Notizia che scotta: Harmony Destiny
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Notizia che scotta - Dixie Browning
successivo.
1
La suite era piccola, l'acustica terribile.
Gli ospiti erano un misto di gente dei media, politici, mogli e personaggi famosi. Parlavano tutti insieme, ma quasi nessuno ascoltava. Per fortuna non c'era musica ad aggiungere rumore al rumore.
Il livello del chiasso l'aveva colpito non appena era uscito dall'ascensore. Considerato il fatto che fino a pochi mesi prima aveva coperto come inviato i più rumorosi e affollati punti caldi del globo, per lui non sarebbe dovuto essere un problema, e invece lo era. Al punto che, pur essendo appena arrivato, non vedeva l'ora di andarsene.
Dall'altra parte della stanza, subito oltre due reporter televisivi, individuò tra la folla il festeggiato accanto all'opinionista di un grande quotidiano. Era per lui che si era deciso a venire in quella bolgia, per il vecchio capo di quella che era stata la sua agenzia.
«Non dirmi che te ne stai già andando!» gli si rivolse questi con un sorriso ironico quando finalmente riuscì a raggiungerlo.
Direttore per trent'anni della Graves Worldwide, Dan Sturdivant aveva arruolato un numero sorprendente di giornalisti, tra i quali Rocky stesso. Ormai prossimo ai settantacinque anni, malato di cuore, con un'ulcera e un fastidioso tremito alle mani, Dan stava festeggiando il suo ritiro dalla professione.
Era solo per questo che, nonostante non lavorasse più alle sue dipendenze da anni, Rocky aveva lasciato la tranquillità della serata domenicale per tutta quella confusione.
Quando Dan lo aveva assunto, lui era un giovane e affamato idealista appena uscito dal college, con la testa piena di fantasie inutili che quell'uomo, allora forte e vigoroso, aveva sostituito in fretta con alcuni principi basilari per affidargli poi il settore delle cosiddette notizie brevi. Non c'erano dubbi che tutto quello che aveva raggiunto lo dovesse a Dan.
«Allora, Rocky. Ho sentito che hai lasciato il giornalismo.»
«Diciamo che mi sono preso un periodo sabbatico.»
«Sei troppo giovane per mollare.»
«Sono stanco, Dan.»
«Non è una buona scusa. Sono sicuro che ne hai una più seria.»
Era vero, e Dan lo sapeva: sette anni di pesi enormi sulle spalle e sul cuore avrebbero sfinito chiunque.
«Fermati un altro po'. Tutta questa confusione non durerà ancora a lungo.» Dan si guardò intorno come se non apprezzasse quella situazione. «Mio Dio, cos'ho fatto per meritarmi questa punizione?» sospirò poi.
«Stasera giocano i Braves. Se me ne vado adesso probabilmente riuscirò ad arrivare a casa per il terzo tempo.»
«Vinceranno sicuramente i Mets, per cui ti conviene risparmiarti la delusione finale.»
«Questo lo dici tu.»
«Be', se hai voglia di parlarmi sai dove abito.»
Rocky annuì. Dan sorrise. Il messaggio era stato inviato e ricevuto, ma Rocky non era ancora pronto a parlare di cosa avrebbe fatto della propria vita. Finanziariamente avrebbe dovuto fare presto qualcosa, però non doveva decidere subito. Non prima di qualche mese. Probabilmente, non appena avesse avuto abbastanza fame, avrebbe trovato una motivazione per tenere magari una rubrica settimanale, visto che due testate lo avevano già contattato in quel senso.
Prima, però, doveva elaborare la morte di Julie. Il suo matrimonio era finito nell'estate di sette anni prima, quando un ubriaco aveva centrato la macchina di sua moglie, spezzandole la spina dorsale e causandole danni irreparabili al cervello. L'aveva seppellita solo sei mesi prima, senza una lacrima. Dopo averla vista giacere immobile tanto a lungo, viva e allo stesso tempo non viva, una Julie che non era più Julie, di lacrime ormai non ne aveva più.
Per sette anni le aveva comprato regolarmente dei bouquet dei suoi fiori preferiti. Fiori che lei non poteva né vedere né odorare, ma era convinto che nel profondo di quello che rimaneva del suo essere Julie ne avesse comunque la percezione. Che sapesse che erano lì. Che lui era lì e che l'amava. E che, nonostante tutto, l'avrebbe sempre amata.
L'aveva seppellita all'inizio di febbraio, in una mattina fredda e piovosa. Accanto ai suoi genitori, dopo una cerimonia privata. Poi se n'era andato a casa da solo e aveva bevuto fino a perdere conoscenza.
Una settimana dopo si era ritirato dal lavoro, aveva vuotato tre bottiglie intere di whisky nel lavandino della cucina e comprato diverse confezioni di Coca Cola e aranciata. Aveva passato l'estate in una sorta di triste, continua meditazione, guardando il baseball alla televisione e rileggendo Guerra e pace. Si era ripromesso che, quando la stagione del baseball fosse finita, avrebbe incominciato a pensare a cosa fare del resto della propria vita.
C'era voluta la festa del pensionamento di Dan, per tirarlo fuori della sua tana e rimetterlo in circolazione.
Salutò un giovane collega che un tempo aveva lavorato alla Casa Bianca per uno dei maggiori network.
«Rocky! Dove ti eri cacciato? È parecchio che non ti si vede in giro.»
«Ciao, Rocky. Sono felice di vederti» lo salutò qualcun altro.
Lui percorse una buona metà della sala facendosi largo fra alcuni gruppetti di persone che conosceva solo vagamente, poi rimase bloccato fra un divano e alcune donne terribili che stava no spettegolando su una vittima ignara della loro maldicenza.
«L'hai vista all'ultima conferenza stampa? Ti giuro che se avessi avuto il suo aspetto mi sarei tagliata le vene!»
Una rossa con un abito nero troppo aderente si sporse in avanti, inclinando pericolosamente il bicchiere pieno a metà, e biascicò: «Tesoro, ho spiato il cassetto della sua biancheria, quando frequentavo suo marito, e ti assicuro che quei pettegolezzi sono assolutamente autentici!».
I pettegolezzi, nel loro ambiente, erano all'ordine del giorno. Commenti taglienti e osservazioni velenose.
Rocky guardò l'orologio. Aveva deciso di restare lì al massimo una ventina di minuti ed erano già passati. Chiunque avesse avuto a che fare quanto lui con degli uomini politici e dei personaggi dei media, sapeva cosa doveva aspettarsi. Con gli scandali che a Washington erano numerosi come i fiori sugli alberi di ciliegio in primavera, non era difficile raccogliere una frase qua e una là e costruirci sopra una storia che avrebbe potuto rovinare la vita di una serie di persone o una carriera. Grazie al cielo lui con quello aveva chiuso da tempo. Quando qualche anno prima aveva incominciato a rendersi conto che la sua obiettività non era più molto gradita all'editore della sua testata, aveva dato le dimissioni e si era messo a lavorare come free lance.
Tutto questo aveva significato non poter stare più molto tempo con Julie, ma in fondo aveva passato tutte quelle ore accanto al suo letto più per il proprio bene che per quello di lei. Il medico gli aveva detto fin dal primo giorno che una parte del suo cervello era stata danneggiata definitivamente e che le sue funzioni vitali a poco a poco si sarebbero spente sempre di più. Nonostante quella prognosi lui aveva continuato a portarle i fiori, a raccontarle delle persone che avevano conosciuto e frequentato insieme. La rassegnazione era giunta lentamente, molto lentamente, a mano a mano che gli anni passavano, e ormai non ricordava nemmeno più quando aveva smesso di sperare.
Qualcuno lo urtò versandogli un po' del suo drink sul braccio.
«Oddio, mi dispiace!»
«Nessun problema.»
Doveva andarsene di lì. Per fortuna era quasi arrivato alla porta.
Una donna che stava ostruendo l'uscita lo guardò con un'espressione meravigliata e gli chiese: «Non te ne starai già andando, vero, tesoro?».
«Ho un altro appuntamento» le rispose lui, e quando un attimo dopo altre tre donne la raggiunsero bloccando ulteriormente la porta, si armò di pazienza.
Una bruna con una scollatura vertiginosa stava dicendo: «Dimentica ciò che ti ha detto il tuo agente e rivolgiti a un avvocato, Binky. Ti servirà, quando sarai chiamata in giudizio per calunnia».
«Il mio agente dice che non succederà, dal momento che non ho fatto nomi.»
«Ma lo sanno tutti a chi ti riferivi!»
Le quattro donne scoppiarono a ridere, e mentre Rocky riusciva finalmente a sgusciare fuori della porta e a chiamare l'ascensore non poté fare a meno di sorridere. La donna di nome Binky, che teneva una rubrica mondana su un settimanale, per via del suo enorme seno veniva chiamata dai colleghi Grand Tetons, come le montagne.
«Questa sera ne ho sentite di tutti i colori!» esclamò alle sue spalle un'altra delle quattro arpie al di là della porta rimasta aperta. «Il povero Sully, per esempio, mi ha detto che sua moglie è eccitante quanto il pane bagnato.»
Di nuovo le donne risero.
«L'ho vista una volta a una raccolta di fondi. È così rigida che non ci si può credere!»
E voi siete dei veri squali, pensò Rocky.
«Comunque fra poco il mio libro sarà pronto. Ci stanno lavorando tre editor. Lo intitoleranno Le altre donne del marito della figlia del senato re, e con un titolo come quello andrà in classifica subito. Durante la prima settimana...» raccontò Binky mentre arrivava l'ascensore, ma quando le porte si aprirono Rocky esitò un po' troppo e quelle si richiusero.
Una volta aveva conosciuto la figlia di un senatore che poi aveva sposato un membro del Congresso. Possibile che l'arpia avesse scritto un libro su quella particolare figlia di un senatore che si era sposata con quel particolare membro del Congresso? Persino per gli standard di Washington era stata una storia particolarmente scabrosa, nella quale i media avevano sguazzato.
Non che lui la conoscesse molto bene, si disse mentre un altro ascensore si fermava per far uscire una coppia in evidente ritardo. In realtà le aveva parlato solo una volta, anni prima che i misfatti del padre venissero alla luce, prima ancora che lei sposasse un congressista sul quale si era poi abbattuto un ulteriore scandalo.
Lui si trovava in Medio Oriente, quando le foto delle loro nozze erano comparse sui giornali. Dal momento che sia i Sullivan sia i Jones erano delle persone molto in vista, il loro matrimonio era stato un evento mondano.
Il secondo scandalo era scoppiato qualche anno dopo che il primo aveva spazzato via il senatore per una storia di falsi in bilancio, se lui ricordava bene. Da allora, preso com'era stato dai propri problemi, non ci aveva pensato più.
La ragazza in questione si chiamava Sarah Mariah Jones. Quando l'aveva incontrata doveva avere circa quindici anni,