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Rischio provocante
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E-book210 pagine2 ore

Rischio provocante

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Info su questo ebook

Un finto rapimento...

Pagare qualcuno perché mi rapisca può sembrare uno strano modo per superare le mie paure. Ma io, Tate Baxter, ho passato l'esistenza dietro i vetri oscurati di una limousine, accanto a uomini chiamati a proteggermi. E non mi sono mai sentita al sicuro.

Una fantasia proibita...

Michael Caulfield darebbe la vita per salvare la mia. È il suo lavoro. Ma io voglio qualcosa di più da lui. Voglio che finga di tenermi prigioniera. E che alimenti le mie torride fantasie.

Un pericolo reale...

Ora non è più un gioco. Qualcuno mi ha rapita davvero. Per fortuna Michael è con me. Siamo così vicini, giorno e notte. In balia di sconosciuti e in preda a un desiderio sconfinato.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2016
ISBN9788858952979
Rischio provocante
Autore

Jo Leigh

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Rischio provocante - Jo Leigh

    successivo.

    1

    Alle tredici e un quarto di martedì, con la precisione di un orologio svizzero, la terapista di Tate Baxter si appoggiò allo schienale della poltrona, chiuse il taccuino per gli appunti, sorrise e domandò: «C'è altro di cui vorrebbe parlarmi?».

    La risposta di Tate fu altrettanto meccanica. «No, dottoressa Bay. Niente.»

    «Bene. Vorrei mostrarle qualcosa.»

    Tate alzò la testa, sorpresa. Il consulto con la dottoressa Bay terminava alle tredici e un quarto precise. La sua psicoterapeuta non andava mai oltre quell'ora. Mai. «Oh?»

    La dottoressa riaprì il taccuino ed estrasse da una tasca laterale un articolo di giornale. «Dia un'occhiata a questo» disse.

    Tate prese il foglio, combattuta tra leggere l'articolo e guardare la dottoressa Bay. La terapista, che Tate incontrava da quasi due anni, era palesemente eccitata. Era qualcosa che non succedeva quasi mai, anzi, mai. Non in quel modo, almeno. La dottoressa Bay era una terapista del comportamento e proponeva a Tate sfide e obiettivi sempre nuovi, da affrontare tra una sessione di terapia e l'altra. Il risultato, indipendentemente dalla prestazione, veniva accolto con un sorriso comprensivo; anche quando Tate sorpassava perfino le proprie aspettative, la dottoressa restava riservata. In quel momento, invece, gli occhi della dottoressa Bay erano spalancati per l'impazienza e le guance pallide erano arrossite.

    Tate abbassò lo sguardo sul foglio e il titolo le fece accelerare le pulsazioni. Rapimento offresi. Guardò la dottoressa Bay, sconcertata.

    «Va tutto bene, Tate. Per favore, lo legga.»

    Dopo un momento di esitazione, lei cominciò a leggere.

    Tutto comincia con un elenco delle vostre peggiori paure. Per poche migliaia di dollari il servizio di rapimento personalizzato di Jerry Brody le trasformerà in realtà. I vostri rapitori potrebbero infilarvi la testa in un sacco o bendarvi e portarvi in una casupola isolata. Nel buio potreste scorgere il viso di un alieno o un uomo con vestiti più puzzolenti di un cassonetto dell'immondizia. Non c'è un rapimento uguale all'altro. Il vostro rapimento personalizzato potrebbe interrompersi con una parola chiave o protrarsi per giorni. Brody e la sua squadra potrebbero rapirvi mentre siete nella metropolitana o fate la doccia a casa vostra. Dopo l'evento, che alcuni clienti equiparano a una meditazione, potreste sperimentare sollievo, euforia e un senso di grande forza interiore.

    Tate dovette fermarsi, era migliorata molto dalla prima volta in cui aveva parlato alla dottoressa Bay della sua fobia per i rapimenti e non aveva attacchi di panico da mesi. Ma quello era veramente...

    «Respiri, Tate» le disse la dottoressa Bay. «Si ricordi gli esercizi che abbiamo provato insieme.»

    Tate chiuse gli occhi e si rifugiò nel suo posto sicuro. Dopo svariati respiri profondi, si concentrò su ciascuna parte del suo corpo, partendo dalle dita dei piedi fino ad arrivare alla sommità del capo.

    «È al sicuro. Si trova nel mio studio, nessuno le farà del male. Immagini la radura.»

    Tate seguì le istruzioni vocali della dottoressa; quando l'esercizio terminò, aveva ritrovato il suo equilibrio. Aprì gli occhi, rassicurata dall'ambiente a lei familiare, ma allo stesso tempo scoraggiata per essersi ritrovata ancora, nonostante tutto il lavoro degli ultimi anni, alla mercé delle sue paure.

    «Vuole parlarne adesso?» le chiese la dottoressa Bay, indicando il pezzo di carta che Tate stringeva ancora tra le dita.

    «Vuole che assuma quest'uomo? Che gli chieda di rapirmi?»

    «Vorrei che ci pensasse. Da tempo svolgo ricerche approfondite riguardo a questo tipo di approccio e ho parlato con numerosi colleghi che hanno sperimentato tecniche analoghe. Ci sono casi in cui i soggetti hanno subito trasformazioni radicali. Ma si ricordi che è solo un'idea. La nostra terapia sta funzionando molto bene e mi rendo perfettamente conto che questo approccio è del tutto inconsueto.»

    Inconsueto? Era dire poco!, pensò Tate con una smorfia. Preferiva evitare di immaginare quale sarebbe stata la reazione di suo padre nei confronti di quell'approccio del tutto inconsueto.

    «Quando arriverà a casa stasera, vorrei che lavorasse con il suo diario. Non scriva della sua reazione all'articolo, ma di come pensa potrebbe essere la sua vita se superasse le sue paure. Va bene?»

    Tate annuì. «Ci proverò.»

    «Molto bene. Oggi è stata molto brava a controllarsi. Non le ci è voluto molto per calmarsi.»

    Tate guardò l'orologio. Erano le due meno un quarto. In effetti non era male, se considerava che, fino a poco tempo prima, un'idea del genere l'avrebbe gettata nel panico per giorni.

    Posò l'articolo sulla scrivania e prese la borsa. «Ci vediamo la settimana prossima.»

    «Non si dimentichi di meditare, mi raccomando.»

    Tate lo faceva regolarmente e le era servito. Negli ultimi tempi usciva più spesso e gli incubi la tormentavano meno. Tre urrà per il suo posto sicuro... Se solo fosse esistito davvero al di fuori della sua mente!

    Uscendo, salutò con un cenno del capo Stephanie, la segretaria della dottoressa Bay. Nella sala d'aspetto c'erano due persone, ambedue sembravano del tutto normali; Tate immaginò che stessero pensando lo stesso di lei.

    L'ascensore era vuoto quando lei entrò nella cabina, così si prese un momento per scostarsi i capelli dietro le spalle e passarsi un fazzolettino sugli angoli della bocca, preparandosi per le strade di Manhattan.

    Non che stesse per affrontare davvero la strada, a meno che viaggiare su una delle limousine di suo padre contasse. I vetri oscuranti la celavano alla vista dei passanti, dandole l'impressione che l'intera città fosse un'enorme vetrina.

    L'ascensore si fermò al quarto piano. Tate arretrò quando un uomo entrò nella cabina; era alto, con i capelli grigi e un completo gessato. Le scarpe che indossava erano costose e, quando le sorrise, Tate immaginò che anche quei denti perfetti gli fossero costati parecchie migliaia di dollari. Ciò non la sorprese, visto l'indirizzo. Lo studio della dottoressa Bay si affacciava su Park Avenue e tutti i suoi clienti non si curavano di chiedere formalità insignificanti come il costo dei servizi della terapista; se l'avessero fatto voleva dire che non se la potevano permettere.

    L'uomo si voltò verso le porte scorrevoli fino a quando la cabina raggiunse il pianterreno. Sfortunatamente l'interno dell'ascensore era rivestito di specchi e lui non si fece alcun problema nello squadrare Tate da capo a piedi.

    Lei contò i secondi interminabili fino a che raggiunsero la hall e, appena le porte scorrevoli si aprirono, allungò strategicamente la mano in modo che l'ascensore non potesse essere richiamato e attese che l'uomo si fosse allontanato nell'ingresso prima di uscire a sua volta.

    Come sarebbe stata la sua vita se non avesse più avuto paura? Non ne aveva idea, era un concetto troppo alieno alla sua mente.

    Nonostante gli incontestabili miglioramenti, la sua vita era governata dalla paura, da sempre. A ventiquattro anni Tate si era rassegnata a vivere sotto la campana di vetro che suo padre aveva creato per lei, trasferendosi dalla limo al suo appartamento, o agli appuntamenti di lavoro e non rigidamente controllati e protetti. Sapeva benissimo che chiunque avesse osservato la sua vita da fuori l'avrebbe giudicata perfetta. Possedeva più denaro di quanto le sarebbe mai potuto servire, aveva ereditato il metabolismo veloce di suo padre e gli straordinari occhi blu di sua madre. Aveva ricevuto un'educazione esemplare e, se avesse deciso di non voler fare altro che dedicarsi allo shopping per il resto della sua vita, non avrebbe incontrato alcuna difficoltà nel farlo.

    Sapeva che molti giudicavano la sua agorafobia come una mania arrogante; il fatto che il terrore di essere rapita avesse ristretto il suo mondo a una routine demoralizzante non significava alcunché. I problemi veri della vita erano ben altri, lei aveva solo un'immaginazione iperattiva che la teneva in uno stato di costante terrore, impedendole di godersi i doni che la sorte le aveva dato.

    Uscì dall'edificio sul marciapiede affollato, lo sguardo fisso sulla limo parcheggiata pochi metri più in là. Michael, il suo autista, le aprì la portiera. Per i passanti poteva essere solo un autista di limousine come un altro, abito nero, camicia bianca, comportamento deferente. Ma dietro le lenti scure stava studiando l'area circostante con l'intensità di un raggio laser e portava la giacca sbottonata per poter estrarre la pistola in un batter d'occhio, se fosse stato necessario. Guidare la limo non era il suo lavoro principale.

    Tate gli passò vicino mentre si accomodava in macchina e studiò per l'ennesima volta il suo viso con un brivido di meravigliata curiosità. Michael non aveva una bellezza classica, troppi tratti duri e piccoli difetti, ma il suo aspetto l'aveva conquistata gradualmente, da quando era entrato a far parte del team che si occupava della sua sicurezza, sei mesi prima. Erano molte le persone che si occupavano di proteggere Tate; alcune erano anche sue amiche, come Elizabeth, la sua assistente, la maggior parte no. Suo padre non gradiva che lei facesse amicizia con il personale e lei aveva preso la terribile abitudine di considerarli dei dipendenti, non delle persone.

    Michael, invece, si era rivelato inaspettatamente qualcosa di completamente diverso. Non un amico, quello no. Si limitava esclusivamente a scarrozzarla in giro con la limo, ma durante i loro viaggi parlavano, parlavano di tutto.

    Lei aveva scoperto che gli piaceva leggere, soprattutto autori russi, Tolstoi, Dostoevskij, Turgenev. Gli piacevano anche i romanzi a fumetti di Frank Miller. Tate si divertiva a schernirlo per la sua passione per i fumetti, ma aveva ordinato in segreto alcuni romanzi di Miller su Internet e doveva ammettere di averli trovati... interessanti.

    Lui chiuse la portiera, passò dal lato del conducente e si accomodò alla guida. Tate scorse i suoi occhiali da sole nello specchietto retrovisore e, come sempre, sperò che se li togliesse.

    «Dove andiamo?»

    «A casa.»

    «Nessun'altra fermata?»

    «Oggi no.»

    Lui le sorrise e Tate si appoggiò al sedile di pelle, fresco.

    Aveva scoperto anche che non aveva una fidanzata. Informazione assai più interessante dei suoi gusti in fatto di libri.

    Michael si immise nel traffico caotico del centro di Manhattan, diretto verso l'attico di Tate a Carnegie Hill. Percepiva che durante la sessione di terapia di quel pomeriggio doveva essere accaduto qualcosa di fuori dell'ordinario; lo aveva capito appena lei era uscita dal palazzo. Avrebbe atteso qualche minuto per vedere se Tate desiderasse parlarne con lui, o preferisse telefonare alla sua amica Sara. Gli piaceva quando parlava con Sara. Tate non nascondeva mai nulla alla sua migliore amica e, negli ultimi mesi, aveva smesso di sussurrare quando le parlava al telefono. Era il suo modo per raccontargli della sua vita, senza tuttavia dirgli nulla direttamente.

    Il suo sguardo si spostò per un attimo dalla strada allo specchietto, dove incontrò un paio di occhi blu come fiordalisi. Sapeva che Tate stava sorridendo e le sorrise a sua volta, anche se non avrebbe dovuto; quando lei aveva voglia di flirtare significava che stava cercando di dimenticare qualcosa di spiacevole. Michael aveva visto giusto riguardo alla sessione di terapia.

    «Come sta la dottoressa?»

    Tate si spostò e lo specchietto retrovisore riflesse l'immagine della sua tempia destra. «Bene.»

    «Ti stai per caso chiedendo di cosa parla quando va a trovare il suo strizzacervelli?»

    «Probabilmente di quanto sono fuori i suoi pazienti.»

    «Non direi. Mi è parsa molto professionale.»

    «Come fai a dirlo? L'hai incontrata solo una volta. Per circa cinque secondi.»

    Lui le sorrise. «In quei cinque secondi è sempre stata molto professionale.»

    Gli occhi di Tate riapparvero nello specchietto. Sorridevano. «A volte se ne viene fuori con delle idee davvero strambe.»

    «Per esempio?» Un taxi gli tagliò la strada, costringendolo a frenare bruscamente. Michael avrebbe voluto suonare il clacson, ma sarebbe stato del tutto inutile, e anche illegale.

    «Niente» rispose a voce bassa.

    Lui non insistette. La conversazione telefonica con Sara avrebbe chiarito tutto. In effetti, la storia delle telefonate era assai brillante; non abbatteva completamente le barriere che li separavano, ma ascoltare le sue conversazioni gli permetteva di conoscerla sempre meglio e ciò gli era utile per il suo lavoro. Inoltre, Tate era anche molto divertente.

    Se proprio doveva lavorare come cagnolino ammaestrato di qualcuno, tanto valeva che fosse Tate; la ragazza poteva essere ricca come il mare, ma non si comportava come la maggior parte delle ricche ereditiere che Michael aveva incontrato. Spesso si domandava se lei sarebbe stata altrettanto gentile, se non fosse stata tormentata dalla paura. Povera piccola. Lui avrebbe voluto che la sua strizzacervelli si desse una mossa e la lasciasse vivere finché era ancora giovane.

    «Elizabeth ti ha detto di domani?»

    Michael annuì. «Sì. Mi ha dato il programma per la settimana.»

    «Bene. Okay. Allora...»

    Lui alzò gli occhi sullo specchietto, ma Tate non lo stava guardando; probabilmente meditava di chiamare la sua amica.

    Vide aprirsi nel traffico lo spazio sufficiente per passare con quel dannato transatlantico di una limo e accelerò, sfidando il taxi accanto a lui a interferire. Mezzo isolato dopo Tate si portò il cellulare all'orecchio.

    «Ciao, sono io.»

    Michael avrebbe voluto poter sentire entrambe le interlocutrici, ma almeno poteva ascoltare la voce di Tate.

    «Non so davvero, Sara. Credo che la dottoressa Bay stavolta abbia esagerato. Mi ha dato un articolo di giornale, parla di un terapista fuori di testa che lavora qui a New York e rapisce la gente per denaro.»

    Le mani di Michael serrarono il volante della limo, mentre lui cercava di resistere all'impulso di voltare la macchina, usare il marciapiede come corsia preferenziale e tornare immediatamente allo studio della dottoressa Bay.

    «Lo conosci? Quando ne hai sentito parlare?»

    Cos'era saltato in mente alla Bay?! Quella mattina probabilmente aveva preso uno Xanax di troppo.

    «Forse pensa che, se dovessi vivere l'esperienza del rapimento, sapendo che in realtà sono al sicuro, finalmente potrei liberarmi dalle mie paure.»

    Merda. Tate aveva bisogno di una nuova psichiatra e subito. Michael non faticò a immaginare come avrebbe reagito il padre di lei, quando avesse saputo di quella proposta assurda. A William sarebbe venuto un infarto, ma non prima che avesse fatto ritirare la licenza della dottoressa Bay.

    Quando Michael aveva accettato quel lavoro, aveva posto molte domande, come per esempio perché una giovane donna come Tate avesse bisogno di un livello di sicurezza che avrebbe fatto sentire tranquillo il presidente degli Stati Uniti. William gli aveva spiegato che il rapimento era un pericolo reale per lei e che sarebbe stato disposto a tutto pur di proteggere Tate.

    Michael poteva capire che una donna nella sua posizione potesse essere un bersaglio, ma assumere guardie che vegliassero su di lei ventiquattr'ore al giorno, sette giorni su sette? Ex agenti

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