Affari scottanti: Harmony Destiny
Di Olivia Gates
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Info su questo ebook
Il magnate greco Aristedes Sarantos, per ottenere il controllo di una compagnia navale concorrente, decide di agire dall'interno e conquistare la mente e il cuore della bella Selene Louvardis, figlia del suo rivale. La vittoria sembra vicina ma, proprio come la dea di cui porta il nome, dopo una notte indimenticabile Selene fugge alle prime luci dell'alba. Ora le loro strade si incrociano di nuovo, e Aris non permetterà a Selene di scappare. Prima che la luna tramonti tra le onde del mare, lei sarà sua ancora una volta. E un'altra ancora.
Olivia Gates
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Affari scottanti - Olivia Gates
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Sarantos Secret Baby
Harlequin Desire
© 2011 Olivia Gates
Traduzione di Lara Zandanel
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-678-4
1
Il diavolo si era presentato al funerale di suo padre.
Anche se Selene Louvardis aveva sempre sentito dire che definire in quel modo Aristedes Sarantos era offensivo per il diavolo.
Aristedes Sarantos. Lo sconosciuto di umili origini, partito dal molo di Creta per farsi un nome nell’industria navale e non solo. Un nome che veniva sussurrato con timore reverenziale, una presenza che dava nell’occhio, un potere che tutti temevano.
Tutti, a eccezione di suo padre.
Da più di un decennio, da che lei aveva diciassette anni, non era passata settimana senza una nuova battaglia nella guerra che suo padre portava avanti contro il ventisettenne. L’uomo, che il padre di Selene aveva pensato potesse diventare l’alleato più fidato, alla fine si era trasformato nel suo peggior nemico.
Ora la guerra era finita. Suo padre era morto. Lunga vita al re. Se i suoi fratelli non avessero appianato le loro divergenze, Aristedes Sarantos si sarebbe impossessato dell’impero che avevano costruito.
Era rimasta scioccata vedendolo al funerale. Aristedes era già là quando erano arrivati. Lì in piedi, dominava quella giornata ventosa di settembre a New York come se fosse fuori dal tempo e dallo spazio, il cappotto nero che svolazzava intorno al suo corpo imponente, come un grande corvo – o un’anima tormentata.
Selene credeva che dopo la funzione se ne sarebbe andato. Invece aveva seguito il corteo funebre fino alla casa della loro famiglia. Per qualche minuto si era fermato sulla soglia, come un generale che studia il campo di battaglia.
Quando pensava che si sarebbe voltato per andarsene, Sarantos avanzò.
Selene trattenne il respiro, mentre lui si faceva largo tra la folla. A livello fisico, solo i suoi fratelli reggevano il confronto. Molte donne li trovavano assolutamente irresistibili, ma a suo parere non possedevano neanche un briciolo del fascino di Sarantos, del suo carisma, quell’aura di attraente pericolo.
Percepì la sua presenza come una potente onda oscura, seducente, irrefrenabile e inevitabile.
I suoi fratelli si frapposero sul suo cammino, fissando l’acerrimo nemico. Selene temeva che il più giovane dei tre, Damon, lo intercettasse e lo buttasse fuori. O peggio.
All’improvviso sentì di averne abbastanza del loro comportamento.
Non contava ciò che provavano o pensavano, per rispetto a loro padre avrebbero dovuto comportarsi come avrebbe fatto lui. Hektor Louvardis non avrebbe avuto per nessuno quell’atteggiamento passivo-aggressivo così indisponente, nemmeno per il suo peggior nemico.
Stava proprio per dire a Nikolas, il fratello maggiore, di fare la sua parte come nuovo capofamiglia e stringergli la mano, accettando le condoglianze con cortesia, quando le mancò il respiro.
L’uomo in questione stava fissando lei.
Si immobilizzò mentre lo sguardo d’acciaio incrociava il suo, facendola prigioniera.
Rimase senza fiato, la mente svuotata mentre lui colmava la distanza tra loro. Era consapevole che tutti erano concentrati sui suoi movimenti, proprio come lei, curiosi di vedere cosa sarebbe successo.
Aristedes le si fermò di fronte e in quel momento ogni cosa intorno a loro cessò di esistere. In sua presenza si sentiva piccola, fragile, quando in realtà non lo era affatto.
Con i tacchi alti raggiungeva il metro e settantacinque e comunque lui la sovrastava. Non si era mai resa conto che fosse così imponente, così incredibile. E non era bello. No, definirlo bello sarebbe stato decisamente riduttivo. Era un tipo particolare. Il suo corpo era potere e mascolinità allo stato puro. E, come già sapeva, quel corpo magnifico era completato da una mente brillante che non faceva che intensificarne il fascino. Anche se la parola fascino non era sufficiente. Aristedes Sarantos non si limitava ad affascinarla. Provocava in Selene una reazione incontrollata e inevitabile.
Rabbrividì. Non era il momento di lasciarsi coinvolgere dall’infatuazione che aveva per lui fin dalla prima volta che l’aveva visto. Si era presto resa conto che non aveva senso, non solo perché era il nemico giurato della sua famiglia, ma perché lui non mostrava alcun interesse per le altre persone. Tuttavia, non riusciva a smettere di guardarlo ogni volta che le era possibile.
Ma non si erano mai trovati così vicini. Mai l’aveva fissata come in quel momento. Ora poteva vedere che i suoi occhi erano come acciaio fuso, vortici senza fine.
Si schiaffeggiò mentalmente.
Smettila di indugiare sul suo viso perfetto come un’adolescente di fronte al cantante preferito. Di’ qualcosa.
Si schiarì la voce. «Signor Sarantos» lo apostrofò porgendogli la mano. «Grazie per essere venuto.»
Lui non rispose e non si mosse. Continuò a fissarla, finché lei si rese conto che era come se non la vedesse. Ritrasse la mano, abbassò gli occhi, rifuggendo l’imbarazzo e gli sguardi curiosi della folla.
«Mi dispiace che se ne sia andato.»
La voce bassa e misurata risuonò dentro di lei facendola vibrare. Ma furono le sue parole a farle alzare lo sguardo.
Non mi dispiace per la tua perdita, il mantra che tutti le avevano ripetuto nelle ore precedenti. Non era lì a porgere le sue condoglianze, vere o di circostanza che fossero.
Aristedes Sarantos era lì per se stesso. Lui era dispiaciuto che suo padre se ne fosse andato. E improvvisamente Selene realizzò il perché.
«Ti mancherà non poter più discutere con lui, non è vero?»
Gli occhi puntarono i suoi. «Rendeva la mia vita... interessante. Questo mi mancherà.»
Ancora una volta era concentrato su ciò che la morte di suo padre significava per lui. Il suo candore, il non voler sottostare per forza alle regole del decoro, le tolse il fiato e le consentì di ammettere il suo stesso egoismo.
Un giorno probabilmente avrebbe considerato la morte di suo padre come una perdita per tutta la famiglia e per il mondo intero. Ma in quel momento non riusciva a pensare ad altro che a se stessa. Al vuoto che aveva lasciato dentro di lei.
«Dava così tanto alla mia vita» sussurrò.
Di nuovo, lui non si mostrò compassionevole.
Dopo un attimo disse: «Non era malato».
Un’affermazione. Lei annuì, agitò la testa, la gola si chiuse. Non ne aveva idea. Non sembrava malato. Ma suo padre non avrebbe mai ammesso una debolezza, l’avrebbe nascosta a ogni costo. Avrebbe potuto essere gravemente malato, per quel che ne sapeva.
«È morto ieri poco dopo le undici.»
Suo padre era stato trovato morto nel suo ufficio alle 12:30. Selene non aveva idea di come Aristedes lo avesse saputo.
Continuò. «Alle nove, il responsabile del mio ufficio legale ha contattato il vostro, in merito ad alcuni dettagli riguardo al contratto con la Marina britannica.» Lo sapeva. Era con lei che ne aveva discusso. «Alle undici Hektor mi ha chiamato.» Selene trasalì nel sentire il nome di suo padre pronunciato da lui. Se non avesse saputo con chi stava parlando, avrebbe detto che quello era il modo di pronunciare il nome di un amico. Più di un amico. «Mi ha redarguito, poi ha riagganciato. Un’ora dopo era morto.»
Prima che lei potesse dire qualcosa, le fece un rapido cenno e tornò sui suoi passi.
Lo seguì con lo sguardo finché non lasciò la casa.
Era quello il motivo? Era venuto per dire che era stato lui a spingere suo padre oltre il limite, verso la morte? Perché?
Ma chi poteva sapere cosa muoveva le azioni dell’imperscrutabile Aristedes Sarantos?
Invece di corrergli dietro e chiedere una spiegazione, non poté fare altro che rimanere lì a torturarsi per ore, finché tutti non se ne furono andati.
Lasciò ai suoi fratelli l’onere di far fronte a quella macabra tradizione e uscì di casa.
Doveva andarsene.
Salì in macchina. Avrebbe guidato senza meta. Forse le lacrime sarebbero riaffiorate, allentando la pressione che aveva accumulato.
Aveva appena varcato il cancello quando lo vide.
Era buio e lui si trovava lontano dalla luce dei lampioni, tuttavia lo riconobbe subito.
Aristedes Sarantos. Fermo in mezzo alla strada di fronte alla casa, come una sentinella di guardia.
Il cuore prese a batterle all’impazzata per la confusione, la curiosità. L’eccitazione.
Perché era ancora lì?
Decise di chiederglielo, fece inversione e un attimo dopo fermò l’auto accanto a lui.
Sembrò non notarla finché non abbassò il finestrino dal lato del passeggero e gli rivolse la parola.
«Sei senz’auto?»
Aristedes distolse lentamente lo sguardo dalla casa e lo spostò su di lei.
Tremò impercettibilmente. «L’ho mandata via. Tornerò in hotel a piedi.»
Senza riflettere, lei sbloccò le portiere. «Sali.»
La fissò. Dopo un altro interminabile istante acconsentì e il corpo muscoloso si sistemò accanto a lei con la grazia di un leopardo.
Una scarica elettrica percorse la pelle di Selene e attraversò i suoi muscoli quando una spalla di lui la sfiorò accidentalmente. Poi Aristedes si sedette, restando immobile come una statua.
Lei sapeva di dovergli chiedere a quale hotel fossero diretti, di dover iniziare a guidare. Insomma, fare qualcosa. Ma non ci riusciva. Averlo così vicino la confondeva, sebbene lui sembrasse non accorgersi nemmeno di lei. Come si sarebbe sentita se...
Smettila, idiota. Sei un avvocato di successo di ventotto anni, non una scolaretta alla prima cotta!
Fu lui a parlare, indicando il nome dell’hotel. Poi tacque di nuovo. Quel silenzio, colmo di emozioni, la tormentava.
Prima di quella sera aveva creduto che Aristedes Sarantos non fosse capace di provare sentimenti.
Trenta minuti dopo raggiunsero l’ingresso di uno degli hotel a cinque stelle dove lui soggiornava. Da quel che si sapeva, l’uomo che avrebbe potuto comprarsi un’intera nazione non aveva una casa.
Aprì la portiera. Proprio quando Selene pensava che sarebbe sceso dall’auto senza guardarsi indietro, lui si voltò verso di lei, togliendole di nuovo il fiato. Gli occhi brillavano nell’oscurità e qualcosa la scosse, qualcosa di tetro e terribile.
«Grazie.» La voce era più profonda del solito. Dopo un attimo di silenzio aggiunse: «Ci vediamo sul campo di battaglia».
Poi si voltò. Sarebbe sceso dall’auto e sarebbe tornato a essere il nemico di sempre. Ma, prima che tornassero alle loro posizioni, doveva sapere.
«Stai bene?» chiese, combattendo il desiderio di prendergli la mano, accarezzargli il viso.
Lui s’immobilizzò, voltandosi di nuovo. Sollevò un sopracciglio. «E tu?»
Lei respirò profondamente. «Cosa ne pensi?»
«Che sottoporre me a un interrogatorio ti farebbe sentire meglio.»
«Sono così trasparente?»
Lo sguardo di lui s’incupì. «In questo momento, sì. Spara.»
«Qui?»
«Se vuoi. O potresti salire in camera mia.»
Il modo in cui lo disse, una chiara manifestazione di virilità, provocò una risatina nervosa che le fece tremare le labbra. E Selene si rese conto che non erano solo le labbra a tremare. Tutto il corpo era scosso da un fremito.
Le prese la mano, calmando il tremore con la sua fermezza. «Quando è stata l’ultima volta che hai mangiato?»
Aveva colto nel segno. Quella reazione era dovuta alla mancanza di zucchero nel sangue, oltre a tutto il resto. «Ieri mattina.»
«Allora siamo in due. Ordiniamo qualcosa.»
Per la mezz’ora successiva, si lasciò guidare da lui che la condusse nella suite presidenziale, ordinò la cena e la costrinse a mangiare.
Avere Aristedes Sarantos che si occupava di lei pareva surreale. Era strano che stare nella sua suite non la inquietasse per niente. Non sapeva se essere piacevolmente colpita dai suoi modi da gentiluomo o infastidita dal suo comportamento invadente.
Dopo cena le fece strada nel soggiorno e le servì una tisana. Non avevano parlato molto fino ad allora.
Lui rimase in piedi a pochi passi di distanza, con le mani nelle tasche, a riflettere. All’improvviso iniziò a parlare.
«Abbiamo avuto così tanti scontri che contarli è impossibile, ma l’ultimo è stato diverso. Era come se non fosse in sé. Era furioso.»
Aveva riportato il discorso su suo padre, sul perché si era presentato al funerale. Colpa? Era capace di un sentimento del genere? Suo padre aveva detto chiaramente che Aristedes non era capace di provare nessuna emozione.
«Credi di essere stato tu a