Il nostro futuro insieme: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Ryan: Anche se il destino mi ha voluto regalare un'altra occasione e una figlia dolcissima, non ho mai dimenticato Tara e il nostro matrimonio. E soprattutto non ho mai saputo perdonare me stesso. Adesso che sono un padre single, ho intenzione di riconquistarla, farle capire che io sono l'uomo su cui può contare. Adesso e per sempre.
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Anteprima del libro
Il nostro futuro insieme - Leonie Knight
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Doctor, His Daughter and Me
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Leonie Knight
Traduzione di Rita Orrico
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-149-2
Prologo
La dottoressa Tara Dennison chiuse gli occhi, trasse un paio di respiri profondi e provò a rilassarsi, mentre i pollici del fisioterapista premevano forte sui lati del collo. Era prossima alle lacrime, ma non a causa del massaggio. Non poteva più rimandare: avrebbe parlato con Ryan quella sera stessa. A quel punto sarebbero stati entrambi liberi... liberi dal senso di colpa, l’angoscia e la sofferenza che negli ultimi tre mesi avevano tenuto insieme i fragili pezzi del loro rapporto.
«Ahi» si lamentò, quando la pressione sulla spina dorsale si intensificò.
«Oggi mi sembra più tesa del solito. Qualcosa non va?»
Tara aprì gli occhi. Di certo non avrebbe detto al terapista che non c’era assolutamente nulla che andasse bene, che amava suo marito così tanto da non riuscire a negargli il futuro che meritava: una moglie perfetta, appagamento sessuale, i figli che desiderava tanto...
«No, sto bene. Penso di aver esagerato in palestra, ieri. Potremmo concludere per oggi?»
«Buona idea. Ci vediamo domani in piscina.»
Pochi minuti dopo che il fisioterapista fu uscito, lei sentì il rumore di passi familiari che si avvicinavano. Lo stomaco le si strinse. Era giunto il momento.
Gliel’avrebbe detto adesso.
Ryan si sentiva bene. Il momento era quello giusto. Strinse il voluminoso mazzo di rose gialle in una mano e la lista che aveva compilato quella settimana nell’altra. Con le informazioni che aveva e i fiori preferiti di Tara, cosa poteva andare storto?
Tuttavia, quando raggiunse la stanza e vide l’espressione del viso di lei, cominciò a nutrire qualche dubbio.
«Ciao, bellissima.» Ryan depositò i fiori sul comodino, si chinò e posò sulle labbra della moglie un bacio che fece durare il più a lungo possibile. La bocca di lei era immobile, le labbra fredde e quando si staccò da lei, la sua espressione seria sgonfiò il suo entusiasmo in un batter d’occhio.
«Che cosa c’è?»
Lei stava fissando le rose come se si trattasse di un mazzo di ortiche. «Ho qualcosa da dirti.»
«Fantastico» ribatté lui con un sorriso che non riuscì a sciogliere il ghiaccio nello sguardo di Tara. «Ho qualcosa da dirti anch’io.»
Il piano di Ryan avrebbe dato loro l’opportunità di un roseo futuro. Il suo amore per Tara non era mai diminuito; erano sopravvissuti a un orribile incidente ed erano vivi entrambi per miracolo. Lui era stato presente ogni momento del lungo e difficile programma di riabilitazione, le era stato al fianco durante i momenti di depressione peggiori e aveva trovato un modo per coronare il loro sogno di sempre. Se solo lei gli avesse dato modo di spiegare...
«Comincio io» esordì lui.
«No, Ryan. Lascia parlare prima me.»
Gli occhi di Tara, di solito vere finestre sulla sua anima, in quel momento non rivelavano nulla.
«Va bene» mormorò lui. Fece per prenderle una mano, ma lei la ritirò con uno scatto.
«Voglio il divorzio.»
Ryan scosse la testa, incapace di credere alle proprie orecchie. «No!» esclamò con più durezza di quanto avesse inteso. «Scusa» aggiunse poi, e stavolta lei si lasciò prendere la mano. Stava tremando.
«Perché?»
Lei inalò a fondo e lo guardò negli occhi. «Perché sono disabile, Ryan. Sono una persona diversa dalla donna perfetta che hai sposato. Penso e sento in modo diverso e non potrò mai essere la madre dei tuoi figli.»
«Ma...» Lui le strinse la mano. «Non ha nessuna importanza, se ci amiamo...»
Tara distolse lo sguardo da lui e lo puntò sulla parete di fronte.
«Tara? È l’amore che ci sostiene nei momenti belli e in quelli brutti.»
Stavolta lei sospirò, prima di tornare a guardarlo. «È proprio questo il problema, Ryan. Io non ti amo più. Non posso vivere intrappolata in un matrimonio senza amore.» Si schiarì la gola. «Voglio il divorzio e non cambierò idea.»
1
Otto anni più tardi.
Ryan Dennison non stava cercando di sottrarsi all’inevitabile incontro, ma solo di rimandarlo. Trovò un posto nel parcheggio dove poteva godere di una buona visuale sull’entrata della clinica e restò in attesa.
Erano trascorsi quasi otto anni da quando aveva visto Tara per l’ultima volta. Allora si era detto pronto a starle sempre accanto, a costo di qualsiasi sacrificio. Aveva un progetto fattibile per il loro futuro. Tuttavia, lei aveva insistito per il divorzio. Tutti i suoi progetti si erano frantumati contro la semplice affermazione di lei: non ti amo più.
Dopo diverse settimane di dubbi angoscianti e malgrado le suppliche, Tara non aveva ceduto ed era diventata sempre più fredda nei suoi confronti. Ryan sapeva che era tremendamente doloroso per entrambi, ma lei non aveva capito quanto lui avesse sofferto nel vedersi respingere, con la prospettiva di un futuro di rimorsi.
Alla fine le aveva concesso il divorzio, ma il suo cuore recava ancora la profonda ferita che gli aveva inflitto l’essere rifiutato dalla donna che amava con tutto se stesso. Negli anni successivi aveva tentato di contattarla per telefono o e-mail, ma lei l’aveva ignorato, come se avesse paura di un qualsiasi contatto con lui. Le telefonate a casa di lei erano state puntualmente intercettate e bloccate dai suoi genitori, che l’avevano informato che la loro figlia non voleva parlare con lui. Gli sms erano rimasti senza risposta.
Alla fine, Ryan aveva desistito.
Non era colpa di nessuno, era ciò che si era ripetuto così tante volte che le parole avevano perso di significato.
Un’occhiata all’orologio rivelò che erano le quattro e venticinque. Ryan sapeva che lei finiva di lavorare alle quattro e mezza, ma era preparato a un’attesa più lunga. Diversi veicoli più avanti era parcheggiata una monovolume, l’unica macchina abbastanza spaziosa per sistemare una sedia a rotelle e i sistemi di guida per disabili.
Disabile... se solo le cose fossero andate diversamente! A dispetto della calma che ostentava, Ryan soffriva ancora di incubi nei quali riviveva quella terribile notte. Nell’ultima settimana si era svegliato quasi ogni notte in un bagno di sudore, quasi che l’idea di rivedere la ex moglie risvegliasse i peggiori demoni.
Non poteva cambiare il passato. D’ora in avanti avrebbe lavorato nello stesso edificio di lei, e poteva solo sperare che Tara gli rivolgesse almeno la parola. Conoscendola, si sarebbe aggrappata con tutte le forze alla propria indipendenza. Il fatto che avesse terminato il praticantato e avesse trovato un lavoro era una prova della sua determinazione. Non aveva bisogno di lui. Né lo voleva, come aveva chiarito quando si erano lasciati.
Il senso di colpa gli inferse una nuova pugnalata. Ryan chiuse gli occhi per un momento e quando li riaprì la vide.
Era bellissima, proprio come il giorno in cui l’aveva conosciuta. Il tempo era stato generoso con lei. I capelli dorati erano più corti di come lui li ricordava e le ricadevano in morbide ciocche sulle spalle. Anche da quella distanza, vide che le braccia di Tara erano toniche e le spalle più larghe che in passato, ma non per questo era meno femminili. Lei manovrò la sedia a rotelle fino alla portiera della macchina, l’aprì e senza sforzo apparente montò sul sedile del guidatore, poi sorrise alla donna che l’accompagnava, la quale aprì il baule e sistemò la sedia su un montacarichi che la sollevò fino all’interno del veicolo.
Le due donne si salutarono e Tara uscì dal parcheggio.
Ryan restò seduto chiedendosi cosa fare. L’aveva vista, finalmente, ed era stato un piacere, anziché una sofferenza. In ogni caso, però, doveva parlare con lei, dirle che presto avrebbe cominciato a lavorare come medico facente funzione nell’ambulatorio specialistico accanto alla clinica in cui lavorava lei. Uno strano gioco del fato aveva fatto sì che gli offrissero quella posizione di chirurgo ortopedico proprio a Keysdale. In qualità di socio più giovane del suo studio, non aveva avuto altra scelta che accettare. All’inizio aveva nutrito forti dubbi, perché lavorare lì avrebbe risvegliato i traumi del passato, ma alla fine aveva deciso che forse quel passo gli avrebbe permesso di chiudere il capitolo Tara una volta per tutte.
Ma non voleva darle quella notizia in un parcheggio. Doveva andare a parlarle a casa sua, o per meglio dire, a casa dei suoi genitori. Rabbrividì di fronte alla prospettiva di incontrare di nuovo le due persone a cui un tempo aveva creduto di piacere. Dopo l’incidente, invece, non avevano fatto nulla per nascondere il loro disprezzo. Avevano incolpato Ryan e gli avevano voltato le spalle. Quantomeno il padre di Tara l’aveva fatto.
Se ci fosse stato un altro modo...
«Papà sta ancora lavorando?» domandò Tara alla madre.
«Sì, ma dovrebbe rincasare da un momento all’altro. Doveva riparare uno steccato vicino al torrente.» Jane Fielding aiutò la figlia a sistemarsi sulla sedia e insieme entrarono in casa.
«Com’è andata la giornata, tesoro?» s’informò Jane, come faceva ogni giorno. Tara adorava sua madre, ma qualche volta si sentiva soffocata dai suoi modi iperprotettivi e desiderava più che mai una casa tutta sua.
Tuttavia, Tara era anche realista e sapeva che lasciare la casa dei genitori non era una soluzione pratica. Avrebbe avuto bisogno di un appartamento appositamente studiato, e aiuto da qualcuno per faccende che la maggior parte delle persone davano per scontate, come trasferirsi sulla sua sedia, fare la spesa al supermercato o stendere i panni. Avrebbe dovuto anche rivedere la sua scaletta quotidiana, per aggiungere le faccende di casa. Tutte cose che sua madre faceva senza lamentarsi.
La sua vita non era perfetta, ma era la più sensata, vista la situazione. Tara era abituata a quella routine. Inoltre, i suoi genitori avevano fatto grossi sacrifici, rischiando persino di perdere la fattoria, per occuparsi di lei nei primi anni. Forse non sarebbe mai riuscita a ripagarli.
«È stata una giornata come le altre, niente di straordinario» rispose alla fine, sistemandosi accanto al tavolo mentre sua mamma preparava il tè.
Un attimo dopo si udì il rumore degli stivali di suo padre che venivano depositati sulla veranda del retro.
«Sono a casa!» annunciò Graham Fielding. Non che ci fosse bisogno di dirlo: bisognava essere sordi per non sentirlo muoversi per casa.
«Siamo in cucina. Tara è appena rientrata e sto preparando il tè.» Jane mise a tavola una teiera e un piatto di torta all’arancia proprio mentre il marito entrava in cucina.
Lui si chinò a baciare la figlia. «Come sta la mia ragazza?»
Tara fece una smorfia, infastidita dal fatto che suo padre la trattasse ancora come una bambina.
«Sto bene, papà. Com’è andata con lo steccato?»
«Tutto sistemato, ma domattina non sposterò le vacche prima della mungitura.»
«Vuoi una mano?»
Sebbene fosse perfettamente in grado di svolgere molti lavori alla fattoria, Tara era certa che suo padre avrebbe detto di no. Come faceva sempre. Dopo l’incidente, lui le aveva proibito di avvicinarsi alle stalle. Sembrava non capire che con un piccolo aiuto,