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Duchessa per sbaglio
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E-book226 pagine4 ore

Duchessa per sbaglio

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Info su questo ebook

Scozia - Inghilterra, 1812
Per ottenere il controllo della propria eredità e la libertà di dedicarsi agli amati studi classici, a Penelope non resta che trovare un marito accomodante. Così, lo sprovveduto che per poco non finisce sotto le ruote della sua carrozza le pare il candidato ideale. Solo dopo aver celebrato un frettoloso matrimonio clandestino, lei scopre di aver sposato un influente nonché terribilmente affascinante membro della Camera dei Lord! Il Duca di Bellston, da parte sua, vede in quella stravagante, ricchissima intellettuale solo un modo per salvarsi dalla rovina economica, ma presto l'intelligenza e la sensibilità di Penelope faranno breccia nel suo cuore, insegnandogli come il vero amore sappia sempre andare al di là delle apparenze.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2018
ISBN9788858988251
Duchessa per sbaglio
Autore

Christine Merrill

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Duchessa per sbaglio - Christine Merrill

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Miss Winthorpe’s Elopement

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2008 Christine Merrill

    Traduzione di Maddalena Milani

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-825-1

    1

    Nel silenzio della biblioteca, Penelope Winthorpe udì risuonare il campanello all’entrata e depose con cura il libro che stava leggendo. Si riaggiustò gli occhiali sul naso e si lisciò la semplice, pratica gonna di cotone. Poi si alzò e andò nell’atrio.

    Non c’era motivo di correre, perché la fretta non avrebbe comunque contribuito all’esito della spedizione. Anzi, suo fratello l’accusava spesso di agire troppo precipitosamente. Vederla attraversare l’atrio di corsa ogni volta che suonavano alla porta non avrebbe fatto che rafforzare la sua convinzione che l’eccesso di erudizione e di solitudine in cui Penelope viveva stesse iniziando a darle alla testa.

    Certo, il pacchetto che stava aspettando era in ritardo di due giorni ed era ormai difficile contenere l’ansia. Così, il minimo accenno di un bussare alla porta la faceva balzare in piedi nella speranza che si trattasse finalmente della consegna tanto attesa.

    Si immaginava già di prendere il pacchetto, lasciando scorrere le dita sullo spago che lo legava, per poi svolgerlo in un crepitare di carta da pacco. Dopodiché, finalmente, avrebbe avuto tra le mani il prezioso volume. Fantasticò di avvertire il profumo dell’inchiostro, di accarezzare la rilegatura in pelle e di sentire sotto la punta delle dita il rilievo del titolo impresso in oro.

    E poi sarebbe venuta la parte migliore: avrebbe portato il libro in biblioteca e ne avrebbe separato le pagine, spiegandole con cura, lasciando vagare lo sguardo sulle parole stampate senza tentare ancora di leggerle, per non anticipare nulla, sebbene conoscesse la storia quasi a memoria.

    Quindi avrebbe fatto portare il tè, si sarebbe accomodata sulla sua poltrona preferita, accanto al camino, e avrebbe incominciato a leggere.

    Sarebbe stato un vero e proprio paradiso.

    Nell’atrio, suo fratello stava già passando al vaglio una pila di lettere. La posta era arrivata, tuttavia non c’era traccia di un pacchetto proveniente dalla libreria.

    «Hector, hanno consegnato qualcosa per me?» si informò. «Aspetto un pacco da giorni e speravo che fosse arrivato con la posta.»

    «Un altro libro?» sospirò lui.

    «Sì. Una nuova edizione dell’Odissea

    Suo fratello agitò la mano in un gesto spazientito. «È arrivata ieri. L’ho rimandata al negozio.»

    «Hai fatto... cosa?» Lei lo fissò incredula.

    «Ho restituito il libro. Ce l’hai già. Non mi sembrava necessario.»

    «Ho delle traduzioni» lo corresse lei. «Questo è in lingua originale, in greco.»

    «Un motivo in più per restituirlo. Immagino che per te sia molto più facile leggerlo in inglese.»

    Penelope trasse un profondo respiro e si impose di contare fino a dieci, prima di parlare. Arrivò solo fino a cinque. «Non avrei avuto alcun problema con il greco. So leggerlo benissimo» dichiarò. «A dire il vero, avevo intenzione di eseguirne io stessa una traduzione, il che rende assolutamente necessario avere il testo originale.»

    Hector la stava fissando come se le fosse appena spuntata un’altra testa. «Ci sono già parecchie, ottime traduzioni di Omero sul mercato.»

    «Ma nessuna che sia stata fatta da una donna» gli ricordò lei. «Credo di poter evidenziare degli aspetti reconditi, delle sottigliezze, rendendo la mia versione diversa da quelle già disponibili.»

    «Inferiore, vorrai dire» ribatté suo fratello sarcasticamente. «In caso non te ne fossi ancora accorta, il mondo non è certo in fervida attesa di conoscere il tuo punto di vista.»

    Quell’affermazione crudele non mancò di ferire Penelope, che però decise di ignorarla. «Non potremo saperlo finché non ci avrò provato, ma per farlo ho bisogno del libro che avevo ordinato. E tutto per qualche sterlina.»

    «Pensa però alle ore che sprecheresti leggendolo.» Hector considerava sempre la lettura una perdita di tempo. Penelope ricordava bene che pessimo allievo fosse stato in passato, quando non aveva desiderato altro che abbandonare gli studi per poter prendere in mano la ditta di famiglia. Il fatto che un tipografo avesse un’opinione tanto bassa dei libri e della lettura era davvero paradossale.

    «Per alcuni di noi, Hector, leggere non è una perdita di tempo, bensì uno dei più grandi piaceri nella vita.»

    «La vita non è fatta per indulgere nel piacere, Penelope. Sono sicuro che, se ti applicassi, potresti trovare modi più proficui per impiegare le giornate.» La squadrò da capo a piedi. «Anche se non devi necessariamente dedicarti a occupazioni frivole, come fanno invece le fanciulle in cerca di un marito, potresti sempre impegnarti in qualche nobile causa, come aiutare i poveri e gli ammalati.»

    Penelope strinse i denti e riprese a contare. Non aveva nulla in contrario alle opere caritatevoli. Erano occupazioni lodevoli, ma non si addicevano affatto a lei, perché non facevano altro che evidenziare la sua incapacità di interagire con gli altri, ricchi o poveri che fossero. Tutto ciò serviva solo a ricordarle che era una zitella senza speranza e che non avrebbe mai avuto un marito né dei figli. Doveva pur rassegnarsi all’idea.

    Ma se proprio doveva rassegnarsi, pensò poi, era meglio farlo al caldo, davanti al camino, in compagnia del suo caro Omero!

    Questa volta riuscì ad arrivare fino a otto, prima di ribattere: «Non è che io non voglia dare il mio contributo alla società. È che, invece di farlo accudendo i malati, potrei ottenere di più dedicandomi agli studi classici».

    Il fratello la fissò con disapprovazione ancora maggiore. «Ne dubito» obiettò. «E, comunque, non puoi ignorare la mia opinione, dato che nostro padre ha posto te e la tua eredità sotto la mia tutela.»

    «Soltanto finché non mi sarò sposata» precisò lei.

    Hector sospirò. «Sappiamo entrambi quanto una tale eventualità sia ormai remota. Non ti chiedo di trascorrere tutto il giorno dalla sarta a spettegolare, come fanno le altre giovani, ma nemmeno di trascurare il tuo aspetto e di riempirti la testa di opinioni del tutto fuori luogo, come invece ti ostini a fare. E adesso ti ci metti anche con il greco?» Scosse il capo con aria scoraggiata. «Se non sei capace di smetterla da sola con queste sciocchezze, dovrò pensarci io. Basta libri, Penny. Perlomeno finché non mi dimostrerai di essere capace di assumerti delle responsabilità.»

    «Basta libri?» gli fece eco lei, sgomenta, sentendosi quasi mancare l’aria. Privarla dei libri significava portarle via i suoi unici amici. «Non puoi!»

    «Invece sì.»

    «Papà non l’avrebbe mai permesso!»

    «Nostro padre si aspettava da te un matrimonio e una famiglia. Ecco perché ha vincolato la tua eredità alla condizione che tu ti sposassi. Eppure non hai trovato marito. Dunque il controllo della tua vita e del tuo patrimonio resta a me. Non posso consentirti di sperperare il tuo denaro in libri.»

    «Uno o due libri non basteranno certo a sperperare un’intera fortuna, Hector.»

    «Uno o due?» Suo fratello indicò le pile di volumi accatastati nell’atrio. «Cosa mi dici di quelli e di tutti gli altri che sono accumulati in sala da pranzo, in salotto e nel salone? E nella tua camera da letto, immagino. Per non parlare della biblioteca, che ovviamente sta per straripare!»

    «Era così già ai tempi di papà. Era un uomo colto, lui! Io ho soltanto aumentato la sua collezione.»

    «Sta di fatto che ci sono già tanti libri da bastarti per tutta la vita» tagliò corto lui. «E ora non puoi metterti anche ad acquistare volumi che hai già! Devi smetterla, se vogliamo continuare a vivere sotto lo stesso tetto.»

    A quel punto, Penelope perse il conto e le staffe. «In tal caso, non desidero abitare con te un solo giorno di più!»

    «Purtroppo non hai scelta, Penelope.»

    «Mi sposerò. Con qualcuno che sia più accondiscendente di te! Qualcuno che mi capisca e che mi conceda di spendere qualche sterlina al mese per i miei studi.»

    Hector la stava scrutando con un misto di pietà e di fastidio. «E dove pensi di trovare questo marito esemplare, sorellina cara?» le chiese in tono sferzante. «Ti sei forse dimenticata quale disastro sia stato il tuo debutto? Per quanto tutti sapessero che disponevi di una dote favolosa, ti era sufficiente aprire bocca per scoraggiare qualsiasi pretendente. Nessuno vuole una moglie con la testa piena di idee, sempre pronta a contraddire il marito e troppo impegnata a leggere per mandare avanti la casa!»

    Erano trascorsi quattro anni, eppure il solo ricordo di quel mortificante periodo bastò a farla arrossire. «Ma ci sarà pure da qualche parte un uomo che desidera una moglie colta e intelligente!» si impuntò. «Qualcuno con cui potrei conversare da pari a pari.»

    Hector ridacchiò con sdegno. «Se mai dovessi trovarlo, potrai sposarlo con la mia benedizione. Ma dubito che ci riuscirai, soprattutto dal momento che non metti mai il naso fuori di casa. Il che mi impone di prendere le decisioni in tua vece. E ora ti auguro buona giornata, sorellina. Ti suggerisco di trovare un passatempo che ti occupi le mani, invece della mente.» Con ciò, tornò a esaminare la corrispondenza.

    Uno, due, tre... Continuando a contare, Penelope si avviò su per le scale.

    Su una cosa Hector aveva ragione, fu costretta ad ammettere. Il fratello aveva ogni diritto di amministrare il suo patrimonio finché lei non avesse trovato un marito su cui trasferire quella responsabilità.

    Non che ne avesse davvero bisogno. Sarebbe stata perfettamente in grado di amministrare quel denaro da sola, forse anche meglio di Hector, la cui gestione della ditta di famiglia non reggeva nemmeno il confronto con quella del loro defunto padre, che aveva davvero amato i libri sopra ogni cosa.

    Quattro, cinque, sei... Per suo fratello, invece, la tipografia era solo una fonte di perdite e guadagni. Più perdite che guadagni, vista la sua gestione poco accorta. Con ogni probabilità, andando avanti così avrebbe presto sperperato anche l’eredità della sorella, nel tentativo di coprire i frequenti ammanchi creati dalla sua incompetenza.

    Sette, otto, nove... Era intollerabile! Non poteva continuare a vivere in balia di Hector, costretta a contrabbandare in casa di nascosto i suoi amati libri.

    Dieci.

    Non le restava che un’unica via d’uscita: sposarsi il prima possibile.

    Entrata in camera, andò a tirare la corda del campanello, poi si diresse al guardaroba, ne estrasse una borsa da viaggio e incominciò a riempirla alla rinfusa degli abiti da semilutto che non aveva mai smesso di portare sebbene suo padre fosse morto da due anni.

    Poco dopo udì un leggero bussare alla porta.

    «Vieni, Jem.»

    L’anziano valletto era chiaramente a disagio, come accadeva ogniqualvolta veniva convocato direttamente in camera della padrona. Le aveva spesso consigliato di assumere una cameriera o una dama di compagnia, ma Penelope aveva sempre risposto di non aver bisogno di qualcuno che le acconciasse i capelli, bensì dei saggi consigli che solo lui sapeva darle.

    «Miss Penelope?» Come se avesse fiutato il pericolo, Jem preferì restare sulla soglia con atteggiamento guardingo.

    «Noleggia una carrozza e preparati a partire» gli ordinò lei.

    «Volete uscire, signorina?»

    Lei lo fulminò con lo sguardo. «Se così non fosse, non avrei bisogno di una carrozza.»

    «Andiamo dal libraio, Miss Penelope?»

    Penelope iniziò a sospettare che Jem avesse udito la conversazione nell’atrio tra lei e il fratello e che fosse preoccupato all’idea di diventare suo complice nel contravvenire agli ordini del padrone.

    «No, Jem. Non ne ho il permesso.»

    Lo vide abbandonarsi a un evidente sollievo.

    «Quindi ho deciso di fare qualcosa che incontrerà la completa approvazione di mio fratello. Dice sempre di volere che mi comporti come tutte le altre giovani della mia età.»

    «Molto bene, Miss Penny.»

    «Perciò andremo a cercarmi un marito.»

    «... perduto con tutti coloro che si trovavano a bordo...» Adam Felkirk, settimo Duca di Bellston, rimase a fissare il giornale che aveva davanti, guardandoselo tremare violentemente tra le mani. Cercò di ricordare a se stesso che la perdita di quasi cento vite era ben più grave di quella del carico e si domandò se le madri e le mogli dei marinai periti fossero state in qualche modo preparate a ricevere quella terribile notizia. Restava però il fatto che lui non lo era per niente.

    Eppure, quando aveva sborsato tutto quel denaro, investire in una partita di tabacco proveniente dalle Americhe gli era parsa un’idea geniale. Quella primavera erano nati pochi agnellini e i suoi fittavoli gli avevano preannunciato un magro raccolto a causa del clima secco. Il tabacco, invece, gli era sembrato un investimento sicuro. Era un bene di lusso, che si sarebbe potuto rivendere a caro prezzo, una volta importato in Inghilterra. Adam era stato certo di ricavarne un buon profitto, che gli avrebbe consentito di compensare le altre perdite subite.

    Ma la nave era affondata e lui era completamente rovinato.

    Non poteva non sentirsi in colpa. Dio lo stava punendo per gli errori commessi nel corso dell’ultimo anno, ma insieme a lui stava castigando anche degli innocenti. I segni delle ustioni ancora visibili sulle braccia del fratello non facevano che ricordargli la sconsideratezza delle proprie azioni e l’incendio che esse avevano causato.

    Poi era arrivata l’estate, il raccolto era stato scarso e lui si era trovato a dover decidere tra l’abbonare la pigione a tutti i fittavoli o sbatterli fuori per morosità. Ma come avrebbe potuto lasciarli senza un tetto, quando stavano già morendo di fame?

    E ora, sempre per colpa sua, erano andate perdute anche cento vite innocenti.

    Doveva affrontare la situazione da uomo e confessare al fratello che erano sul lastrico. La casa era ipotecata fino al tetto e bisognosa di parecchie riparazioni. Quell’anno le terre non avrebbero reso nulla e, come se ciò non bastasse, lui aveva investito tutto il denaro che avevano in banca in quello sventurato carico di tabacco.

    Non aveva più idee, oltre che denaro, e temeva di muovere anche il minimo passo per paura di attirare su di sé qualche altra catastrofe.

    Così ordinò un altro whisky. Secondo i suoi calcoli, gli restava giusto quel tanto sufficiente a ubriacarsi, senza avanzare nemmeno un penny.

    L’oste gli avrebbe probabilmente fatto credito per la stanza, scambiando ingenuamente l’ottimo taglio dei suoi vestiti per una garanzia di futuro pagamento. Gli avrebbe inviato il conto, che sarebbe semplicemente finito in cima a una pila di altre richieste di denaro che Adam non era in grado di soddisfare.

    Oltre all’orologio da tasca di suo padre e al ciondolo con lo stemma di famiglia attaccati alla medesima catenella, aveva una sola cosa di valore.

    L’assicurazione sulla sua inutile, miserabile vita.

    Non appena gli si presentò alla mente l’unica, inevitabile soluzione al suo problema, la mano smise di tremargli. Come duca e come uomo era un completo fallimento. Non aveva fatto altro che attirare vergogna e disonore sulla propria famiglia. L’azione più onorevole per lui sarebbe stata scrivere una lettera di scuse e farsi saltare il cervello.

    Ma in tal modo avrebbe riversato tutti i debiti su Will, costringendolo in più a pagargli il funerale e a ripulire dal sangue la stanza in cui avrebbe compiuto quel gesto estremo.

    E se invece l’attuale duca fosse morto in un incidente, durante un viaggio d’affari? Allora suo fratello avrebbe ereditato il titolo e l’ammontare dell’assicurazione, una bella sommetta che gli sarebbe bastata a pagare tutti i debiti e a campare finché non avesse trovato un’altra forma qualsiasi di introito.

    Come spesso gli capitava, Adam si ritrovò a rammaricarsi che il cervello più fino della famiglia fosse toccato al figlio minore. Will aveva ereditato saggezza, cautela e un carattere tranquillo. Tutta la cocciuta impulsività e l’ostinata incapacità di accettare buoni consigli, invece, erano saldamente insediate nella testa dura del primogenito.

    E il povero Will non era nemmeno mai stato invidioso del fratello maggiore che, anzi, venerava come un dio, per chissà quale motivo. Se ne stava a guardare mentre lui combinava un pasticcio dietro l’altro senza mai proferire una sola parola di biasimo.

    Tutto ciò doveva finire. Suo fratello sarebbe stato un ottimo duca. Che ci provasse Will a risanare la tenuta, perché lui era stufo di tentare.

    Depose il giornale con nuova risolutezza. Era deciso.

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