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L angelo dagli occhi viola: Harmony History
L angelo dagli occhi viola: Harmony History
L angelo dagli occhi viola: Harmony History
E-book238 pagine4 ore

L angelo dagli occhi viola: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1861
Giovane, bella e seducente, Brenna Stanhope ha deciso di vivere lontano dagli uomini, dall'amore e dalle luci del bel mondo, rifuggendo qualsiasi contatto sociale. Un terribile segreto infatti avvolge la sua infanzia, un segreto che, se svelato, distruggerebbe non solo la sua reputazione, ma anche quella dell'orfanotrofio che dirige. Anche Nicholas Pancarrow, duca di Westbourne, aristocratico, dotato di un incredibile fascino e impenitente donnaiolo, è allergico all'amo-re, in ossequio a un giuramento fatto a se stesso fin dall'infanzia. Quando lei lo salva dall'aggressione di due briganti, il nobiluomo non riesce a resistere al fascino di quella misteriosa, quanto schiva fanciulla. Brenna, però, sembra volergli sfuggire a ogni costo.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517509
L angelo dagli occhi viola: Harmony History
Autore

Sophia James

Neozelandese, laureata in Letteratura inglese e Storia all'Università di Auckland, ha scoperto la passione per la scrittura leggendo insieme alla sorella gemella i romanzi di Georgette Heyer.

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    Anteprima del libro

    L angelo dagli occhi viola - Sophia James

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Fallen Angel

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2004 Sophia James

    Traduzione di Silvia Zucca

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-750-9

    1

    Airelies, Kent, agosto 1861

    Brenna si immobilizzò, impietrita, inclinando un poco la testa verso il suono sommesso che disturbava quell’impeccabile sera estiva, e ascoltò. Il ruscello gorgogliava a qualche passo da lei e i platani frusciavano nella brezza notturna, come facevano sempre. Eppure c’era qualcosa di diverso: Marte e Bellona, i suoi cani da caccia, si erano fermati, immobili e tesi, come se l’avessero avvertito anche loro. Brenna strinse istintivamente il calcio della pistola e proseguì, mentre con mani tremanti caricava l’arma. Erano a mezzo miglio da Worsley e man mano che si avventuravano nel bosco la vegetazione si faceva sempre più fitta. Brenna dovette farsi strada tra rami e foglie per riuscire a seguire quel suono che ora identificava con maggior chiarezza.

    Voci maschili, bisbigli sommessi e minacciosi. La paura le fece sobbalzare il cuore nel petto, accelerandone i battiti mentre indietreggiava di qualche passo per nascondersi e ordinava ai suoi cani di fare altrettanto. Acquattata nella boscaglia spiò quello che stava accadendo.

    A pochi passi da lei riuscì a scorgere due individui che trascinavano un uomo semicosciente, con una ferita alla testa e gli occhi bendati. Gli abiti impeccabili del prigioniero sembravano totalmente fuori posto rispetto a quelli di tela grezza degli altri.

    Briganti!, pensò Brenna, portandosi istintivamente una mano alla bocca, mentre l’altra rimaneva saldamente stretta intorno alla pistola. Nascosto dietro di lei, Marte prese a ringhiare all’improvviso, e Brenna gli strinse il muso con la mano per indurlo a una calma che lei stessa era ben lontana dal sentire.

    Osservò i masnadieri legare l’uomo bendato al tronco di un olmo e poi allontanarsi lasciandolo solo.

    Brenna tese l’orecchio cercando di determinare i loro movimenti. Trattandosi di una rapina, stavano di certo tornando a saccheggiare la carrozza di quello sventurato. Si domandò con apprensione quale sarebbe stata la sorte dei lacchè e degli altri servitori, mentre rifletteva sull’audacia che quei furfanti avevano dimostrato nel fermare una carrozza su di una strada molto frequentata. Avanzando cautamente, si portò fin dietro all’uomo ferito e si sporse alla sua sinistra, prestando attenzione alle mosse dei malviventi, dei quali continuava a sentire l’indistinto borbottio. Il malcapitato avvertì la sua presenza e girò il capo nella sua direzione, cercando d’intuire di chi si trattasse attraverso la benda che gli copriva gli occhi. Bisbigliandogli nell’orecchio nel modo più impercettibile di cui fosse capace, Brenna gli disse: «Ci sono due uomini armati che in questo momento sono intenti a saccheggiare la vostra carrozza, io penso...».

    Lui s’irrigidì e la interruppe: «Riuscite ad allentare le corde e a togliermi la benda dagli occhi?». La sua voce era scossa da una rabbia contenuta a stento.

    «Per prima cosa vi allenterò le corde. È più sicuro, nel caso dovessero tornare.»

    L’uomo annuì e lei prese ad armeggiare con l’intrico dei nodi che gli stringevano i polsi, gettando, di tanto in tanto, un’occhiata per controllare che i due lestofanti non stessero tornando.

    Aveva appena terminato quando sentì un rumore di passi che si riavvicinavano allo spiazzo. Mentre il prigioniero si toglieva la benda, Brenna si lasciò cadere sulle ginocchia e fece fuoco colpendo il primo bandito a una gamba, mentre la seconda pallottola che sparò andò a conficcarsi in uno dei sacchi che i due trasportavano.

    Le mani forti dell’uomo che aveva appena liberato la trascinarono, protettive, dietro al tronco dell’albero, mentre un proiettile sibilava vicino alle loro teste. Brenna si trovò stretta al petto di lui, che uno strappo sulla camicia lasciava ampiamente intravedere. Furore e sgomento la investirono contemporaneamente, così come il ricordo di un’emozione meno familiare. Per un attimo si sentì al sicuro come non mai, finché non avvertì il corpo dello sconosciuto tendersi e fremere sotto le sue dita. Forza, energia e un’incredibile levigatezza. E calore... Arrossendo fino alla radice dei capelli, si scostò accovacciandosi al suo fianco, attenta a lasciare un certo spazio tra loro.

    «Datemi la vostra pistola e andatevene da qui» le ordinò. Quando lei non si mosse, lui la guardò interrogativo e ripeté: «Andatevene da qui, principessa!».

    «Siete pratico di armi?»

    Il sorriso che lui le rivolse mentre le toglieva la pistola dalle mani fu del tutto inaspettato e Brenna sentì il cuore sobbalzarle nel petto. Istintivamente si scostò da lui. Non doveva permettere a nessuno di avvicinarsi a lei. Lo sapeva bene, lo aveva sempre saputo.

    «Li terrò a bada finché non sarete in salvo» continuò l’uomo, mentre ricaricava la pistola. Brenna notò che al mignolo portava un anello sul quale c’era un fregio di un oro più scuro, bronzeo come i capelli di lui. Dopodiché iniziò a correre, incurante che la gonna del suo completo da caccia le si impigliasse tra i rovi e felice di sentire la presenza dei cani al suo fianco. Poi uno sparo riecheggiò nella radura dietro di lei. Ne seguirono altri: tre, quattro, cinque, poi il silenzio. Mentre si mordicchiava il labbro inferiore in apprensione, Brenna immaginò quell’uomo a terra, con i begli occhi verdi e dorati fissi e senza vita e si sentì mancare dalla tensione.

    «Per favore, mio Dio, fa’ che sia vivo, fa’ che sia salvo.» Quelle parole divennero una litania precipitosa che Brenna ripeté più volte mentre raggiungeva il sentiero che portava ad Airelies Manor. Una volta giunta a casa richiuse in fretta la porta alle proprie spalle, appoggiandovisi per riprendere fiato e sentendo il cuore pulsarle forte fin nelle orecchie.

    La signora Fenton arrivò trafelata dalla cucina, incuriosita da tutto quel baccano e preoccupata per l’aspetto della ragazza.

    «Cos’è successo, bambina?» sbottò la donna pulendosi le mani piene di farina sull’ampio grembiule.

    «Ci sono dei briganti nel bosco. Chiudete porte e finestre e prendete le armi dallo studio. Se sono riusciti a sparare al gentiluomo che stavano rapinando, Airelies sarà certamente il loro prossimo obiettivo. Penso che mi abbiano vista!»

    Rose Fenton assicurò il chiavistello della porta d’ingresso e chiuse le imposte delle finestre per maggiore precauzione. «Mio Dio, Brenna. Siamo sole in casa, a parte il vecchio Albert e Stephen. E non possiamo certo metterci a sparare a nessuno.»

    «Io l’ho appena fatto.»

    «Avete ucciso qualcuno?» le chiese la donna impaurita, facendosi ripetutamente il segno della croce.

    «Ne ho colpito uno alla gamba, almeno credo. Se non altro, l’avrò rallentato un po’.» Quel gentiluomo si sarebbe salvato, si ripeté. Sembrava forte e ben piazzato, e aveva notato la velocità con cui era riuscito a ricaricare la pistola. Ripensò al fregio che gli aveva visto sull’anello, un leone rampante tra due pugnali incrociati. Forza e pericolosità. Si trovò a sorridere pensando che quell’immagine gli calzava perfettamente, e le guance le si imporporarono di nuovo. Il fatto di sapere che aveva la pistola dello zio e il silenzio che si era fatto nella valle, la rincuoravano. Eppure non riusciva a rilassarsi e continuava a misurare l’ingresso a grandi passi mentre cercava di scorgere qualche movimento fuori dalle finestre.

    Non c’erano stati altri spari a disturbare la quiete della sera, anche se si erano sentite delle grida provenire dal villaggio vicino. Il volto atterrito della signora Fenton la riportò alla realtà e Brenna cercò di celare la propria apprensione per rincuorare l’anziana governante.

    «Vivi o morti, a noi non deve interessare, per il momento» disse tranquillamente, consultando l’orologio sul fondo della sala. «Ma, per essere più sicuri, domattina faremo le valigie e torneremo a Londra. E manderemo Stephen giù a Worsley per avere notizie dell’accaduto.»

    Non aveva finito di parlare che una carrozza sbucò sul viale e si fermò di fronte alla casa. La portiera si aprì di scatto e Brenna sentì il cuore balzarle nel petto riconoscendo nell’uomo che ne scendeva colui che lei aveva aiutato nel bosco. Lo sconosciuto stringeva ancora la sua pistola in mano.

    Senza perdere tempo, la ragazza si voltò verso la governante. «Ditegli che me ne sono andata. Ringraziatelo per avermi riportato la pistola e ditegli...» S’interruppe mentre saliva in fretta le scale. «Ditegli che non c’è bisogno che ci rivediamo più.»

    Pulendosi di nuovo le mani sul grembiule, la signora Fenton fece un respiro profondo e aprì la porta trovandosi di fronte al gentiluomo più bello che avesse mai avuto il piacere d’incontrare, cui non poté fare a meno d’offrire un entusiastico sorriso. Era veramente affascinante, nonostante i lividi e le escoriazioni che aveva sul viso. Aveva i capelli color rame brunito e gli occhi verdi con pagliuzze dorate. «Posso aiutarvi, signore?» gli chiese tutto d’un fiato tenendo gli occhi fissi sulla pistola di Brenna. Lui lo notò e subito si affrettò a consegnarle l’arma, scusandosi e accennando un sorriso.

    «Alla locanda di Worsley mi hanno detto che qui vive una certa signorina Brenna Stanhope e penso che questa le appartenga.»

    «Sì, signore. La signorina Brenna mi ha riferito l’accaduto e mi ha detto di ringraziarvi.»

    «Dunque è qui?» Perlustrò con lo sguardo l’ingresso vuoto. «Potrei parlarle per qualche momento?»

    Rose Fenton gli bloccò la visuale ponendosi di fronte a lui. «No, signore, lei... se ne è appena andata...» La cosa risultò subito poco plausibile.

    «È tornata a Londra?» domandò lui sconcertato.

    «Non per il momento. È andata... a sud!»

    L’uomo si appoggiò alla porta e sulla sua fronte si disegnò una ruga. «La signorina non vuole vedermi, non vuole ricevere i miei ringraziamenti?»

    «No, signore.»

    «Posso lasciarle un biglietto?»

    «No, signore. La signorina desidera solo dimenticare l’intero incidente. Visto che tutto si è risolto per il meglio, è bene lasciare le cose come stanno.»

    «Certo» assentì l’altro scendendo i gradini del portico. «Potreste riferirle che sono passato per porgerle i miei più sentiti ringraziamenti?»

    «Lo farò, signore» rispose la signora Fenton preoccupata vedendo che l’uomo alzava lo sguardo verso le finestre del primo piano.

    Una figura nell’ombra si era affrettata a nascondersi dietro le cortine di velluto, per non essere vista, ma lui ne aveva notato il movimento.

    «Avete altri ospiti per caso?» chiese continuando a guardare verso l’alto.

    «No, signore.»

    Rose Fenton lasciò andare un sospiro di sollievo non appena ebbe richiuso la porta.

    Dal piano superiore, Brenna lo osservò ripartire, avvolta da un senso d’inquietudine.

    Lui l’aveva vista.

    Sapeva chi era e dove vivesse. E se le informazioni che lui aveva ottenuto su di lei avessero potuto nuocerle in qualche modo? Quell’interesse che gli aveva letto nella voce, poteva tramutarsi in una minaccia per lei?

    Preoccupata, seguì con gli occhi la carrozza che si allontanava da Airelies e veniva inghiottita dall’oscurità della strada.

    2

    Nicholas Pancarrow, duca di Westbourne, cavaliere del Regno e proprietario di una mezza dozzina fra le più belle ville d’Inghilterra, si lasciò andare contro lo schienale in pelle della propria sedia e, con i piedi appoggiati sulla scrivania, si apprestò a leggere perplesso la lettera del proprio avvocato.

    Al termine di ripetuti tentativi di ricerca, siamo riusciti a scoprire molto poco riguardo a Brenna Stanhope. Non è fatta menzione della sua esistenza fino al compimento del sedicesimo anno, quando si fece notare suonando eccellentemente una selezione di brani al pianoforte scelti da sir Michael De Lancey, suo zio. Miss Stanhope fece la sua apparizione in società cinque anni or sono, e solo alla Stagione di Londra. Ulteriori ricerche hanno portato all’orfanotrofio di Beaumont Street: pare che sir Michael e sua nipote lo gestiscano insieme, infatti miss Stanhope insegna alla scuola...

    Nicholas aggrottò la fronte. Un orfanotrofio? L’idea lo intrigava, così come tutto quello che aveva scoperto sul conto dell’elusiva miss Stanhope. Tornando a scorrere le righe rimanenti della lettera, Nicholas notò che vi si menzionava brevemente la famiglia di sir Michael De Lancey e le sue avverse fortune finanziarie, nient’altro.

    «Dannazione» imprecò tra i denti. Perché quella fanciulla faceva tanto la misteriosa? La sua immaginazione corse di nuovo alla donna che aveva visto nel bosco, ai suoi capelli color ebano, agli occhi viola e alle forme sensuali del suo corpo. «Brenna Stanhope...» mormorò, ricordando la sensazione che gli aveva regalato il respiro caldo della ragazza contro il proprio petto seminudo.

    E quando l’aveva sfiorata...

    Un rumore fuori dalla stanza lo fece ripiombare nella realtà. Si alzò mentre la porta veniva aperta per far entrare lady Letitia Carruthers, con i suoi biondi riccioli ondeggianti, i vispi occhi azzurri e la redingote rosa, che le faceva la vita talmente sottile che Nicholas sarebbe stato in grado di cingerla con una sola mano.

    «Nicholas, tesoro» l’apostrofò lei senza fiato, mentre gli si gettava tra le braccia. «Sono esausta, e questo vostro ballo sarà il culmine di dure ore di lavoro. Neppure il mio Christopher, nei suoi anni migliori, avrebbe potuto contemplare tanta opulenza.»

    Sorridendo nel sentirla menzionare il marito, morto ormai da lungo tempo, Nicholas versò due generosi bicchieri di brandy. «Apprezzo molto il tempo e gli sforzi che avete investito per questa occasione, Letty.» Tornò alla sua scrivania e, da un cassetto, estrasse un cofanetto di velluto nero. «Questo è per voi, con tutta la mia gratitudine.»

    Letty non riuscì a contenere un gridolino di gioia mentre apriva la scatola con curiosa impazienza. «Rubini... oh, Nicholas...» mormorò, «e dei più belli!» Con cura infinita, tolse il girocollo dal suo soffice giaciglio e, sbottonandosi un poco il corpetto, sollevò i capelli e gli porse le spalle. «Volete mettermeli voi?»

    Nicholas annuì, e le allacciò la collana.

    «Nicholas, sapete che vi amo, non è vero?»

    Lui la guardò, sorpreso dall’improvvisa serietà della sua voce. Quell’ammissione lo fece sentire in colpa, poiché sapeva che non avrebbe mai potuto risponderle come lei avrebbe voluto. Un sorriso stiracchiato gli comparve sulle labbra mentre avvertiva il disappunto della donna. Perché volevano sempre tutte quello che lui non poteva dare? E perché lui non riusciva a lasciarsi andare come gli altri uomini e gustare appieno il coinvolgimento in una relazione? Conosceva già la risposta.

    Johanna. Sua madre.

    Suo padre si era sposato per amore e aveva fatto una fine terribile. Rimasto vedovo a ventisei anni, con due figli piccoli e il cuore infranto, Gerard si era rifugiato nell’alcol, annegandovi i propri dispiaceri.

    All’età di otto anni, Nicholas aveva fatto del suo meglio per consolare il padre e Charles, il fratello minore, che di anni ne aveva solo cinque, ma con Johanna se ne era andato il fulcro della famiglia, lasciando solo uno strano misto di silenzi e rabbia, le briciole di una famiglia che aveva amato troppo e che, proprio per questo, aveva perso tutto. Quando, tredici anni dopo, il fegato di Gerard aveva ceduto a causa degli abusi, questi era morto predicendo che i suoi figli avrebbero fatto la sua stessa fine. Allora, Nicholas aveva giurato a se stesso che la profezia non si sarebbe mai avverata, e aveva iniziato a frequentare solo vedove esperte e inveterate donne di spettacolo, nessuna delle quali premeva per quel matrimonio che lui era così determinato a rifuggire.

    Chinandosi sulla scrivania, finse di riordinare un fascicolo di documenti. Eh, sì, per lui la sopravvivenza andava di pari passo con la distanza. E se, alle volte, sentiva vacillare i propri propositi, era subito pronto a ricordare a se stesso la solitudine degli anni della sua infanzia. Non si sarebbe mai permesso di rendersi ancora tanto vulnerabile.

    «Vogliamo andare, allora?» disse rompendo il silenzio. Le sue parole suonarono aspre, dopo l’ammissione di Letitia, e fu contento quando la vide seguire le sue direttive senza opporsi, precedendolo fuori dalla stanza, dove una schiera di servitori avrebbe precluso qualsiasi altra conversazione personale.

    Al party che si tenne dopo l’opera, la gente si accalcava nelle sale, e sembrava che tutti cercassero Nicholas per sottoporgli una questione urgente, per invitarlo a qualche festa, o semplicemente per congratularsi con lui per uno dei suoi recenti successi negli affari.

    Conoscevano tutti il suo tocco magico, era una specie di re Mida. Credeva fermamente nelle proprie idee e i suoi possedimenti si moltiplicavano di anno in anno: terre, cavalli, navi e donne.

    Nicholas Pancarrow, duca di Westbourne, non poteva andare da nessuna parte senza che gli occhi di tutte le signore, giovani o anziane che fossero, si fermassero su di lui. Tutte quante si facevano la stessa domanda: chi sarebbe stata la fortunata che sarebbe riuscita a domare il leone che passeggiava fieramente in mezzo a loro, con la criniera di rame e gli occhi verdi e dorati, l’uomo più bello della corte e anche il partito migliore da accalappiare?

    Quella sera, completamente vestito di nero, sembrava aggirarsi inquieto ai confini della piccola sala con il muto bisogno di sentirsi libero. Ma un nome pronunciato appena dietro di lui lo fece voltare.

    «Michael De Lancey» disse una donna, presentando un anziano signore a una coppia, e quel nome, letto nei documenti che aveva ricevuto su Brenna Stanhope, attrasse la sua attenzione. Suo zio! Studiò l’uomo che stava a pochi passi da lui, poi richiamò l’attenzione di un domestico in livrea che si aggirava per la sala. Il servitore si affrettò a raggiungerlo fendendo la folla e attese che il duca gli porgesse uno dei biglietti da visita

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