Proibita tentazione: Harmony Collezione
Di Anne Mather
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Info su questo ebook
La scomparsa di sua moglie è ancora recente, perciò Jack Connolly non è in cerca di una compagnia femminile. Quando incontra la bella e riservata Grace Spencer, però, i suoi sensi si risvegliano all'improvviso, anche se non può seguire le proprie emozioni: lei appartiene a un altro!
Una storia impossibile.
Intrappolata in una finta relazione per salvare la sua famiglia, Grace sa che andare troppo oltre con Jack metterebbe a rischio tutto ciò che ha di più caro al mondo.
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Anteprima del libro
Proibita tentazione - Anne Mather
successivo.
1
Il telefono stava squillando, quando Jack entrò in casa. Fu tentato di non rispondere. Tanto sapeva già di chi si trattava. Erano almeno tre giorni che sua cognata non si faceva sentire. E Debra di rado lasciava passare così tanto tempo senza cercarlo.
Però era pur sempre la sorella minore di Lisa e in fondo, a suo modo, voleva soltanto prendersi cura di lui. In verità non ce n'era alcun bisogno, rifletté Jack.
Ormai se la cavava piuttosto bene da solo.
Posò la busta con la baguette ancora calda, comprata al forno del paese, sul piano di granito della cucina, e sganciò il ricevitore attaccato alla parete.
«Connolly» si limitò a dire, sperando, senza contarci troppo, che fosse il solito operatore di call center. Le sue illusioni furono spazzate via quando udì la voce familiare di Debra Carrick.
«Perché ti ostini a tenere il cellulare spento?» lo apostrofò, irritata. «Ti ho chiamato una volta ieri e già due oggi, però non sei mai raggiungibile.»
«Ehi, buongiorno anche a te, Debs. Perché dovrei portarmi sempre dietro il telefonino? Dubito che tu dovessi dirmi qualcosa che non poteva aspettare.»
«Come fai a saperlo prima?» Debra sembrava offesa, adesso. Jack trattenne un gemito di sconforto. «E se ti capitasse un incidente? Se, per ipotesi, scivolassi da quella tua stupida barca? Scommetto che in quel caso preferiresti avere un qualche mezzo di comunicazione a portata di mano.»
«Se cadessi in acqua, il telefono non funzionerebbe» puntualizzò lui. La sentì sbuffare di impazienza.
«Hai sempre la risposta pronta, non è così, Jack? Comunque sia, quando pensi di tornare a casa? Tua madre è preoccupata per te.»
Jack dovette ammettere che almeno questo poteva corrispondere al vero. Sua madre, suo padre e anche i suoi fratelli, però, si guardavano bene dal fargli certe domande.
Avevano accettato il fatto che avesse bisogno di allontanarsi da tutti, anche dalla sua famiglia.
E quella ex fattoria scovata sulla costa selvaggia del Northumberland era esattamente il posto in cui voleva stare.
«Questa è la mia casa» ribadì, guardandosi intorno, con un certo orgoglio.
Quando l'aveva comprata, in effetti, era piuttosto malridotta. Ma dopo mesi trascorsi con tutte le sue cose stipate negli scatoloni, i lavori di ristrutturazione, a cui aveva partecipato in prima persona, erano finiti.
E Lindisfarne House si era trasformata in una dimora accogliente ed elegante. Il rifugio ideale per decidere che fare del resto della propria vita.
«Non parlerai sul serio! Jack, sei un architetto famoso e molto richiesto. Solo perché hai ereditato parecchi soldi non significa che devi passare tutto il tuo tempo a girarti i pollici in qualche angolo d'Inghilterra dimenticato da Dio e dagli uomini!»
«Rothburn non è un angolo dimenticato da Dio» protestò Jack con gentilezza. «E certamente non è più remoto di Kilpheny.» Sospirò. «Dovevo lasciare l'Irlanda, Debs. Credevo che lo capissi.»
Debra tirò su col naso. «Ti capisco infatti» ammise. «La morte di tua nonna è stato il colpo finale. Però la tua famiglia vive qui. I tuoi amici sono qui. Ci manchi, lo sai.»
«Lo so. Ascolta, Debs, ora devo andare.» Mentì. «Suonano alla porta.»
Riagganciato il telefono, Jack posò le mani sul freddo granito e trasse un respiro profondo. Non era colpa di Debra, se ogni volta che sentiva la sua voce si trovava a pensare a Lisa.
Debs non era cattiva.
Se solo mi lasciasse in pace.
«Non lo farà. È innamorata di te.»
Il tono leggero, quasi divertito, con cui fu pronunciata la frase, interruppe la sua cupa introspezione. Jack sollevò la testa e vide Lisa seduta sul tavolo della cucina, impegnata a controllarsi le unghie smaltate di rosso. Impeccabili. Portava i pantaloni neri, taglio Capri, e la camicetta di seta avorio che aveva indosso l'ultima volta che l'aveva vista. Un sandalo di vernice nera a tacco alto le dondolava al piede destro.
Jack chiuse gli occhi per un momento.
«Non puoi saperlo.»
«Sì che lo so» insistette lei. «Sono anni che Debs è cotta di te. Dalla prima volta che ti ho portato a casa nostra per farti conoscere papà.»
Jack scartò la baguette. Accese il bollitore del caffè e prese il burro dal frigo. Ne spalmò una porzione generosa sul pane e gli diede un morso.
«Dunque tornerai in Irlanda?»
Il fantasma di Lisa era ostinato proprio come lo era stata lei, nei tre anni del loro matrimonio.
Maledicendosi per la propria debolezza, Jack guardò la figura pallida ed eterea che, come aveva imparato per esperienza, era capace di svanire da un istante all'altro. Quel giorno tuttavia sembrava intenzionata a dargli del filo da torcere più del solito.
«E a te cosa importa?» ribatté, prendendo una tazza dal lavandino. Si versò il caffè. Forte e scuro, senza latte. «Non ti piace il Northumberland?»
«Voglio solo che tu sia felice» disse Lisa, facendo oscillare la caviglia. «Per questo sono qui.»
«Davvero?»
Jack era scettico. Secondo lui, Lisa stava facendo del suo meglio perché la gente lo prendesse per matto. Ed era a buon punto, considerato che al momento stava discutendo con uno spettro.
Una folata d'aria lo sferzò in viso. Quando voltò la testa di nuovo, Lisa era scomparsa.
Non aveva lasciato nessuna traccia, dietro di sé. Nemmeno una lieve scia di profumo. Giusto per dimostrargli che non era davvero impazzito.
All'inizio Jack aveva catalogato quelle apparizioni come una deformazione della sua mente sconvolta.
Era persino andato a farsi visitare da uno psichiatra di Dublino. La diagnosi del luminare era stata categorica: le allucinazioni erano una maniera di elaborare il lutto. E considerato che nessun altro, a parte lui, riusciva a vedere la sua defunta moglie Lisa, Jack si era quasi convinto che avesse ragione.
Ma il fenomeno paranormale si era ripetuto. A volte a distanza di giorni, a volte di settimane. Alla fine Jack si era talmente abituato alle visioni, che aveva smesso di preoccuparsene.
D'altra parte, non gli era mai sembrato che Lisa volesse fargli del male, tutt'altro. Era solo capricciosa e volubile, proprio come se la ricordava.
Uscì dalla cucina con la tazza in mano, percorrendo l'ampio corridoio che portava al soggiorno inondato di luce. La stanza, la più grande della casa, aveva il soffitto alto ed era arredata con legno di quercia e cuoio. Le vetrate si affacciavano sulle acque grigio-blu del mare del Nord.
Davanti a una finestra c'era una sedia a dondolo di pelle color tabacco. Jack si sedette, puntando un piede contro il davanzale. Era presto, nemmeno le nove. Aveva tutta la giornata davanti, silenziosa e vuota.
E gli piaceva così.
Sorseggiando il caffè, considerò l'ipotesi di uscire in mare con la sua Osprey. Comandare un'imbarcazione da ventidue metri richiedeva parecchie energie. Il mare del Nord, anche alla fine di maggio, non faceva prigionieri.
Oppure poteva restare in porto e dedicarsi a qualche lavoretto di manutenzione. Gli piaceva passare del tempo in mezzo ai pescatori.
Non che sentisse davvero bisogno di compagnia. Pur avendo sofferto molto, quando un terribile incidente d'auto gli aveva strappato la moglie, non covava istinti suicidi. Inoltre erano quasi due anni che Lisa era morta. Avrebbe dovuto aver superato il lutto.
Infatti era così. Per la gran parte del tempo. Tranne quando Lisa tornava a tormentarlo.
Quando gli era apparsa per la prima volta? Più o meno un mese dopo il funerale. Jack era andato a portarle fiori sulla tomba nel cimitero di Kilpheny, quando si era reso conto di averla al suo fianco.
Se non altro, lo aveva scosso dall'apatia. Sul momento si era quasi convinto che fosse ancora viva. E che dovevano aver sepolto un'altra ragazza, al suo posto. Patetico.
Invece no. Lisa gli aveva subito tolto ogni illusione, in proposito. Inoltre, nonostante la macchina sportiva fosse andata in fiamme nell'urto contro l'autocisterna piena di carburante, le radiografie dei denti e le tracce del DNA avevano provato che i resti erano proprio quelli di sua moglie.
L'unica cosa rimasta intatta dopo l'incidente era un sandalo firmato. Per questo, aveva dedotto Jack, il fantasma di Lisa ne aveva ai piedi solo uno.
Otto ore dopo, si sentiva decisamente meno depresso. Aveva trascorso la mattinata sulla barca, tra chiodi, martello, smalto e silicone. Poi, visto che il tempo si era messo al bello, con un vento moderato che soffiava da sud-ovest, nel primo pomeriggio aveva issato le vele della Osprey.
Di ritorno a Lindisfarne House, nel portabagagli della Lexus aveva un secchio pieno di crostacei e frutti di mare comprati da un pescatore, insieme a una cassetta di verdure fresche. Non vedeva l'ora di cenare con una bella insalata di aragosta.
Si era appena appoggiato al frigo per bersi una lattina di birra gelata, quando sentì il rumore delle gomme di un'auto scricchiolare sulla ghiaia del vialetto. Dannazione, imprecò, sbattendo la lattina sul tavolo.
Non riceveva mai visite. Nessuno, a parte i familiari più stretti, sapeva dove viveva. E avevano l'ordine tassativo di non dare il suo indirizzo in giro.
Suonarono al campanello.
«Perché non apri la porta?»
Jack si voltò di scatto e vide Lisa appollaiata sulla console a semicerchio dell'ingresso.
«Come dici?»
«Apri quella porta» ripeté lei e per la prima volta sembrò quasi ansiosa.
«Ora vado» rispose, parlando a bassa voce e sperando che, chiunque ci fosse là fuori, non lo avesse sentito. «Che te ne importa? Sono io che dovrò intrattenere un ospite imprevisto.»
«Due ospiti imprevisti» lo corresse Lisa.
«Due? Di chi si tratta?»
«Lo scoprirai presto» rispose lei con tono leggero. E svanì subito dopo quelle parole.
Jack scosse la testa, perplesso. Quasi mai Lisa gli era apparsa due volte nello stesso giorno. Che avesse percepito un pericolo? Meglio stare in guardia. Era solo in quella casa, dopotutto.
Be', quasi.
Scacciati quei pensieri negativi, allentò il chiavistello e aprì la porta.
C'era un uomo, sulla soglia.
Sean Nesbitt.
Non lo vedeva Dio sa da quanto. Erano cresciuti insieme. Avevano persino frequentato la stessa università, dividendo l'appartamento all'ultimo anno.
Dopo la laurea al Trinity College di Dublino, Jack voleva frequentare un master in architettura, Sean in informatica. Perciò ognuno aveva preso la sua strada. Si incontravano di tanto in tanto quando andavano a trovare i rispettivi genitori a Kilpheny.
Da quando si era sposato con Lisa, Jack aveva perso ogni contatto con Sean. Era l'ultima persona che si aspettava di trovarsi davanti.
«Ehi, della casa, sono ammessi i visitatori?»
Non posso mica mandarlo via.
«Certo che sì, vecchio mio!» esclamò Jack stringendogli la mano. «Santo cielo, che ci fai qui? E come diavolo mi hai trovato?»
«Sono un esperto di computer, ricordi?» rispose l'altro, sorridendo compiaciuto. Si voltò a guardare la Mercedes argento parcheggiata sul vialetto. «Però non sono solo. C'è la mia fidanzata con me. Possiamo entrare?»
Dunque Lisa aveva ragione. Erano in due.
«Certo» disse Jack, non senza qualche riluttanza, lanciando una rapida occhiata alle proprie spalle.
Ma Lisa se n'era andata.
«Grandioso. Arriviamo subito.»
Solo allora Jack realizzò che non si era ancora cambiato, da quando