Prigionieri del destino
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Info su questo ebook
Dopo un lungo assedio al convento portoghese di Telemos, il Capitano Pierre Dammartin ha finalmente sconfitto l'odiato colonnello Mallington. Ora, tuttavia, l'onore gli impone di occuparsi della figlia del suo nemico, l'affascinante Josephine, una donna che lui dovrebbe detestare e che invece si trasforma ben presto in una tentazione irresistibile.
A sua volta Josie, per quanto si sforzi, non può ignorare i sentimenti che suo malgrado prova per quell'ufficiale francese, indurito da tante battaglie. Riuscirà la forza della loro passione a superare tutto ciò che li divide?
Margaret McPhee
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Prigionieri del destino - Margaret McPhee
Immagine di copertina:
Gian Luigi Coppola
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Captain’s Forbidden Miss
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2008 Margaret McPhee
Traduzione di Daniela Mento
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-445-1
1
Portogallo Centrale, 31 ottobre 1810
Nel villaggio deserto di Telemos, sulle montagne a nord di Punhete, Josephine Mallington stava cercando disperatamente di tamponare la ferita di un giovane fuciliere quando i francesi incominciarono la loro carica. Rimase dov’era, inginocchiata sul pavimento di pietra dove suo padre e i suoi uomini si erano rifugiati. Le pallottole dei francesi continuavano a passare dai buchi nel muro, dove un tempo c’erano state le finestre, mentre i dragoni avanzavano al grido di En avant! En avant!, accompagnato dal loro pas de charge che rimbombava più degli spari. Tutto intorno si sentiva l’odore acre della polvere da sparo e del sangue appena versato. Le antiche mura di pietra che per trecento anni avevano dato riparo a preti e monaci adesso erano testimoni di un massacro. La maggior parte degli uomini di suo padre era perita, e anche Sarah e Mary. I soldati rimasti stavano iniziando a fuggire.
Il giovane fuciliere trasalì, poi la sua mano si irrigidì di colpo. Josie capì che la vita se n’era andata dal giovane uomo e l’orrore che provò fu così grande, nonostante il caos che la circondava, che non riuscì a distogliere lo sguardo dai suoi occhi spenti.
«Josie! Per l’amore di Dio, vieni qui!»
La voce di suo padre la riscosse e sentì il rumore delle asce dei francesi che stavano abbattendo il portone di legno del convento.
Si tolse lo scialle e coprì il volto del defunto.
«Papà?»
I suoi occhi lo cercarono fra le rovine insanguinate.
Tutto intorno c’erano cadaveri e uomini che stavano morendo, i soldati del Quinto Battaglione del Sessantesimo Reggimento Inglese di Fanteria. Josie aveva già visto la morte, più di quanto una giovane donna avrebbe dovuto vedere, ma mai una simile carneficina.
«Sta’ giù e muoviti in fretta, Josie... Non abbiamo molto tempo.»
Trascinandosi sulle mani e sulle ginocchia arrivò fino all’angolo in cui si erano rifugiati suo padre e un manipolo di soldati. Il sangue macchiava le giacche verdi e i pantaloni azzurri della loro divisa.
Sentì le braccia di suo padre che l’afferravano, trascinandola in mezzo ai soldati.
«Sei ferita?»
«Sto bene» rispose, anche se non era certo quello il modo per descrivere come si sentiva.
Lui annuì e la lasciò. Sentì che parlava ai suoi uomini.
«Il portone non resisterà a lungo. Dobbiamo andare al piano di sopra. Seguitemi.»
Fece come suo padre ordinava, fermandosi solo a prendere il fucile, le cartucce e il corno con la polvere da sparo di un fuciliere morto, evitando di guardare le ferite che aveva sul petto.
Seguì suo padre verso lo scalone di pietra, passando accanto al portone che le asce dei soldati avevano quasi fatto a pezzi.
Arrivarono al piano di sopra, in una stanza che aveva ancora la chiave nella serratura. In quel momento sentirono il portone che cedeva e i francesi che entravano e salivano lo scalone di pietra per arrivare fino a loro.
Non molto distingueva il Tenente Colonnello Mallington dai suoi uomini, se non l’innata autorità che emanava da lui, a parte il ricamo d’argento sulla spallina e la fascia rossa da comandante intorno alla vita.
«Dobbiamo resistere il più a lungo possibile per dare la possibilità ai nostri messaggeri di raggiungere Lord Wellington» disse senza mostrare alcuna paura, guardando negli occhi i suoi uomini a uno a uno.
Josie lesse il rispetto nei loro sguardi.
«I francesi sono su queste colline per una missione segreta. Il Generale Foy deve portare un messaggio del Generale Massena a Napoleone Bonaparte in persona. Andrà prima in Spagna, a Ciudad Rodrigo, e poi a Parigi.»
«Lord Wellington non ne sa niente, e se Massena riesce ad avere rinforzi...» aggiunse il Sergente Braun.
«Per questo Lord Wellington deve assolutamente essere informato» proseguì il Tenente Colonnello Mallington. «I nostri messaggeri sono partiti soltanto da mezz’ora. Se il Generale Foy e i suoi uomini lo sapessero, li inseguirebbero e li catturerebbero. Non deve assolutamente accadere, dobbiamo dare al Capitano Hartmann e al Tenente Meyer il tempo sufficiente per allontanarsi da queste colline.»
Gli uomini annuirono, determinati.
«Ed è per questo che oggi non ci arrenderemo, ma combatteremo fino alla morte. Il nostro sacrificio servirà a fare in modo che Wellington non sia colto di sorpresa dai rinforzi dei francesi, e così salveremo la vita a molti dei nostri commilitoni. Le nostre sei vite per quelle dei messaggeri.» Si fermò e guardò solennemente i suoi soldati. «Le nostre sei vite per salvarne molte altre.»
Si sentiva sul pavimento di pietra il rumore degli stivali dei francesi che arrivavano.
«Sei uomini per vincere una guerra» concluse Mallington.
«Sei uomini e una donna che sa sparare» aggiunse Josie indicando il suo fucile.
«Per la vittoria!» gridarono i soldati a uno a uno.
«Per il Re e per la libertà!» tuonò il Tenente Colonnello Mallington.
«Nessuno deve entrare vivo da quella porta» disse il Sergente Braun.
Un altro urrà, poi gli uomini si disposero da un lato e dall’altro della porta, con i fucili pronti a sparare.
«Josie...» La voce di suo padre si era fatta più dolce. «Perdonami» aggiunse sfiorandole una guancia con la mano.
«Non c’è niente da perdonare» gli rispose lei baciandogli la mano.
«Non avrei mai dovuto riportarti qui.»
«Sono stata io a voler tornare, sai com’ero triste in Inghilterra. Qui sono stata felice.»
«Josie, vorrei...»
La voce di un francese, da dietro la porta, ordinò loro di arrendersi.
«Non ci arrenderemo!» gli gridò in inglese il padre di Josie.
Per altre due volte rifiutò la resa.
«Avete deciso il vostro destino» rispose la voce del francese.
Josie caricò il fucile. Suo padre le fece segno di rannicchiarsi nell’angolo più lontano dalla porta. I francesi spararono con i loro moschetti sulla porta di legno. Mallington fece segno ai suoi uomini di aspettare.
Per Josie fu il momento più difficile. Sapeva che stavano per morire, i secondi sembravano interminabili con il dito sul grilletto e il cuore che batteva all’impazzata.
Solo quando, attraverso la porta che stava cadendo a pezzi sotto i colpi dei loro moschetti, si videro le divise dei francesi così simili alle loro, quello che rimaneva del Quinto Battaglione ricevette l’ordine di fare fuoco.
Josie non fu mai sicura di quanto fosse durato lo scontro. Dovevano essere stati secondi, ma le erano sembrate ore. Le braccia e le mani le facevano male a forza di sparare e di ricaricare il fucile, ma continuava a fare fuoco. Era una lotta impossibile e gli uomini di suo padre caddero a uno a uno, fino a quando rimasero soltanto lei, il Sergente Braun e il Tenente Colonnello Mallington. Poi anche lui venne ferito al petto e arretrò fino alla parete, mentre la sua spada cadeva rumorosamente sul pavimento.
«Papà!»
Josie corse da lui e gli rimise in pugno la spada. Il Sergente Braun fece loro scudo con il proprio corpo, continuando a sparare e a inveire contro i francesi che non erano ancora riusciti a varcare la soglia della stanza. Fino a quando cadde a terra nel proprio sangue, colpito da una pallottola dopo l’altra.
Non sparava più nessuno.
Josie si mise davanti a suo padre per difenderlo, puntando il fucile attraverso il fumo degli spari, il suo respiro affannoso era l’unico rumore che si sentiva nell’improvviso silenzio.
Quello che era rimasto della porta finalmente cadde. I francesi erano ancora riuniti lì davanti, con le loro divise così simili a quelle degli inglesi, se non per i pantaloni bianchi e gli elmi con le criniere di cavallo che avevano in testa. Anche a quella distanza vide che i loro volti duri e spietati la fissavano increduli.
«Ne tirez pas!» sentì ordinare, e capì che non le avrebbero sparato.
Poi chi aveva dato l’ordine entrò nella stanza.
Aveva la giacca verde come quella dei suoi uomini, ma con le spalline bianche e una fascia di pelle di leopardo intorno all’elmo, tipica degli ufficiali. Sembrava troppo giovane per essere un comandante. Era alto e muscoloso, con i capelli corti e scuri e una cicatrice sulla guancia sinistra. Impugnava una bella sciabola dalla lunga nappa dorata.
Quando parlò, in inglese, la sua voce aveva un forte accento francese.
«Tenete Colonnello Mallington!»
«Dammartin?» chiese suo padre con incredulità.
«Forse voi mi confondete con mio padre, il Maggiore Jean Dammartin. Sono il Capitano Pierre Dammartin ed è da tempo che aspettavo di incontrarvi.»
«Buon Dio! Siete identico a lui!»
Il sorriso del francese fu freddo e duro. Non si mosse, non fece un passo.
«Josie!»
Josie tenne il fucile puntato sul francese, ma guardò suo padre. Era pallido e debole, si leggeva sul viso quanto la ferita lo facesse soffrire.
«Papà?»
«Lascia che si avvicini. Devo parlare con lui.»
Lei esitò e lanciò un’occhiata al capitano francese.
«Josie, fa’ come ti dico.»
Non avrebbe voluto lasciar avvicinare il nemico a suo padre, ma non aveva scelta. Forse suo padre aveva in mente qualche trucco, una pistola o un coltello nascosti da qualche parte. Se fossero riusciti a prendere in ostaggio un capitano francese...
Josie si fece da parte, ma senza togliere gli occhi di dosso al nemico. Il Capitano Dammartin si fece avanti, Josie tenne il fucile puntato sul suo cuore, mentre gli uomini di Dammartin tenevano i loro puntati su di lei.
«Capitano Dammartin...» Il padre di Josie gli fece segno di avvicinarsi, ma l’altro non si mosse. «Siete come vostro padre, un avversario valoroso.»
«Grazie, tenente colonnello.»
«Questa è mia figlia, tutto quello che mi resta al mondo. Non c’è bisogno che vi chieda di rispettarla, perché so che come figlio di Jean Dammartin non farete diversamente.»
Tossì e le sue labbra si macchiarono di sangue.
«Ne siete davvero sicuro, tenente colonnello?» gli chiese Dammartin avvicinando pericolosamente al suo viso la lama della sciabola che aveva in mano.
Josie strinse il grilletto del fucile e minacciò Dammartin senza mostrare la minima incertezza: «Se fate una mossa con la sciabola vi sparo».
«No, Josie!» la supplicò il padre.
«Pensate a quello che potrebbero farvi i miei uomini» l’avvertì Dammartin.
«Penso piuttosto a quello che potreste fare voi se non vi sparassi.»
«Josie! Abbassa il fucile» le ordinò il padre tossendo.
«Non ci arrederemo» gli rispose, ma sembrava soltanto una parodia delle sue parole, quando poco prima lui aveva incitato i suoi soldati.
«Josie...»
Lei si inginocchiò accanto al padre per sentire quello che aveva da dirle.
«La nostra battaglia è finita. Non possiamo fare più di così.»
Josie cercò di protestare, ma lui la fece tacere con un gesto della mano insanguinata.
«Sto morendo...»
«No, papà» gli mormorò, tuttavia sapeva, dal pallore del suo viso e dal sangue che continuava a sgorgare dalla sua ferita, che era la verità.
«Arrenditi, Josie. Il Capitano Dammartin è un uomo d’onore e ti salverà.»
«È il nemico, papà. Perché dovrebbe fare una cosa simile?»
«Disobbedire a un ordine è insubordinazione» replicò lui cercando di sorridere, ma sul suo viso apparve una smorfia che lo fece solo tossire ancora di più. «Fidati di lui, Josie. I Dammartin, nemici o no, sono uomini d’onore.»
Lei non capì perché diceva così di qualcuno che aveva l’odio negli occhi.
«Promettimi che ti arrenderai.»
Il Tenente Colonnello Mallington insistette fino a quando lei promise, sfiorandogli la guancia con un bacio.
«Brava, figlia mia» mormorò lui con il poco respiro che gli rimaneva.
Josie aveva il volto rigato di lacrime.
«Capitano Dammartin» chiamò il tenente colonnello, e per un attimo sembrò che la forza fosse tornata nella sua voce.
No, suo padre non sarebbe morto, si disse Josie. Vide con quanta decisione afferrò la mano del capitano francese.
«Vi affido Josephine. Fate che possa tornare sana e salva oltre le linee inglesi.»
Suo padre fissava Dammartin negli occhi, e fu l’ultima cosa che vide prima di accasciarsi con un sospiro sulla fredda pietra del monastero portoghese.
«Papà?» mormorò Josie. «Papà!»
Lo strinse forte, singhiozzando disperatamente. Gli uomini che avevano combattuto e sofferto fino a poco prima rimasero a guardarla in rispettoso silenzio.
Furono le mani del Capitano Dammartin che chiusero gli occhi di suo padre e che l’aiutarono ad alzarsi. Josie quasi non sentì gli ordini che impartiva ai suoi uomini mentre la portava fuori della stanza con un’espressione amara sul viso.
I francesi quella notte si accamparono nello stesso villaggio deserto in cui avevano combattuto, dormendo fra le rovine e accendendo fuochi che illuminavano qua e là l’oscurità. L’odore del misero stufato che c’era stato per cena aleggiava ancora nell’aria, anche se l’avevano divorato tutto quanto.
Pierre Dammartin, capitano dell’Ottavo Reggimento dei Dragoni dell’armata di Napoleone in Portogallo, avrebbe voluto catturare vivo il tenente colonnello inglese. Lo voleva vivo per avere il piacere di mandarlo personalmente al Creatore.
Da un anno e mezzo sperava di incontrare Mallington sul campo di battaglia. Aveva sognato di guardarlo negli occhi e di dirgli chi era, e fare anche a lui la domanda che si era fatto negli ultimi diciotto mesi. Meno di un’ora prima sembrava che le sue preghiere fossero state ascoltate. Ma lui e i suoi uomini avevano preferito morire piuttosto che arrendersi e, quando Dammartin era entrato nel monastero e aveva potuto finalmente guardare Mallington negli occhi e rivelargli la propria identità, la reazione non era stata quella che si era aspettata, né c’era stato il tempo per fargli domande. Soprattutto per la presenza della figlia di Mallington.
Dammartin adesso si trovava in una casetta in rovina, in fondo alla strada che portava al convento. Ancora alcuni soldati si aggiravano nel buio, ma fra poco sarebbero tutti andati a dormire, come le altre migliaia negli accampamenti intorno a Santarém. La temperatura stava scendendo, e il giorno seguente il Generale Foy li avrebbe condotti a Ciudad Rodrigo, oltre le montagne. Avrebbero lasciato alle loro spalle il monastero diroccato di Telemos, i morti e Mallington.
«Il vostro caffè, Pierre» sentì che diceva Lamont alle sue spalle.
«Grazie.» Il liquido marrone era amaro ma caldo. «Il Maggiore La Roque mi ha già mandato a chiamare?»
«No. È troppo occupato a bere e a mangiare» rispose l’altro con un sorriso che rivelò i suoi denti storti.
«Mi farà attendere fino a domani mattina, per tenermi sui carboni ardenti.»
Lamont rispose con un’alzata di spalle. Era piccolo e segaligno, con gli occhi neri e i capelli lunghi, spruzzati di grigio. Sapeva usare il moschetto meglio di qualunque soldato agli ordini di Dammartin. Anche se