Colpo di fulmine sotto il vischio: Harmony Jolly
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L'ex giocatore di football Lewis Matola ha urgentemente bisogno di riabilitare la propria reputazione e l'ereditiera Susan Collier è l'unica donna al mondo in grado di aiutarlo. Il loro accordo è chiaro: saranno l'uno il finto fidanzato dell'altra, almeno nel periodo delle feste. Nessuno spazio ai sentimenti, nessuna emozione a complicare le cose.
Solo che a mano a mano che Capodanno si avvicina, Lewis è sempre più intrigato da Susan e da quegli aspetti della sua personalità che lei ha sempre voluto tenere nascosti al mondo, e presto quella che doveva essere una relazione solo sula carta diventa fin troppo reale...
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Colpo di fulmine sotto il vischio - Barbara Wallace
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1
Il bar era uno di quei locali a tema che al momento andavano molto di moda. Si chiamava Holiday Cheer e la sua esistenza aveva temporaneamente trasformato il piano mezzanino del Regis Hotel.
Nel mezzo del locale un bancone incorniciato da alberi di Natale, Susan Collier stava intrattenendo una profonda conversazione con il suo bicchiere da cocktail.
«E quindi, anche se non ho un accompagnatore? Un sacco di donne vanno ai matrimoni da sole.»
Il suo cocktail, comprensivo com'era, era d'accordo.
Peccato che Ginger e Courtney non fossero così comprensive. Quelle due streghe dispettose del reparto marketing si stavano facendo una bella risata alle sue spalle mentre si incipriavano il naso. Non si erano accorte che Susan era nel bagno accanto e sentiva ogni parola.
«E ti stupisci?» Aveva detto una delle due. «Ha praticamente ingoiato un manico di scopa. Non so proprio perché Maria l'abbia invitata al matrimonio!»
«Dovrei licenziarle tutte e due per insubordinazione» borbottò Susan.
«Stai bevendo davvero molto e in fretta. Sei sicura di non voler rallentare?» le domandò il barista quando lei gli fece cenno di prepararne un altro.
«Non sapevo che ci fosse un limite» rispose. «E non preoccuparti per me ho noleggiato una macchina con autista.» Perché era così che facevano le donne senza accompagnatore: prendevano macchine con autisti.
«Non hai paura che sentano la tua mancanza di sopra?»
Susan grugnì. Stava forse parlando del matrimonio a cui erano stati obbligati a invitarla solo perché il suo ufficio era accanto a quello della sposa? Ne dubitava.
«Prepara il cocktail e basta» gli rispose lei.
«Va bene. Ma non dire che non ti ho avvertita» si arrese il barista.
Donna avvisata. Di qualunque cosa si trattasse.
Non sapeva perché si era disturbata a partecipare a quel matrimonio, tanto per cominciare. Se Maria Borromeo non fosse stata una delle poche persone vagamente amichevoli nei suoi confronti, Susan avrebbe disdetto quando suo fratello Linus le aveva dato buca. A nessuno sarebbe interessato.
Era consapevole della sua reputazione. Quando pensavano che lei non stesse ascoltando, la chiamavano Arpia. Non era un segreto che era la Collier meno popolare alla Collier's Soap. I suoi fratelli, per meglio dire, fratellastri, avevano ereditato tutti i tratti positivi della famiglia. Cose come il fascino e il bell'aspetto snello e atletico. Lei, d'altra parte, non aveva proprio nulla. Non aveva ereditato nemmeno qualche buona caratteristica dei Quinn, come sottolineava sempre sua madre. A parte, forse, una vaga somiglianza con la sua prozia tracagnotta.
Il barista ritornò con un altro cocktail rosso e una ciliegia in più. Era un bravo ragazzo, il signor barista. Le piaceva che la sua camicia di flanella rossa e la barba bianca si abbinassero alle decorazioni natalizie.
«Come si chiama questa roba?» gli domandò quando lui le posò davanti il drink.
«Desiderio di Natale» rispose lui. «È garantito che faccia avverare i tuoi desideri.»
Susan scoppiò a ridere. «Vuoi dire che se ne bevo abbastanza incontrerò il Principe Azzurro?»
«È quello che desideri?»
«Non credo proprio.» I complessi di cenerentola erano fatti per le Ginger e le Courtney del mondo. Lei era ricca e aveva successo grazie a se stessa, e i suoi fratellastri non erano malvagi. «Non intendo aspettare che un uomo arrivi a salvarmi dalla mia miserabile esistenza.»
Anche se, una volta tanto...
Fissò il contenuto del bicchiere; dal fondo salivano delle bollicine. Una volta tanto avrebbe desiderato che ci fosse qualcuno che la capiva davvero. I suoi fratelli... Le volevano bene, ma anche se erano fantastici, non la capivano davvero. Non capivano cosa significava essere sempre diversa e fuori posto.
Quanto sarebbe stato bello condividere la sua vita con qualcuno che vedeva la verità. Qualcuno con cui non doveva fingere. Qualcuno che credeva che lei fosse bellissima e speciale, con tutti i pregi e i difetti.
Forse il barista aveva ragione e aveva bevuto abbastanza. Altrimenti, perché mai avrebbe cominciato a desiderare cose che non sarebbero successe?
«Ehi, amico, fammi un favore, dammi un bicchiere di acqua gasata, puoi?»
Un uomo alto e dal fisico perfettamente scolpito si avvicinò al bar, con il viso sgocciolante. Stando alla macchia rossa sul colletto della sua camicia, Susan immaginò che avesse ricevuto un Desiderio di Natale dritto in faccia.
«Consiglio da uomo a uomo» disse lui rivolto al barista. «Prima di partecipare a un matrimonio, assicurati di non essere stato con nessuna delle invitate.»
«Hai incontrato una ex ancora arrabbiata, vero?»
«Due. E si sono scambiate gli appunti!» L'uomo prese un po' di tovagliolini e cominciò ad asciugarsi la faccia.
«Devono essere stati parecchi appunti» borbottò Susan.
Lui si voltò a guardarla per la prima volta. «Non hai intenzione di lanciarmi il cocktail anche tu, vero?»
«Perché dovrei?»
«Che ne so, solidarietà femminile o qualcosa del genere. Sei anche tu al matrimonio di Hank e Maria, vero? Per quello che ne so, sono anche amici tuoi.»
«Questo vorrebbe dire che ho degli amici.» Lo aveva davvero detto a voce alta?
Lui inarcò le sopracciglia, con un'espressione sorpresa e incuriosita. Oh, beh, era troppo tardi per rimangiarsi quelle parole. E poi, era la verità. Lei non aveva amici.
«A quanto pare non sono l'unico a essermi scottato stasera. I matrimoni non sono divertenti come si pensa, vero? A meno che tu sia uno dei due sposi, ecco, anche allora... Grazie, amico.»
Il barista era tornato con l'acqua gasata e un tovagliolo. «Non c'è problema. Immagino di non poter avere un autografo quando avrai finito? Sono un tuo enorme fan!»
«Grazie.»
Ah. Susan lo riconobbe: era il famoso Lewis Matolo. Maria aveva detto che il suo fidanzato conosceva l'ex calciatore. La sua partecipazione al matrimonio l'aveva profondamente agitata. Matolo, o Champagne Lewis come lo chiamavano i giornali scandalistici, aveva una particolare reputazione. Si era guadagnato quel nomignolo dopo una fotografia in cui usciva da un night club di Londra, abbracciato a due ragazze e in entrambe le mani una bottiglia di Cristal. A quanto aveva letto, non era una cosa che capitava di rado.
Susan lo osservò intingere un angolo del tovagliolo nel bicchiere e cominciare a picchiettare la macchia rossa sulla sua camicia.
«Ti servirà del detersivo» gli disse Susan. «Altrimenti non farai altro che peggiorare le cose.»
Lui la guardò. «Ne sei sicura?»
«Ho un'azienda di detersivi. Fidati.» Saponi profumati e creme idratanti non la rendevano certo un'esperta. A farlo era la sua tendenza a farsi cadere il cibo addosso. Ma essere un magnate del detersivo suonava meglio.
«Hai una... Oh, sei il capo di Maria! Hank mi ha parlato di te.»
Ah, bene. Quindi erano in due ad avere una certa reputazione. «Susan Collier, ai tuoi ordini» disse lei salutandolo sollevando il bicchiere.
Lui annuì; aveva evidentemente immaginato che non fosse necessario presentarsi a sua volta. «Allora, come mai te ne stai qui a evitare la festa, Susan Collier? Non dovresti essere a ballare con il tuo ragazzo?»
«Non sono venuta con un ragazzo.»
«Scusa.»
Eh no, pure lui no! Perché all'improvviso tutti si preoccupavano perché non aveva nessuno? «Giusto perché tu lo sappia, potrei avere un ragazzo se lo volessi. Una donna non è definita dagli uomini che frequenta.»
Cercò di sottolineare la frase con un gesto del braccio, ma rischiò solo di aver bisogno lei stessa di un tovagliolo umido. Per rimediare alla sua goffaggine, bevve un sorso. Quei cocktail erano deliziosi!
«Mi ripeto, va bene. Non volevo toccare un nervo scoperto.» Sollevò le mani in segno di riconciliazione e indietreggiò un pochino.
Dalla sua posizione in fondo al bancone, il barista ridacchiò. «Forse dovresti smettere finché sei in tempo, amico.»
«Ma davvero. Stasera non è decisamente la mia sera» disse Lewis, cercando di guardarsi la camicia. «Hai ragione. Ho peggiorato la macchia, vero?»
«Te l'avevo detto» rispose Susan. «È la granatina. È impossibile togliersi quella roba di dosso.»
«Ti prendo in parola. Cavolo. Adesso puzzerò di frutta per il resto della serata.»
«Scusa se te lo chiedo, ma che cosa hai fatto per meritarti un cocktail in faccia?»
Sarebbe stato meglio chiedere: che cosa non aveva fatto? Lewis gettò il tovagliolo sul bancone. Negli ultimi nove mesi, non aveva fatto altro che affogare nel karma accumulato in un decennio di pessime decisioni. «Niente» mentì. «Un minuto stavamo parlando e quello dopo mi sono ritrovato con una ciliegia tra i capelli.»
«Così, di botto?»
«Sì, così di botto.»
Susan aveva capito che stava mentendo. Era evidente dall'occhiata che gli lanciò al di sopra del bordo del suo bicchiere.
«Stai omettendo qualcosa» disse lei. «Lo capisco dal modo in cui non stai dicendo niente.»
«Eh?»
«Hai sentito.» Susan dondolava sullo sgabello, come fanno le persone quando la stanza comincia a girare intorno a loro. Per fortuna, il barista li stava guardando. «Le persone non lanciano degli ottimi drink senza un buon motivo» continuò lei. «Soprattutto gli ottimi drink. Allora, che hai fatto?»
Lewis avrebbe voluto dirle che non erano affari suoi, ma il luccichio negli occhi di Susan gli fece mordere la lingua. Anche da ubriaca, aveva una certa sagacia.
«Potrei aver chiesto come si chiamavano.»
«Ti sei dimenticato dei loro nomi? Di tutt'e due? Dopo che ci sei andato a letto?»
Lui non era certo orgoglioso. Anzi, ne era orripilato. «Le ho frequentate quando giocavo» rispose lui.
«Ah, ma perché non me l'hai detto prima? Le ha frequentate quando giocava!» annunciò Susan rivolta al barista. «Se è così, ha perfettamente ragione.»
«Non ho detto questo. È solo il motivo per cui le ho dimenticate.» Era fortunato a ricordarsi anche solo vagamente dei giorni in cui giocava.
«Capisco perfettamente. Deve essere stato difficile tenere a bada tutte quelle fans.»
Sì, lo era stato, perché c'erano state un sacco di fans e un sacco di alcol. In ogni caso, Lewis tenne la bocca chiusa. E poi, quella ragazza era ubriaca e sapeva per esperienza personale che l'alcol e i litigi non andavano bene insieme. «Sei sempre così sarcastica con le persone che incontri?» le domandò lui.
«Bah. Dipende se sono bersagli facili.»
«Stai dicendo che io lo sono.»
Lei lo guardò. «Dimmelo tu, Champagne.»
Come odiava quel soprannome! L'ironia di tutta quella situazione, sempre che quella fosse la parola giusta, era che non ricordava che gli avessero scattato quella fotografia.
«Comincio a capire perché non hai amici.»
Il labbro della ragazza cominciò a tremolare.
Fantastico! Aveva ferito i suoi sentimenti. Perché non prendere a calci un cucciolo già che c'era? «Non ti metterai a piangere, vero?»
Lei rispose tirando su con il naso. «Non essere scemo, io non piango!»
Stava fingendo molto bene, allora. Lewis le allungò uno dei tovaglioli da cocktail che aveva preso. «Tieni, asciugati gli occhi.»
«Te l'ho detto, non piango.»
«Allora asciugati le tue inesistenti lacrime prima che ti coli il mascara» commentò lui. «E a proposito, mi dispiace. È stato un commento gratuito.»
«Sì, è vero. Ma è anche vero.»
«Sono sicuro che...»
«Sono in un bar a ubriacarmi da sola e nessuno alla festa si è accorto della mia assenza!»
«Sono sicuro che qualcuno l'ha notato» rispose Lewis. Non era certo il tipo di ragazza che si dimentica facilmente. Aveva un vestito nero che era sexy e ricordava una segretaria monella; un vestito pudico, ma abbastanza aderente da mostrare le sue curve. Aveva capelli neri e ricci raccolti in una coda alta. Tutto l'insieme dava l'idea di avere davanti una donna che non scherzava. Se esisteva