La casa sul lago: Harmony Collezione
Di Kara Lennox
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Info su questo ebook
A volte, in amore, si è costretti a fare delle scelte. Ed è questo ciò che accade a Hudson Stack quando, per caso, incontra Amanda.
Hudson Stack, un famoso e ricchissimo chirurgo di Boston, ha assolutamente bisogno di allontanarsi dallo stress quotidiano. Così, decide di concedersi un periodo di riposo in compagnia della figlia Bethany. Una volta arrivato a Cottonwood, Hudson si rivolge all'agenzia immobiliare per trovare una sistemazione. Qui viene accolto da una bellissima ragazza, Amanda, che si offre di aiutarlo mettendogli a disposizione una piccola casa sul lago, proprio a fianco della sua. Da questo momento, Hudson e Amanda si ritrovano vicini di casa e cominciano a frequentarsi, ma il meteo dell'amore, per loro, prevede burrasche.
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Anteprima del libro
La casa sul lago - Kara Lennox
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Millionaire Next Door
Harlequin American Romance
© 2003 Karen Leabo
Traduzione di Loretta Marsilli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5892-918-6
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
Il dottor Hudson Stack era seduto nell’ufficio di George Blake Stimson, direttore del reparto di chirurgia del General Hospital di Boston, e sentiva crescere la propria irritazione mentre apprendeva i risultati dei suoi esami clinici.
«Hai la pressione alta» stava dicendo George, «il colesterolo alle stelle e anche il fegato è in malora. Consumi il triplo di caffeina di quanta te ne è concessa. Hai i riflessi rallentati, dormi troppo poco e sei molto nervoso. E io non permetto a nessun medico del mio staff, neanche al più bravo, di operare nel mio ospedale in simili condizioni.»
«Mi stai dicendo che sono licenziato?» chiese Hudson, allarmato. Non era la prima volta che aveva questo genere di discussioni con George. Di solito, il vecchio chirurgo gli suggeriva di rilassarsi, di non mangiare schifezze, di dormire di più, e via discorrendo.
Hudson era sempre stato convinto che il suo fosse un lavoro sicuro, anche perché, in un certo senso, era il fiore all’occhiello dell’ospedale. Dopo che aveva inventato una valvola artificiale in grado di salvare milioni di vite umane, il suo nome aveva iniziato ad apparire regolarmente nelle più prestigiose riviste mediche. E strappare alla morte il sindaco di Boston, impiantandogli cinque by-pass con un intervento d’urgenza, lo aveva fatto rimbalzare in prima pagina. Più recentemente, la rivista Boston Life lo aveva nominato lo scapolo più sexy di Boston, assicurandogli una notorietà destinata a durare molto più a lungo di quanto gli sarebbe piaciuto.
«Certo che no. La direzione generale non mi perdonerebbe mai, se ti licenziassi. Ma ti prenderai un periodo di riposo. A cominciare da questo preciso momento.»
«Impossibile» replicò Hudson immediatamente. «Ho due interventi questa mattina e altri tre...»
«Li eseguirà qualcun altro.»
«George, non puoi farmi questo.»
«Invece posso, e lo farò. Tu ti faresti operare da un chirurgo nelle tue condizioni?»
«Sto benissimo.»
«Dai tuoi esami, non sembra.»
Hudson sapeva che era inutile continuare a discutere. Al General Hospital, George era considerato un dio. Hudson non poteva contare sull’appoggio di nessuno, perché nessuno si sarebbeschierato dalla sua parte.
«Qualche giorno di riposo mi rimetterà in sesto» ammise a malincuore. E forse era vero. Era una settimana che non vedeva sua figlia... cioè, che non la vedeva sveglia. Di solito, rincasava che Bethany era già a letto da un pezzo. Restava qualche minuto a guardarla mentre dormiva, tanto per assicurarsi che stesse bene.
«Non sto parlando di qualche giorno» disse George. «Voglio che tu stia via almeno un mese. E voglio che vada lontano, lontano da Boston, in un posto dove nessuno ti conosce. E voglio anche che impari a pescare.»
Hudson lo guardò allibito. Un mese? Non poteva rimanere così a lungo lontano dal suo lavoro.
«Hudson, ti sto parlando da amico. Stai rischiando l’infarto. Forse non succederà questa settimana, o quest’anno, però stai andando in quella direzione. Qualcuno ti ha addirittura visto fumare.»
«Chi è quel verme che ha fatto la spia?» Fumava due, al massimo tre sigarette al giorno. Fumare gli forniva una scusa per sgattaiolare fuori dall’ospedale, da solo, e stare qualche minuto senza fare nulla.
George fece roteare gli occhi. Porse a Hudson un pezzo di carta con sopra un indirizzo e un numero di telefono.
«Ed Hardison e io abbiamo fatto l’università insieme. Vive in Texas. Voglio che lo chiami. Ti troverà un posto dove stare. Ha un barca da pesca e tutta l’attrezzatura.»
Gli pareva di stare vivendo un incubo. Non era possibile. In Texas? D’estate?
«Stai parlando seriamente?»
«La pesca è la miglior terapia contro lo stress» rispose George con aria vagamente sognante. «Porta tua figlia con te. Passa un mese o due a non fare assolutamente nulla. Dopodiché, rifarai gli esami. E se starai meglio, potrai tornare a lavorare con noi.»
Hudson andò dritto a casa, imprecando lungo tutto il tragitto. Era così arrabbiato che pensò perfino di mandare George a quel paese. C’era almeno una mezza dozzina di ospedali nell’area vasta di Boston che avrebbero fatto carte false pur di averlo nel loro staff.
Mentre aspettava che il semaforo diventasse verde, ascoltò la segreteria del cellulare. Janey lo aveva chiamato due volte per ricordargli una sfilza di cose: portare in pulitura il suo smoking, far riparare la macchina, chiamare la zia perché domani era il suo compleanno. Oh, e la raccolta di fondi dell’Associazione del Cuore, venerdì sera.
Trasse un sospiro. Detestava quel tipo di riunioni, ma supponeva che fossero un male necessario. Almeno non doveva faticare a trovare una donna che l’accompagnasse. Janey era sempre disponibile. Probabilmente avrebbe dovuto sposarla e farla finita con quel tira e molla. Sapeva che gli avrebbe risposto di sì, se le avesse chiesto di diventare sua moglie. Glielo stava facendo capire in tutti i modi.
Un altro messaggio era di un’emittente radiofonica che voleva intervistarlo. Lo cancellò. L’ultima cosa che voleva era dell’altra pubblicità.
Gli altri tre messaggi erano di donne che non aveva mai sentito nominare che credevano di essere esattamente ciò di cui un medico solo e ricco aveva bisogno per realizzarsi. Decise che si sarebbe fatto cambiare numero. Di nuovo.
Parcheggiò la Jaguar lungo il marciapiede e si incamminò verso l’entrata del suo villino di pietra arenaria. Benché possedesse altre due case a Boston, lo aveva acquistato perché era vicino all’ospedale. L’intenzione era di passarci qualche notte occasionalmente, quando non se la fosse sentita di guidare fino a casa. Ma poi lo aveva trovato così comodo che aveva finito per abitarci a tempo pieno.
Andò dritto verso il suo studio, ma si fermò sentendo una risatina.
Bethany. Una fitta di senso di colpa gli punse la coscienza. Avrebbe dovuto dedicarle un po’ più di tempo. Nonostante sua madre e sua suocera facessero a gara per prendersi cura di lei, nessuno avrebbe potuto sostituire l’affetto e l’attenzione di un padre. Posò la sua valigetta e salì in soggiorno. Era ora di pranzo. Avrebbe mangiato con Bethany. Poi avrebbe deciso sul da farsi.
Trovò la bambina seduta sul pavimento del soggiorno, i cuscini del divano sparsi tutt’intorno a sé. Stava guardando la TV.
«Bethany» la chiamò la madre di Hudson, Judith, dalla sala da pranzo. «Il pranzo è pronto. Vieni, prima che si raffreddi.»
Bethany, che non aveva visto Hudson, balzò in piedi e corse dalla nonna. Hudson sorrise. Sua figlia era una bambina educata, e di questo doveva ringraziare sua madre e sua suocera, che la stavano già preparando al suo ingresso in società.
Felice di poter pranzare con Bethany, si fermò a raccogliere i cuscini dal pavimento, così sua madre non si sarebbe arrabbiata.
«Philip mangia con noi?» sentì Bethany chiedere alla nonna.
«Bethany, tesoro, Philip è il nostro autista. Adesso che sei una signorina, non puoi mangiare con la servitù.»
Hudson inorridì. Ci teneva molto all’educazione di Bethany, ma non tollerava le persone snob. Sua madre, a ogni modo, era cresciuta in un’altra epoca, e niente e nessuno le avrebbero fatto cambiare opinione riguardo allo status e alle diverse classi sociali.
«Ma a me Philip piace» replicò Bethany.«Quando mi porta a scuola, dico a tutti che è il mio papà.»
Hudson raggelò.
«Ascolta, Bethany» cominciò Judith in tono pacato anche se la voce le tremava, «ne abbiamo già parlato. Philip è molto simpatico, e tu dovrai essere sempre gentile con lui. Però, non è tuo padre.»
Hudson non si fermò a riflettere. Agì e basta. Entrò a passo di valzer nella stanza, un sorriso stampato sulla faccia.
Bethany lo guardò, stupita. «Papino!»
Almeno lo aveva riconosciuto. «Ho una bella notizia» annunciò. «Bethany e io partiremo presto per una bella vacanza. Noi due soli. Andremo a pescare.»
1
«Guarda, papà, un cowboy!» esclamò Bethany.
Hudson aveva appena parcheggiato nella piazza di Cottonwood, nel Texas. Vide un uomo con addosso dei jeans sbiaditi, gli stivali a punta e un enorme cappello da cowboy smontare dal pick-up accanto alla loro macchina. L’uomo li vide, sorrise e si toccò la tesa del cappello prima di andare per la sua strada.
Bethany rimase a guardarlo, rapita, e continuò a seguirlo con gli occhi mentre si allontanava. Era affascinata da tutto.
Hudson la prese per mano, e padre e figlia si diressero insieme verso la Tri-County Real Estate, l’agenzia immobiliare che Ed Hardison, l’amico di George, gli aveva raccomandato. Una donna sulla cinquantina, con una massa di capelli ossigenati e le sopracciglia disegnate a matita era seduta dietro al bancone e stava parlando al telefono. Incrociò lo sguardo