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L amante del duca: Harmony History
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E-book243 pagine3 ore

L amante del duca: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1816L'incontro inaspettato con lady Isabelle Milborne riaccende nel cuore dello spregiudicato Justin Everard, duca di Westmore, la sete di vendetta che per tre lunghi anni ha covato nei confronti di quella splendida donna. Deciso a ottenere ciò che gli spetta di diritto, con un abito sotterfugio costringe Belle a onorare il debito di gioco contratto dal defunto marito, che la obbliga a diventare la sua amante per tutta la durata della Stagione londinese. Ma una volta raggiunto il suo obiettivo, Justin si rende conto che non è rovinare la reputazione di Belle ciò che desidera, bensì conquistare il suo cuore...
LinguaItaliano
Data di uscita10 gen 2021
ISBN9788830524071
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    Anteprima del libro

    L amante del duca - Ann elizabeth Cree

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Duke’s Mistress

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2002 Ann Elizabeth Cree

    Traduzione di Gigliola Foglia

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2003 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-407-1

    Prologo

    Sussex, luglio 1813

    Lucien non avrebbe mai supposto che l’occasione di vendicarsi gli sarebbe giunta tramite sua moglie. Ma quando aveva visto come Justin Everard, il giovane marchese di Wroth, guardava Isabelle, aveva capito di aver trovato il suo strumento. Così aveva messo Isabelle sulla strada di Wroth, facendo conto che la sua natura disgustosamente dolce se lo sarebbe accattivato. Con soddisfazione lo aveva visto ogni giorno più innamorato, ma a dispetto della sua reputazione, Justin non aveva fatto alcun tentativo di sedurre Isabelle, al contrario la trattava con una protettiva cavalleria che faceva digrignare i denti a Lucien: gli serviva un pretesto per sfidarlo. Furioso, comprese che sua moglie stava per soccombere al fascino dell’aitante marchese: non vi erano indizi nel suo comportamento, poiché dopo due anni di matrimonio lei era ancora troppo pudibonda, troppo retta moralmente perfino per palesare una passione illecita. Semmai, era senza dubbio inorridita per la propria debolezza.

    Lucien non amava Isabelle. L’aveva sposata perché, come unica figlia del barone Allingham, gli aveva portato una generosa dote. Ed entro due anni, al suo ventiquattresimo compleanno, avrebbe ereditato la consistente fortuna lasciatale dalla nonna. L’aveva sposata anche perché voleva disperatamente un erede, ma malgrado il suo corpo desiderabile dalle curve generose e gli insistenti sforzi di Lucien, Isabelle l’aveva deluso. La disprezzava ancor di più per la sua sterilità, ma lei gli apparteneva e non l’avrebbe lasciata impunita. Il piano che aveva concepito non solo avrebbe distrutto Wroth e suo padre, ma sarebbe servito anche a umiliare e punire Isabelle.

    Belle trasalì quando bussarono alla porta. Si era ritirata presto, come ogni sera da quando era giunta a Greystone quasi due settimane prima. Le altre ospiti di sir Farley Greystone erano troppo impegnate tra carte e pettegolezzi amorosi per notare o rimpiangere la sua assenza. Era Eliza Pomeroy, l’attuale amante di Lucien. «Vostro marito vi vuole di sotto» le disse senza preamboli.

    «Perché? Non sta giocando?» Non riusciva ad immaginare che cosa potesse volere da lei.

    Eliza la guardò con espressione non priva di gentilezza. «Sì, e vi vuole con sé. Penso fareste meglio a scendere subito. Non è di buon umore.»

    Lucien lo era di rado, solo quando serviva a uno scopo preciso. E dal momento che Isabelle era servita allo scopo solo quando l’aveva sposato, raramente vedeva il suo lato amabile. Seguì Eliza giù per lo scalone a chiocciola, e con suo stupore la donna la condusse nel salottino dov’era in corso una partita a carte. Quando entrò nella stanza fiocamente illuminata, l’odore rancido di fumo, sudore e alcool le ferì i sensi. Alcuni uomini erano seduti attorno a uno dei tavolini, e Belle distolse lo sguardo, imbarazzata di trovarsi lì.

    Lucien si alzò con un movimento fluido, che di rado appariva sbilanciato dalle libagioni. Si era tolto la giacca e il suo elegante panciotto era sgualcito. Le venne accanto, e lei si accorse che puzzava di brandy. «Ah, la mia adorabile mogliettina.» Gli occhi gli scintillavano di una strana eccitazione.

    Isabelle represse un brivido e si sforzò di guardarlo e di parlare con calma. «La signora Pomeroy ha detto che desideravi vedermi.»

    «Infatti.» La bocca di Lucien si piegò in un crudele sorriso. L’afferrò per la vita e la fece girare, costringendola a guardare in faccia gli altri. «Mia moglie, signori. E la mia prossima posta.»

    Belle si raggelò. Udì sir Farley protestare: «Dannazione, Milborne. Una cosa è scommettere i vostri beni, ma vostra moglie! Non è proprio il caso».

    La presa di Lucien si rafforzò. Rise. «Perché no? Non mi è rimasto altro. E lei è una mia proprietà, più di qualsiasi altro bene. Allora, chi serve?»

    «Siete pazzo.» Era stato lord Wroth a parlare. Belle sollevò il capo: non si era accorta che lui fosse lì. Per un istante incontrò i suoi occhi, ma non vi era traccia del calore e dell’allegria che li aveva illuminati da quando lei era arrivata a quel diabolico ricevimento.

    Distolse lo sguardo, umiliata e piena di vergogna. «Lucien, ti prego, non farlo» mormorò.

    Lui non la guardò neppure, le dita che le artigliavano la vita, lo sguardo fisso su Wroth. «Allora, che cosa siete disposto a scommettere contro una settimana in compagnia di mia moglie?»

    «Quanto volete?» chiese Wroth. La nausea le strinse lo stomaco: Belle non riusciva a credere che stesse prendendo in considerazione l’offerta di suo marito.

    «Cinquecento sterline» rispose Lucien.

    «Mille» rilanciò lord Banbury. Il suo sguardo le diede un brivido di paura. Era un uomo scarno, di un pallore innaturale, e le voci che Belle aveva udito sulle sue inclinazioni sessuali l’avevano disgustata.

    «Duemila» rilanciò Wroth. Lucien rise di nuovo. La lasciò in modo così repentino da farla vacillare. Paralizzata dall’orrore, lei lo vide prendere posto.

    Non staccò gli occhi dal gioco, ma capì a stento quel che succedeva. La sua mente e il suo corpo non sembravano più in comunicazione, e quando l’ultima carta fu giocata, quasi non se ne accorse. Finché Lucien non si alzò in piedi. «È vostra, Wroth.»

    Wroth le si accostò. «Venite con me, Belle.»

    Lei indietreggiò, scossa dal panico. «No.»

    «Dovete venire con me. Non potete stare qui.»

    Belle lo fissò. «Non lo farò.»

    Lucien le fu al fianco. «Non hai scelta, Belle.» Lanciò un’occhiata a Wroth. «Scusateci un istante.» Le afferrò il braccio e la trascinò nell’anticamera. I suoi occhi sprizzavano scintille. «Non preoccuparti, mia cara. Non sarà una sistemazione definitiva. Solo una settimana.» Le sollevò il mento, le dita dure contro la sua carne. Lei rimase perfettamente immobile. «E poi non capisco perché tu trovi l’idea così ripugnante. Ho visto come ti guarda, e come tu guardi lui. Confido solo che ti mostrerai meno riluttante nel suo letto che nel mio, altrimenti dubito che riterrà che tu valga duemila sterline. D’altro canto, potrà divertirsi a svezzarti: io non ho molta pazienza con le verginelle pudibonde. Credevo che alla tua età ti saresti mostrata un’allieva più volenterosa, ma mi sbagliavo. Almeno non dovrai temere che ti metta incinta.» La sua crudeltà riusciva ancora a ferirla. Belle resistette all’istinto di supplicarlo, perché sapeva che l’avrebbe solo confermato nel suo proposito. Lucien lasciò cadere la mano. «Va’ di sopra e fa’ i bagagli.»

    Lei si costrinse a salire le scale. Una volta in camera chiuse la porta e sedette sul letto, preda di un gelo che la intorpidiva. Come aveva potuto Justin tradirla così? Tra tutti gli invitati a quel lungo ricevimento da incubo, era l’unica persona che lei aveva creduto di poter considerare amica. Più anziano di lei di soli quattro mesi, a ventidue anni Justin aveva un fascino fanciullesco e un sorriso vagamente ribelle. Belle si era accorta di averlo spesso vicino e aveva pensato che volesse farle la corte. Gradatamente aveva realizzato che lui stava al suo fianco per proteggerla. Era rimasta colpita quando una delle signore le aveva detto che aveva rimbeccato lord Amberly per averla offesa. E benché sospettasse che Justin avesse sviluppato un’inclinazione verso di lei, le previste avance non c’erano state. Invece, lui aveva scherzato e chiacchierato con lei, le aveva raccontato della propria famiglia: di suo padre, severo ma giusto, e della donna generosa e affettuosa che era sua madre, e che non era molto in salute. Belle l’aveva invidiato, perché i suoi genitori erano morti di difterite quando lei aveva dodici anni e, per quanto affettuosa fosse stata sua nonna, lady Townsend, a lei mancavano ancora molto. Aveva creduto che Justin fosse un amico, e invece non era diverso da suo marito. Anzi, era anche peggio. Lei aveva avuto fiducia in lui, mentre non si era mai fidata di Lucien.

    Cominciò a fare i bagagli, senza curarsi di quello che metteva nel baule. Esitò davanti ai gioielli che Lucien le aveva regalato: li odiava, erano pesanti ed elaborati e le ricordavano che lei non era altro che una prigioniera. Scelse solo uno dei collier, un cerchio di rubini e diamanti che sentiva come un collare attorno alla gola, e lo infilò nella borsetta. Avrebbe potuto venderlo se avesse avuto bisogno di denaro.

    Poco sorpresa, si rese conto di non avere intenzione di tornare da Lucien. E neppure avrebbe permesso a Justin di toccarla. Sarebbe morta, piuttosto.

    Passò le dita sul liscio filo di perle che la nonna le aveva regalato per il suo debutto e ricacciò indietro le lacrime. «Oh, nonna» sussurrò, «avevi ragione su di lui.» Lady Townsend giudicava Lucien freddo e calcolatore, ma dopo la sua morte si era mostrato così amabile e premuroso che Belle aveva pensato che la nonna si fosse sbagliata.

    Si infilò le calze e un paio di stivaletti bassi, poi un colpo alla porta la fece trasalire. Si aspettava fosse Lucien, ma lui non aveva mai bussato. Era Justin.

    L’uomo entrò e si chiuse la porta alle spalle. «Siete pronta?» Nessun fanciullesco sorriso sul suo volto: al contrario, i suoi occhi scuri erano freddi e duri, l’espressione impenetrabile. Le parve un estraneo. Belle si gettò su un braccio il mantello da viaggio e raccolse il bauletto. Per un attimo avvertì che Justin non sapeva che fare, ma l’impressione svanì subito. Lui fece un passo avanti. «Lo porto io.»

    «Ce la faccio da sola.» Accennò a superarlo, ma lui le sbarrò la strada.

    «Non è il momento di litigare. Potrete farlo a vostro piacimento in carrozza.»

    «Davvero? Non avete comprato la mia lingua come il resto del mio corpo?»

    Justin le tolse di mano la valigia con facilità. Al suo tocco Belle rabbrividì. Poi Justin le prese la mano, e lei si rese conto di non aver indossato i guanti, sentendo per la prima volta quelle dita calde e forti sulla sua pelle nuda. Ebbe una subitanea visione di quelle mani sul suo corpo e ne fu scossa.

    Justin la condusse verso la scala di servizio sul retro. «Perché passiamo per di qua?»

    «Volete che il resto della compagnia vi veda partire con me?» le rispose lui senza guardarla.

    «Se volete saperlo, non ha alcuna importanza.»

    Lui strinse la labbra, ma non parlò. In fondo alla scala si voltò. «Maledizione, Belle, non fate quella faccia. Non vi farò del male» disse ruvido. Le sfiorò il viso con mano gentile e lei trasalì.

    Fu allora che pensò di odiarlo. «L’avete già fatto.»

    Fu come se l’avesse schiaffeggiato. Lui lasciò cadere la mano, gli occhi freddi e cupi. «La mia carrozza è qui fuori.»

    Lei lo seguì, badando a non sfiorarlo. La fredda aria della notte l’avvolse e Belle si strinse nel mantello.

    Justin l’aiutò a montare, poi annunciò inespressivo: «Io andrò a cavallo». Lo sportello fu chiuso.

    Come la carrozza si mosse, Belle pensò di lanciarsi fuori: ma dove andare? Non poteva certo tornare a Greystone. Del resto avrebbero pur avuto bisogno di fermarsi da qualche parte, rifletté, e allora lei sarebbe fuggita.

    E che cosa avrebbe fatto poi? Lord Ralston era la sua unica conoscenza lì, ma era il patrigno di Lucien; quale spiegazione avrebbe potuto offrirgli? E Maria adorava il suo unico figlio, non sarebbe mai riuscita a vedere in lui alcun difetto. Era stato il giorno più felice della sua vita quando Belle aveva sposato Lucien. L’aveva stretta al cuore con le lacrime agli occhi e le aveva detto: «Ora sei davvero mia figlia!».

    Belle era andata a vivere con il patrigno di Lucien, il conte di Ralston, che era un lontano cugino di lady Townsend oltre che il suo vicino più prossimo. La madre di Lucien aveva fatto tutto il possibile per favorire un’unione e, dopo qualche tempo, Belle aveva cominciato a credersi innamorata di Lucien. Maria era stata così buona con lei, trattandola come una figlia, e sua figlia Chloe, di sei anni più giovane di Belle, era diventata la sorella che lei aveva sempre desiderato. Quando Lucien l’aveva chiesta in moglie, un anno dopo la morte di lady Townsend, si sarebbe sentita un’ingrata a rifiutare, benché lui la spaventasse con il suo temperamento collerico e spesso bevesse troppo. Ma a quel tempo Belle sapeva così poco di gentiluomini, forse ubriacarsi era normale. E la collera di Lucien non si era mai rivolta contro di lei. Questo finché si erano sposati e lei non era riuscita a dargli un erede.

    Quando la carrozza si arrestò, si trovavano nel cortile di una locanda e deboli dita di luce attraversavano il cielo. Justin l’aiutò a smontare, poi le lasciò la mano. «Ci fermiamo a riposare.» Non accennò a toccarla mentre attraversavano il silenzioso cortile ed entravano nella locanda. Justin chiese due camere. Il proprietario li accompagnò in un salottino in attesa che le stanze fossero pronte e chiuse la porta alle proprie spalle.

    «Che intendete fare di me?» chiese Belle. Cominciava a provare una strana tranquillità.

    «Ho una casetta in Scozia. Là sarete al sicuro.»

    «Davvero?» disse lei amara.

    «Sì.» Lui avanzò di un passo. «Io vi amo, Belle» le confessò con voce arrochita.

    «E così mi avete comprata per duemila sterline. Temo, milord, che non sia sufficiente per indurmi a condividere il vostro letto. Non vi permetterò mai di toccarmi.» Era furiosa, spaventata e confusa. Lucien le aveva detto quelle parole quando la corteggiava, ma presto lei aveva capito che non significavano nulla. Tuttavia non l’aveva mai guardata con quella sorta di disperato desiderio che vide sul volto di Justin.

    «Per questo pensate che abbia giocato quella partita? Potrei mai costringervi nel mio letto? Io vi amo» ripeté il giovane.

    Qualcosa di crudo e doloroso si agitò dentro di lei a quelle parole. «No, non ditemi questo! Non voglio il vostro amore. Non posso sopportarlo!»

    La porta si aprì e Belle si trovò, sconvolta, a fissare Lucien, ritto sulla soglia con una pistola in mano. «Molto commovente, ma ahimè, temo di dover porre fine alla vostra appassionata dichiarazione.» Fece un cenno con la pistola. «Vieni qui, Belle. Devo complimentarmi per la tua interpretazione, ma è tempo di finire la commedia.»

    Lei lo fissò. «Di che cosa stai parlando?»

    Lucien sorrise: un freddo, crudele sorriso che le diede un brivido di terrore. «Verrai a casa con me, come avevamo deciso.» Guardò Justin. «Quanto a te, temo che dovrò sfidarti a duello per aver rapito mia moglie. Che fantastica attrice, non trovi? Ha interpretato alla perfezione il ruolo della sposa innocente e tradita e, come previsto, sei caduto dritto dritto nella sua trappola.»

    Il viso di Justin si fece di pietra, ma non prima che lei cogliesse un lampeggiare d’angoscia che la ferì nel profondo. «È vero, Belle?»

    «No!»

    Lucien prese Belle per un braccio e l’attirò a sé. «Amor mio, non c’è bisogno di continuare la commedia.» La sua bocca si abbatté su quella di lei con un duro, possessivo bacio che le ricordò chi fosse il padrone. «Se continui a negarlo, gli sparerò all’istante. Hai capito?» mormorò contro le sue labbra. Lei annuì, terrorizzata, e Lucien la lasciò. «Digli la verità, Belle.»

    Lei si costrinse a guardare Justin. «D’accordo. Era... era una trappola.»

    Gli occhi di Justin restarono fissi sul suo viso, con una freddezza che le gelava il cuore. «Perché?»

    «Io...» Con una chiarezza che le diede la nausea, Belle seppe che cosa Lucien aveva in mente. Come poteva essere stata così cieca? Quando Lucien aveva solo dieci anni, suo padre aveva perso al gioco gran parte della sua fortuna con il padre di Justin, il duca di Westmore. Quella stessa notte si era chiuso nel suo studio e si era sparato alla testa.

    La stretta di Lucien sul suo braccio si indurì. «Non riesci a immaginarlo? Intendo vendicare la morte di mio padre.»

    Justin non chinò lo sguardo. «Mio padre non ne fu responsabile.»

    Lucien rise. «Oh, sì che lo fu. Westmore gli prese tutto senza misericordia. Fece tutto, fuorché puntargli la pistola alla tempia. Così intendo portare via tutto a tuo padre. Senza misericordia.»

    «Dunque mi ucciderete. Poi però finirete impiccato. Non capisco come ciò possa darvi soddisfazione.»

    «Ma non intendo assassinarti. Ci sarà un duello. E ahimè, tu avrai la peggio.» Lucien era un tiratore micidiale: passava ore a esercitarsi, era diventata un’ossessione e ora Belle capiva perché.

    «Perché avrei rapito vostra moglie? L’ho vinta al gioco, ve lo rammento. C’erano dei testimoni.» Justin aveva incrociato le braccia. La sua voce era mortalmente calma, come se fosse solo curioso di conoscere le trame di Lucien.

    «C’erano testimoni al fatto che hai barato.» Lucien sorrise lievemente ed estrasse due fogli di tasca. «Dopo che te ne sei andato, abbiamo scoperto che alcune carte erano segnate. Ho dichiarazioni firmate sia da Farley sia da Banbury, che tra l’altro non era affatto contento che tu gli avessi carpito il premio. Dunque sarà una faccenda onorevole. Puoi esaminarle, se lo desideri.»

    Justin ignorò l’offerta. «Suppongo che i soliti testimoni presenzieranno a questa faccenda onorevole.» Il tono era di scherno.

    «Banbury sarà il mio secondo

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