Fantasia (eLit): eLit
Di Kate Hewitt
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Info su questo ebook
Dopo una notte travolgente con Jaiven Rodriguez, Louise Jensen pensa che non ci sarà un seguito. Ma ora che lui ha avuto un assaggio della sua più grande fantasia, vuole di più! Louise sta per essere rapita per un viaggio sensuale da cui tornerà completamente cambiata!
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Fantasia (eLit) - Kate Hewitt
Immagine di copertina:
nensuria / iStock / Getty Images Plus
TTitolo originale dell'edizione in lingua inglese:
The Billionaire’s Fantasy
Harlequin Presents
© 2015 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Elisabetta Frattini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-317-5
1
Louise Jensen era la personificazione di tutte le fantasie erotiche sulle maestrine sexy che Jaiven avesse mai avuto. In realtà, l’abito comodo e le scarpe dal tacco basso che indossava erano tutt’altro che provocanti.
Forse, a fare emergere il suo lato sensuale, erano gli occhiali. La montatura nera, pesante e quadrata in qualche modo, invece di nasconderli, metteva in evidenza gli occhi castani dall’espressione vivace. Anche la sua risata era seducente. La postura, invece, era po’ tesa; in una mano reggeva il bicchiere con il vino e con l’altra cullava il gomito, come se faticasse a trattenersi. Ma aveva una risata sorprendentemente sexy e sconcia.
Il quadro generale, gli occhiali, la risata, la postura rigida e il fatto che fosse una docente della Columbia University, gli fecero prendere una decisione: doveva portarsela a letto.
A giudicare dalle occhiate che gli lanciava, era più che certo che ci sarebbe stata.
Per dire la verità non era il suo tipo; Jaiven preferiva le donne stupide, superficiali e con un bel corpo, qualità che facevano del sesso quella transazione semplice e piacevole che lui prediligeva.
Louise Jensen aveva un corpo da favola, ma non era né stupida né superficiale, ciononostante lui la desiderava e intendeva averla.
Scolò la birra che aveva ordinato e si guardò intorno nel locale affollato di ospiti che conversavano muovendosi tra marmi e dorature. Persino le loro risate suonavano altezzose come tintinnii di cristalli pregiati.
Non quella di Louise. La sua risata era più sonora di tutte le altre e ogni volta che la sentiva, Jaiven provava un intenso moto di desiderio.
Di solito evitava di prendere parte a feste di quel genere. Detestava i giri di conoscenze altolocate e snob dove tutti erano impegnati a dar prova di sé come lui non avrebbe mai potuto fare, anche se avesse voluto.
Era una mosca bianca in mezzo a tutta quella gente che si pavoneggiava. Sentiva i loro sguardi curiosi che osservavano il tatuaggio che aveva su un lato del collo, il naso rotto e lo smoking che, pur essendo perfetto, a lui sembrava una camicia di forza.
Nel tentativo di allentare la tensione, fece roteare le spalle. Al diavolo. Fare sesso era il modo migliore per allentarla, il più semplice.
E lui sapeva esattamente con chi voleva rilassarsi.
Lanciò un’altra occhiata a Louise, apertamente, senza nascondere l’interesse che provava nei suoi confronti. Nonostante gli desse le spalle, Jaiven sapeva che percepiva il suo sguardo, lo deduceva da come si agitava sulla sedia, stringendo la mano sul gomito e bevendo un altro sorso di vino.
Era possibile che le piacessero i cattivi soggetti? I tatuaggi? Jaiven aveva conosciuto altre feticiste. Comunque stessero le cose, anche se fingeva il contrario, Louise era interessata.
Non aveva fatto altro che lanciargli occhiate furtive mentre sorseggiava il vino e subito dopo aver distolto lo sguardo diceva qualcosa o rideva fragorosamente.
Jaiven sorrise. La tensione incominciava già ad allentarsi. Sarebbe stata una conquista interessante e facile, una combinazione piacevole, il modo perfetto per concludere la serata.
«Jaiven.» Alex Diaz, l’amico che aveva organizzato la festa, gli batté una mano sulla spalla. «Ti stai divertendo?» gli chiese rivolgendogli un sorriso d’intesa. Jaiven sollevò gli occhi al cielo. «So che per te deve essere un supplizio dal momento che si non si tratta di una semplice festa, ma di una festa di fidanzamento.»
«Vero» confermò Jaiven in tono neutro, rispettoso nei confronti della felicità del suo amico di vecchia data. Era strano pensare che Alex l’avesse trovata in una relazione sentimentale. Una relazione duratura, cosa che entrambi avevano giurato di evitare come la peste.
Era anche vero che le persone cambiavano, fatta eccezione per quanto lo riguardava. Lui non intendeva farlo. Eppure Alex sembrava felice con Chelsea Maxwell, l’ex conduttrice di un talk show di successo che ora si dedicava alle opere di beneficenza. Per Jaiven era qualcosa di inconcepibile. Del resto Chelsea, con l’aspetto da diva del piccolo schermo e l’atteggiamento glaciale, non era il suo tipo.
Al contrario di sua sorella Louise. Lei sarebbe andata bene. Almeno per una notte.
Alex si allontanò per salutare un altro ospite e Jaiven tornò a guardare l’oggetto del suo desiderio che, rimasta da sola, si stava avvicinando al bancone del bar per chiedere un altro drink. Ne aveva già bevuti troppi, ma non dava l’impressione di esser ubriaca. Jaiven non avrebbe mai fatto sesso con una donna ubriaca. Troppe emozioni, troppi rimpianti e lui ne aveva già abbastanza dei suoi.
Sorridendo le si avvicinò.
Louise raggiunse il bancone e appoggiò con troppa energia il bicchiere sulla superficie lucida, atteggiando le labbra a una smorfia. Il barista lo fece sparire subito rivolgendole un’espressione neutra. Quello sì che era un posto di classe.
Louise si tenne in equilibrio appoggiandosi con una mano al bancone. Non si sarebbe mai dovuta mettere quelle scarpe con il tacco. Per dire la verità i tacchi non erano alti, ma in quel momento le sembravano a spillo in confronto alle scarpe comode che era solita calzare.
Anche il vestito le dava fastidio. Troppo stretto e scollato rispetto al suo guardaroba semplice, da insegnante single.
Per la festa di fidanzamento di sua sorella aveva voluto vestirsi in modo meno serio. Aurora, o Chelsea come si faceva chiamare ora, era riuscita a riscattarsi dall’infanzia terribile che avevano vissuto. Aveva trovato un uomo che la rendeva felice, in grado di prendersi cura di lei e di proteggerla. E un successo del genere meritava di essere festeggiato.
Era un peccato che lei non avesse avuto la stessa fortuna.
«Un altro?» le chiese il barista e Louise annuì.
Dopo appena due bicchieri di vino si sentiva già alticcia. E le veniva da piangere. In confronto a quella di Chelsea la sua vita era squallida. Forse era da egoisti pensare a se stessi durante la festa di fidanzamento della propria sorella. In quel frangente avrebbe dovuto pensare solo a Chelsea, si disse accettando il vino che le veniva offerto.
Ma pensare a Chelsea era difficile perché, anche se ora si stavano riavvicinando, oltre ad avere in comune un passato sordido e triste, erano state separate per ben quindici anni. Trascorsi di quel genere non si superavano nel giro di una notte e nemmeno di un anno.
Forse non si superavano mai.
Sospirando, bevve un sorso generoso di vino.
«Volevo offrirti un drink, ma vedo che hai già provveduto.»
Louise sobbalzò al suono della voce profonda e sexy perché sapeva a chi apparteneva.
All’uomo a cui aveva continuato a lanciare occhiate furtive per tutta la serata. Se ne era accorto? La possibilità la fece sentire umiliata e allo stesso tempo eccitata. Stava parlando con lei.
Louise prese un respiro profondo e si voltò verso di lui fingendo una noncuranza che era ben lontana dal provare. «Grazie per il pensiero, ma...» Qualunque cosa stesse per dire evaporò nel vuoto che si era formato nel suo cervello e lei non riuscì a far altro che guardare.
Quell’uomo era consapevole del suo fascino?
Sì, a giudicare dal suo sorrisetto, lo era eccome. Ma nemmeno la sua arroganza riusciva a ridurre l’attrattiva dell’insieme.
Occhi sornioni, del colore dell’ambra. Capelli scuri e corti al punto da mostrare la perfezione del cranio, della mascella e degli zigomi, tutte linee dure e implacabili.
Il naso non era perfetto. Era stato rotto almeno una volta, il che aggiungeva una maggior attrattiva al suo fascino di uomo pericoloso. Si capiva che era un tipo che aveva vissuto intensamente.
Per quanto riguardava il corpo poi... Louise si impose di trattenersi dall’abbassare lo sguardo, ma il suo cervello non rispettò il comando. Doveva andare ben oltre il metro e ottanta, attributo apprezzabile dal momento che anche lei era alta.
Inoltre, era perfettamente proporzionato, slanciato e muscoloso.
Poi c’era il tatuaggio. Il suo sguardo tornò sul collo e sugli svolazzi neri che uscivano dal colletto della camicia. Non avrebbe dovuto trovarli sexy. Per niente.
Jack aveva un tatuaggio. Sul braccio. Una donna nuda distesa su una motocicletta. Se a diciott’anni avesse avuto un po’ di buonsenso, avrebbe capito che non era il genere d’uomo di cui fidarsi.
Non fu una scelta saggia.
Tuttavia il ricordo di Jack non le impedì di apprezzare il tatuaggio di quell’uomo. Tutto in lui era affascinante. I capelli scuri e gli occhi chiari, le spalle larghe e la vita stretta, tutto trasudava una forza a malapena contenibile.
Con quegli occhi color ambra e i movimenti fluidi, le ricordava una tigre. E le tigri potevano uccidere.
«Finito?» le chiese lui con il suo accento spagnoleggiante e il tono divertito. Louise sollevò lo sguardo accorgendosi di averlo squadrato con un po’ troppa attenzione e per più di un intero minuto.
Santo cielo.
Ecco che cosa succedeva quando non si usciva con un uomo da cinque anni. In ogni caso Louise non aveva alcuna intenzione di interrompere l’astinenza con quella tigre. Era troppo imponente, troppo virile, troppo simile a Jack. E l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di andare a letto con un uomo che le ricordava il suo ex marito.
Solo che in confronto a quell’uomo, il suo ex sarebbe sembrato un gattino, il che rendeva il suo interlocutore ancora più pericoloso. Letale.
Qualcuno da cui stare alla larga, nonostante fosse praticamente impossibile non sentirsi attratti dal suo fascino ruvido.
«Sì, ho finito» lo informò in un tono che sarebbe voluto essere noncurante, ma che in realtà risultò dispiaciuto. Sì, è vero, sono disperata.
«Bene, perché dopo averti offerto da bere, ti avrei chiesto di venire via con me.»
Una scossa di adrenalina le fece balzare il cuore in gola. Quell’uomo ci stava davvero provando con lei? «È così che si rimorchia oggi?» gli chiese nel tentativo di apparire altezzosa.
«È così che faccio io.»
Louise non faticò a credergli. Sorseggiando il vino cercò di riflettere. Quell’uomo voleva andare a letto con lei e a lei sarebbe piaciuto accontentarlo, ma... sarebbe stato troppo pericoloso. Per diversi motivi.
«Un po’ scarsa come frase ad effetto» osservò in tono acido. Lui scrollò le spalle, perfettamente a suo agio e rilassato.
«Era più una considerazione.»
Louise posò il bicchiere e atteggiò le labbra a una specie di broncio. «Quel commento da uomo di Neanderthal? Molto poco eccitante.»
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso pigro. Quello sì che era eccitante. Tanto da farle tremare le ginocchia e svuotare la mente. «Non uso tattiche da uomo delle caverne, Louise, ma trovo che non abbia senso fingere che tu non mi desideri quanto io desidero te, non credi?»
Una vampata di calore salì in lei scaldandole le guance. Inorridita e allo stesso tempo eccitata cercò di pensare a quand’era stata l’ultima volta che un uomo aveva dichiarato di volerla e con una tale calma e certezza.
«Come sai come mi chiamo?» gli chiese, poi lo osservò scrollare le spalle.
«Ho chiesto in giro.»
«Io non so come ti chiami.»
I suoi occhi assunsero uno sguardo divertito diventando ancora più chiari. Louise capì di essere nei guai. «Informati.»
«Bene» commentò lei afferrando il bicchiere come se fosse stato un salvagente. Per timore di romperlo, si obbligò ad allentare la presa. «Come ti chiami?»
«Jaiven. Jaiven Rodriguez» rispose lui, poi rimase a fissarla. «Sono un vecchio amico di Alex.»
«Bene, Jaiven.» Il suo nome suonava familiare. «Per quanto allettante sia la tua proposta, non posso andarmene. Chelsea è mia sorella e io sono la sua damigella d’onore.»
Jaiven inarcò un sopracciglio. «E allora?»
Louise cercò di immaginare che aspetto avesse la sua pelle: abbronzata, liscia e...
Smettila subito, si ammonì. «E allora sarebbe maleducato.»
«Sono sicuro che Chelsea capirebbe.»
«Perché? Perché sei uno stallone senza pari?»
Jaiven rise sommessamente, facendola fremere. «Anche, ma soprattutto perché è nel suo mondo felice e non ha bisogno di te.»
Era vero. Le lacrime minacciarono di chiuderle la gola e Louise si affrettò a distogliere lo sguardo. Aveva bevuto troppo e si stava lasciando sopraffare dalle emozioni. Non era una buona combinazione. In quello stato non poteva prendere decisioni riguardo alla sua vita sentimentale. O meglio sessuale, dal momento che non aveva dubbi su quello che Jaiven Rodriguez voleva. L’avventura di una notte e non certo una relazione impegnativa. Probabilmente non avrebbe nemmeno fatto colazione con lei il giorno seguente.
«Non posso» decise rendendosi conto di quanto il suo rifiuto fosse rivelatore. Non potere non equivaleva a non volere. Del resto Jaiven doveva aver capito già da un po’ che lei lo desiderava. Probabilmente l’aveva vista mentre lo guardava con interesse e aveva percepito la forza del suo desiderio.
Si era resa ridicola, umiliandosi. Era evidente che Jaiven Rodriguez era fuori dalla sua portata.
Eppure vuole me.
Quello era l’afrodisiaco più potente al mondo. Il desiderio puro, tradotto in parole.
«Devo restare qui per Chelsea» ribadì in tono risoluto. Perché non ci sono mai stata prima. Chelsea aveva solo sedici anni quando lei l’aveva lasciata sola ad affrontare un mondo che fino a quel momento era stato ostile e implacabile per entrambe. Il ricordo del loro ultimo incontro era inciso in modo indelebile nella sua memoria e le bruciava l’anima.
Lei aveva un progetto. Una borsa di studio per l’università dell’Alabama, un biglietto di sola andata per uscire dalla condizione miserabile in cui si trovava. Chelsea doveva ancora finire le superiori e aveva un ragazzo che non voleva lasciare.
Louise, vai, io me la caverò. C’è Rick con me.
E Louise aveva ignorato lo sguardo vulnerabile di sua sorella, scegliendo di notare solo il mento sollevato in un gesto di risolutezza. E se ne era andata. Quando dopo qualche mese era tornata per la prima vacanza, Chelsea era scomparsa. Non aveva più rivisto sua sorella per quindici anni.
Quindici anni a rimpiangere di non aver agito diversamente. A sentirsi in colpa.
Lei e Chelsea si erano perdonate ora e Louise aveva superato i sensi di colpa, di cui a volte però sentiva ancora l’eco, specialmente in momenti come quelli, quando Chelsea era così felice e lei un po’ alticcia.
«Bene» commentò Jaiven riportandola al presente.
Louise rimase delusa all’idea che rinunciasse così