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Omicidio a Mosca
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Omicidio a Mosca
E-book352 pagine4 ore

Omicidio a Mosca

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Info su questo ebook

Un grande thriller

«Indimenticabile.»
«Brillante.»
«Memorabile.»

Era il 1949 quando Frank Weeks, un agente della neonata CIA, dopo aver combattuto in Spagna, decise di fuggire a Mosca. Da quel momento in poi, nessuno ebbe più sue notizie. Adesso, dodici anni dopo, ha deciso di scrivere la sua biografia, approvata dal KGB, che si preannuncia un bestseller internazionale. Per questo si è messo in contatto con suo fratello Simon, che lavora nell’editoria, al quale ha chiesto di raggiungerlo a Mosca per aiutarlo nell’editing del manoscritto. Si tratta di un incontro che Simon teme e desidera allo stesso tempo. Da un lato è sicuro che il libro sia di parte e fazioso, a causa del rancore di Frank nei confronti della CIA. D’altro canto, è l’occasione per rivedersi dopo tanti anni, ed è per questo che decide di accettare. All’arrivo di Simon a Mosca, Frank è quello di sempre, ma più passa il tempo e più Simon si rende conto che il
fratello lo sta trascinando in un altro dei suoi intrighi, schiacciandolo tra CIA e KGB in un gioco fatale. Un gioco al quale uno dei due fratelli rischia di non sopravvivere.

Torna il maestro del thriller spionistico
Tradotto in 24 lingue
Bestseller internazionale

«Kanon è uno scrittore brillante che crea trame complesse in grado di soddisfare lettori esigenti.»
New York Times

«Con il suo talento nel dosare le emozioni, Kanon trascende la forma stilistica del thriller spionistico e si conferma uno degli scrittori più capaci.»
Kirkus Reviews

«Il successo di critica dei suoi libri è ampiamente meritato. Ci sono piacevolissime eco di Graham Greene.»
The Guardian

«Appassionante. Kanon è il maestro del thriller spionistico. Questo libro ha una trama avvincente che fa trattenere il fiato fino all’ultima pagina.»
The Washington Post
Joseph Kanon
Vive con la moglie e i due figli a New York, dove ha lavorato nel campo dell’editoria prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. È autore di cinque romanzi tra cui The Good German, da cui è stato tratto il film Intrigo a Berlino con George Clooney e Cate Blanchett. La Newton Compton ha pubblicato Omicidio a Istanbul, Omicidio a Berlino e Omicidio a Mosca.
LinguaItaliano
Data di uscita31 lug 2018
ISBN9788822724779
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    Anteprima del libro

    Omicidio a Mosca - Joseph Kanon

    1

    Mosca, 1961

    C’era ancora luce quando atterrarono a Vnukovo, quella tarda luce nordica che in un altro periodo sarebbe durata fino a mezzanotte. Sulla Polonia c’erano delle nuvole, ma si erano diradate progressivamente, lasciando intravedere la sconfinata pianura sottostante dove i carri armati tedeschi erano avanzati diretti verso Mosca senza trovare ostacoli, in uno scenario da incubo che aveva reso reale un’antica paura. Anche dall’alto il terreno appariva brullo e trascurato, con strade sterrate, povere fattorie, e fabbriche che eruttavano in aria il fumo marrone della lignite. Ma cosa si aspettava? Foreste di betulle bianche e gare equestri? La stagione, e anche il secolo, non erano quelli giusti.

    Nessun annuncio di allacciare le cinture. Simon sentì che l’aereo stava scendendo e subito dopo il colpo sull’asfalto della pista e lo stridore delle ruote. Guardò fuori dal finestrino: nessuna traccia di torri di controllo o di aeroporti.

    «Šeremet’evo?», chiese al suo… cosa? Accompagnatore? Un lasciapassare umano, qualcuno che i russi avevano spedito a Francoforte per viaggiare con lui.

    «No, Vnukovo. Aeroporto vip», disse, con l’intenzione evidente di impressionarlo.

    Ma nella luce morente si intravedevano soltanto piste vuote, tristi, con l’erba alta ai lati e un unico segnalatore in corpetto fosforescente che indicava la strada al velivolo. Salirono su un taxi diretti verso un altro edificio.

    «Non ci sono controlli», disse il suo accompagnatore, probabilmente un altro dei servizi del pacchetto vip.

    Simon guardò fuori, la faccia premuta contro il finestrino di plastica. Che aspetto avrebbe avuto adesso? Dodici anni. Nell’unica foto che Simon aveva visto, quella che l’agenzia di stampa aveva fatto circolare in tutto il mondo, indossava un cappello di pelliccia con i paraorecchie alzati e un cappotto a doppio petto, alle sue spalle le cupole a cipolla della cattedrale di San Basilio, proprio il tipo di immagini che si vedono sulle copertine dei libri. Ma adesso era primavera, non serviva vestirsi pesante. Sarebbe stato il solito Frank. Se fosse stato lì. Ma non c’era nessuno, neanche gli agenti della dogana, sull’asfalto deserto. Simon pensò che probabilmente nessuno voleva fargli sapere che sarebbe venuto e che lo avrebbero prelevato da un edificio, infilandolo in qualche veicolo scuro come un prigioniero di scambio, come se fosse lui la spia e non Frank. Forse i reporter e i fotografi erano già stati avvertiti, la stampa estera era ancora affascinata dalla vicenda di Frank. L’uomo che ha tradito una generazione. Dodici anni fa. Una vita intera. Ma nessuno gliel’ha mai detto. Il tratto finale della pista era vuoto, a eccezione di due funzionari che spingevano la scaletta verso il velivolo. Qualcuno stava uscendo dall’edificio, diretto verso di loro con il portamento rigido di un soldato. Non era Frank.

    Simon si mise il cappotto e si diresse al portello, seguito dal suo accompagnatore con il bagaglio. Come era possibile che Frank non fosse venuto all’aeroporto? Simon era suo fratello. E adesso anche il suo editore. L’editore richiesto esplicitamene da Frank per pubblicare le sue memorie e per il quale aveva ottenuto tutti i lasciapassare. Anche se forse era solo un pretesto per rivederlo e per spiegare finalmente come erano davvero andati i fatti, dopo tutti quegli anni. Cose che non avrebbero potuto essere scritte in un libro, impossibili da far accettare alla rigida censura dei suoi superiori. Ogni parola passata al setaccio, negli uffici di Lubjanka. Ma non abbiamo fatto la stessa cosa anche noi? Pete DiAngelis, nella piccola sala conferenze, prende appunti.

    «Dobbiamo essere sicuri che chi lavora per noi non sia compromesso», aveva detto DiAngelis. «Tu capisci, vero?». Il suo tono suggeriva il contrario, come se Simon stesso fosse un traditore, un complice della spia, un opportunista troppo avido per rendersi realmente conto di quale fosse la posta in gioco.

    «Non ha fatto il nome di nessun agente in servizio. Non vuole tradire nessuno».

    «No? Ma questo non lo ha fermato in passato. Non ha forse scritto i nomi delle persone? Di quelli che non sono mai tornati?»

    «Controlla pure», disse, indicando il manoscritto. «Parla di lui e del perché lo ha fatto».

    «Perché lo ha fatto?», chiese DiAngelis, provocandolo.

    «Perché credeva nel comunismo».

    «Ci credeva? E adesso vuole chiedere scusa? Solo che non è così. La mia via segreta. Sai come la penso. E vaffanculo. Per due centesimi mando a monte tutto il progetto. A chi cazzo importa cosa crede lui?»

    «Alla gente. O almeno spero».

    «Sei a corto di soldi, eh?». Guardò Simon dritto negli occhi. «Dovrei pagarlo? Farlo arricchire per averci fottuto? Libertà di stampa».

    Simon annuì, in un silenzioso «se lo dici tu».

    «Non credere che qualcuno sia contento per questa storia. Va bene, vuole gettare discredito sull’Agenzia. Ma chi cazzo gli crederà più? Se mette in mezzo uno dei nostri, anche solo un accenno…».

    «Lo cancelliamo. Pensi forse che io voglia mettere in difficoltà qualcuno del nostro campo?»

    «Non so davvero che cosa vuoi».

    «Non c’è niente del genere nel manoscritto. Leggilo. Dall’altra parte l’hanno già letto, non pensi? Ora è il tuo turno. Ma lascia qualcosa anche per noi, ok?».

    Un altro sguardo. «Un’ultima cosa. Toglimi una curiosità. Come sei riuscito a convincere l’Agenzia? Come hai fatto a fargli accettare questo?»

    «L’hanno accettato? Pensavo che tu fossi qui per questo, per piantare bandierine rosse su tutto il campo di battaglia».

    In effetti è stato il coinvolgimento di «Look» a dare all’Agenzia la spinta giusta, con la promessa di pubblicità e perfino con la minaccia di un’azione legale, se avessero provato a impedire la pubblicazione. Il «Digest» e il «Post» non avevano letto neanche una riga, e anche se «Luce» era interessato a una possibile storia da copertina, alla fine si era attenuto al rigido principio di «non pubblicare spie comuniste». Così il contratto fu firmato da «Look». Senza di loro Simon non sarebbe mai riuscito a mettere insieme il denaro chiesto dai russi. Una cifra più alta di quanto avesse mai pagato la casa editrice Keating per un potenziale best-seller. Il padre di Diana, un Keating, aveva delle riserve, ma alla fine aveva dato ragione a Simon. Del resto che scelta aveva? Dopo la diserzione di Frank, Simon aveva dovuto dare le dimissioni dal Dipartimento di Stato e fu Keating che venne in suo soccorso, offrendogli una carriera nell’editoria. E adesso Simon dirigeva la compagnia, con Keating che si faceva vedere soltanto per le feste natalizie. Troppo tardi per cambiare i piani della successione.

    «Ti sei reso conto che questa è solo una bozza?», disse Simon a DiAngelis. «Dovrai leggerlo di nuovo quando tornerò. Lascia qualcosa».

    «C’è dell’altro? Vuoi che lui aggiunga altri elementi?»

    «Voglio sapere quello che ha fatto realmente. A parte tradire. Questo già lo sappiamo tutti. Che lui…».

    «È fuggito», DiAngelis completò la frase, guardando Simon. «Tu vorresti che fosse innocente. Ma non lo era».

    «No», disse Simon, «non lo era».

    Ma una volta lo era stato. Lo si può vedere nei vecchi filmini di famiglia: due bambini con le pistole giocattolo in mano e le gambe ancora malferme che fanno smorfie alla cinepresa. Alla fine Simon è diventato più alto, ma quando erano piccoli era Frank che possedeva quei pochi centimetri in più che facevano la differenza, quasi come se avesse un anno in più. Il filmino, sgranato e a scatti, mostrava i due fratelli che aprivano i regali di Natale, che saltavano tra le onde sulla spiaggia, che si dondolavano dai rami di un albero a casa della nonna, e in ogni scena Simon era sempre a ruota del fratello, come un’ombra, il suo complice. Frank sapeva le cose. Dove trovare le vongole tra i mucchi di fango. Come farsi mettere più salsa cioccolato da Bailey. Come prendere le monete dalle tasche del padre senza che se ne accorgesse. Fu così per anni, nella vecchia casa di Mount Vernon Street. Le loro camere erano separate da un corridoio stretto su cui viaggiava un trenino elettrico, così da farle sembrare sempre collegate tra loro.

    Fu la madre che decise di separarli. Frank fu spedito alla Saint Mark, una tradizione di famiglia, ma l’anno successivo, per Simon, venne scelta la Milton.

    «Sarà perfetta per te. Imparerai a contare sulle tue forze e a pensare con la tua testa, invece di stare sempre attaccato a tuo fratello».

    «Ma non gli sto sempre attaccato».

    «Non sempre, ma molto spesso di sicuro».

    Frank cercò di rassicurarmi. «Tu sei quello più sveglio. Vuole che ti concentri sugli studi».

    «Tu sei sveglio».

    «Non quanto te. Comunque il preside è un amico della zia Ruth, per cui non preoccuparti, sarà buono con te».

    «Forse la mamma cambierà idea».

    Ma Emily Weeks non era tipo da cambiare idea tanto facilmente. La separazione fu definitiva. Aveva ragione – Simon si era fatto valere – ma anche dopo anni poteva avvertire il senso di perdita, come se avesse perso un dito in un incidente. Durante le vacanze tutto sembrava tornare come prima e i fratelli Weeks, di nuovo insieme, rimanevano svegli fino a tardi per parlare, al terzo piano. Ma crebbero separatamente. Non si erano mai assomigliati – tranne che per la mascella –, perfino le loro voci iniziarono a differenziarsi, quella di Frank dai toni baritonali e con un parlare forbito da bravo studente, mentre quella di Simon era rimasta la stessa.

    Poi si ritrovarono insieme all’università, ad Harvard.

    «Tutti questi affari di famiglia», diceva Frank. «I Weeks fanno questo, i Weeks fanno quello».

    «Papà è così, lo sai».

    «E sta peggiorando. Ormai il suo mondo si è ristretto. Può andare a piedi ovunque. L’ufficio di State Street, l’Ateneo, il Somerset Club. Non ha bisogno di guidare. Quasi come se fosse un nativo».

    «C’è anche la Symphony», disse Simon.

    «Va a piedi anche lì».

    Una volta alla settimana alla matinée, come aveva fatto per anni, passando da Commonwealth Street e dalla Marlborough, con un cappuccio di lana contro il freddo, un tragitto talmente immutabile che l’aveva quasi fatto diventare un’attrazione di Boston, come le barche a forma di cigno.

    Per qualche tempo sembrò che fossero di nuovo vicini, come sempre. Frank gli dava dei consigli: quali corsi evitare, quali seminari gli avrebbero garantito una A, dove andare a farsi tagliare i capelli. E Simon assorbiva tutto: il libro giusto, la giusta quantità di gin, tutto tranne la sicurezza e la confidenza di Frank. Si tenevano feste nella grande suite di Frank nella Eliot House, di fronte al porticciolo fluviale. Cambridge era proprio come Simon si era immaginato. Ma quello fu l’anno in cui la politica arrivò nei campus, con Frank che muoveva i primi passi sullo sfondo. All’inizio, furono piccoli atti di lotta di classe – il rifiuto di frequentare il Procellian Club dopo che lo avevano pestato, il disprezzo, quasi comico, delle feste che i suoi compagni di stanza ancora frequentavano e, ovviamente, le discussioni aspre con il padre durante la cena. Francis Weeks aveva lavorato per il Ministero del Tesoro, supportando timidamente il New Deal, ed era preoccupato per la minaccia fascista oltreoceano e per la giustizia sociale in America. Ma non avrebbe mai partecipato a marce di protesta con i picchetti, cosa che invece Frank già faceva, e che erano il motivo delle loro discussioni. Simon osservava dalle retrovie, pronto a prendere le difese di Frank ma allo stesso tempo rattristato nel vedere il padre invecchiato, ferito e confuso, mentre il suo piccolo mondo sicuro stava andando in frantumi. Tutto passerà, diceva sua madre.

    E poi, durante l’estate prima del suo ultimo anno, Frank partì volontario per la guerra di Spagna, sorprendendo tutti e lasciando Simon con la sensazione di essere rimasto indietro, nel suo mondo convenzionale e sicuro, mentre Frank era là fuori a combattere i draghi.

    «Perché non finisce prima i suoi studi?», disse suo padre. «Grazie a Dio, tu hai più buon senso».

    «In ogni caso, andare è la cosa giusta. I fascisti…».

    «Ma certo. Pensasse piuttosto a non farsi ammazzare. Niente potrebbe essere più giusto».

    «Francis», disse Emily.

    «Lo so, lo so. Ma non è un gioco. E poi cosa gli importerà mai della Spagna?»

    «Non è solo la Spagna. La stanno usando come un esercizio. Una sorta di riscaldamento. Se non li fermiamo adesso…».

    «Non li fermeremo adesso. Qualunque cosa pensi Frank. Si farà ammazzare per niente». Non più sprezzante, la sua voce s’era fatta d’improvviso tremula.

    Ma non si fece ammazzare. Si prese una pallottola in una spalla e riuscì a sopravvivere all’infezione grazie alle cure ricevute all’ospedale da campo. La guerra e la politica erano finite per lui. L’esperienza lo fece diventare cinico nei confronti di tutte e due le fazioni, imbarazzato per essere stato così infantile da credere che il comunismo, o qualcun altro, potesse ritenersi moralmente superiore. La Spagna, però, gli aveva lasciato dentro un desiderio di avventura. Si laureò e provò la strada dell’avvocatura, cercando di rimanere a galla fino a quando la guerra non gli portò ciò che stava cercando. L’esercito non lo avrebbe preso, a causa della sua spalla, ma Francis conosceva Donovan e riuscì a fare assegnare un posto nell’oss (Office of Strategic Service) a tutti e due i suoi figli. Simon fu assunto come analista dell’Intelligence, mentre Frank venne addestrato nei lanci con il paracadute nella campagna del Maryland. Fecero di Washington la loro nuova Cambridge.

    Quando la guerra finì e con essa anche l’oss, Simon venne assegnato, insieme ai colleghi analisti, al Dipartimento di Stato. Frank però riuscì a parlare con Truman e a convincerlo a fondare una nuova agenzia, per rimpiazzare il gruppo di Donovan. E così, l’anno successivo, Frank approdò alla cia, la Central Intelligence Group, presso l’Ufficio di Coordinamento Politico, un eufemismo che indicava le operazioni oltreoceano. La loro vita a Washington proseguì tra l’alternarsi di incontri ufficiali, pranzi da Harvey, notti in città e appuntamenti doppi con le ragazze. Una commissione speciale fu istituita insieme agli inglesi per supportare gruppi di rifugiati baltici e nazionalisti ucraini, con Frank che rappresentava l’Ufficio di Coordinamento Politico, e Simon il Dipartimento di Stato. Entrambi condividevano il piacere di essere insieme dentro a qualcosa di importante.

    E poi, come lo stridere dei pneumatici di una frenata improvvisa, una mattina apparvero i titoli dei giornali e tutto si fermò. Frank se ne era andato. A due passi da Hoover, a due passi dall’essere accusato di alto tradimento. Il giorno prima, a pranzo, avevano spettegolato sull’agente russo più capace, con Frank che si vantava di potergli estorcere tutte le informazioni che voleva. Sorridendo, come nei filmini della loro infanzia. «Tu sei quello più sveglio». Ma non era vero.

    In fondo alla scaletta, il militare russo si presentò come colonnello Vassilchikov, congedando l’accompagnatore con una rapida occhiata. Simon si voltò per dirgli addio ma si accorse di non conoscere il suo nome, di non averlo mai saputo o di averlo dimenticato, venendo meno alle istruzioni di DiAngelis: «Ricorda tutto. Non scrivere niente, ricorda. Tutto. Anche se pensi che non sia importante. Tieni gli occhi aperti».

    Stava già fallendo. Un nome che avrebbe dovuto ricordare. Una macchina nera che avrebbe dovuto vedere, al di là delle spalle del colonnello: era sempre stata lì? Ma nella penombra niente sembrava avere contorni netti, e tutta la nazione appariva in qualche modo fuori fuoco, come vista attraverso un velo.

    «È la sua prima volta, a Mosca?», stava dicendo il colonnello, con un tono cortese che, date le circostanze, suonava surreale. Si vedono molti visitatori che tornano, qui sulla luna?

    «Sì, è la prima volta. È tutto a posto. Questa la tengo io». Il colonnello stava già indicando la ventiquattrore.

    «Contrabbando?», disse il colonnello sorridendo, uno scherzo inaspettato.

    «Il manoscritto. Il libro di Frank».

    «Ci sono altre copie».

    «Ma non con le mie note».

    «Già. Sarei curioso di leggerle», disse il colonnello, come se fosse la comune prassi editoriale. «Cosa avrebbe in contrario la cia?»

    «Sono le mie note».

    «Spero tanto che lo siano davvero». Un’altra voce, dietro il colonnello, di qualcuno che usciva dalla macchina. «Il tocco di Simon». Una risata, adesso. «È per questo che paghiamo».

    Simon lo fissò. I capelli si stavano diradando, ma c’erano ancora. La faccia più sottile, le rughe che partivano dagli occhi, vive. Ma la voce non cambia mai, lo stesso tono confidenziale che conquistava tutti e, per un istante, la faccia e la voce coincisero, le rughe sembravano essere sparite, e l’aspetto pareva quello di prima, prima di tutte le bugie.

    «Simon il Semplice», disse Frank, il vecchio nomignolo, il suo sguardo che si era fatto improvvisamente dolce.

    Simon rimase immobile. Simon il Semplice. Come se nulla fosse accaduto. E adesso cosa avrebbero dovuto fare? Stringersi la mano?

    «Frank», disse con leggerezza. Lo stesso sorriso sgualcito, come di qualcuno che è stato via solo per il weekend.

    Frank annuì. «Sono io», disse, come se potesse leggere nella mente di Simon.

    «Frank…».

    E subito dopo si abbracciarono, petto contro petto, e per Simon fu come abbracciare il suo passato. Frank. Poi lo presero per le spalle, per perquisirlo. Frank gli toccò il volto, vicino agli occhiali.

    «Lenti? Da quando? O servono solo a far credere alla gente che leggi davvero i libri che pubblichi?». Gettò uno sguardo agli abiti di Simon. «Ti vesti meglio. Hart Schaffner?».

    Simon dette un’occhiata al suo vestito, come se si fosse accorto in quel momento di averlo indosso. «Altman».

    «Altman. E solo per qualche dollaro in più… proprio come papà». Fece ricadere le braccia lungo i fianchi. «Hai conosciuto Boris Borisevich? Boris Jr., in realtà. A volte lo chiamo così, vero Boris?».

    Il colonnello annuì sorridendo, in quello che sembrava uno scherzo condiviso.

    «Per qualsiasi tua esigenza, Boris è il tuo uomo. Autista. Biglietti per il Bol’šoj. Qualsiasi cosa. Gli piace far uscire conigli dal cappello».

    Simon guardò il colonnello, spiazzato. Il kgb al suo servizio.

    «In realtà è qui per proteggere me. Nella fase iniziale, l’Agenzia potrebbe tentare qualcosa, non ne siamo davvero sicuri. Ho detto loro che non c’era davvero motivo di preoccuparsi, ma sai bene come si comportano. E adesso torniamo ai nostri affari. Comunque è sempre di conforto sapere di avere qualcuno alle spalle, giusto, Boris? Andiamo», disse, salendo in macchina. Poi si voltò, appoggiando una mano sulla spalla di Simon un’altra volta. «È bello vederti. Non avrei mai immaginato…». Una pausa. «Ma guardati. Sei già grigio». Toccò la tempia di Simon. «E io qui a scrivere memorie. Tutti questi anni».

    Il colonnello Vassilchikov mise le valigie nel portabagagli e si sedette davanti, accanto all’autista, lasciando Simon e Frank sul sedile posteriore.

    «All’inizio», ricominciò Frank, ansioso di parlare, «prima di sapere che non dovevamo preoccuparci, i Servizi Segreti ci hanno fornito una nuova identità. Maclean è diventato Fraser. Nessun indirizzo, ovviamente. Nessun corrispondente del Time sbucato dal nulla per un drink. Ma questo non è stato difficile. A Mosca non c’è un elenco telefonico e nessuno a cui riferire dove mi trovassi. In un certo senso, non ero davvero qui».

    «Adesso sei di nuovo un Weeks?»

    «Mm. Ancora non sanno dove mi trovo. Immagino che l’Agenzia non sappia dove abiti, altrimenti avrei beccato qualcuno a spiarmi».

    In realtà pensavano di averlo trovato, questa volta, dodici anni dopo, una noticina in fondo a una pagina di Storia.

    «Qualcuno tipo lui?», disse Simon, indicando Vassilchikov, davanti.

    «Lui non spia. Entra liberamente».

    «Vive con te?»

    «Viene a trovarmi».

    «Sai che abbiamo promesso delle foto a Look. Ti vorrebbero vedere nel tuo appartamento. A casa. Vedere come vivi. Pensi che sia un problema?»

    «No. Ormai siamo in ballo. E comunque la mia copertura è già saltata. Probabilmente era il momento».

    «Saltata? In che modo?»

    «Credo che dovrai dirglielo, quando ti interrogheranno. Pensi di buttare giù qualche nota o riesci a tenere tutto qui?». Puntò un dito sulla tempia del fratello.

    Simon non disse niente.

    «Yermolaevskij Pereulok, 21. Lo puoi scrivere dopo. Molto confortevole. Il mio studio privato. Ma vedrai». Fece un cenno all’autista di partire. «Tu starai all’Hotel Nazionale. Volevano metterti all’Ucraina ma ho detto di no, troppo lontano dal mio appartamento. E le stanze non hanno niente di interessante su cui poter scrivere. Una delle torte nuziali dell’architettura stalinista. Non brutto come il Pekin, ma quasi».

    «Che problemi ci sono con il Pekin?», disse Simon, interessato a proseguire la conversazione.

    Frank sorrise, divertito. «Lo costruirono proprio per noi, per i Servizi Segreti. Nuovi uffici. Ma per qualche ragione non funzionò. Così fu trasformato in un hotel. Le stanze, però, sono un po’… bizzarre. Luci rosse e luci verdi sopra la porta. Per chiamare una cameriera, dicono adesso. Ma erano state costruite come camere per gli interrogatori. Luce rossa se l’interrogatorio era in corso». Si fermò, osservando l’espressione di Simon. «In ogni caso ai cinesi non sembra importare molto. È un albergo molto popolare per le delegazioni. E il ristorante non è niente male. Se ti va il cibo cinese. Possiamo andarci una sera, se ti piace».

    «Non starò qui molto».

    «Almeno una settimana. E devi venire a vedere la dacia. Joanna non vede l’ora».

    «Jo», disse Simon piano, un’altra delle cose che sembrava aver dimenticato. «Come sta?»

    «Un po’ giù di corda. Sarebbe voluta venire stasera, ma le ho detto che non c’era bisogno di affrettare le cose. Penso che sia un po’ nervosa. Vedere qualcuno che viene dagli Stati Uniti. Saresti il primo, da quando è qui».

    «Ma le piace qui?». Lei era una che frequentava il club El Morocco, a Manhattan, e aveva lunghi capelli che si muovevano dietro di lei, quando ballava. Spalle bianche, un sorriso aperto brillante di rossetto. Togliti quell’espressione seria dalla faccia, avrebbe detto spingendolo sulla pista da ballo, tutti sono capaci di ballare. Ma non come lei.

    «Da quando Richie è morto niente le è più piaciuto davvero», disse, quasi mormorando tra sé, come se le parole gli fossero state tirate fuori a forza. «È stata dura per lei».

    «Mi dispiace molto. Non avrei dovuto chiedertelo».

    Frank non ci fece caso. «È tutto a posto. Ormai è passato molto tempo. All’inizio pensi che non starai meglio. Ma a poco a poco succede. Anche per cose come questa».

    «Era malato?»

    «Meningite. Non c’era davvero più niente da fare. Gli abbiamo fatto avere le cure migliori, all’ospedale di Pekhotnaya». Frank guardò fuori dall’altra parte. «È l’ospedale dei Servizi Segreti. Il migliore».

    «L’ospedale dei Servizi? Il kgb ha il suo ospedale?».

    Frank annuì. «So quello che stai pensando. E forse hai ragione. Ma quando è tuo figlio ad avere bisogno di un trattamento privilegiato, finisci per essere grato. Devi capire come funzionano le cose qui», disse, indicando con la mano fuori dal finestrino, «devi immaginare come sarà. Quanta strada abbiamo fatto. Ma i Servizi sono sempre stati un mondo a parte. Professionisti. A volte ti domandi se le cose funzionino davvero, qui fuori. Ma dentro i Servizi tutto funziona, sempre».

    «Non parli di Richie, nel libro, o di Jo. Non la menzioni neppure».

    «No. Riguarda la mia vita nei Servizi, come sono riuscito a organizzarmi, giocando contro la patria. Lei non fa parte di tutto questo, non ne è mai stata al corrente». Guardò verso Simon. «Non è una soap opera. Non sarai mica venuto per farne una cosa del genere, no? Perché non scriverò di loro».

    «Lei non sapeva niente e ti ha seguito lo stesso?»

    «Non l’ho obbligata», disse Frank, pacato. «È stata una sua decisione. Ma siamo d’accordo sul libro? Lei ha diritto alla sua privacy». Guardò nuovamente verso Simon. «Non voglio farla arrabbiare. Non adesso».

    «D’accordo», disse Simon, battendo in ritirata.

    «In ogni caso ci saranno molte altre cose su cui lavorare», disse Frank, improvvisamente di buon umore. «Come ai vecchi tempi. Sei tu che darai forma ai miei documenti. Come il lavoro che facemmo per Whiting. Non era pronto fino a qualche minuto prima della consegna».

    «La ricerca sulla Flotta Inglese del diciassettesimo secolo».

    «La tua memoria. La Flotta Inglese. Il lavoro di un semestre. Passato a inseguire vecchie barche». Scosse la testa. «Whiting. Ci volevano almeno tre persone perché il corso non venisse cancellato e credo che non potesse permettersi di perdere nessuno di noi. Tutto quello che dovevi fare era presentarti alle lezioni. Ma alla fine divenne una cosa seria, anche se fu a causa nostra che niente si concretizzò. Cretini. Anche se, a dire il vero, la colpa fu tua. Ed eccoci qui». Indicò la borsa di Simon. «Hai preso appunti?»

    «Molti».

    Frank sorrise. «Fa così schifo?»

    «No, è soltanto incompleto».

    «Lo capisci, certe cose non possono essere dette. Alcune persone sono ancora in servizio e non ho nessuna vendetta da compiere».

    «A parte Hoover».

    «Be’, con Hoover sarà inevitabile. Non ha fatto un accidenti di niente da quando si è messo a roteare l’ascia davanti a tutti. È rimasto immobile a godersi lo spettacolo della gente che scappava. E ha fatto qualche ricatto qua e là. Pensi che io sia troppo duro con lui? Ho semplicemente detto quello che è successo. Cose che so per esperienza personale. Perché me lo chiedi? Ti ha minacciato?»

    «Non ancora. Non l’ha

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