Accordo di cuori: Harmony Collezione
Di Helen Brooks
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Info su questo ebook
Helen Brooks
Helen è nata e cresciuta in Nuova Zelanda. Amante della lettura e dotata di grande fantasia, ha iniziato a scrivere storie sin dall'adolescenza. A ventun anni, insieme a un'amica, partì in nave per un lungo viaggio in Australia, che da Auckland l'avrebbe condotta a Melbourne.
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Anteprima del libro
Accordo di cuori - Helen Brooks
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Ruthless Agreement
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2005 Helen Brooks
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-724-6
1
Sto facendo la cosa giusta? Ma se è così, perché mi sento come se camminassi sull’orlo di un precipizio?
Melody Taylor si tormentava con quelle domande da almeno ventiquattro ore, ma all’esterno si presentava come la donna imperturbabile e padrona di sé di sempre.
Mi sono rivolta a lui perché è il miglior avvocato sulla piazza e mia madre in questo momento ne ha assolutamente bisogno. Niente di personale, perciò non c’è motivo di agitarsi, si rimproverò brusca, stringendo le labbra.
Gli dimostrerò che anche senza di lui me la cavo alla grande. Ce la farò, basta mantenere la calma. Gestisco situazioni difficili ogni giorno, riuscirò a gestire anche Zeke Russell.
La porta del soggiorno si aprì e l’entrata di sua madre interruppe quelle riflessioni. L’espressione inquieta della donna spinse la figlia ad accorrere in suo soccorso. «Vedrai che si aggiusterà tutto» cercò di rassicurarla con tono incoraggiante.
«Non puoi sapere come andrà a finire, Melody.»
«Invece sì, e dovresti esserne convinta anche tu. Sai bene che in casi come questo avere fiducia significa avere già vinto la battaglia per metà» ricordò la figlia.
Anna Taylor le sfiorò la guancia con un bacio. «Che cosa farei senza di te?»
Quel gesto affettuoso svelava l’entità dell’angoscia di Anna. Melody sapeva che sua madre le voleva bene, ma era molto raro che la donna lo esprimesse a parole o con gesti di tenerezza.
Si studiarono a vicenda con un’occhiata. Poi Anna riprese: «Non mi va che tu debba chiedere un favore a Zeke dopo quello che è successo».
«Non gli ho chiesto un favore. Gli spiegheremo la situazione e, se accetterà di occuparsi della faccenda, lo pagheremo come normali clienti.»
«Sai che cosa intendo.»
Naturalmente Melody lo sapeva. E se fosse stata onesta con se stessa, avrebbe dovuto ammettere che, se solo fosse esistito un qualunque altro modo di togliere sua madre dai pasticci, avrebbe evitato volentieri di mettersi in contatto con Zeke. Ma non era riuscita a trovare un’altra alternativa.
Si strinse nelle spalle. «Zeke ha accettato di venire qui, perciò non dovremo neppure metter piede nel suo ufficio.» Non aggiunse e incontrare Angela, ma quelle parole risuonarono nella mente di entrambe.
Angela Brown era la segretaria sexy, nonché l’amante di Zeke, se nel frattempo la loro relazione non si era conclusa. Melody allontanò bruscamente quel pensiero. Era già abbastanza penoso sapere che Zeke poteva arrivare da un momento all’altro...
Lo squillo del campanello le raggelò per un istante, ma Melody fu la prima a riprendersi. «Deve essere lui» dichiarò con apparente calma, come se il cuore non stesse per scoppiarle. «Perché non prepari del caffè mentre vado ad aprire la porta?»
Seguì un altro squillo imperioso e lei serrò le belle labbra carnose. Energico, determinato e arrogante come sempre: Zeke non era cambiato negli ultimi sei mesi, da quando lo aveva visto l’ultima volta. Del resto, non si aspettava di trovarlo diverso.
Sua madre si ritirò in cucina mentre lei si avviava verso l’ingresso facendo un respiro profondo e stampandosi un ampio sorriso sulle labbra.
Trovandosi davanti dopo tanto tempo quell’uomo alto e dai capelli scuri, sbarrò involontariamente gli occhi. Nonostante avesse cercato in tutti i modi di prepararsi a quell’incontro, la vista di Zeke le aveva tolto il fiato.
«Ciao, Melody» la salutò Zeke con la voce profonda che lei ricordava bene e il leggero accento americano che tradiva le sue origini. «Come va?»
«Be... bene, grazie» balbettò lei suo malgrado, irritata con se stessa di mostrarsi tanto debole. «E tu come stai?» proseguì, riuscendo a imporsi un tono di voce normale.
«Sono molto curioso riguardo alla tua misteriosa telefonata.» Inclinò appena la testa, nel gesto istintivo dei momenti di incertezza, che lei conosceva bene, quando cercava di dare un senso a qualcosa. «Anna è nei guai?»
Melody annuì. «Entra» lo invitò, cercando di non lasciarsi sopraffare dalla sua presenza imponente.
Con il suo metro e novanta, Zeke era più alto della maggior parte degli uomini, e soprattutto aveva una struttura più massiccia. Lei sapeva per esperienza che in quel fisico non c’era ombra di grasso, solo muscoli potenti e allenati. Il suo volto angoloso dai lineamenti decisi, più affascinante che bello, rivelava come tratto dominante un’espressione cinica. Ma i suoi occhi... quegli occhi avevano sempre avuto il potere di farle tremare le ginocchia. Di un color ambra dorato, frangiati da ciglia scurissime come i capelli tagliati corti, avevano il potere di attirare gli sguardi, una dote che Zeke utilizzava in tribunale quando era impegnato con dei testimoni ostili.
Si soffermò un attimo su quel pensiero e Zeke la oltrepassò, entrando nell’appartamento. Melody richiuse la porta e tornò a guardarlo. Alla fine del loro rapporto, quando tutto quello che fino al giorno prima sembrava perfetto era diventato improvvisamente un enorme errore, lei aveva compreso perché Zeke fosse considerato un avvocato formidabile, nonostante i suoi trentacinque anni lo rendessero professionalmente giovane.
Zeke attese che Melody gli facesse strada in soggiorno. Lei fu attenta a non sfiorarlo neppure per sbaglio, ma non riuscì a evitare di cogliere il leggero profumo del suo dopobarba e una morsa le strinse lo stomaco, mentre il cuore cominciava a battere più forte.
Calma, si ammonì mentalmente mentre lui la seguiva. Zeke è esperto nel leggere i pensieri delle persone, non devo lasciargli intuire l’effetto che ha su di me o me ne pentirò amaramente.
Si girò e gli rivolse la parola in tono educato, l’espressione neutra. «Accomodati, prego. Mia madre sta preparando il caffè e ci raggiungerà tra un attimo.»
Aveva appena pronunciato quelle parole quando Anna comparve sulla soglia reggendo un vassioio. Melody le andò incontro, ma Zeke fu più veloce e le tolse il vassoio dalle mani. «Lascia fare a me» si offrì. «Ti trovo bene, Anna» dichiarò rivolgendo alla donna un sorriso di circostanza.
«Grazie.» Lei riuscì a nascondere alla perfezione il suo disagio. «Anche tu hai un bell’aspetto.»
Zeke Russell appoggiò il vassoio sul tavolino da caffè, poi si raddrizzò e scrutò le due donne, simili come due gocce d’acqua. Per sapere che aspetto avrebbe avuto Melody con vent’anni di più bastava guardare Anna: a cinquant’anni era ancora molto bella, con i capelli biondi lucidi tagliati in un caschetto perfetto, la pelle liscia e priva di imperfezioni, a parte qualche ruga intorno agli occhi.
Alte, slanciate e con una struttura delicata, potevano dare l’impressione di essere sorelle anziché madre e figlia. Solo gli occhi erano diversi: azzurri quelli di Anna, dall’espressione spesso fredda, grigi quelli di Melody, un grigio caldo che tradiva un temperamento passionale.
Con voce perfettamente controllata, Zeke entrò nel vivo della situazione. «Come posso aiutarvi?»
Melody invitò sua madre a sedersi. «Penso io al caffè, tu intanto spiegagli che cosa è successo.» E di fronte alla difficoltà di Anna a iniziare il discorso, chiarì: «Si tratta di lavoro. Ti ricordi di Julian Harper, l’assistente personale di mia madre?».
Zeke annuì. Ricordava bene il leccapiedi di Anna! In vita sua non aveva mai incontrato un uomo tanto viscido. Ma ogni volta che aveva tentato di far sapere a Melody quello che pensava di Julian, lei lo aveva difeso, protestando che era fedele a sua madre, il suo braccio destro sul lavoro, nonché un buon amico.
Melody esitò e Zeke le lanciò un’occhiata interrogativa, il sopracciglio sollevato. «E allora?»
«Ha falsificato i libri contabili» intervenne Anna in tono gelido, quello che usava sempre rivolgendosi a lui. «Oltre ad avere portato avanti altre operazioni poco pulite» aggiunse con amarezza. «Ordini falsi, uso di materiale scadente...» Prese un respiro profondo. «E lo ha fatto talmente bene che io sembro coinvolta personalmente.»
«E come c’è riuscito?» Zeke si era fatto improvvisamente risoluto. «Ha falsificato la tua firma?»
«Niente di così banale. Sono stata io a firmare documenti che non avrei dovuto, che lui mi portava in blocco quando ero molto occupata...» Le mancò la voce, ma riuscì ad aggiungere: «Sono stata una sciocca».
Zeke la studiò, sinceramente stupito. Aveva sempre considerato Anna una delle donne più dure che avesse mai conosciuto, una regina di ghiaccio con il cuore congelato come il Polo Nord. Non gli era mai piaciuta e sapeva che il sentimento era reciproco. Se qualcuno gli avesse raccontato che Anna aveva firmato dei documenti senza neppure leggerli sarebbe scoppiato a ridere, incredulo.
Dallo sguardo seccato che Anna gli rivolse comprese che era consapevole della direzione presa dai suoi pensieri.
Melody interruppe quello scambio silenzioso porgendogli una tazza di caffè amaro e forte, proprio come piaceva a lui. Lo ricordava ancora, dunque!
Le loro mani si sfiorarono per un istante, poi Melody allontanò la sua con un movimento così brusco da rischiare di rovesciargli il caffè addosso.
Quell’involontaria ammissione di vulnerabilità lo riempì di soddisfazione: neppure Melody era calma come voleva apparire, allora!
Distese le lunghe gambe e bevve un sorso di caffè. «E adesso, se ho capito bene, questa storia è finita in tribunale.»
Anna abbassò la testa in segno affermativo. «Uno dei miei clienti mi ha denunciato perché sostiene di aver perso centinaia di migliaia di sterline a causa del materiale scadente che gli abbiamo venduto» spiegò. «Era un ordine consistente per la promozione di una nuova linea di abiti. Nel giro di pochi mesi la stoffa si era rovinata e hanno dovuto affrontare una massa di clienti infuriati. Sono stati costretti a ritirare dal mercato la fornitura e la loro reputazione ne ha sofferto molto. Mi sono offerta di ripagarli delle perdite, ma naturalmente non si sono accontentati e mi hanno citato in tribunale.»
Zeke annuì. Avrebbe voluto dire che una cosa simile probabilmente non sarebbe capitata a qualcuno più amichevole di Anna, invece tacque. Eppure non era altro che la verità. Se non fosse stato per le interferenze di quella donna, lui e Melody ormai sarebbero stati sposati; fin dall’inizio lei non aveva fatto altro che tentare di separarli, anche se era ovvio che non sarebbe riuscita nel suo piano se la figlia non glielo avesse permesso.
Strinse le labbra. «Non è una bella situazione.»
«Come se non lo sapessi!» ribatté Anna secca.
Il tono irritato con cui sua madre pronunciò quelle parole