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I diamanti di Comstock: Harmony History
I diamanti di Comstock: Harmony History
I diamanti di Comstock: Harmony History
E-book243 pagine6 ore

I diamanti di Comstock: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1800
Dopo aver affrontato un lungo viaggio dall'America per sfuggire ai creditori e a un matrimonio indesiderato, Miles Strickland approda in Inghilterra per prendere possesso della tenuta di Comstock, avendo da poco ereditato il titolo di conte. Il piano di Miles è semplice: presentarsi nella contea in incognito e cercare di recuperare qualche oggetto prezioso per poter pagare i propri debiti e il biglietto di ritorno nell'adorata madre patria. Ma nella residenza di famiglia incontra Charity, una lontana cugina, che rivela a quello che crede un semplice contabile di essere alla ricerca dei diamanti di famiglia, perduti durante la guerra civile. Miles capisce che quella è anche la sua occasione e stringe con Charity una sensuale alleanza per ritrovare il bottino e con esso la libertà.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2019
ISBN9788858999455
I diamanti di Comstock: Harmony History
Autore

Christine Merrill

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    I diamanti di Comstock - Christine Merrill

    successivo.

    1

    Miles Strickland aveva l'impressione di essere in fuga da anni. Prima era fuggito da Prudence, a Filadelfia, per evitare i piani che lei aveva fatto per loro due. Poi dagli indiani Shawnee, in un effimero tentativo di cercare fortuna nell'ovest. Sulla via del ritorno era fuggito dagli Irochesi.

    Era stato a due passi dall'altare e a uno dalla prigione per debiti quando era arrivata la lettera dall'Inghilterra, convincendolo che la fortuna era finalmente cambiata. I suoi antenati erano americani da prima ancora che esistesse la nazione, e nessuno aveva mai menzionato il nobile albero genealogico da cui discendevano. Ora i rami britannici però erano estinti, lasciandolo erede di terre e di un titolo.

    Visioni di ricchezza e benessere gli avevano riempito la mente quando si era imbarcato sulla nave per attraversare l'Atlantico. Poi, quando era diventato a tutti gli effetti il Conte di Comstock, tutto era andato storto. A quanto pareva il ramo britannico della famiglia non era migliore di quello americano. I debiti della sua famiglia erano niente se paragonati a quelli legati al nuovo titolo. E non c'era speranza di ripagarli, dato che non era contemplato che un aristocratico lavorasse. Da lui ci si aspettava che incassasse la rendita da fattori ancora più poveri di lui e che prendesse posto in un governo di cui ignorava tutto. Suo fratello Edward era stato fortunato che la Marina inglese fosse arrivata per prima. Se fosse stato vivo, sarebbe stato arruolato a forza in Parlamento, com'era toccato a lui.

    Non sentiva alcuna lealtà patriottica nei confronti del governo a cui avrebbe dovuto aderire e ancor meno aveva fiducia nell'antiquata eredità di un potere privo di denaro. Non c'era stata una soluzione magica ai suoi problemi precedenti. In Inghilterra, anzi, tutti si aspettavano che rimediasse al disastro lasciato dai suoi lontani parenti.

    Peggio ancora, una pila di lettere macchiate delle lacrime di Prudence lo aveva preceduto attraverso l'Atlantico su una nave più veloce. La situazione era tragica. Miles era la sua ultima speranza, scriveva Prudence, e doveva tornare subito a Filadelfia.

    Gli avrebbero permesso di farlo? Dubitava che il Principe Reggente l'avrebbe trascinato nella Camera dei Lord in ceppi, ma dopo ciò che era successo a Ed, non poteva esserne sicuro. Suo fratello era andato alle Barbados nel tentativo di migliorare le sorti della famiglia investendo nello zucchero. La notizia successiva che avevano avuto da lui era che era stato arruolato a forza nella Marina britannica. Nella sua ultima lettera a casa, aveva pregato Miles di vegliare su Prudence finché non fosse tornato da lei.

    Poco dopo Pru aveva ricevuto la notizia che era rimasta vedova. E, non appena Miles aveva distolto lo sguardo, aveva addirittura peggiorato la situazione. Sventata com'era, probabilmente meritava ciò che le era accaduto, tuttavia era sempre sotto la sua responsabilità, più di quanto non lo fossero le sue estranee parenti inglesi. Cosa avrebbe potuto fare, se non precipitarsi a Filadelfia più in fretta di quando ne era fuggito?

    Non era possibile partire da uno dei porti nelle vicinanze di Londra senza che qualcuno se ne accorgesse. Così Miles aveva lasciato la città facendo un vago accenno a una visita alla tenuta di Comstock, ma omettendo il resto del piano, ossia proseguire finché l'intero paese non fosse stato altro che un lontano ricordo.

    Era partito al galoppo sul cavallo migliore che avesse mai cavalcato e tanto meno posseduto. Non aveva avuto problemi ad acquistarlo a credito, dal momento che un conte non maneggiava denaro.

    Doveva trovare il modo di restituirlo ai precedenti proprietari. In Inghilterra, i Pari che non potevano pagare per ciò che acquistavano soffrivano solo di un certo imbarazzo, mentre in America sarebbe stato impiccato come ladro di cavalli.

    Ancor più dei debiti lo infastidiva il fatto che degli sconosciuti si inchinassero davanti a lui chiamandolo Lord Comstock. Se l'avessero conosciuto, si sarebbero resi conto di aver commesso un errore nel ritenere che un antenato in comune lo qualificasse per l'incarico che gli avevano accollato.

    Dopo una mezza giornata di viaggio aveva oltrepassato i confini dei possedimenti di Comstock. Non poteva negare che la tenuta che aveva ereditato fosse bella, con colline coltivate e un villaggio di capanne dal tetto di paglia. La vista era stata rovinata quando aveva fatto una sosta e si era reso conto di essere responsabile della manutenzione di quei tetti. Almeno la taverna serviva una birra decente, e nessuno gli aveva fatto domande sul suo passato, nonostante l'accento. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di essere riconosciuto come il nuovo signore e padrone prima che potesse finire il boccale.

    Dopo un pranzo leggero si diresse verso la tenuta. Svoltata una curva del viale di ghiaia, vide due costruzioni: un grande maniero sulla collina e una seconda casa, grande, per gli standard normali, ma messa in ombra dall'imponente edificio alle sue spalle. La seconda casa doveva essere quella della contessa vedova, che gli avevano descritto come una costruzione quasi in rovina, disabitata e incustodita. Se c'era un divano, o almeno un pavimento asciutto su cui stendere una coperta, avrebbe potuto dormire lì, senza dover dare spiegazioni ai domestici della grande casa per il suo arrivo improvviso e la partenza altrettanto improvvisa.

    E se per caso fosse rimasto qualche pezzo di argenteria, in una credenza, avrebbe potuto trarre qualche profitto da quel viaggio sfortunato. Al banco dei pegni, una bisaccia piena di posate d'argento sarebbe bastata ad acquistare un biglietto per l'America.

    Scese da cavallo, avvolse le redini sul ramo di un albero e si avvicinò alla casa. Era ancora a qualche passo dalla porta quando udì un latrato familiare, e un proiettile peloso lo colpì al polpaccio. Miles fissò il cagnolino bianco e nero che cercava di addentare lo stivale di pelle e, resistendo all'impulso di affibbiargli un calcio, lo sollevò per la collottola e se lo portò all'altezza degli occhi.

    «Non so che cosa mi sia preso quando ti ho salvato, al porto, se è così che dimostri la tua gratitudine. Se trattavi il tuo padrone precedente in questo modo, capisco perché abbia cercato di affogarti.» Era stato l'istinto a fargli abbandonare la valigia e ad afferrare il sacco di iuta che il ragazzo stava cercando di gettare dalla passerella della Mary Beth, supponendo che fosse stato il padre a ordinarglielo, dicendo che in mare non c'era posto per un cane. Quando si era voltato per assicurargli che il cucciolo era al sicuro, il ragazzo era sparito, e Miles si era ritrovato padrone del cane più ingrato del Nuovo Mondo.

    «Grrr...» L'animale fece scattare le fauci all'aria, cercando di morderlo. Per settimane Miles si era detto che il pessimo carattere del cane era causato dalle restrizioni della nave e dal costante dondolio. Tuttavia, quell'ammasso di pelo non sembrava più felice in terraferma inglese di quanto non fosse stato in America.

    «Quando ti ho mandato avanti con la contessa vedova, speravo di non rivederti mai più. Sei già riuscito a farti cacciare di casa?»

    Il cane si contorse tra le sue mani, facendo scattare ancora le fauci prima di divincolarsi e saltare a terra. Poi si voltò verso la casa della contessa vedova e saltò attraverso una finestra rotta, ancora abbaiando.

    Miles sospirò. «Non ti seguirò per quella strada, visto che c'è una porta perfettamente funzionante.» Dirigendosi verso la parte anteriore della casa, cercò in tasca il mazzo di chiavi, prima di accorgersi che la porta era già aperta.

    «Puoi uscire da solo» pronunciò ad alta voce. «Hai quattro zampe e non hai più bisogno del mio aiuto.» Rimase in ascolto di qualche segno che il cane lo avesse sentito e avesse intenzione di obbedire. Se voleva fermarsi lì, sarebbe stato utile avere qualcuno che tenesse lontano i topi. Se tenevano la porta aperta, probabilmente quel luogo ne era infestato. Tuttavia, dato che il cane lo odiava e cercava di morderlo alla prima occasione, probabilmente era più sicuro lasciarlo fuori e fare amicizia con i roditori.

    Entrando, fu sorpreso di non vedere traccia del cane né di udire il suo latrato dall'interno. Possibile che fosse caduto tra due assi sconnesse del pavimento, o si fosse ferito su vetri rotti? Era un pazzo a preoccuparsi di un animale che non voleva saperne di lui, ma almeno non c'era nessuno lì intorno ad assistere alla sua debolezza. Si addentrò nella casa. «Dove sei, piccolo bastardo?» Con un po' di fortuna l'avrebbe sospinto verso l'uscita senza subire danni allo stivale o alla mano, poi avrebbe bloccato porta e finestra finché non avesse smesso di molestarlo.

    Miles si guardò intorno. Se non fosse stato per il cane, il posto non sarebbe stato male come rifugio, fino a quando non avesse deciso cosa fare di se stesso. La vedova aveva parlato di riparazioni troppo costose per rendere il luogo vivibile, ma era una gran dama, abituata alle comodità e al lusso. Per un uomo abituato a un letto spartano, era quasi una reggia. Era umido, naturalmente, ma un fuoco avrebbe rimediato. I mobili erano stati coperti da teli perché fossero protetti dalla polvere e probabilmente dalle infiltrazioni che entravano dal tetto. Non era sicuro che i materassi fossero asciutti, ma nelle stanze che attraversava c'erano un'infinità di tavoli, sedie, panche e divani che avrebbero offerto un giaciglio decente. Poteva andare, anche se non avesse trovato l'argenteria.

    Un batuffolo bianco e nero sfrecciò davanti alla soglia della stanza di fronte. Si udì un latrato familiare, seguito da una pausa prima che il cucciolo si lanciasse nella direzione opposta. Era lo stesso gioco che faceva sulla nave, correndo avanti e indietro nei corridoi, schivando maledizioni e calci di marinai e passeggeri prima di tornare nella sua cabina e cadere esausto ai piedi della cuccetta.

    Miles si era divertito, la prima volta, adesso era solo infastidito. Prima che potesse dire qualcosa, però, qualcun altro gridò: «Pepper! Stai buono».

    Anche se aveva la forza di un generale, la voce era decisamente femminile. Era la casa vuota che le conferiva un tono così insolito? Sembrava echeggiare, eppure era stranamente attutita. Miles si avvicinò con cautela alla stanza di fronte, non sapendo bene se fosse meglio affrontare la donna o svignarsela inosservato. Non appena varcò la soglia vide che il cane era accoccolato nel camino spento, intento ad annusare uno stivale da donna poggiato sugli alari. Mentre guardava, la donna che lo indossava si protese verso l'alto, come se cercasse di raggiungere qualcosa nella cappa.

    Vi fu una pioggia di fuliggine, seguita da un'imprecazione sommessa.

    Il cane si ritirò con uno starnuto, aspettando che la cenere si depositasse. Poi scattò in avanti e addentò il tessuto della gonna, strattonandola e minacciando l'equilibrio della proprietaria.

    Miles non riuscì a trattenere una risata.

    Lentamente, lo stivale si abbassò per posarsi sulla grata. «Chiunque siate, se avete intenzione di molestarmi, sappiate che ho un attizzatoio e che non ho paura di usarlo contro di voi.» Se il suo braccio era risoluto quanto il tono, era meglio non rischiare.

    «E io ho una pistola» ribatté lui, «ma credo che non sia il caso di preoccuparsi, perché nessuno dei due desidera ricorrere alla violenza. Almeno finché non ci conosceremo meglio» aggiunse. In passato, c'era stata più di una donna pronta a infilzarlo con un ferro, ma a quella sconosciuta non aveva ancora dato un motivo per farlo.

    Il cane schizzò via mentre la donna saltava giù dalla grata, sollevando altra cenere. Anche se non poteva avere più di vent'anni, le sue forme erano pienamente femminili. Il viso, in parte nascosto dagli occhiali e dalle macchie di fuliggine, non aveva niente di speciale, ma solo uno sciocco avrebbe definito scialba una donna con un paio di caviglie così ben cesellate.

    Aveva anche dei bei polpacci, nonostante le calze spesse che indossava. Miles ne aveva intravisto uno mentre il cane le tirava le gonne. E anche se l'abito pratico che indossava non faceva niente per mettere in risalto la figura, non riusciva a nascondere la vita sottile e il bel seno. Di solito Miles non si lasciava andare a pensieri lascivi, anche perché non poteva permetterseli, ma se tutte le giovani donne di Comstock erano così graziose, poteva valere la pena di giocare a fare il signore del maniero.

    Come se avesse percepito i suoi pensieri, il cane rizzò il pelo e si portò tra lui e la donna, scoprendo i denti in un ringhio minaccioso.

    «Pepper. Seduto.»

    Come per miracolo, il cane rispose al comando della donna e si accovacciò sulle zampe posteriori, continuando a fissarlo.

    «Se fate qualche scherzo, vi aizzerò contro il mio cane» lo minacciò lei, lanciandogli un'occhiata feroce quanto quella del terrier.

    «Il vostro cane?» chiese lui, sorpreso.

    Lei esitò. «Il cane del conte, se volete. Ma dato che lui non è qui e che io faccio parte della famiglia, la responsabilità e l'affetto di Pepper sono stati trasferiti su di me.»

    Miles aprì la bocca, pronto a ribattere che il proprietario di quell'ingrato animale era proprio di fronte a lei, ma dal momento che Pepper era incapace di lealtà, obbedienza o altra virtù canina, si rifiutò di reclamarlo. Poi ricordò che se il suo obiettivo era quello di rifugiarsi nella proprietà di Comstock e ripartire inosservato, non era il caso di svelare la propria identità alla prima persona che incontrava, soprattutto se non l'aveva riconosciuto.

    La donna lo esaminò, socchiudendo gli occhi. «Adesso che vi vedo bene, è chiaro che non siete un comune vagabondo come temevo.» Inclinò la testa di lato. «Dall'accento direi quasi che siete americano. Suppongo potreste far parte della scorta del conte, anche se mi avevano detto che Comstock viaggiava solo.»

    «Siamo venuti su navi separate» improvvisò Miles, aggrappandosi alla prima bugia che gli venne in mente. «Sarei dovuto arrivare prima, ma il mare era in tempesta.»

    «Allora siete il revisore dei conti.» Non c'era trionfo, nella sua voce, ma solo il piatto riconoscimento di un dato di fatto.

    Miles annuì, grato dell'imbeccata. Un revisore dei conti venuto dall'America, però, aveva bisogno di un nome. «Potts» disse automaticamente. Doveva essere un nome che gli si addiceva, perché Gregory Drake l'aveva scambiato per un tizio che si chiamava così, la prima volta che si erano incontrati. «Augustus Potts, al vostro servizio, ma'am.» Si inchinò per nascondere una smorfia per il primo nome che gli era saltato in mente. C'era da sperare che la menzogna non durasse a lungo, perché chi avrebbe voluto essere chiamato Augie Potts?

    «Mr. Potts» rispose la donna con il tono che probabilmente riservava alla servitù.

    «E a chi ho l'onore di rivolgermi?» domandò Miles, sospettando di conoscere già la verità.

    «Con Miss Charity Strickland. Il vostro datore di lavoro è mio un lontano cugino.»

    Miles annuì. Aveva già incontrato un'altra sorella, Hope, e con qualche sforzo poteva vedere la somiglianza. Avevano la stessa fronte ampia e il mento appuntito. Mentre Hope era di una bellezza fuori del comune, però, la stessa cosa non si poteva dire di Charity. C'era qualcosa di troppo serio nella sua espressione, e gli occhi erano troppo perspicaci per una donna così giovane. Anche se non si poteva definire bellissima, sospettava che, maturando, sarebbe diventata una donna attraente.

    «Siete stato mandato per fare l'inventario della casa di famiglia?» domandò lei come se volesse ricordargli che non era pagato per starsene lì a fissarla.

    «E anche di quella della contessa vedova.»

    «Non c'è niente di valore, qui.»

    La sua risposta era stata un po' troppo svelta per i suoi gusti. Era chiaro che era lì per recuperare, o nascondere, qualcosa. E di solito la gente non si dava la pena di nascondere cose prive di valore.

    «Se la casa è vuota, mi chiedo che cosa ci facciate qui, infilata per metà nella cappa del camino. Posso esservi utile in qualche modo?» si informò Miles con un sorriso servile.

    «Stavo cercando di chiudere il condotto per non far entrare gli uccelli.»

    «Capisco.» Era una bugia ancora più grossa dell'ultima, ma se lui pretendeva di essere Augie Potts, non poteva puntare il dito. Così si sfilò la giacca e arrotolò le maniche della camicia. «Datemi l'attizzatoio. Le mie braccia sono più lunghe.»

    «Non è necessario» si affrettò ad assicurargli lei. «Penso di aver già sistemato in modo soddisfacente la cosa.»

    Miles inarcò un sopracciglio. «Vi ho forse interrotta prima che completaste ciò che stavate cercando di fare?»

    Miss Strickland serrò leggermente le labbra. «No di certo.»

    «Allora permettetemi di riaccompagnarvi alla casa padronale.»

    «Non è necessario nemmeno questo.»

    «Siamo diretti verso la stessa destinazione» le ricordò, «e dal momento che non sono mai stato al maniero, apprezzerei una guida.»

    «Non è possibile perdersi» replicò lei. «La casa si trova a circa un miglio di distanza, e siete già sul viale.»

    Stava cercando di liberarsi di lui. Miles non aveva motivo di indagarne la ragione, dato che era altrettanto impaziente di andarsene, eppure non seppe resistere alla tentazione di stuzzicarla. «Probabilmente è vero, ma vi sarei grato se mi presentaste al personale.» Guardò fuori della finestra. «E sembra che si stia annunciando una tempesta. Mentre parlavamo il cielo si è oscurato. Non posso lasciarvi qui sotto la pioggia.»

    «Posso aspettare all'interno finché non sarà cessata» ribatté Miss Strickland.

    Quindi non aveva finito quello che era venuta a fare.

    Dato che non aveva niente in mano, sembrava probabile che stesse cercando qualcosa, piuttosto che nasconderla. In ogni caso doveva esserci un nascondiglio tra i mattoni che valeva la pena investigare, una volta che si fosse liberato di lei.

    Le sorrise. «Sono sicuro che il conte chiederebbe la mia testa se vi lasciassi qui sotto la pioggia.» Si avvicinò alla porta e rimase in attesa di un segno di resa, che non arrivò.

    Solo una lieve ruga sulla fronte tradiva l'irritazione. «Se questo è il desiderio del conte, come volete, allora, Mr. Potts. Non mi

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