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Salvata dal milionario: Harmony Collezione
Salvata dal milionario: Harmony Collezione
Salvata dal milionario: Harmony Collezione
E-book168 pagine5 ore

Salvata dal milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Dalla Grecia agli Stati Uniti, dall'Italia all'Inghilterra, innamorarsi di un milionario non è poi così difficile. Ma riuscire a rapirne il cuore non è un'impresa da tutti.

Quando Sergei Kholodov salva la giovane e ingenua Hannah Pearl, resta colpito dal suo approccio alla vita. Lui ha sempre preso le cose in modo molto più serio, forse a causa del suo passato. Hannah lo intriga, e sedurla per cancellare il suo candore diventa per lui quasi una sfida.
E' passato un anno da allora, ma Sergei non l'ha affatto dimenticata. Così torna a cercarla: una notte con lei, forse, riuscirà a cancellarla dalla sua mente una volta per tutte.
LinguaItaliano
Data di uscita11 feb 2019
ISBN9788858993347
Salvata dal milionario: Harmony Collezione
Autore

Kate Hewitt

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Salvata dal milionario - Kate Hewitt

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Kholodov’s Last Mistress

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 Kate Hewitt

    Traduzione di Cornelia Scotti

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-334-7

    1

    Stava per essere derubata. Sergei Kholodov guardava con occhio esperto e freddo i tre ragazzi che agitavano fogli di giornali davanti al viso della ragazza straniera. Era sulla ventina e probabilmente americana, a giudicare dai capelli dritti e dai denti perfetti.

    I tre ragazzini l’avevano avvicinata mentre lei osservava rapita la cupola della Cattedrale di San Basilio, con una cartina dimenticata nella mano. Avevano iniziato a parlare in fretta, agitandole davanti agli occhi i fogli. Lui sapeva come funzionava. Lei invece, era evidente, non si rendeva conto di nulla. Aveva sorriso, sorriso!, ai tre piccoli malfattori, senza capire. No, davvero non si rendeva conto di nulla.

    I ragazzini invece sapevano il fatto loro. Era per quello che l’avevano scelta tra tanti turisti. Perché era un bersaglio facile. Intanto i tre continuavano a tenere i giornali vicini al suo viso, e la circondavano. Lui la sentì ridere di nuovo e parlare in un russo stentato.

    «Spasiba, spasiba, niet...»

    Sergei strinse gli occhi mentre uno dei ladruncoli le infilava la mano nella tasca del parka rosso. Lui sapeva quanto leggera e veloce poteva essere una mano, quando la infilavi nella tasca di qualcuno e richiudevi le dita intorno alla forma solida di un portafogli o alla frusciante leggerezza di una mazzetta di banconote. Conosceva l’emozione del pericolo e la soddisfazione di un borseggio ben fatto. E il disprezzo nei confronti del malcapitato.

    Sergei soffocò un sospiro e decise che era il caso di intervenire. Non amava particolarmente gli americani, ma quella donna era giovane ed era evidente che non aveva idea di essere sul punto di perdere il suo denaro.

    Con passo veloce e deciso si diresse verso di lei. Intorno a lui, la folla si spostava d’istinto per lasciarlo passare.

    Afferrò per il colletto della felpa malridotta il ragazzino che aveva la mano infilata nella tasca dell’americana e lo guardò con soddisfazione mentre scalciava invano nel vuoto. Gli altri ragazzi scapparono. Gli dette uno scrollone.

    «Pokazhite mne. Dammelo.»

    «Non ho niente» protestò il ragazzino in russo.

    Sergei sentì una mano gentile eppure ferma che si posava sulla sua spalla. «Per favore» disse la donna in un russo stentato. «Lo lasci stare.»

    «La stava derubando» rispose Sergei senza voltarsi. Scosse di nuovo il ragazzino. «Pokazhite mne!» La stretta della donna si fece più forte e lei lo strattonò. Non tanto da fargli male però, per la sorpresa, Sergei allentò la stretta sul ragazzo, che approfittò del momento per sgattaiolare via.

    Sergei inspirò a fondo, e si voltò verso la donna che lo stava fissando con espressione scandalizzata. «Soddisfatta?» le domandò in inglese con sarcasmo.

    Lei spalancò gli occhi. «Parla inglese?»

    «Meglio di come lei parla il russo» la informò lui. «Perché si è intromessa? Ora non riavrà mai più il suo denaro.»

    «Cosa?»

    «Quel ragazzino che ha difeso strenuamente, l’ha appena derubata.»

    Lei scosse la testa. «No, si sbaglia. Voleva solo vendermi un giornale. Lo avrei anche comperato, se solo fossi in grado di leggere il russo. Erano tutti e tre molto infervorati, tutto qui.»

    Sergei era incredulo. Esistevano davvero persone tanto ingenue? «Signorina, si sbaglia. Quei tre la stavano distraendo per poterla derubare.»

    Di nuovo lei lo guardò stupita, poi scosse la testa. «Non credo fossero pericolosi.»

    «Allora controlli» incalzò Sergei.

    «Controllare cosa?»

    «Guardi nelle tasche.»

    Lei scosse la testa di nuovo. Ancora serena e ingenua. «Veramente non è neces...»

    «Controlli!» le intimò lui.

    La vena di durezza in quello sguardo gentile stimolò l’interesse di Sergei e gli procurò una scintilla di desiderio. Era piuttosto carina, con occhi viola e il viso a forma di cuore. Il resto non riusciva a vederlo, per colpa del parka troppo largo.

    La ragazza scrollò le spalle con un sorriso tranquillo sulle labbra. «D’accordo, vedrà che...»

    La voce si spense non appena ebbe infilato le mani in tasca e Sergei restò a osservare la miriade di emozioni che le passarono sul viso. Confusione, impazienza, incertezza, incredulità, rabbia. Aveva visto molte volte quelle stesse espressioni, di solito da lontano, mentre stringeva nel pugno il bottino che si era guadagnato.

    Lei però non era arrabbiata. Piuttosto ferita, a giudicare dalla luce cupa nei suoi occhi.

    «Aveva ragione» ammise la ragazza. «Mi hanno preso il denaro.»

    «Perché teneva il denaro nella tasca del cappotto?» le domandò.

    Lei si prese il labbro tra i denti, e lo sguardo di Sergei fu attratto come una calamita da quelle labbra piene e rosa. Dal modo in cui i denti regolari mordicchiavano la carne tenera. Dentro di lui si agitò una serie di sentimenti in totale contrasto uno con l’altro. Irritazione e interesse, fastidio e attrazione.

    «Ero appena stata in banca» spiegò. «Non avevo ancora avuto tempo di metterli via.»

    Era rimasta abbagliata dalla bellezza di San Basilio, probabilmente, e così non aveva pensato a riporli. Ma in fondo, a me cosa importa?, domandò Sergei a se stesso. Era solo un’altra turista americana. Ne aveva viste molte negli anni. A cominciare da quelle che avevano osservato con interesse il povero orfano russo per accertarsi che non avesse difetti, e che lo avevano fatto visitare da decine di psicologi e terapisti. Come se potesse servire a qualcosa. Poi c’erano i turisti come lei, che sciamavano sulla Piazza Rossa e ammiravano il Cremlino e i grandi magazzini GUM quasi fossero bizzarri resti del passato, senza riconoscerne il valore di testimoni della storia disperata di quel paese. No, lui non aveva tempo per quella gente. Non ne aveva nemmeno per lei. Si era già quasi del tutto girato per andarsene quando sentì il sussulto di angoscia della ragazza. Leggero come il vento, eppure carico di significato.

    Sergei si voltò indietro. «Cosa?»

    «Il mio passaporto...»

    «Aveva il passaporto nella tasca del cappotto?»

    «Gliel’ho detto, ero appena stata in banca...»

    «Il passaporto» ripeté Sergei incredulo.

    Lei sorrise timida. «Lo so, lo so. Il fatto è che stavo cambiando i travellers cheque e la banca voleva il mio documento...»

    «Travellers cheque» ripeté di nuovo Sergei. Di bene in meglio. «Perché diamine usava dei travellers cheque e non un bancomat internazionale? È molto più semplice, e comporta meno rischi di furto!»

    Lei sollevò la testa con orgoglio.

    «Preferisco i travellers cheque

    A quel punto Sergei se ne sarebbe anche andato via con noncuranza, se solo non avesse notato il sorriso tremulo che le era comparso sulle labbra. Se non si fosse accorto della luce di desolazione che le aveva attraversato lo sguardo. Un doloroso moto di comprensione, che gli era quasi sconosciuto, gli si agitò dentro. Erano anni che non provava nulla di simile. Che non voleva provare quel genere di sentimenti. Sergei era arrabbiato con se stesso per la sua debolezza.

    Hannah sapeva di essere stata sciocca a infilare in tasca tutto il suo denaro e il passaporto. Era stata sul punto di riporli nella borsa, ma era stata distratta dalla bellezza della cattedrale di San Basilio, con le sue cupole colorate che svettavano contro il cielo azzurro e terso. Aveva iniziato a pensare che quello era il suo ultimo giorno di vacanza, e che il giorno dopo sarebbe tornata al negozio, con la speranza di far funzionare le cose. Il pensiero le portò un istante di sgomento. Di rimpianto. Sentimenti che scacciò con forza perché non era giusto sentirsi così.

    E adesso quel russo... quella canaglia, la fissava con occhi che sembravano lame. Hannah non sapeva cosa facesse per vivere, però metteva davvero in soggezione. Indossava un cappotto di pelle nera che portava sopra dei jeans scuri. Non era l’abbigliamento più amichevole del secolo, a dirla tutta. I suoi capelli erano di un castano piuttosto comune, tagliati molto corti e incorniciavano un viso di una bellezza talmente severa, che al suo arrivo si era sentita quasi male.

    E ora questo... i suoi ultimi soldi e il passaporto, svaniti nel nulla. E il suo volo per New York che sarebbe partito di lì a cinque ore.

    «Cosa?» domandò brusco l’uomo. Si era girato di nuovo verso di lei con espressione impaziente. Il suo corpo snello e muscoloso era rigido di rabbia trattenuta a fatica. «Lo sa che dovrà andare all’ambasciata americana, vero?»

    «Sì...»

    «L’aiuteranno» le spiegò. Parlava lentamente, quasi fosse convinto che lei non capisse nemmeno la propria lingua. «Possono rilasciare un altro passaporto.»

    «Già. Ma... quanto tempo ci vuole di solito?»

    «Un paio d’ore per compilare i moduli, immagino» fu la sua supposizione. «Perché, per lei è un problema?»

    «In effetti lo è» ammise Hannah con un altro sorriso incerto. Il panico era tornato a farsi strada dentro di lei. Era senza denaro. Senza passaporto. Da sola a Mosca, con un aereo che stava per partire.

    Peggio di così...

    «Avrebbe dovuto pensarci mentre vagava per la Piazza Rossa» riprese l’uomo. «Le mancava solo un cartello appeso al collo con scritto turista. Davvero la preda ideale.»

    «Ma io sono una turista» ribatté Hannah. «E poi, non capisco cosa la faccia tanto arrabbiare. Dopo tutto erano i miei soldi, non i suoi.»

    Lui restò a fissarla. La sua espressione stava cambiando, da arrabbiata a stupita. «Ha ragione» convenne dopo alcuni istanti. «Non ho motivo per preoccuparmi tanto.»

    Nonostante le sue parole, lo sconosciuto non dava segno di volersi allontanare e continuava a fissarla come se fosse un puzzle che non riusciva a decifrare.

    «In ogni caso» riprese Hannah, «non mi dispiace che mi abbiano preso i soldi.» O meglio. Sarebbe stato così se non fossero stati i suoi unici soldi... Quanto al passaporto... Sollevò il mento e guardò l’uomo con una certa dose di sfida. «Loro ne hanno più bisogno di me, e adesso almeno potranno comprarsi del cibo.»

    «Pensi davvero che compreranno da mangiare?» domandò lui incredulo, passando a un informale tu.

    Lei scosse la testa. «Non venga a dirmi che li useranno per comprare droga o alcolici! Persino i ragazzini che vivono per la strada hanno bisogno di mangiare. Quelli avranno avuto al massimo dodici anni!»

    «Dodici sono tanti, quando vivi per la strada» la informò. «Il cibo è facile da rubare. Basta una bancarella di frutta o verdura, oppure si può aspettare davanti alla porta sul retro di un ristorante. Non si usano soldi, per comprare cibo.»

    Hannah restò a fissarlo, sorpresa dal tono deciso e dalla luce quasi selvaggia apparsa nei suoi occhi blu e glaciali.

    «Mi dispiace» sussurrò. «E grazie per avermi aiutato. Se non fosse arrivato... se le avessi dato retta, forse adesso avrei ancora il mio denaro e il passaporto.»

    Lui annuì con un cenno brusco. «Andrai alla tua ambasciata?» le domandò. «Sai dov’è?»

    «Sì.» Era una bugia, ma non gli avrebbe dato ancora motivo di pensare che era una stupida. «Grazie per l’aiuto.»

    «Buona fortuna» le disse e restò a guardare mentre si allontanava.

    Ora che non aveva più a che fare con quell’uomo e con la sua presenza intensa, Hannah si rese conto di essere in preda al panico. Deglutì, raddrizzò le spalle, nel caso lui la stesse ancora osservando, e si diresse verso il lato opposto della piazza per consultare di nascosto la cartina della città. Doveva trovare l’Ambasciata Americana.

    Le ci vollero due

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