delle attività di beneficenza previste nella responsabilità sociale d’impresa (rsi) della White Tiger.

    «Ma insomma, perché ci mettono così tanto?», protestò Jules sbirciando la pista oltre il tabellone dello sponsor White Tiger e massaggiandosi le braccia in cerca di calore. «Morirò assiderata se vanno avanti così».

    Nettie arrivò alle spalle di Jules e avvolse le braccia pelose intorno all’amica – con il suo metro e sessantacinque, di solito era circa sette centimetri più bassa di Jules, ma al momento la superava di almeno tre spanne grazie al testone di peluche. «E non dire che non faccio mai niente per te».

    «Ah, così va meglio», sospirò Jules mentre osservava un paio di ingegneri che si consultavano in cima alla rampa. Avevano un’espressione preoccupata e parlavano a intervalli dentro le cuffie con microfono, sbatacchiando di tanto in tanto i cancelletti di partenza dietro di loro. «Mmm, guai in vista».

    Ma l’attenzione di Nettie era altrove. L’altezza non era il suo forte, e la pista rivestita di ghiaccio, costruita su ponteggi appositamente adattati, si innalzava a sessanta metri dal suolo. Due strette ali di spettatori fiancheggiavano la discesa su entrambi i lati, e Nettie notò segni di impazienza tra i tifosi con capelli lunghi e pizzetto, mani guantate che cominciavano a battere ritmicamente sul parapetto. Molti di loro avevano lo stesso aspetto nodoso e imbottito dei concorrenti dietro ai cancelletti, caschi e pattini ai piedi, pronti a partire, che battevano i pugni nei palmi delle mani per mantenere alti i livelli di adrenalina e aggressività. L’ice cross downhill, la discesa libera su pattini da ghiaccio, non era uno sport per i deboli di cuore – a dire il vero, faceva apparire l’hockey su ghiaccio, famoso per le scazzottate sul campo, decisamente fiacco al confronto – e il titolo dato all’evento era azzeccato: Ice Crush, Rompighiaccio. Fin lì c’era stato un polso fratturato e una spalla lussata, e mancavano ancora sei manche.

    Uno degli ingegneri si avviò nella loro direzione; a giudicare dall’espressione della sua faccia, si stava sorbendo una bella ramanzina attraverso l’auricolare.

    «Ehi», lo chiamò Jules quando le passò davanti. «Che sta succedendo?».

    Notando Jules nel suo costume provocante, il tipo fu lieto di fermarsi. Si allontanò il microfono dalla bocca: «Difficoltà tecniche. Il meccanismo del cancelletto si è inceppato».

    Jules fece una smorfia. «Oh, ma io sto gelando. Prima esco di qui con il mio secchiello, prima potrò mettermi addosso qualcosa di decente».

    L’ingegnere non parve particolarmente motivato a far sì che questo accadesse.

    Nettie guardò i concorrenti che cercavano di mantenersi caldi e carichi dietro i cancelli. «Quanto ci vorrà per ripararlo? Hanno più l’aria di voler scatenare una rissa che di gareggiare».

    «Potrebbero volerci ore. Dobbiamo arrivare al quadro elettrico nel seminterrato, ma uno stupido idiota ha costruito le rampe sopra la botola di accesso. Se non risolviamo in altro modo, dovremo cancellare l’evento».

    «Oh, grandioso», gemette Nettie. «Siamo venute fino a Losanna per niente».

    «Non per niente. Aspetta a dirlo finché non faremo il giro dei locali più tardi». Jules sogghignò e si rintanò contro la pelliccia del coniglio per tenersi al caldo.

    «Mike scenderà sul sentiero di guerra se torniamo solo con questi a riempire il piatto». Nettie scosse il secchiello giallo con aria afflitta e si sentì il tintinnio di poche monete.

    «Be’, è stata una pessima idea in ogni caso», disse Jules. «Continuo a dirgli che nessuno raccoglie più fondi scuotendo un secchiello – a parte la Legione Straniera e l’Esercito della Salvezza. Se era questo che aveva in serbo per noi, tanto valeva piazzarci davanti a un punto vendita Tesco».

    Nettie si rivolse all’ingegnere. «Non c’è davvero nulla che si possa fare? Perché in tal caso andrei a togliermi questo costume. Puzza e pesa una tonnellata».

    L’uomo si strinse nelle spalle. «Non ci sarà alcuna gara se i concorrenti non possono nemmeno uscire dai cancelli».

    «Non possono semplicemente allinearsi davanti ai cancelli?», domandò Jules.

    «I cancelli sono troppo bassi, se li hanno alle spalle. Quindi alla partenza poggerebbero il peso sul piede posteriore e non su quello anteriore, com’è logico per ottenere la potenza esplosiva necessaria per prendere d’assalto la pista».

    «Ah».

    Nettie avrebbe detto che una pendenza di settanta gradi e due lame d’acciaio sotto i piedi sarebbero state più che sufficienti per partire all’assalto. «Allora perché non piazzate qualcuno davanti a ogni cancello in modo che il singolo concorrente possa aggrapparsi a lui? In questo modo, riuscirebbero a portare il peso del corpo in avanti».

    «Farebbe un po’… cagare». Si accigliò.

    «Lo hanno fatto alla gara di snowboard alle Olimpiadi invernali», disse Nettie stringendosi nelle spalle.

    «Sì, potrebbe… potrebbe essere un’idea», concluse l’ingegnere con aria assorta, ascoltando le parole del capo nell’auricolare e considerando il suggerimento di Nettie allo stesso tempo. Parlò in fretta dentro il microfono.

    «Dovremmo andare noi a farlo», sibilò Jules.

    «Cosa?»

    «Sì, ci darebbe grande visibilità. Ci vedranno tutti, lassù, prima di avventurarci in mezzo alla folla».

    «Ci darebbe grande visibilità eccome – tutti avrebbero gli occhi puntati sotto la tua gonna!», rise Nettie.

    L’ingegnere non poté fare a meno di sentire e tornò a guardare Jules. «Quante altre ce ne sono come te?», le chiese, con un guizzo ammirato degli occhi a indicare il suo costume.

    «Vestite come me, altre due», disse Jules. «E qui c’è il nostro coniglio gigante».

    «Sì, quattro…», disse l’ingegnere dentro il microfono. «È l’unica possibilità che abbiamo… lo so», mormorò. Guardò le ragazze e dopo pochi istanti alzò il pollice in segno di assenso. «Ok, allora. Fate venire qui le altre».

    «Yo! Daisy! Caro! Tocca a noi!», gridò Jules.

    Daisy – un metro e ottanta, gambe che arrivavano alle ascelle di Nettie e capelli biondi morbidi come piume di cigno – spuntò da dietro l’angolo con l’aria di Heidi Klum nel ruolo di Heidi. Caro, una ragazza magra con capelli biondo fragola, lentiggini e una grave forma di dipendenza da gomma da masticare, la seguì a ruota.

    «È tempo di gettarsi nella mischia?», chiese Daisy con aria svogliata, infilando il cellulare nella tasca del vestito. «Era ora. Ho dei piani per stasera. Il migliore amico del mio secondo ragazzo ora vive qui e devo vedermi con lui dopo l’evento».

    «Sì, be’, c’è stato un inconveniente tecnico e noi daremo una mano», disse Jules mentre l’ingegnere diceva loro di seguirlo.

    «Scusate, ma… che sta succedendo?», chiese Caro appena si allinearono di lato, lungo la sommità della pista.

    «Scegliete il vostro campione, ragazze. Dovremo tenerli per mano», ammiccò Jules. «Io prendo il numero tre. Cam Stan sarà il mio uomo», rise, trotterellando via in direzione della pedana di partenza.

    «Di cosa sta parlando?», volle sapere Daisy, sbirciando dentro gli occhi del coniglio per capire chi si nascondesse all’interno. «Nettie?»

    «Sì, sono io», sospirò Nettie. «E dobbiamo metterci davanti ai cancelletti così i corridori possono aggrapparsi a noi. I cancelli sono bloccati».

    «Oh, magnifico!», ironizzò Caro, masticando la sua gomma in modo talmente plateale che le mascelle sembravano azionate da una molla.

    La folla esplose in un boato quando le ragazze uscirono in fila – gambe abbronzate, seni prorompenti e trecce sexy che risaltavano nella luce dei riflettori, i secchielli sottobraccio mentre salutavano la folla sotto di loro. Cautamente, essendo la più ingombrante di tutte loro con un giro vita di duecento centimetri, Nettie le seguì adagio lungo la pedana che dominava la rampa ghiacciata, e uno scroscio di risate accompagnò il suo ingresso, come se fosse stata una burla volutamente pianificata. I concorrenti – avvisati dell’espediente adottato – si stavano già arrampicando oltre i cancelletti, apparentemente non impacciati dalle voluminose imbottiture e palesemente ansiosi di cominciare.

    «Salve». Nettie sorrise al suo concorrente nella corsia quattro, un austriaco di nome Juls Frinkenberg, che una volta si era classificato tra i primi tre del mondo.

    «Fantastico! Proprio a me il coniglio?», osservò irritato, uscendo mentre Nettie si infilava a fatica dietro di lui e andava a incastrarsi nello spazio angusto davanti al cancelletto.

    «È esattamente quel che ho detto anch’io», replicò, afferrandosi al cancello con una zampa e allungando l’altra a lui. Ingoiò a vuoto alla vista della discesa di ghiaccio che precipitava quasi in verticale a un solo metro di distanza da loro. Come poteva essere così smanioso di lanciarsi giù per quella pista? Ogni istinto del suo corpo le stava dicendo di tenersi maledettamente indietro.

    «Prendersi sottobraccio!», gridò l’ingegnere da un capo all’altro della fila. Nettie vide Jules ridere scioccamente mentre offriva il braccio a Cameron Stanley, come se fosse il preludio alla seduzione. Cameron parve più che lieto di allacciarsi a lei e, a differenza di Juls, niente affatto impaziente di lanciarsi giù per la pista, non ora che aveva la sua pastorella personale sulla linea di partenza.

    Juls si agganciò al braccio di Nettie, proprio mentre lei si accorgeva di avere ancora il secchiello appeso nell’incavo del gomito.

    «Oh…», disse, e fece per ritirare il braccio, ma il primo dei tre segnali di gara suonò all’improvviso e tutti si immobilizzarono, i concorrenti si accovacciarono nella posizione di partenza come lupi pronti alla caccia. Nettie si morse il labbro – al diavolo il secchiello – e cercò di serrare la stretta sul cancelletto, ma era difficile avere una buona presa con la zampa imbottita, e Juls si stava già proiettando in avanti, tirandosi dietro lei.

    Il secondo segnale strombazzò nell’aria e Nettie cominciò a tremare per lo sforzo di controbilanciare il peso di Juls mentre la zampa perdeva lentamente la presa.

    «Oh… oh…», gemette in preda al panico, tra istanti lunghi come settimane. Non avrebbe retto oltre; stava per mollare Juls… Oh Dio, stava per mollare quel concorrente giù per la rampa…

    Arrivò il terzo segnale e, come una corda che si spezza, Juls si staccò da lei. E così, con uno scoppio di urla di incoraggiamento, la tensione si ruppe e Nettie barcollò indietro contro il cancelletto e le orecchie pendule le ricaddero davanti agli occhi, così non poté vedere ma solo sentire i concorrenti sfrecciare via e il boato della folla accompagnarli come una ola, giù e lontano da lei.

    Provò una punta di sollievo – aveva avuto paura, paura allo stato puro, in quei pochi istanti in cui aveva pensato che Juls potesse trascinarla via con lui. «C’è mancato poco!», mormorò mentre si raddrizzava, le zampe lunghe, larghe e imbottite che scivolavano sul ghiaccio. Non c’era una scena in Bambi dove Tamburino volava lungo disteso su uno stagno ghiacciato?, si domandò mentre si girava per lasciare quella maledetta pedana e tornare al sicuro nell’area di raduno della gara.

    Ma il secchiello… lo aveva dimenticato mentre si affannava a contrastare il peso di Juls, e solo ora che le scivolò giù dal grosso braccio peloso e ruzzolò sul ghiaccio con un tonfo si ricordò della sua esistenza.

    «Oh! Merda!», esclamò, avanzando carponi per recuperarlo prima che precipitasse giù per la rampa. Se fosse rimbalzato contro un angolo per poi volare sulla folla, si sarebbe aperta una causa per lesioni prima che potesse uscire da quel ridicolo costume. Non pensò, tuttavia, di calcolare il peso maggiore della testa del coniglio, e appena si sporse in avanti per afferrare il manico del secchiello con una zampa, sentì il proprio corpo ribaltarsi. La discesa ghiacciata si allungò vertiginosamente davanti a lei e la spinse a rialzarsi con uno scatto maldestro ed esagerato, le zampe le scivolarono, e mentre eseguiva un ampio movimento col piede anteriore in cerca di una presa più salda, superò il bordo della pedana e cominciò immediatamente a rovinare lungo la lastra ghiacciata.

    «Nets?»

    La voce di Jules si perse subito in lontananza, la folla si avvicinò a velocità supersonica mentre precipitava lungo il primo dislivello, troppo scioccata, troppo terrorizzata per respirare, tanto meno per gridare. In ogni caso, il pubblico lo stava facendo al suo posto – urlando e ridendo e applaudendo mentre il gigantesco coniglio gli sfrecciava accanto, le braccia spiegate, le orecchie che volavano nella scia, le zampe, larghe e piatte, salde e leste sul ghiaccio. Cosa…? No… no… no… Non aveva mai sperimentato una velocità simile, mai previsto cosa succede al tuo corpo quando il terrore attiva l’istinto di sopravvivenza. Non riusciva a respirare; non riusciva a prendere fiato per cacciare un urlo. Invece, il corpo si immobilizzò mentre sfilava sul ghiaccio – immobile e allo stesso tempo più mobile di quanto fosse mai stata.

    Stava per morire.

    Stava decisamente per morire.

    La prima curva si materializzò davanti a lei prima che potesse registrarla. Il suo corpo era rigido dentro l’enorme costume, non riusciva a direzionarsi, fermarsi, vedere… Urtò contro il primo angolo, quasi subito contro il secondo, ma invece di cadere, rimbalzò contro le sponde come una pallina da flipper grazie al pancione rotondo del coniglio. Sinistra, destra, sinistra, destra… Avvertì i colpi, ma fu come incassarli dentro un costume da sumo a una festa scolastica – attutiti e distanti.

    Ok, allora non sono ancora morta.

    Ma… all’improvviso il percorso tornò rettilineo. Non le diede alcun sollievo, anzi, l’esatto contrario, e sentì il cuore quasi balzarle fuori dal petto mentre realizzava cosa l’aspettava – dopo le chicane arrivano i dossi, le rampe… e questo significava che stava per… stava per…

    Volò in aria come una palla di cannone, agitando le braccia spiegate come le ali di un cartone animato. Qualcosa – memoria muscolare, forse, da una lezione di sci della sua infanzia – le fece piegare le ginocchia preparandosi all’impatto e chissà come, sorprendentemente, superò il primo ostacolo e il secondo; era a malapena consapevole della folla o delle urla entusiaste che seguivano la sua corsa; ma il terzo… Sapeva che i corridori lo chiamavano l’Ammazzagiganti. Era questo a rendere l’evento così spettacolare, costruito appositamente per questa gara, e mentre volava più in alto di quanto un coniglio dovrebbe mai volare, sentì che stavolta non se la sarebbe cavata.

    Non seppe dire con certezza quando su divenne giù – mentre era in aria o quando impattò di nuovo sul ghiaccio? – ma il mondo fece un salto mortale, e per un tratto che era tutto bianco lei non vide che nero, la testa sballottata all’interno del capoccione del coniglio mentre ruzzolava, cozzava, sbandava e rimbalzava finché…

    Ci volle un momento prima che si rendesse conto di essersi fermata. Ci volle un momento prima che il clamore della folla raggiungesse le sue orecchie. Ci volle un momento prima che qualcuno le sfilasse cautamente il testone del coniglio e il mondo le piombasse addosso come un’onda anomala di suoni e colori, luci e applausi. Ci volle un momento prima che si ritrovasse in piedi, con due uomini imbottiti – le visiere dei caschi sollevate – che la sostenevano sotto le braccia e la facevano scivolare da un angolo dell’area di arrivo all’altro, acclamata come una leggenda. E ci volle ben più di un momento prima che vedesse il secchiello giallo passare di mano in mano tra la folla e riempirsi in un battibaleno.

    Capitolo 2

    Nettie adocchiò i custard cream¹. Erano il posto più sicuro dove posare lo sguardo mentre Mike si aggirava davanti alla lavagna bianca con un’eccitazione tanto più allarmante perché suscitata da lei.

    «Bene, immagino possiamo dire che l’evento sia riuscito, no?», disse Mike annuendo tra sé. «Di certo, i costumi hanno funzionato».

    «Decisamente», confermò Jules con un sorriso, uno dei biscotti aperto in due tra le mani, e Nettie sapeva che l’amica aspettava solo che Mike si girasse un momento per dare una leccata alla farcitura. «Li hanno accolti con entusiasmo, specialmente il coniglio – tosto e tenero allo stesso tempo».

    «Non era tenero», obiettò Daisy, alzando gli occhi dalle unghie che si stava limando. «Quel coso mi fa paura. Voglio dire, chi ha mai visto un coniglio blu?»

    «Chi ha mai visto un coniglio blu alto due metri, vorrai dire», ridacchiò Jules.

    «Esatto. È come un mutante».

    «Sai che ti dico, allora – la prossima volta lo indossi tu quel costume. Così, non dovrai guardarlo», suggerì Jules con altruismo, guadagnandosi un’occhiata sprezzante con tanto di sopracciglia elegantemente arcuate da parte di Daisy.

    «Non ci sarà una prossima volta», disse seccamente Nettie. Erano passati due giorni dall’evento sportivo e aveva ancora i lividi sulle braccia e sul busto a ricordare la sua disavventura; in più, il collo era indolenzito come se avesse dormito con la testa poggiata su un mattone.

    «Be’, quella combinazione è chiaramente ciò che ci serve per racimolare altri fondi», disse Mike, riprendendo a gironzolare schioccando ritmicamente le dita. Nettie notò la chiazza di capelli diradati appena Mike si fermò a esaminare il tracciato a zigzag sul grafico. «Le donazioni sono salite del settantasei per cento dopo il numero acrobatico di Nettie. È riuscita a coinvolgere il pubblico e a catturare la loro immaginazione». Girò sui tacchi e indicò Jules con sguardo attento. Non fu difficile per Nettie immaginarlo davanti allo specchio in camera da letto a provare quella mossa, magari credendosi Clint Eastwood con la pistola in mano al posto del telecomando. «Tosto e tenero, hai detto?»

    «Sì». Jules guardò Nettie, seduta accanto a lei. «Eri davvero adorabile mentre sfrecciavi sul ghiaccio agitando le braccia, le orecchie al vento».

    «Già, le orecchie mi hanno fatto impazzire. Erano buffissime», sbruffò Caro dall’altra parte del tavolo. «Onestamente, non avresti potuto programmare meglio l’intera faccenda».

    «Ah! Nettie non avrebbe mai sottoscritto un accordo del genere. Hai paura dell’altezza, vero?»

    «E della velocità», borbottò Nettie, certa di essere un caso limite di disturbo da stress post-traumatico.

    «Be’, la buona notizia è che sei sopravvissuta», disse Jules, dandole un buffetto sulla mano. «Un altro biscotto?»

    «Grazie». Nettie mordicchiò i bordi di un custard cream. Aveva bisogno di zucchero. Non dormiva bene, ultimamente.

    «Signore, potremmo concentrarci sull’argomento in questione, per favore». Mike aveva assunto il suo tono sarcastico, ma servì solo a farlo sembrare supplichevole, e Daisy riprese a limarsi le unghie. «Mi spiace essermi perso il numero acrobatico. Sarebbe stato utile vederlo. Dobbiamo escogitare altre idee come questa».

    «Ci penso io», disse Caro, picchiettando rapidamente sul suo iPad e prendendo poi il telecomando per Apple tv dal tavolo. In qualità di loro analista it e di dati, era la persona a cui rivolgersi per qualunque cosa tecnica (e per un cavo caricabatteria di riserva). «Ho già richiesto il filmato alla White Tiger… Ecco. L’ho inviato alla tua casella di posta», disse Caro con la solita aria annoiata. La sua intelligenza superiore comportava che raramente si faceva coinvolgere al di sotto di un certo livello di interesse.

    «Ah, bene…», disse Mike, illuminandosi in viso appena si accese lo schermo sulla parete. «Ok, perfetto, vediamo cosa abbiamo qui, allora».

    Si sistemò, e Nettie fece girare leggermente la propria sedia per avere una vista migliore sullo schermo bianco, mentre Titanium cominciava a pulsare attraverso gli altoparlanti e Mike annuiva a tempo di musica. L’angolo di ripresa della telecamera era ampio, faceva una panoramica su una folla di teste che si coloravano di rosso, rosa, bianco e blu delle luci intermittenti. Nettie provò un senso di nausea, di profonda nausea, quando l’obiettivo inquadrò la minacciosa parete di ghiaccio che si snodava tra la folla, i corridori già lanciati nella discesa in un luccichio di lame da ghiaccio e gomiti sporgenti.

    Poi lo vide. Un grumo blu che sembrava una goccia di Bostik Blu-Tack nell’ampia angolazione di ripresa, ribaltarsi sulla sommità della rampa, sbilanciato dalla grossa testa, le zampe imbottite prive di attrito e ingovernabili come un cuscino di piume gettato giù. Nettie avvertì una stretta al cuore mentre osservava il coniglio blu acquistare rapidamente velocità; nel giro di tre secondi doveva aver di certo sfiorato i cento chilometri all’ora, le braccia che si agitavano in aria – il secchiello appeso inutilmente al gomito – le orecchie al vento, proprio come avevano detto le ragazze. Si premette la mano sulla bocca in un gesto di inorridito stupore, seguendo il coniglio che rimbalzava da una sponda all’altra come un personaggio dei cartoni animati – un istante ritto in piedi, l’istante dopo piegato in due. Era quasi impossibile credere che ci fosse lei lì dentro, anche se il suo corpo ricordava ancora fin troppo chiaramente le sensazioni provate, e l’adrenalina tornò a frizzarle nelle mani, nei piedi, nello stomaco.

    Era vagamente consapevole delle risate delle ragazze – le sembrò di vedere, con la coda dell’occhio, che Caro aveva poggiato la testa sulla scrivania – ma non riusciva a staccare gli occhi dallo schermo. Ora le rampe salivano e, nel giro di un istante, si trovò a fissare a bocca aperta il coniglio che volava in aria, a pancia in su, le grosse zampe che creavano almeno un po’ di resistenza aerodinamica, prima di atterrare con un tonfo da sbattere i denti e scivolare fino in fondo alla discesa roteando su se stesso.

    Il pubblico in delirio quasi traboccava dalle transenne per applaudirla, mentre i corridori – che a quanto pare avevano seguito la scena con lo stesso terrore con cui lei l’aveva vissuta, perché nessuno si buttava giù per quella pista a cuor leggero – accorrevano in soccorso, la rimettevano in piedi e le sfilavano il testone da coniglio.

    L’illusione da cartone animato era svanita all’istante. La testa di Nettie sembrava una miniatura nel costume smisurato, e i lunghi capelli neri, arruffati dal caldo del peluche, ricadevano in ciuffi penduli sulle guance pallide; persino le sue labbra carnose – di solito rosee – erano sbiancate. Una risata stridula esplose nella sala delle riunioni mentre la sua testa barcollava leggermente, l’espressione attonita, gli occhi quasi strabuzzati a quanto pare divertenti come tutto il resto. Nettie osservò le proprie gambe cedere, le zampe scivolare sul ghiaccio in ogni direzione mentre due corridori – uno dei quali era l’ultima conquista di Jules, Cameron Stanley – la afferravano sotto le braccia e la mostravano esultanti al pubblico in visibilio.

    Gli applausi scrosciarono a più non posso.

    «Senti? Credevano ci fosse un uomo dentro quel costume», disse Jules. «Che sorpresa per loro trovarci una creaturina graziosa come te».

    «Probabilmente davano per scontato che ci fosse uno dei concorrenti», aggiunse Daisy. «Chi altro sarebbe capace di lanciarsi per quella discesa?»

    «Non riesco a credere di essere ancora viva», mormorò Nettie, gli occhi sgranati mentre osservava se stessa cerea in viso, che si sforzava di sorridere, di tenersi in piedi. «Dico sul serio. È stato un miracolo. Mio padre non dovrà mai vederlo».

    Mike premette il pulsante di pausa – fermando il filmato sull’immagine di Nettie sostenuta a braccia, la testa che ciondolava di lato – e si sedette sull’angolo del tavolo per riunioni, le braccia incrociate pigramente sulla coscia mentre si sporgeva verso di lei.

    «Bene, Nettie, penso che tutti noi possiamo vedere da soli l’incredibile reazione alla tua… ehm, scivolata». Sorrise. «Come ti sembra l’idea di ripetere il successo?»

    «Spaventosa». Scosse fermamente la testa e afferrò un altro biscotto.

    «No, no, non prendere una decisione affrettata. C’è una cosa che devi tenere a mente: non sarà mai spiacevole come la prima volta. L’hai già fatto, tienilo a mente, hai padroneggiato la pista».

    Padroneggiato la pista? Padroneggiato la pista? Era scivolata, precipitata, rimbalzata lungo uno strato di ghiaccio. Come poteva tradursi in hai padroneggiato la pista? Nessuna tecnica, nessuna volontà in gioco. «Avrei potuto morire, Mike».

    Mike scosse risolutamente la testa. «Il coniglio ti ha salvato, Nettie», replicò puntandosi un dito nella coscia. «Dentro quel costume eri al sicuro come in una botte di ferro».

    Ci fu una pausa. «Mica tanto al sicuro», ribatté Nettie sconcertata.

    La guardò per un lungo momento prima di inspirare bruscamente e tirarsi indietro. «Bene, lungi da me obbligarti a fare qualcosa che non vuoi fare. Sto solo cercando un modo per aiutarti».

    Nettie si accigliò. «Aiutarmi?»

    «Be’, sì. Sei responsabile delle donazioni di beneficenza. Non è un segreto che quando l’incarico è stato assegnato a Jules due anni fa, ha superato gli obiettivi che si era proposta del quarantasei per cento, mentre tu sei sotto del cinquantuno per cento. I clienti continuano a chiedermi se c’è qualche problema». Allargò le braccia. «E cosa dovrei rispondere, eh? Che la responsabile delle donazioni di beneficenza ha dei problemi personali? È forse un loro problema?»

    «Naturalmente no, ma…».

    Mike annuì ripetutamente, e quel ma echeggiò nella sala come una scusa bell’e buona. «Capisci cosa voglio dire?»

    «Ehm…». Nettie esitò, il biscotto davanti alla bocca, più a fini di protezione che di ingestione.

    «Non posso portarmi dietro un peso morto. Ognuno deve guadagnarsi il proprio posto nella squadra». Indicò in direzione della vetrata. «C’è gente che fa la fila per sedersi su quella sedia che stai occupando adesso. Giovani laureati, desiderosi di ottenere visibilità, esperienza…».

    Nettie non era certa che fosse vero. Apriva la posta ogni mattina. Arrivavano cinque cv a settimana, a dir tanto.

    «So che ti sei trovata in circostanze personali difficili, Nettie, ma credo che dovresti prenderti un po’ di tempo per pensare, pensare sul serio, se questo settore fa o no per te». Batté il pugno sul palmo della mano. «Ci vuole grinta, dedizione, fame di successo, passione. Tu eri così… così… affamata, Nettie».

    Con sua grande sorpresa, nessuna si fece avanti per dire che era ancora così. Nettie guardò attentamente le ragazze della squadra. Non c’erano segni evidenti di grinta o passione in nessuna di loro, e l’unica fame presente nella sala era già stata saziata grazie al piatto di biscotti. Daisy si stava esaminando i capelli in cerca di doppie punte. Caro teneva l’iPad furtivamente inclinato verso di lei, il che significava che stava giocando a solitario online. Solo Jules stava prestando la massima attenzione, gli occhi scintillanti di risentimento.

    «Che ti è successo? Dove sei finita?».

    Nettie avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. Sapeva esattamente cos’era successo.

    «Da quel che mi ha detto il mio predecessore, tu eri sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via, ogni giorno. Sapevi se eravamo a corto di tè o se bisognava ordinare altre cartucce per la stampante. Rispondevi al telefono al primo squillo. Ma ora?». Aggrottò la fronte. «Ora…? So che le cose non sono state facili per te, ma voglio che tu rifletta attentamente sulla direzione che vuoi imprimere alla tua carriera. È quella giusta per te? Perché se lo è, bisogna cominciare a ottenere qualche risultato, e in fretta. Il coniglio ha funzionato. Non scartarlo a priori. Dovresti pensare come volgerlo di nuovo a tuo vantaggio. Farne la tua argomentazione esclusiva di vendita».

    «Quale, il Grande Coniglio Volante?», sorrise Jules, sporgendosi in avanti per dare una stretta di conforto a Nettie.

    Mike si strinse nelle spalle. «Perché no? Pensa in grande. Potresti diventare la mascotte della White Tiger».

    Caro si accigliò, smettendo per un attimo di masticare la sua gomma. «Scusa, se deve esserci una mascotte, perché non una… tigre bianca, allora?».

    Mike si raddrizzò con un moto di irritazione. «Sai cosa intendo». Batté le mani, come a scuotere la squadra apatica, totalmente demotivata. «Bene, l’aspetto positivo è che l’evento Ice Crush ci ha fruttato più di duemila sterline in totale. Non ho qui la cifra esatta, ma prendiamolo come un incoraggiamento». Alzò fiaccamente il pugno in aria e tutte sospirarono di fronte al suo penoso tentativo di rianimarle, come se i suoi commenti su Nettie fossero stati un discorsetto di incitamento e non una velata minaccia di licenziamento.

    «La settimana prossima comincia seriamente il conto alla rovescia per Natale, perciò vi aspetto tutte qui lunedì, e pronte a lavorare a pieno regime. Non c’è bisogno che vi dica che la prossima sarà per noi una settimana cruciale, quindi riposatevi, rilassatevi e venite fresche e cariche. Buon weekend a tutte».

    Mike aveva appena pronunciato le ultime parole che le ragazze stavano già spingendo indietro le sedie, mostrando più energia di quanta ne avessero avuta nel resto della giornata. Caro aveva già il cellulare attaccato all’orecchio, prendendo gli ultimi accordi per i programmi della serata. Nettie osservò Jules arraffare gli ultimi due biscotti e infilarli in tasca per dopo. Tutto era sempre per dopo con Jules – le briciole sulla camicia, la torta nella borsa, il tipo simpatico al bar.

    «Ignoralo. È un idiota», disse Jules sottovoce a Nettie mentre tornavano in ufficio.

    Nettie si strinse le sue carte al petto. «Però ha ragione. Sono un disastro in questo lavoro».

    «Non è vero. È lui che è un capo incapace. Non saprebbe organizzare una bevuta in un birrificio e si aspetta che tu faccia soldi a palate per la beneficenza?»

    «Be’, tu ci sei riuscita».

    «Solo perché puntavo al suo posto e volevo impressionare favorevolmente i capi», gemette Jules.

    «Dovevano darlo a te quel lavoro. È una farsa che l’abbia ottenuto lui. Sappiamo tutti che l’hanno dato a lui solo perché il padre di sua moglie conosce i Middleton e che sperano, blandendolo, di farsi introdurre nell’ambiente».

    Non era stata soltanto Jules a rimanere delusa da quella decisione. Senza evidenti prospettive di carriera presso l’agenzia, Nettie si stava preparando psicologicamente all’eventualità che, da un giorno all’altro, Jules avrebbe dato le dimissioni. Sapeva che i cacciatori di teste la contattavano regolarmente, ma lei li scoraggiava subito e Nettie sospettava che l’unica ragione per cui l’amica lavorava ancora all’agenzia (a parte tormentare Mike, la cui inesistente capacità di comunicazione comportava la sua totale inadeguatezza per quell’incarico) fosse badare a lei.

    Era un sospetto che non poteva esternare, soprattutto perché Jules l’avrebbe negato e Nettie non voleva affrontare il senso di colpa, visto che non teneva al lavoro come Jules. Certo, le piaceva la squadra, il tragitto casa-lavoro era piacevole e l’orario era piuttosto regolare, ma non era così che aveva pensato sarebbe finita la sua carriera – agitare secchielli per la raccolta fondi a eventi sportivi, elemosinare qualche monetina in beneficenza a nome di grandi società. Per non parlare del fatto di indossare costumi grotteschi per guadagnarsi da vivere.

    No, nella sua vita precedente aveva desiderato lavorare nella pubblicità, regalando alla gente storie da aggiungere alla vita di ogni giorno e una manciata di gioia all’idea di acquistare un’assicurazione auto o un detersivo in polvere. Sarebbe accorsa in aiuto di giganti in crisi come Tesco e rbs, e avrebbe riscritto da sola la percezione che il pubblico aveva di loro prima di fondare la propria società. Avrebbe lavorato sodo per alcuni anni e poi venduto con grande profitto alla Ogilvy & Mather. Questo era il suo piano; questo era sempre stato il suo piano da quando, nel primo decennio del xxi secolo, si era presa una bella cotta per il ragazzo della Diet Coke e aveva ricucito insieme i brandelli del proprio cuore, spezzato per la prima volta. Solo che il lavoro da sogno nella pubblicità non si era concretizzato in tempo utile – troppi laureati, posti insufficienti – e aveva accettato questo incarico come ripiego temporaneo, giustificandolo come una mossa laterale nel marketing, che tutti sapevano essere inestricabilmente collegato alla pubblicità. Erano una cosa sola, in realtà.

    D’altronde, non aveva previsto lo scisma che un giorno avrebbe lacerato la sua vita come uno strappo in un foglio di carta e, da allora, erano cambiate le carte in tavola. Sei mesi erano diventati quasi sei anni, la vita le aveva voltato le spalle nei momenti meno opportuni e così questo era tutto quel che aveva potuto concedersi: qualcosa di basso livello, il minimo sufficiente per tirare avanti. L’arrivo di Jules nella squadra circa cinque anni prima aveva senza dubbio contribuito a rendere sopportabili l’ufficio e quelle riunioni – le due avevano legato subito, Jules aveva comprato il suo primo appartamento proprio dietro l’angolo da quello di Nettie, e lavoravano e collaboravano insieme come una squadra – ma Mike aveva ragione? Era tempo

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