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La passione dello sceicco: Harmony Destiny
La passione dello sceicco: Harmony Destiny
La passione dello sceicco: Harmony Destiny
E-book183 pagine2 ore

La passione dello sceicco: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Rashid Aal Munsoori sa di essere destinato a governare l'Azmahar. Il popolo, però, non sembra gradire l'ombra oscura che da tempo lo accompagna. Per forzare la mano al fato decide di sposare Laylah Aal Shalaan, principessa di sangue reale. Una volta conquistata quella donna indomabile e generato un erede, niente e nessuno potrà impedire la sua ascesa al trono. Ma non aveva previsto che la luce di Laylah riuscisse a penetrare nelle tenebre del suo passato e a salvarlo da se stesso. E ora Rashid, pur di diventare il sovrano del cuore di quella donna, è disposto a incendiare il deserto.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2018
ISBN9788858990360
La passione dello sceicco: Harmony Destiny
Autore

Olivia Gates

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La passione dello sceicco - Olivia Gates

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Sheikh’s Destiny

    Harlequin Desire

    © 2012 Olivia Gates

    Traduzione di Roberta Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-036-0

    1

    Laylah Aal Shalaan sentì un brivido bruciarle lungo la schiena.

    Non era la sera di dicembre in una Chicago sotto zero – quello le avrebbe suscitato il ghiaccio nelle vene, non il fuoco.

    La sensazione, invece, l’aveva surriscaldata così tante volte nelle ultime settimane che le sembrava di avere le scalmane. Il che sarebbe stato da record, a ventisette anni. Ma d’altra parte Laylah deteneva altri record poco piacevoli, come l’essere l’unica donna nata in famiglia in quarant’anni. Perché non aggiungerci anche la menopausa precoce?

    Non che pensasse che ci fossero all’opera ormoni anormali: si trattava di un’influenza esterna, che non riusciva a individuare, anche se da un po’ era certa della sua causa.

    Qualcuno la stava osservando.

    E non era come avere le guardie del corpo che le respiravano sul collo: quegli uomini non avevano mai cercato di nascondersi, e al diavolo la sua privacy. Anche se non avrebbe dovuto avercela con loro; in fondo, facevano solo il loro mestiere. Certo, visto che negli ultimi due anni la sua sicurezza non era più stata la priorità di nessuno, ormai non c’erano più cani da guardia intorno a lei.

    Non che pensasse di avere bisogno di protezione; seguiva le basilari norme di sicurezza che chiunque avrebbe seguito in una città come Chicago – da quando si era autoesiliata da Zohayd ed era venuta a vivere nella Città Ventosa, l’aveva sempre fatto.

    Fino a quella sera.

    Di solito andava a casa con Mira, la sua socia e coinquilina; ma Mira era andata a trovare il padre, che era stato ricoverato in un altro stato. Perciò Laylah si era ritrovata da sola, di sera, per la prima volta in due anni, uscita in una strada deserta dalla porta sul retro di un edificio altrettanto deserto.

    Non che tutto ciò avesse niente a che fare con ciò che provava in quel momento. In realtà, non si sentiva affatto minacciata, ma piuttosto... bruciante di curiosità, di eccitazione.

    Guardò al di là della strada, dove c’erano parcheggiate tre auto. La più vicina aveva appena avviato il motore e si stava allontanando, dopo che il guidatore aveva richiuso il cofano; anche la seconda si stava allontanando dal marciapiede, mentre la più lontana, una Mercedes ultimo modello con vetri oscurati, sembrava vuota.

    Prima che potesse stabilire da dove arrivasse quella sensazione, la seconda auto inchiodò davanti a lei e senza darle il tempo di prendere un altro respiro le portiere si spalancarono e ne uscirono quattro uomini che la circondarono prima che riuscisse a muovere più di due passi.

    Corpi massicci e facce volgari, distorte dalla malvagità, le riempirono la visuale. Le si raggelò il sangue, il che le rallentò il battito cardiaco e le reazioni mentre mani estranee le affondavano nella carne, suscitando lampi di disprezzo e di terrore.

    In preda al panico e alla furia, si ribellò con tutto ciò che aveva, mentre brandelli di conversazione le penetravano nel cervello.

    «È solo una, amico.»

    «Tom ha detto che erano due. E se paga la metà?»

    «È quella che vogliamo. Avrai la tua parte.»

    «Avevi detto che cadeva per terra in lacrime, ma non è una pappamolla. Ci manca poco che mi ha castrato.»

    «E a me ha quasi cavato un occhio!»

    «Piantala di piagnucolare e infilala in macchina.»

    Seppure sull’orlo del panico, comprese con terrore che non si trattava di un attacco casuale: conoscevano la sua routine.

    Però quegli energumeni non potevano essere la presenza che aveva percepito!

    La stavano trascinando sempre più vicino all’auto. Se ve l’avessero rinchiusa, non avrebbe più avuto scampo. Esplose in un’altra lotta frenetica, suscitando grida di dolore finché non fu raggiunta da un gancio al mento che le fece scoppiare il cervello.

    All’improvviso, attraverso il vortice di oscurità macchiata di rosso, uno dei suoi assalitori parve essere risucchiato in un buco nero; andò a sbattere contro il muro dell’edificio con un rumore preoccupante. Il secondo si voltò, ma un altro tonfo gli fece schizzare il sangue a pochi centimetri dal viso di Laylah; lo sguardo terrorizzato dell’uomo la trafisse prima che le sbattesse addosso come urtato da un’auto in corsa, facendola finire a terra sotto di lui.

    Si contorse sotto quel peso morto, terrorizzata e disorientata. Chi era arrivato a salvarla? E si sarebbe rivoltato contro di lei una volta che avesse finito con quei disgraziati?

    Riuscì a liberarsi dal corpo che la schiacciava a terra. Si affrettò per rimettersi in piedi sul marciapiede congelato e vide... vide...

    Lui.

    Un angelo caduto. Immenso, scuro, minaccioso. Terribile nella sua bellezza, emanazione di potere e pericolo. Era quasi impossibile riuscire a guardarlo, ma decisamente improponibile non farlo.

    E lei lo conosceva. Lo conosceva da tutta la vita.

    Ma non poteva essere lui: non solo era cambiato da essere quasi irriconoscibile, ma per quale motivo avrebbe dovuto essere lì? In quel momento? Quando lei era stata certa che non l’avrebbe mai più rivisto?

    Era forse il suo cervello scosso che aveva evocato un salvatore immaginario? Ma in questo caso, perché non focalizzarsi sui suoi cugini, che erano altrettanto equipaggiati per ricoprire quel ruolo? Perché lui?

    Perché Rashid Aal Munsoori?

    Una presenza remota, ma costante, in tutti i suoi primi diciassette anni di vita; l’uomo per cui aveva una cotta da tempo immemorabile.

    Stava fronteggiando i due assalitori ancora in piedi, il suo viso unico modellato dal freddo della notte, la testa maestosa quasi rasata, il corpo da rullo compressore avvolto in un soprabito che gli svolazzava intorno come una furiosa creatura degli abissi.

    Gli uomini si ripresero dallo shock e lo attaccarono, urlando, brandendo dei coltelli a serramanico. Laylah piombò di nuovo nel terrore.

    Senza scomporsi per il suo grido di avvertimento, né per l’attacco, Rashid si mosse come un torero nell’arena, rivoltando contro gli assalitori la forza dell’impatto scombinato. In una coreografia di precisione letale, li colpì in modo spietato, impeccabile, i movimenti naturali come il respiro lo era per lei. Sembrava un demone vendicatore che godeva nell’annullare le prede deprecabili che viveva per cacciare.

    Ora che lei si fu messa in piedi, Rashid aveva inchiodato i due malviventi al muro; uno aveva perso i sensi, l’altro penzolava per aria, i piedi che scalciavano debolmente.

    Al di sopra del mormorio del vento, Laylah udì dei suoni indistinti provenire da Rashid – non sembravano umani.

    Per un attimo di follia, pensò che non lo fossero, che fosse posseduto da una qualche entità che non sarebbe stata soddisfatta se non prendendo le vite di quegli uomini. Quell’eventualità la riscosse dalla paralisi. «Li ucciderai!»

    Alla sua protesta strozzata lui si voltò e... ya Ruhmaan! Che cosa gli era successo? Assomigliava vagamente all’uomo per cui aveva spasimato per molta parte della sua vita. L’innaturale vuoto nei suoi occhi, la serena cattiveria che gli faceva mostrare i denti... come un animale in modalità di attacco.

    E quella cicatrice...

    «E allora?»

    Laylah rabbrividì. La sua voce non fece che confermare l’impressione che un demone si fosse impossessato di lui, e stesse modificando il suo corpo per assecondare la propria natura e i propri bisogni, usando la sua voce per trasmettere la propria oscurità e la propria pericolosità.

    L’uomo che un tempo era stato Rashid parlava sul serio: non aveva alcuna remora a uccidere, soprattutto quei delinquenti che aveva abbattuto. Sembrava non provare altro che desiderio di violenza e di vendetta, come se si fosse fatto avanti per punire i criminali, non per salvare lei, la vittima.

    Poteva fare appello solo alla sua logica.

    «E allora non ce n’è bisogno.» Riusciva a malapena a formare le parole in una gola raggelata. «Li hai già battuti, massacrati di botte; dubito che verranno dimessi in tempi brevi dall’ospedale.»

    «Rimetterli in sesto sarebbe un grosso spreco di risorse. Dovrei risparmiare alla società il costo della loro esistenza.» Rivolse la propria attenzione all’uomo che cercava di divincolarsi dalla sua stretta gemendo vagamente. «Feccia come questa non merita di vivere.»

    Laylah si arrischiò ad avvicinarsi, anche se le sembrava di stuzzicare un leone intento a uccidere la preda. «Non pensi che una condanna a morte sia eccessiva per i loro crimini?»

    Rashid rispose senza distogliere lo sguardo dal proprio prigioniero. «Quelli che hanno commesso finora, vuoi dire. Probabilmente avrebbero finito per ucciderti...»

    «No, amico...» L’uomo tossì, il terrore negli occhi. «Noi volevamo solo... prelevarla... per il riscatto. Il capo ha detto che è una principessa... di uno di quei regni del petrolio... Ha detto che ci guadagnavamo un sacco... per lei... Non le facevamo del male, lo giuro... Non uccidermi, ti prego...»

    Ma Rashid non parve convinto, né impietosito. Laylah tentò l’ultima carta, sfiorandogli il braccio; nonostante gli strati di indumenti, dall’acciaio che aveva al posto dei muscoli scoccò una scossa elettrica che la attraversò fino alle punte dei piedi. Deglutì. «Non è meglio che vivano per subire le conseguenze dei loro crimini? Probabilmente hai dato loro un qualche grado di invalidità permanente.»

    Quando il suo sguardo tornò a posarsi su di lei, le sembrò che la vedesse per la prima volta, che solo in quel momento le sue parole superassero la barriera della sua implacabilità.

    Improvvisamente, lui rilassò le mani. I due uomini, entrambi svenuti, a quel punto, caddero a terra come sacchi di patate.

    Laylah trattenne un sospiro di sollievo, l’aria gelida che le inondava i polmoni. Rashid aveva già ucciso, ma era accaduto mentre era un soldato. E lei non poteva avere sulla coscienza la morte di quei delinquenti.

    Tornato a essere l’ultramoderno cavaliere del deserto che aveva il mondo ai propri piedi e tutti i suoi abitanti a propria disposizione, Rashid recuperò il cellulare e chiamò polizia e ambulanza. Dopodiché si rivolse a lei. «Ti hanno fatto del male?»

    Alla sua domanda, tutt’a un tratto Laylah sentì l’impronta delle loro mani su di sé, sulle braccia e sulla schiena; tuttavia, l’epicentro del dolore era il lato sinistro della mascella, e vi portò la mano d’istinto.

    Rashid la sospinse sotto la luce di un lampione, e lei inciampò al sentire la sua mano sul braccio, e poi quando lui sferrò un calcio alla testa di uno degli assalitori che si stava risvegliando. Il contrasto tra la violenza usata con quell’uomo e la gentilezza che mostrava nei suoi confronti era sconvolgente.

    Una volta sotto il fascio di luce, Rashid le scostò la mano dal volto per poterlo esaminare.

    «Forse dovrei ucciderli, tutto sommato.»

    «Per un bel gancio?» cercò di scherzare lei. «Perché non lasci che sia la polizia a occuparsene?»

    «Hanno rapito e picchiato una donna, facendole temere per la propria vita, probabilmente con l’intenzione di porvi fine. Da dove vengo io, solo l’hadd’al herabah sarebbe una punizione adeguata.»

    Laylah rabbrividì. Nella regione da cui provenivano entrambi, i colpevoli colti in fragranza di reati tanto gravi venivano puniti con l’amputazione di un braccio e della gamba opposta.

    Chiuso l’argomento, Rashid si voltò di nuovo verso gli avversari abbattuti, e lei lo vide – una macchia lucida sotto il soprabito.

    Lo afferrò per il braccio, inorridita, ma lui si scansò facendole perdere l’equilibrio; per non cadere, Laylah si appoggiò a lui e le mani affondarono nell’inconfondibile calore del sangue.

    Le ritirò di scatto, fissandole a occhi sbarrati prima di alzare lo sguardo sul suo viso. «Sei ferito!»

    Rashid spostò l’attenzione prima sui suoi palmi macchiati di rosso, poi sul proprio ventre, quindi sugli occhi di Laylah. «Non è niente.»

    «Niente?» protestò però lei. «Stai sanguinando! Ya Ullah!»

    Nella sua espressione un accenno di... fastidio? Impazienza? «È solo un graffio.»

    «Un graffio? Tutto il fianco sinistro è intriso di sangue.»

    «E allora?» Domandò, con un tono di voce freddo e distaccato. «Sei schizzinosa? Spero che tu non abbia intenzione di svenire.»

    «Non sono schizzinosa! È di te che mi preoccupo...» Il terrore le strozzava la gola, più soffocante di quando aveva temuto per la propria vita. La sua nonchalance doveva essere dovuta allo shock; la ferita doveva essere grave, per farlo sanguinare tanto, forse al punto che il dolore non era ancora stato registrato. L’ambulanza avrebbe anche potuto arrivare troppo tardi...

    Ferma l’emorragia. Fagli guadagnare un po’ di tempo.

    Sfilandosi la sciarpa dal collo, gliela pressò sulla ferita. Rashid si irrigidì all’istante, le mani che si posavano sulle sue come per allontanarle da sé, ma lei si lanciò su di lui con tutto il proprio peso, schiacciandolo contro il muro dell’edificio. «Dobbiamo comprimere la ferita» spiegò annaspando.

    Lui si immobilizzò, fissandola con espressione imperscrutabile. Poi le prese le mani e le allontanò, afferrando la sciarpa e pressandosela al ventre. «Faccio io.» Era evidente che pensasse di non averne bisogno, ma voleva tenerla lontana. «Adesso puoi andare.»

    Eh?

    Laylah scosse il capo, le mani sporche di sangue che tremavano ancora. «Devo essere qui quando arriva la polizia.»

    Prendendole di nuovo le mani, le ripulì con l’estremità intonsa della sciarpa. «Dirò che hanno attaccato

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