Seduzione senza copione: Harmony Destiny
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Catherine Mann
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Seduzione senza copione - Catherine Mann
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Propositioned Into a Foreign Affair
Silhouette Desire
© 2009 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Rita Pierangeli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-667-7
1
Le sue mani le massaggiavano il corpo nudo, colmandola di una smania struggente con il calore delle loro carezze.
Bella Hudson si morse il labbro per trattenere un gemito imbarazzante. A stento. Fece appello a tutta la sua bravura di attrice per rimanere in silenzio, mentre Henri operava la sua magia sul corpo cosparso di olio.
Con i muscoli rilassati, affondò il volto nell’apposita nicchia. Il profumo di candele aromatizzate le solleticava il naso mentre una melodia in francese, mescolata ai rumori del mare, le accarezzava le orecchie.
Puro piacere dolceamaro. Molto dolceamaro.
Era probabile che, per qualche tempo a venire, Henri, massaggiatore sessantaduenne, sarebbe stato l’unico uomo a toccarla dopo che il suo boyfriend, attore nonché stupido, le aveva spezzato il cuore. Accidenti, quel pensiero riusciva a disturbare la quiete del suo nascondiglio.
Insieme con la sua adorata cagnetta, Muffin, era fuggita in Francia per leccarsi le ferite al Garrison Grande Marseille, un resort sul mare. Gli alberghi della catena Garrison offrivano anche ogni genere di coccole, in un ambiente tranquillo e riservato.
E, con l’Atlantico di mezzo, era sicura che non avrebbe corso il rischio di imbattersi in Ridley o, peggio ancora, nello zio David.
Gli uomini. Erano tutti vermi. Be’, tranne Henri, che era troppo anziano per lei e sposato ma che... oh, eccome se operava magie con pietre di fiume calde sulla sua schiena.
«Henri, tu e tua moglie siete felici?» Fissò attraverso l’incavo per la faccia le scarpe da ginnastica di Henri mentre lui sostituiva le pietre, posandole accanto alla cuccia portatile della sua preziosa Muffin.
«Oui, mademoiselle Hudson. Monique e io siamo molto felici. Dopo quarant’anni, tre figlie e dieci nipoti, la mia Monique è ancora bella.»
Henri continuò a cantare le lodi della moglie e della famiglia, e la sua adorazione era così tangibile da minacciare di soffocarla.
O di farla vomitare.
Aveva creduto davvero che Ridley l’amasse, soltanto per sentirsi dire che era spiacente, ma si era lasciato coinvolgere troppo dalla storia romantica dei suoi nonni che loro due avevano portato sullo schermo. Aveva anche creduto davvero che i suoi genitori si amassero.
Errore. Un altro madornale errore.
Sua madre era stata infedele. Era andata a letto con il cognato, perciò suo zio David era in realtà suo padre. I suoi due cugini erano in realtà dei fratellastri. Buon Dio, la sua famiglia era matura per il ruolo di protagonista in una soap opera.
Neanche le pietre di fiume potevano alleviare quel dolore.
Il suono di un campanello riecheggiò nella stanza, e Henri si affrettò ad avvolgerle un lenzuolo intorno alle spalle. «Presto, mademoiselle Hudson, si alzi!»
«Come?» chiese lei, stordita.
Quando aprì gli occhi e batté le palpebre per adeguarsi alla penombra, vide Henri che stava cercando di impedire a qualcuno di entrare.
Qualcuno munito di macchina fotografica.
Merda! Ormai del tutto sveglia, Bella balzò giù dal lettino. Inciampò nel lenzuolo e barcollò, rischiando di cadere in avanti.
«I paparazzi! Scappi!» ruggì Henri mentre lei lottava per recuperare l’equilibrio. «Scappi! Il signor Garrison si vanta di proteggere la privacy dei suoi clienti. Mi licenzierà. E poi mia moglie mi ucciderà. Diventa una furia quando si arrabbia.»
Altro che matrimonio felice!
«Dove diavolo dovrei scappare?» Bella voltò le spalle alla porta – e alla macchina fotografica – e, assicurandosi di essere bene avvolta nel lenzuolo, si precipitò ad afferrare la cuccia di Muffin.
Non poteva sgusciare oltre Henri e il fotografo, che stava tentando di sollevare la sua macchina in alto.
«Il paravento» ansimò Henri. «Sposti il paravento. Dietro c’è un’altra porta. Io baderò a trattenere questa carogna.»
Stringendo in una mano il lenzuolo e nell’altra la cuccia, Bella si precipitò al paravento, decorato con un dipinto alla Monet. Dietro trovò una porticina. Diede un colpo di anca alla lunga maniglia rossa e sbirciò fuori.
Guardò a destra e a sinistra lungo un corridoio deserto, più spoglio del resto dell’albergo e sul quale si aprivano porte di uffici. Poteva darsi che qualche impiegato stesse ancora lavorando oltre l’orario, ma era sempre meglio imbattersi in uno di loro piuttosto che attraversare l’enorme atrio, sotto la luce dei lampadari di cristallo, per arrivare agli ascensori.
«Okay, Muffin, incrocia le zampe perché ora si va.»
La sua piccola palla di pelliccia sbadigliò.
Bella si avviò lungo il corridoio, alquanto spoglio a parte qualche pezzo di antiquariato. Con i piedi nudi che affondavano in un folto tappeto persiano, passò accanto a un albero sempreverde, ornato di lucine che lampeggiavano incoraggianti. Si fermò davanti al primo ufficio.
Chiuso a chiave. Dannazione.
Proseguendo, tentò una porta dopo l’altra. Tutte chiuse. Doppia dannazione.
Udendo un rumore alle spalle, come di passi in corsa, si voltò a guardare e...
Clic. Clic. Clic.
Riconobbe lo scatto tipico di una macchina fotografica in azione. Il fotografo aveva avuto la meglio su Henri.
Bella riprese a correre, con la cuccia di Muffin che le batteva contro la gamba.
Non era una principiante nell’arte di sfuggire alla stampa. Era da una vita, da quando era nata, venticinque anni prima, che vi si esercitava con costanza.
Svoltò un angolo e... sì!, scorse una porta socchiusa. Nessuna luce. Probabilmente una stanza deserta. Vi si sarebbe rinchiusa e avrebbe chiamato aiuto.
A corto di fiato, percorse gli ultimi metri e si infilò nello spiraglio.
Per andare a sbattere contro un muscoloso torace maschile.
Uno sprovvisto di macchina fotografica, per fortuna, ma pur sempre un uomo, dal corpo caldo e solido. Alzò la testa a guardarlo nei freddi occhi grigi. Non aveva bisogno di controllare la foto accanto alla porta per riconoscere in quel bel tipo bruno lo scapolo milionario. A trentaquattro anni, era già apparso in molti elenchi di scapoli d’oro, e aveva spezzato centinaia di cuori, dalle sponde del Mediterraneo a quelle della Florida.
Bella era caduta tra le braccia del magnate alberghiero Sam Garrison.
Sam abbassò lo sguardo sugli occhi azzurri colmi di panico dell’attrice Isabella Hudson.
Dove diamine erano finiti i suoi vestiti?
Era abituato ai comportamenti eccentrici dei suoi celebri ospiti, ma una donna che vagava coperta soltanto da un lenzuolo? Era la prima volta che gli capitava.
Tenne gli occhi fissi sul suo volto spaventato e sulla massa spettinata di capelli rossi, aspettando che lei lo illuminasse. Nessun bisogno di indugiare sulla voluttuosa scollatura in mostra. Avvertiva ogni curva di quella bellezza seminuda premuta in modo così stuzzicante contro il suo torace.
«La stampa» ansimò lei, stringendoglisi ancor di più addosso. «Paparazzi!»
Dannazione. La sua libidine passò in secondo piano. Dio, quanto odiava la stampa.
Andava orgoglioso della privacy che il suo albergo offriva, un elemento indispensabile per attirare una clientela selezionata. Una simile violazione poteva costargli cara. Carissima. Per lui niente era più importante dei suoi alberghi.
Neanche un paio di seni stupendi, che potevano far perdere la testa.
Dov’era l’uomo con cui lei si stava intrattenendo? Doveva essere un rammollito se l’aveva lasciata ad affrontare la stampa da sola, vestita unicamente di un lenzuolo e con il corpo unto d’olio?
Quel tizio era sposato? Oppure era un noto politico? La sua mente passò in rassegna possibili bombe di pubblicità negativa. Quell’attrice capricciosa poteva significare grossi guai.
Sam l’afferrò per le spalle, urtando con il ginocchio contro quella sua stupida cuccia rosa. «Resti qui nel mio ufficio mentre mi occupo della faccenda.»
«Grazie. Ma si sbrighi, per favore.» Lei indietreggiò nell’ufficio, e il piede che spuntò da sotto il lenzuolo mise in mostra l’anello d’oro all’alluce. «Lui è appena dietro l’angolo...»
Dei passi risuonarono lungo il corridoio.
Sam aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita offrendo con successo privacy e lusso negli esclusivi Garrison Grande Resorts della sua famiglia. Anche un magnate come lui a volte doveva rimboccarsi le maniche e trasformarsi in buttafuori.
A quanto pareva, era una di quelle volte.
Uscì nello spazio antistante il suo ufficio e aspettò, pronto ad avventarsi sull’intruso.
Dietro di sé, udì Bella che prendeva la sua cagnetta dalla cuccia e le parlava per tranquillizzarla.
Il rumore di passi divenne più forte. Più vicino.
Sam allungò un braccio e stese lo scagnozzo della stampa, quindi gli piantò un mocassino sul torace quando cercò di rialzarsi. Il cane di Bella uggiolò dentro l’ufficio.
Accentuando la pressione, Sam si assicurò che l’uomo, un tipo corpulento, restasse incollato al pavimento. L’aveva riconosciuto. Lavorava come freelance per una rivista scandalistica.
Cioè, aveva lavorato. Perché entro l’indomani mattina sarebbe stato licenziato.
Il cane abbaiò più forte, come a dargli ragione.
«La sicurezza ti accompagnerà alla porta» ringhiò Sam a voce bassa. «Qui non sei più il benvenuto. La tua rivista non sarà più ammessa alle conferenze stampa se continuerà a tenerti sul suo libro paga.»
Un danno grossissimo per l’editore, perciò era garantito che si sarebbe sbarazzato di quel collaboratore.
«Sto solo facendo il mio lavoro» ansimò il fotografo.
«E io il mio.» Sam premette con più forza il piede.
Il fotografo si fece piccolo. Aveva recepito il messaggio, forte e chiaro.
Sam allentò la pressione. «Se riuscirai a trovare un altro lavoro, forse in futuro ti ricorderai di essere più gentile con i miei ospiti.»
Il cane ringhiò, lanciandosi attraverso la porta e piombando in corridoio.
Oddio, cane? Assomigliava di più a un... Diamine, non sapeva come definire quella bestiola bellicosa, più simile a un malconcio gomitolo di pelo, di razza indefinita.
«Muffin!» gridò Bella, sbirciando dalla porta.
Il fotografo annaspò, cercando di afferrare la sua attrezzatura.
Un corno.
Sam gli strappò l’apparecchio dalle mani. Muffin balzò con sorprendente agilità. Il fotografo tentò di nuovo di alzarsi, ma la cagnetta gli atterrò sulla faccia, mandandolo lungo disteso. Poi ringhiò, mostrando i denti inferiori e