La moglie del conte: eLit
Di Kate Hewitt
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Info su questo ebook
Dopo una lontananza durata dieci anni, Vittorio Ralfino, Conte di Calevara, torna in Italia deciso a trovare moglie. E quando rivede Annamaria Viale gli basta un solo sguardo per capire che lei leale, di buona famiglia e abile negli affari è esattamente la donna che sta cercando. Annamaria non riesce a credere che Vittorio, il suo amore giovanile, stia chiedendo proprio a lei di sposarlo. E il fatto che si tratti di una proposta interessata non le sembra importante... finché non scopre quanto appassionato possa essere Vittorio. Da quel momento, la speranza che fra loro possa esserci qualcosa di diverso comincia a farsi largo nel suo cuore.
Kate Hewitt
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
La moglie del conte - Kate Hewitt
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Bride’s Awakening
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2010 Kate Hewitt
Traduzione di Laura Premarini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5893-813-3
www.harlequinmondadori.it
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1
Vittorio Ralfino, Conte di Calevara, rimase sulla soglia del castello di Santo Stefano e cercò tra gli ospiti la donna che aveva intenzione di prendere in moglie. Non era sicuro dell’aspetto che avesse, perché l’aveva solo intravista in una foto di giornale dopo anni di lontananza, ma aveva comunque deciso di sposarla.
Niente da fare, Annamaria Viale non si vedeva proprio tra la folla di smoking e abiti da sera che vagava per l’atrio illuminato dalla luce tremula delle candele.
Da quando l’aveva vista al funerale di sua madre sedici anni prima, tutto ciò che Vittorio ricordava era un viso triste, incorniciato da capelli troppo scuri. Ora Anna aveva circa trent’anni, secondo l’articolo che aveva letto, e aveva tutti i requisiti che lui stava cercando in una moglie: lealtà, buona salute e un forte amore per la terra e i suoi frutti. La vigna della famiglia Viale sarebbe stata una vera fortuna per la sua. Insieme avrebbero governato un impero e creato una dinastia. Nient’altro importava.
Impaziente, si diresse verso la sala medievale del castello. Lungo le austere pareti in pietra danzavano giochi di ombre. Vittorio avvertiva le occhiate curiose di vicini, conoscenti e amici, sentiva un insinuante mormorio serpeggiare per la sala e presto si rese conto di essere al centro dei pettegolezzi. Nel corso degli ultimi sedici anni non era tornato in Veneto che una volta o due. Si era tenuto lontano da quel luogo, da ricordi e rimpianti dolorosi. Come un ragazzino ferito, era fuggito dal suo passato e dalla sofferenza, ma adesso era un uomo ormai ed era tornato a casa per trovarsi una moglie.
«Calevara!» qualcuno gli batté sulla schiena, infilandogli in mano un bicchiere di vino. D’istinto, le sue dita si serrarono attorno al fragile stelo di cristallo e Vittorio inspirò l’aroma fruttato di un rosso rubino. «Lo devi provare, è il nuovo rosso di Busato. Ha miscelato le sue uve, Vinifera e Molinara. Cosa ne pensi?»
Vittorio bevve un sorso e trattenne per un attimo in bocca il liquido corposo prima di deglutirlo. «Discreto» dichiarò. Non aveva intenzione di intavolare una discussione sui meriti delle uve miste o su Busato, uno dei più piccoli viticoltori della regione, che aveva deciso di fare concorrenza alla cantina Calevara, una delle più grandi e selezionate di tutto il Veneto. Lui voleva solo trovare Annamaria.
«Ho sentito che sei tornato per restare. Hai intenzione di produrre vino?»
Vittorio guardò l’uomo che gli stava parlando, Paolo Prefavera, un collega di suo padre. Le sue guance tonde erano arrossate per il bere, il sorriso cordiale da vecchio amico di famiglia, sebbene i suoi occhi scrutassero attenti l’interlocutore.
«Ho sempre prodotto vino, Paolo. Il castello di Calevara sforna novecentomila bottiglie all’anno.»
«Mentre tu giravi per il mondo...»
«Si chiama marketing.» Si rese conto di parlare a denti stretti e sorrise. «Ma sì, ora sono a casa.» A casa, almeno avrebbe potuto trattenere il suo avido fratello Bernardo dallo sperperare tutti i profitti della cantina. A casa, così avrebbe potuto impedire alla sua infida madre di prendersi ciò che invece spettava di diritto a lui e al suo futuro erede. A questo pensiero, il sorriso forzato divenne sincero, anche se i suoi occhi rimasero duri. «Hai visto Annamaria Viale?»
Paolo assunse un’espressione stupita e Vittorio soffocò un’imprecazione: si rendeva conto di essere troppo impaziente, ma quando prendeva una decisione voleva portarla a termine immediatamente. Aveva deciso di sposare Annamaria Viale circa una settimana prima e gli sembrava fosse già passata un’eternità. Voleva fare in fretta, unire i loro due vigneti e congiungersi alla ragazza, averla al proprio fianco come moglie.
Paolo sorrise sornione e lui si costrinse a fare altrettanto. Ora ci sarebbero state chiacchiere e pettegolezzi. «Ho qualcosa da chiederle» spiegò.
«L’ultima volta che l’ho vista era accanto al camino.» Paolo fece un risolino. «Ma spiegami un po’, come hai fatto a sentirne la mancanza?»
Vittorio non comprese cosa intendesse l’amico, finché non si avvicinò all’enorme camino in pietra dove, sotto a un’inquietante testa di cinghiale impagliata, un gruppo di persone sorseggiava vino e chiacchierava. Era convinto che si trattasse di soli uomini ma, strizzando gli occhi, si rese conto che l’alta figura al centro era in realtà una donna: Annamaria!
Come la maggior parte degli ospiti del castello aveva in mano un bicchiere di vino. Dopotutto, si trattava di una serata di degustazione per i principali produttori della provincia. Indossava un completo pantaloni dall’aspetto costoso, ma informe. I suoi lunghi capelli scuri erano raccolti da un fermaglio e sembravano folti come la chioma di un cavallo. Aveva lineamenti regolari, ma troppo marcati per essere definiti graziosi. C’era qualcosa di poco raffinato in lei, mentre in genere Vittorio preferiva portarsi a letto donne più delicate e longilinee. Non che Annamaria Viale fosse sovrappeso, certo, era solo un po’ robusta... sebbene la madre di Vittorio l’avrebbe derisa e definita grassa.
La bocca del conte si irrigidì al pensiero della madre. Non vedeva l’ora di godersi l’espressione sul viso di quella vecchia perfida quando le avrebbe comunicato che stava per sposarsi. Bernardo, il suo prediletto, non avrebbe mai ereditato un centesimo e i piani che lei aveva ordito dal momento in cui erano state lette le volontà del defunto marito sarebbero falliti.
Sorrise al pensiero e respinse la questione dell’aspetto della sua sposa come una faccenda di poca importanza. Non voleva una bella donna al suo fianco, come sua madre o la sua ultima amante, che non erano mai contente e avevano sempre da ridire. Annamaria, ne era certo, avrebbe preso ciò che le veniva offerto e ne sarebbe stata grata, proprio come Vittorio voleva. Una moglie modesta e riconoscente era ciò che di più importante un uomo potesse possedere.
Osservando l’imponente figura femminile, si rese conto che non doveva essere abituata all’attenzione di un uomo e la immaginò arrossire e balbettare di piacere quando proprio lui, il Conte di Calevara, l’avrebbe scelta.
Avanzò, stampandosi sul viso un sorriso sicuro, il cui effetto devastante gli era ben noto. «Annamaria.» La voce gli uscì in un mormorio basso e insinuante.
Lei si voltò, trasalendo sorpresa quando lo vide. I suoi occhi si spalancarono e un sorriso le spuntò sulle labbra, simile a un fragile gesto di gioia, a illuminare per un attimo la sua espressione. Vittorio sorrise a sua volta: sarebbe stato facile conquistarla. Ma lei di colpo lo guardò dall’alto della sua imponente statura con fare sprezzante e annoiato. Il sorriso divenne gelido, quasi sdegnoso.
Vittorio era ancora incredulo per quel cambio di espressione, quando lei parlò: «Salve, Lord Calevara».
Aveva una voce bassa e roca che ricordava quasi quella di un uomo, pensò Vittorio con un brivido. Notò inoltre che non c’era nulla di particolarmente spiacevole nei suoi lineamenti: sopracciglia e naso dritti, occhi scuri e denti bianchi. Non era brutta, forse si sarebbe potuta definire soltanto troppo scialba. Accentuò il suo sorriso, per mostrare la fossetta nelle guance a quell’anonima zitella, che avrebbe sicuramente apprezzato qualunque ammiccamento le fosse rivolto. «Mi permetta di essere il primo a dirle quanto è affascinante questa sera.»
Lei fece una smorfia. «Di certo sarà anche l’unico.»
A Vittorio occorse un momento per comprendere la battuta, non poteva credere che quella donna si stesse davvero prendendo gioco di lui. Sentendosi leggermente spiazzato – non gli era mai capitato prima di trovarsi in una situazione simile – le prese la mano con l’intenzione di portarsela alle labbra e maledì il modo in cui aveva formulato la propria adulazione. Perché di questo si era trattato, e Anna lo aveva capito subito. Non era stupida, ed era una buona cosa.
Lei lasciò che la bocca del conte le sfiorasse la pelle e i suoi occhi divennero di un colore più intenso prima che, deliberatamente, scostasse la mano. La folla attorno a loro era indietreggiata, ma Vittorio era ben consapevole degli sguardi avidi e delle orecchie attente nella sala e, soprattutto, del proprio crescente disagio. Quel primo incontro non stava andando nel modo previsto e lui non aveva il pieno controllo della situazione.
«A cosa devo un simile piacere?» chiese Annamaria. «Non credo di averla più vista in questi anni.» La sua voce crebbe un po’ di tono, sorprendendolo e portandolo a chiedersi a cosa stesse pensando.
«Sono semplicemente felice di essere tornato a casa» rispose. «Tra belle donne.»
«Ha imparato a usare termini sdolcinati durante i suoi viaggi all’estero» tagliò corto Anna. «Ma, mi creda, sono davvero eccessivi.» Poi si voltò e si allontanò come se lui non contasse proprio nulla.
Lo aveva mollato! Vittorio rimase ammutolito, quasi in stato di shock, fremente di rabbia. Era stato bruscamente congedato e tutti avevano assistito alla pessima figura. Avvertiva gli sguardi della gente, vedeva i sorrisi compiaciuti e sapeva di essere stato rimesso al proprio posto come un discolo da una maestra beffarda. Era una sensazione che lo riportava all’infanzia e la cosa non gli piaceva affatto, ma non avrebbe mollato il colpo: si era messo in testa di sposare Annamaria e nulla l’avrebbe fermato fino a obiettivo raggiunto. Non aveva né il tempo, né la pazienza per emozioni più sottili e per un corteggiamento che doveva essere un puro esercizio di stile.
Dopo aver letto l’articolo su di lei e aver visto la sua fotografia, si era convinto che Anna sarebbe stata grata di qualunque attenzione ricevuta, dal momento che era vicina ai trenta e ancora nubile. Forse era stato troppo arrogante o quantomeno frettoloso. Conquistare Annamaria Viale avrebbe richiesto un po’ più di impegno.
Vittorio sorrise, adorava le sfide, ma era essenziale far presto: aveva trentasette anni e gli servivano una moglie e, soprattutto, un erede. Sicuramente aveva ancora una settimana o due per invogliare Annamaria al matrimonio. Non cercava l’amore, voleva solo che lei accettasse una proposta d’affari molto elementare. Anna era la candidata che aveva scelto, la più adatta sul mercato, e non gli interessava nessun’altra. Quella donna sarebbe stata sua.
Si rendeva conto di avere agito come uno stupido poco prima ed era seccato di avere pensato che una donna potesse subire il suo fascino così facilmente. Era un errore tattico che non avrebbe più ripetuto. La prossima volta che avrebbe incontrato Annamaria Viale lei gli avrebbe sorriso, perché non poteva farne a meno, e sarebbe rimasta lì a pendere dalle sue labbra. Sì, la prossima volta sarebbe stato lui a dettare le condizioni.
Annamaria si impose di non voltarsi, mentre si allontanava dal Conte di Calevara. Quello stupido arrogante! Perché mai le si era avvicinato? Sebbene fossero vicini di casa, non lo vedeva da anni e, le poche volte che lo aveva incontrato, non le aveva quasi rivolto parola. Eppure adesso l’aveva cercata e le aveva fatto quei ridicoli complimenti. Proprio a lei, che era consapevole di non essere una di quelle belle donne, come le avevano fatto capire chiaramente. Era troppo alta, troppo mascolina e troppo robusta. Aveva una voce troppo profonda, e mani e piedi troppo grandi. Tutto in lei era sgraziato e poco attraente per uomini di mondo come Vittorio, abituati a spassarsela con modelle e attricette. Spinta dalla curiosità, Anna in passato aveva sfogliato delle riviste di moda e si era resa conto di essere gelosa di quelle sottili donnicciole che giudicava sciocche, ma che potevano indossare abiti striminziti e sensuali,