Il mio splendido piano
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Anteprima del libro
Il mio splendido piano - Dixie Browning
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Passionate Plan B
Silhouette Desire
© 2005 Dixie Browning
Traduzione di Olimpia Medici
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-408-9
1
Daisy era una donna molto precisa e ne andava fiera. Proprio per questo non sopportava l’idea di arrivare in ritardo al rito funebre. Ma, neanche a farlo apposta, il telefono aveva squillato come un ossesso per tutta la mattina e quando finalmente era riuscita a salire in camera per vestirsi, avevano bussato alla porta e, nella foga di andare ad aprire, una scarpa le era scivolata sotto il letto. Grazie al cielo era intervenuta Faylene - erano quelli dell’azienda elettrica che volevano sapere quando interrompere il servizio.
Era ritornata di corsa al piano superiore e, mentre cercava di recuperare la scarpa, era anche riuscita a bucare l’unico paio di collant scuri che aveva in casa. Risultato: era partita con più di dieci minuti di ritardo.
Adesso se ne stava in disparte, a pochi passi dal gruppetto di persone raccolte intorno alla bara del suo ultimo paziente. La pioggia, fredda e insistente, cominciava a penetrare sotto l’impermeabile. Quel cencio era da buttare, ma era anche l’unica cosa nera che aveva trovato nell’armadio. Andare al funerale con la cerata gialla sarebbe stato sconveniente.
Naturalmente Egbert era arrivato prima di lei. Era la puntualità fatta persona. Da dietro gli occhiali da sole Daisy studiò attentamente l’uomo che aveva deciso di sposare. Lo aveva scelto con cura, valutando attentamente i pro e i contro. Non aveva intenzione di ripetere lo stesso errore una seconda volta.
Ovviamente Egbert era all’oscuro di tutto. Era troppo modesto per immaginare che una donna potesse sedurlo deliberatamente per farsi portare all’altare. Ma a lei piaceva proprio per questo. Non ne poteva più degli spacconi traboccanti di testosterone.
Il tipo che stava in piedi vicino a Egbert era un perfetto rappresentante della categoria. Avrebbe scommesso due mesi di stipendio che in quel corpo alto e slanciato non c’era un milligrammo di modestia. Anche la postura, gambe divaricate e braccia incrociate, parlava di arroganza.
Donne, fate attenzione. È arrivato il conquistatore. Le sembrava di sentirlo.
Egbert indossava il solito completo scuro, accompagnato da un impermeabile nero di ottima fattura. Previdente com’era, aveva portato anche un ombrello.
Era un bell’uomo. Forse non aveva i requisiti per diventare un sex symbol, ma era moderatamente attraente.
E per Daisy la moderazione era una delle virtù più importanti. Infatti, a differenza delle sue due migliori amiche, non aveva collezionato una catena di matrimoni finiti male, ma si era limitata a un unico, estenuante fidanzamento rotto prima che fosse troppo tardi. Egbert sarebbe stato il suo primo e unico marito. La loro sarebbe stata un’unione assolutamente serena e duratura, un rapporto adulto e maturo.
Uno stormo di anatre si levò rumorosamente in volo dal fiume che scorreva di fianco al cimitero. Lei osservò distrattamente gli uccelli che in pochi secondi formarono un grande triangolo proprio sopra la sua testa, poi tornò a fissare il bellimbusto misterioso.
Niente impermeabile, nessun ombrello. I capelli scuri fradici di pioggia gli ricadevano sulla fronte in ciocche lunghe e appuntite. Per qualche strano motivo che non riuscì a spiegarsi, Daisy sentì un brivido correrle lungo la schiena. Un brivido di desiderio acuto e persistente.
Scosse la testa. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni era che nel momento in cui il desiderio bussa alla porta, il buonsenso scappa dalla finestra.
L’uomo era almeno due spanne più alto di Egbert, cosa che avrebbe reso difficile condividere lo stesso ombrello, anche se Egbert glielo avesse offerto. E di sicuro glielo aveva offerto. Il suo futuro marito non solo era estremamente gentile ma, altro punto a suo favore, si interessava sinceramente al prossimo in qualunque occasione.
L’uomo del mistero indossava un paio di jeans e un giaccone di cuoio ed era l’unico dei presenti a non portare giacca e cravatta. Ma, a dire la verità, il suo abbigliamento era molto più adatto a quel tempo da cani di quanto non lo fosse il vestito di Daisy, vecchio di sei anni, e l’impermeabile nero che si era rivelato un colabrodo. Per non parlare delle scarpe da cerimonia col tacco che ormai avevano una zeppa di fango alta almeno cinque o sei centimetri.
Aveva quasi smesso di piovere e all’acqua si era sostituita una ancora più fastidiosa aria gelida. Non era di sicuro la giornata più adatta per indossare degli occhiali da sole ma spesso, ai funerali, la gente li metteva per nascondere gli occhi arrossati dalle lacrime.
O, come nel caso di Daisy, per potere guardarsi intorno indisturbata.
Scosse la testa. No, quel tipo non era di Muddy Landing. In città lei conosceva tutti, se non di nome almeno di vista. E poi se fosse stato uno del posto Sasha e Marty l’avrebbero sicuramente messo in cima alla lista degli scapoli da conquistare. Sempre che uno così fosse ancora scapolo, ovviamente.
Cercò di vedere se portava la fede nuziale. L’anulare era libero, ma non significava niente. Lo sguardo di Daisy si soffermò sulle sue mani abbronzate. Ora l’uomo aveva infilato i pollici nei passanti della cintura e la giacca di pelle si era aperta lasciando scoperti i pettorali e gli addominali perfettamente scolpiti, fasciati solo da una maglietta bianca di cotone leggero.
In una giornata come quella avrebbe potuto mettersi almeno un cappello. Provò a immaginarselo con uno Stetson nero a tesa larga, come quelli dei cowboy.
Improvvisamente, come se si fosse accorto di essere osservato, lui le lanciò un’occhiata. Daisy si sentì mancare il respiro. Gli occhi azzurri di solito la lasciavano piuttosto indifferente, ma quando erano sistemati sotto un paio di sopracciglia nere come la pece e in mezzo a un volto abbronzato e dai lineamenti perfetti le cose cambiavano. Diciamo che non passavano assolutamente inosservati.
Il rito funebre si concluse sbrigativamente. Il prete fu preso da un attacco di raffreddore e tra uno starnuto e l’altro borbottò qualche parola di congedo e si rifugiò nel furgoncino delle pompe funebri. D’altra parte non c’erano familiari da consolare, quindi nessuno se la prese per la rapidità con cui venne liquidato il defunto. Le poche persone presenti alla cerimonia cominciarono ad avviarsi verso l’uscita del cimitero.
Tutte tranne due, che adesso stavano puntando dritto verso di lei. Oddio.
Daisy fece finta di non sentire la voce di Egbert che la chiamava e si diresse spedita verso la macchina. Non aveva nessuna intenzione di farsi vedere in quelle condizioni, i capelli appiccicati sulla fronte, un vestito vecchio di sei anni e un impermeabile che faceva acqua da tutte le parti. Più che al bellone misterioso la preoccupazione era rivolta al suo futuro sposo. Conciata in quel modo avrebbe compromesso tutte le manovre seduttive degli ultimi sei mesi.
La tabella di marcia che si era imposta non prevedeva una perdita di tempo così consistente. La pianificazione era tutto. Fra tre mesi sarebbe passato un anno preciso dalla morte della moglie di Egbert. Non voleva mettergli fretta, ma non aveva nemmeno intenzione di aspettare che qualche altra donna gli mettesse gli occhi addosso e glielo soffiasse da sotto il naso.
Finalmente salì in macchina e, dopo essersi tolta qualche chilo di fango da sotto le scarpe, prese la statale e si diresse verso casa. Doveva finire di sistemare le cose del povero Harvey, il paziente che proprio in quel momento stavano calando sotto terra chiuso in una cassa di larice e che aveva seguito durante la lunga agonia.
Lanciò un’occhiata allo specchietto retrovisore. Egbert la stava seguendo due macchine più indietro, a una velocità rigorosamente inferiore al limite. Una volta arrivati a casa, ne era certa, le avrebbe spiegato per l’ennesima volta tutti i motivi etici e legali che lo trattenevano dal leggere il testamento di Harvey e dal distribuire ai beneficiari i pochi beni lasciati in eredità. Neanche fosse stato un miliardario. Da quel che ne sapeva Daisy, il gruzzoletto - esiguo, molto esiguo - doveva essere diviso tra il domestico e una fondazione per gli studi storici sempre a corto di fondi.
L’occhio le cadde sul contachilometri. Senza accorgersene aveva superato di sette chilometri il limite di velocità. Tolse il piede dall’acceleratore e osservò la lancetta che scendeva lentamente riportandola nei parametri.
Daisy non superava mai i limiti. Prudenza era il suo secondo nome.
«Dobbiamo fare qualcosa per Daisy.» Sasha appoggiò i gomiti sul tavolo e cominciò a dipingersi le unghie con uno smalto porpora pieno di brillantini. Fuori pioveva a dirotto. «Secondo me comincia a dare segni di depressione.»
Daisy aveva chiesto esplicitamente alle sue due migliori amiche di non andare al funerale. E loro non avevano insistito.
«Non è depressa. È solo dispiaciuta. Fa sempre così quando le muore un paziente, soprattutto dopo un’agonia lunga e difficile. E comunque quel colore ti sta malissimo. Non c’entra proprio niente con i capelli.»
Sasha osservò attentamente le unghie, poi fissò l’amica, Marty Owens. «Da quando in qua il rosso porpora sta male con l’arancione?» Scosse la testa. «Il problema di Daisy è che prende il lavoro come una cosa troppo personale. Guarda come si è comportata con Harvey Snow. Dove lo trovi un altro medico o infermiere che va a vivere a casa di un malato terminale?»
«È vero, ma devi anche considerare il fatto che era appena stata sfrattata e che lui abitava da solo in una casa enorme che stava cadendo lentamente a pezzi.»
«Ti sbagli. Non è stata sfrattata. Dopo l’incendio tutti gli inquilini del suo palazzo sono stati evacuati e sistemati al motel di Elizabeth City. A sentire Daisy, stando da Snow si risparmiava una mezz’ora di macchina al giorno per andare al lavoro. La verità è che se uno o l’altro avesse avuto uno straccio di famiglia, non sarebbero mai andati a vivere sotto lo stesso tetto.»
Marty annuì e si versò un altro bicchiere di vino. «Ha sempre continuato a chiamarlo signor Snow. Ma sai cosa ti dico? Secondo me lo vedeva come una specie di nonno adottivo. Allora, a chi troviamo il fidanzato, questa volta? Ci sarebbero Sadie Glover oppure la ragazza che lavora in gelateria, quella con gli occhiali spessi.»
Le due amiche - tre, quando c’era anche Daisy - erano abituate a cambiare argomento così, all’improvviso.
Sasha aggrottò le sopracciglia. «Che ne diresti di Faylene?»
Marty sgranò gli occhi. «Scherzi? Se lo viene a sapere è