Weekend con il capo: Harmony Collezione
Di Kate Hewitt
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Info su questo ebook
Lizzie Chandler è senza parole: il suo capo, l'architetto Cormac Douglas, le ha appena chiesto di partire con lui per un importante viaggio di lavoro. Non sa ancora, però, che quella richiesta nasconde un'inattesa motivazione.
... alla camera da letto.
Quell'affare è troppo importante, Cormac lo sa, e per concluderlo ha bisogno di avere una moglie al proprio fianco. E chi meglio di Lizzie può recitare quella parte per un weekend?
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Weekend con il capo - Kate Hewitt
1
A Cormac Douglas serviva una moglie. Entro ventiquattr’ore. Le dita che tamburellavano sulla scrivania facevano eco all’irritazione che covava dentro di sé. All’esterno, le torrette merlate del castello di Edimburgo erano velate dalla cupa nebbia di ottobre.
Una moglie. Ma chi?
Le donne che conosceva non erano adatte per quel ruolo. Erano solo avventure di una notte. Nessuna che lui potesse corrompere, o ricattare. O piegare alla propria volontà.
Esaminò il proprio ufficio, una grande stanza spartana all’ultimo piano di un edificio restaurato in Cowgate Street, ma non trovò sollievo. Aveva l’incarico perfetto che aspettava solo di essere conquistato, ma non lo avrebbe avuto, senza una moglie.
Si ripresentò alla sua mente una conversazione di qualche giorno prima con un collega architetto.
«Gli Hassell alla fine hanno deciso di costruire un villaggio a Sint Rimbert» gli aveva detto Eric. «Qualcosa di ecocompatibile e lussuoso, destinato soprattutto alle famiglie. Sostengono che sia un settore molto richiesto dal mercato. È un incarico con i fiocchi.»
«Infatti.»
«Mi candiderei io, ma vogliono iniziare a lavorare l’anno prossimo, e io sono già impegnato.» Poi aveva riso, mesto. «Sono fuori gara anche per un altro motivo. Non sono sposato.»
«Sposato?» si era stupito Cormac. «Cosa c’entra il matrimonio con il progetto?»
«A quanto pare, gli Hassell sono una famiglia molto unita. Per progettare il posto vogliono una persona affidabile, che creda nella famiglia. Preferibilmente un uomo sposato. Naturalmente è solo una chiacchiera, non lo ammetterebbero mai ufficialmente.»
«È ovvio.» Cormac aveva impresso una nota secca alla voce. «E probabilmente questo è il motivo per cui non ne ho sentito parlare.»
«Proprio così» aveva concordato Eric ridendo. «Tu non sei nella lista, Cormac.»
«Non ancora.»
Dopo quella telefonata, Cormac aveva passato molto tempo a fissare il cielo plumbeo e il movimento lento delle auto nella Old Town.
Si era immaginato la rosa dei nomi che Jan Hassell avrebbe compilato: rispettabili architetti sposati, con vite familiari felici e progetti privi di ispirazione.
Era assurdo che gli Hassell volessero un uomo sposato. I valori familiari non incidevano - non positivamente, almeno - sul lavoro. Lui lo sapeva bene, il lavoro era la sua vita. E quanto alla famiglia...
Aveva soffocato un’imprecazione, serrando i pugni. Voleva quell’incarico. Era una fantastica opportunità, l’occasione per dimostrare chi era... e chi non era.
Ma non aveva una moglie.
Poche ore dopo la telefonata di Eric, Cormac aveva fatto qualche chiamata, e alla fine aveva contattato Jan Hassell. Dopo avergli inviato via fax il proprio curriculum e qualche progetto, era stato invitato quel fine settimana a casa sua a Sint Rimbert insieme ad altri due architetti. Tutto ciò che gli serviva era una moglie, un ornamento per dimostrare di possedere quei dannati valori familiari.
Lo sguardo gli cadde su alcune lettere che la segretaria gli aveva lasciato sulla scrivania. Prima ancora di scarabocchiare il proprio nome in calce alla prima pagina si fermò, e sorrise.
Aveva trovato la moglie perfetta.
Solo che lei non lo sapeva ancora.
«Sono felice che te la stia cavando così bene, Dani» disse Lizzie al telefono. Inghiottì il nodo che le si era formato improvvisamente in gola. Era ridicolo sentirsi triste. Dani era felice, si godeva la vita all’università, facendo tutte le cose che una diciottenne dovrebbe fare. Era ciò che aveva sempre desiderato per sua sorella.
Ci fu il borbottio di una risata maschile all’altro capo, e Dani disse: «Devo andare, stanno arrivando degli amici...».
«Sono solo le cinque!» protestò Lizzie.
«È giovedì, sai?» La ragazza rise. «Il fine settimana all’università comincia sempre presto.» Un’altra risata maschile risuonò in sottofondo. «Hai qualche progetto, per il weekend? Il tuo primo da sola!»
«Sì.» Lizzie si sforzò di mostrare un po’ di entusiasmo. «Sì, ho intenzione di...» La mente si svuotò. Leggere un libro. Fare un bagno. Andare a letto.
«... fare baldoria?» Se c’era dell’ironia nella voce di Dani, era gentile, ma pungeva ugualmente. «Dovresti, Lizzie. Hai passato troppo tempo a occuparti di me. Goditi la vita. Trovati un uomo. Mi stanno chiamando, farei meglio ad andare...» Ridacchiando, Dani riappese il telefono.
Goditi la vita. La voce di Dani le risuonò nelle orecchie mentre riappendeva il ricevitore. Per sua sorella era facile: era spensierata, giovane, incurante. Non aveva responsabilità, preoccupazioni, bollette da pagare.
Lizzie sospirò. Non voleva pensare male di sua sorella. Non aveva forse lavorato duramente, sacrificando i suoi sogni, proprio per permettere a lei di averne?
E ora li aveva. Lizzie sarebbe dovuta esserne elettrizzata. E lo era. Davvero.
Si alzò con determinazione dalla scrivania. Forse si sarebbe data alla pazza gioia, almeno un po’. Si sarebbe recata in un’enoteca in Rose Street, e magari avrebbe incontrato qualche collega. C’era un architetto associato che le piaceva...
Ma sapeva che non lo avrebbe fatto. Non osava.
Con un sospiro, prese la borsa. Si sarebbe assicurata che il suo capo non avesse bisogno di altro e poi sarebbe andata a casa. Da sola. Come sempre.
Bussò piano alla porta di Cormac Douglas.
«Avanti!» ringhiò lui.
Brusco come sempre, pensò Lizzie. Cormac Douglas si recava nell’ufficio di Edimburgo una settimana ogni quattro, e lei preferiva le altre tre. I suoi ordini stringati erano più gestibili se comunicati via e-mail o con un biglietto sulla scrivania.
Lizzie spalancò la porta. «Signor Douglas, io uscirei, se non ha bisogno di me...»
Cormac era alla finestra, le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni, lo sguardo sul grigio paesaggio urbano. «Bisogno di lei?» ripeté, come se stesse riflettendo. Si girò a guardarla, esaminandone l’aspetto. «In effetti, sì.»
«Bene.» Lizzie rimase in attesa di istruzioni. Era abituata a rimanere fino a tardi quando Cormac era in città. In realtà, aveva finito tutto il lavoro che le aveva assegnato, ma forse era saltato fuori qualcos’altro.
«Ha un passaporto valido?»
Lizzie batté le palpebre, sconcertata. «Sì...»
«Bene, perché ho un impegno di lavoro e ho bisogno di una segretaria che mi accompagni.»
«Molto bene.» Lizzie annuì, come se per lei non fosse una novità. Nei due anni che aveva lavorato per la Douglas Architectural Design, non aveva mai accompagnato Douglas da nessuna parte, neanche in un cantiere in zona. Era abituato a fare le cose da solo. In caso contrario, preferiva portare con sé una delle assistenti dell’ufficio di Londra, e non una semplice provinciale di Edimburgo. «Dove andiamo?»
«Domani sera partiremo per le Antille olandesi, torneremo lunedì. È un incarico molto importante.» Si fermò, gli occhi socchiusi, la fronte corrugata. «Mi spiego?»
«Sì.» Le Antille olandesi... se la geografia non la tradiva, si trovavano nei Caraibi, ad almeno otto ore di aereo. Se Cormac compiva un viaggio del genere solo per un incarico, doveva essere importante. Anche per lei.
Deglutì e si costrinse a guardare il suo capo. «C’è qualcosa che posso fare per organizzare il viaggio?»
«Sì, prenotare i biglietti.» Le allungò un foglio. «Ecco le informazioni necessarie. Domani sarò fuori ufficio, quindi la incontrerò all’aeroporto, sala d’aspetto di prima classe. Mi mandi via sms le informazioni essenziali.»
Lizzie annuì, abituata a ordini così aspri. Prese il foglio ed esaminò i pochi dettagli scarabocchiati. Soffocò la curiosità di saperne di più, e chiese rigida: «È tutto?».
Lui la squadrò ancora una volta e le sorrise ironico. Lizzie ebbe la strana sensazione di aver fatto qualcosa che Cormac si aspettava... e di averlo deluso.
«È tutto» rispose e, sedendosi alla scrivania, tornò al suo lavoro, ignorandola.
Lizzie uscì dalla stanza in silenzio. Una volta tornata alla scrivania, si lasciò cadere sulla sedia, le ginocchia deboli.
Sarebbe andata ai Caraibi. Si immaginò spiagge di sabbia bianca, foreste tropicali, drink esotici. Persone, risate, brezza salata. Chissà cosa poteva succedere? Chi poteva incontrare?
Ora aveva dei progetti per il fine settimana. Grandiosi progetti.
Dopo aver organizzato il viaggio, Lizzie si alzò e si infilò il cappotto.
Sarebbe andata ai Caraibi... con Cormac Douglas.
Per un attimo si fermò, il cappotto infilato a metà, riflettendo su come sarebbe stato un viaggio con il capo.
Sarebbero stati insieme in aereo, in albergo, sulla spiaggia.
In un ambiente nuovo, più rilassato, quell’uomo si sarebbe ammorbidito? O si sarebbe comportato nel modo sgarbato e sbrigativo che gli era consueto?
Per un attimo cercò di immaginare il suo volto sorridente e non imbronciato, gli occhi ridenti e non cupi. Era praticamente impossibile. Non era sicura di aver mai visto Cormac Douglas con un sorriso gentile al posto di quel ghigno di disprezzo.
Quando Lizzie lasciò il lavoro, dirigendosi verso la brulicante vita notturna della Old Town, stava cadendo una pioggerella sottile.
Appena aveva iniziato a lavorare lì, le colleghe l’avevano invitata fuori, ma lei non aveva mai accettato, a causa di Dani.
Ora non glielo chiedevano più.
Lizzie scacciò quel pensiero; occuparsi di sua sorella le era sufficiente, lo era sempre stato.
Adesso, però, Dani se n’era andata. Gli ultimi tre giorni erano stati strani, immobili, silenziosi. Lizzie aveva accettato il distacco con pragmatica determinazione, dicendosi che finalmente aveva il tempo per crearsi degli amici e dei passatempi. Il tempo per farsi una vita.
E sarebbe iniziata con un volo ai Caraibi.
Tre giorni a Sint Rimbert... Anche se doveva andare con Cormac Douglas, almeno sarebbe uscita, avrebbe incontrato gente, avrebbe avuto un briciolo di avventura.
Era un inizio... di qualcosa.
Lasciò le luci di Princess Street, offuscate dalla pioggia, e si diresse verso la propria casa a Stockbridge, a pochi passi dalla Old Town di Edimburgo.
La casa georgiana si trovava in un quartiere cosmopolita: Lizzie sapeva che la sua casa sembrava vecchia e malandata, in mezzo alle altre, come un’erbaccia tra le rose. Aveva bisogno di nuove finestre, di una mano di vernice e di una dozzina di altre cose. Nessuna delle quali rientrava nel suo budget, ma era pur sempre casa sua, una casa piena di ricordi che voleva conservare.
Aprì la porta, entrando nell’atrio buio. Dalla partenza di Dani, Lizzie faceva caso al silenzio, al vuoto, agli spazi inutilizzati.
«Sindrome del nido abbandonato a ventotto anni» mormorò, irritata con se stessa. Accese la radio in cucina, lanciò un’occhiata nella credenza per vedere cosa poteva cucinare e si diresse al piano di sopra per cambiarsi.
Aveva una moglie. Cormac sapeva che avrebbe dovuto muoversi con i piedi di piombo. L’inganno doveva reggere, ma pensava di sapere come raggirare la sua segretaria. La chiave era l’intimidazione. Scosse la testa con sprezzante mancanza di considerazione.
La signorina Chandler era una di quelle persone sfortunate, il cui unico scopo era quello di venire usate.
Usare o essere usati.
C’erano ancora troppe variabili, però. Sarebbe stata convincente come moglie? Le avrebbe spiegato tutto in aereo, quando non avrebbe avuto via d’uscita.
Curvò la bocca in un sorriso. Se necessario le avrebbe offerto del denaro. Nessuno rifiutava guadagni facili. E lei sembrava averne bisogno. Indossava ogni giorno lo stesso completo nero da lavoro, sicuramente non costoso. Il trucco e i capelli, se sistemati, potevano aiutare, trasformarla. Trasformazione... il pensiero lo bloccò. La immaginò con una valigia economica piena di abiti dozzinali. Da segretaria. Non adatti a sua moglie.