Un milionario in prima pagina: Harmony Collezione
Di Tara Pammi
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Una cosa però è certa: ci sarà di che divertirsi per i nostri lettori!
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Un milionario in prima pagina - Tara Pammi
successivo.
1
Nella toilette che era riservata alle signore, Kimberly Stanton fissò a lungo il rettangolo di plastica appoggiato sulla mensola di lucido marmo, un oggetto che appariva drasticamente fuori luogo accanto al pot-pourri di lavanda e alle salviette profumate.
I minuti trascorsero con una lentezza esasperante, le voci che riecheggiavano dal fondo del corridoio come colonna sonora di quegli attimi di agonia.
Un crampo di terrore che le attanagliava lo stomaco, appoggiò le mani sul ripiano e si costrinse ad abbassare lo sguardo.
Incinta.
Niente simboli o strisce di colore per la cui interpretazione sarebbero state necessarie le istruzioni contenute nella scatola. Una sola parola, chiara, semplice. Incinta.
Il cuore le balzò in gola. Arretrò fino a ritrovarsi con la schiena contro la parete, poi tirò un profondo respiro nel tentativo di fare arrivare aria ai polmoni.
Non era giusto che un solo errore, anche se tecnicamente lo aveva commesso due volte, le rovinasse il resto della vita, pensò tornando verso il lavabo... Non era giusto, ma non era così stupida o ingenua da chiudere adesso gli occhi davanti alla realtà dei fatti. Aprì il rubinetto e mise i polsi sotto il getto dell'acqua fredda. Dopo qualche istante raddrizzò le spalle e in procinto di prendere una salvietta colse la sua immagine riflessa nello specchio. Occhi sgranati cerchiati da ombre scure spiccavano su un viso totalmente privo di colore, occhi illuminati da un lampo di panico. Sembrava sull'orlo di una crisi isterica, e forse lo era, tuttavia doveva controllarsi. Non aveva tempo per quello adesso.
Si massaggiò le tempie con le dita ancora bagnate, esercitando una lieve pressione. Il crollo emotivo avrebbe dovuto attendere, si disse, fin quando fosse stata sola e di nuovo in grado di ragionare con lucidità. Fin quando quello stato di shock avesse ceduto il posto a un sordo, costante dolore.
Solo allora avrebbe riesaminato la situazione e deciso come affrontarla.
Di certo non era la prima volta che era costretta a gestire una circostanza difficile e penosa.
Onestamente non aveva idea del perché avesse scelto di fare il test di gravidanza proprio in quel particolare momento, anche se la scatolina contenente il kit era stata sepolta nella sua borsa per più di una settimana.
Forse si era trattato di un ennesimo cortocircuito dei suoi processi mentali.
Le accadeva piuttosto spesso di recente.
Prese il rossetto dalla borsetta da sera e lo passò sulle labbra. Fece scorrere le mani sulle pieghe della gonna, quasi avesse bisogno di un contatto che la riportasse alla realtà.
Doveva tornare subito in sala per intrattenere i suoi ospiti, un gruppo d'investitori che aveva impiegato mesi per riunire. Investitori che avevano manifestato interesse per The Daily Help, la sua web startup.
Aveva una presentazione da fare, un discorso da tenere con il quale avrebbe evidenziato l'andamento economico dell'impresa previsto per i successivi cinque anni. Doveva convincere quelle persone a investire nella sua idea, quando idee del genere praticamente si sprecavano.
E doveva convincerli che lo scandalo che di recente l'aveva coinvolta insieme a sua sorella gemella Olivia e ad Alexander King non aveva influito minimamente sul modo in cui lei gestiva gli affari.
Il fatto che fossero lì comunque era già un forte segnale della fiducia che riponevano nelle sue capacità.
Si sistemò la giacca e si avviò verso l'uscita. Giunta quasi alla porta, tornò sui suoi passi, recuperò il rettangolo di plastica, lo ripose nell'involucro e lo gettò nel cestino dei rifiuti.
Camminò lungo il corridoio con decisione, ma poco prima di svoltare l'angolo fu costretta a fermarsi per aspettare che quei crampi di ansia e di dolore che le stavano aggredendo lo stomaco si allentassero.
Prese un bicchiere di acqua minerale dal vassoio di un cameriere che le passò accanto poi abbozzò un cenno di saluto a un conoscente che procedeva in direzione opposta alla sua.
Era lieta di aver riservato una sala in uno dei più prestigiosi alberghi di Manhattan, pensò.
Organizzare un evento così importante nella sede della sua azienda, un ampio ambiente quasi completamente privo di arredo nel seminterrato di un edificio anonimo, ben difficilmente sarebbe servito come un buon biglietto di presentazione.
Lanciò uno sguardo all'orologio d'oro che portava al polso, un regalo di suo padre per la laurea ad Harvard, e chiese a tutti quelli che ancora indugiavano nella hall di seguirla nella sala.
Con una riluttanza così poco consona al suo carattere, salì sul piccolo podio.
Respirò a fondo e fece appello a tutto il suo coraggio.
Doveva resistere per qualche ora ancora poi, una volta conclusa la presentazione, sarebbe rimasta sola con i suoi pensieri. E con tante decisioni che ormai non poteva più evitare di prendere.
Accadde nel bel mezzo del suo discorso.
Diresse il puntatore laser verso l'immagine proiettata sul grande schermo e perse il filo del suo ragionamento, quasi qualcuno avesse azionato un interruttore per spegnerle il cervello.
Scrutò nella sala alla ricerca di ciò che aveva potuto distrarla fino a quel punto.
Un movimento, un sussurro, o qualcos'altro? O era stato solo uno scherzo della sua immaginazione? Tutto quello che la circondava svanì in un'ombra confusa, vacillò. Possibile che il suo equilibrio fosse stato talmente sconvolto da quello che aveva scoperto poco prima?, si chiese sconcertata.
Sì, senza dubbio era possibile, concluse.
Si schiarì la voce, bevve un sorso d'acqua poi si girò di nuovo verso la schermo. Riprese a parlare e non si fermò più fino a presentazione conclusa.
Le luci si accesero e molti fra i presenti sollevarono la mano, pronti a porle le domande del caso. Non era un problema, pensò Kim. Avrebbe potuto rispondere anche dormendo. Ogni cifra, ogni minimo dettaglio dell'operazione erano impressi in modo indelebile nella sua mente.
I primi quesiti furono anche i più ovvi. Con tono sicuro, spiegò perché la proposta della sua azienda fosse più meritevole di tante altre, fornì altri particolari, altre statistiche, includendo i successi che aveva ottenuto l'anno precedente con una famosa campagna pubblicitaria.
Rispose all'ultima domanda, spense il proiettore e guardò verso la sala.
E lo vide. Il motivo di quello strano stato di ansia, di quell'incomprensibile sensazione di disagio.
Diego Pereira. L'uomo che l'aveva sedotta per poi abbandonarla senza il minimo pentimento. Il padre del bambino che portava in grembo.
Ogni suo muscolo si paralizzò, il suo cuore ebbe un tuffo lasciandola preda di una sensazione molto simile a quella che aveva provato quando sua sorella l'aveva trascinata sulle montagne russe. Solo che quel giorno aveva avuto la certezza che, a un certo punto, la spaventosa avventura sarebbe finita. Dunque era rimasta seduta con le spalle ben dritte, trattenendo il fiato, mentre la sua gemella urlava per la delizia e la paura.
Una situazione ben diversa da quella attuale, ragionò. Perché ogni volta che Diego irrompeva nella sua vita, lei di colpo dimenticava la lezione imparata tanto tempo prima. Istintivamente si sfiorò il ventre con le mani poi voltò la testa perché proprio le mancava la forza per guardare l'uomo dal viso duro e dagli occhi color dell'oro che crudelmente si divertiva giocando con la sua vita.
Si costrinse a focalizzare la sua attenzione sugli investitori che ancora aspettavano di poter dialogare con lei. Per la successiva ora, forse l'ora più difficile della sua intera esistenza, cercò di fornire risposte professionalmente adeguate pur percependo su di sé lo sguardo di Diego, uno sguardo che le scavava dentro alla ricerca di altre debolezze da usare per infliggerle altro dolore.
Perché era venuto?, si chiese mentre scendeva dal podio per dirigersi verso l'uscita. E quale perverso gioco del destino lo aveva portato lì proprio il giorno in cui aveva scoperto di essere incinta?
Diego Pereira guardò Kim mentre richiudeva la porta della sala alle sue spalle. Era tesa e nervosa, lo capiva dalla postura del suo corpo, e la cosa gli piaceva. Gli piaceva molto.
Sfogliò la proposta di investimento che era stata consegnata a tutti i presenti. Ogni dettaglio risultava spiegato in modo chiaro e preciso, e lui doveva ammettere che, nonostante il suo pessimo umore, era favorevolmente colpito. Non che fosse sorpreso.
Kim aveva raggiunto un successo professionale a dir poco eccezionale nel giro di soli tre anni, da quando cioè aveva trasformato una semplice pagina web pubblicitaria in un portale che contava più di un milione di affiliati.
Chiuse gli occhi per un istante e subito l'immagine di lei gli apparve nella mente. Gonna nera al ginocchio, una giacca dal taglio maschile, una semplice camicia bianca, l'incarnazione della donna in carriera insomma, quanto di più diverso da quella che invece aveva urlato di piacere fra le sue braccia solo un mese prima.
Quasi aveva dimenticato il motivo che lo aveva indotto a recarsi a New York mentre la ascoltava presentare il suo nuovo progetto. Poi lei si era resa conto della sua presenza, regalandogli così un momento di vero trionfo. L'aveva vista perdere la sua sicurezza e trasformarsi repentinamente da una scaltra professionista in una persona mediocre attanagliata dal panico.
Ma non c'era nulla di mediocre nella donna che aveva sposato. Kim era bella, brillante, raffinata. Era l'incarnazione della perfezione... E aveva le stesse emozioni di una roccia.
Una roccia che finalmente era pronto a escludere dalla sua vita. Era arrivato il momento di andare avanti, decise mentre si dirigeva verso l'ascensore. In cabina, pigiò il pulsante per l'attico, e una volta giunto davanti alla porta della suite di Kim, estrasse dalla tasca la chiave magnetica che un fattorino gli aveva consegnato in cambio di una generosa ricompensa.
Entrò nell'appartamento e richiuse silenziosamente la porta alle sue spalle. La fragranza di fiori selvatici lo investì con la forza di un pugno nello stomaco, più violento dei colpi che aveva incassato per metà della sua vita. I polmoni si espansero e il profumo di lei prese a circolargli nel sangue, ravvivando il ricordo del piacere.
Osservò l'ambiente che lo circondava. Dossier contenenti documenti erano ordinatamente allineati accanto a un computer sulla scrivania di mogano posta in un angolo del soggiorno. La borsa di pelle nera, più che altro una cartella professionale, era appoggiata sul divano.
La suite le si adattava alla perfezione, notò. Di classe, elegante, del tutto priva di calore.
Il cigolio di una porta che si apriva sulla sua destra lo indusse a girarsi. Lei apparve, lo vide, si appoggiò allo stipite e infine mise le mani sul ventre.
La guardò incuriosito. Kim era pallidissima, la mano che aveva alzato per sfiorarsi la fronte tremava visibilmente. Si era tolta la giacca, la camicia senza maniche rivelava un paio di braccia toniche e snelle. Sul polso sottile brillava un orologio d'oro. Quasi animati da una volontà propria, i suoi occhi indugiarono sul solco fra i seni che appariva dalla scollatura.
Travolto da una marea di ricordi erotici, distolse lo sguardo. Il profumo della sua pelle, l'abbandono con cui si era donata a lui, la generosità del suo corpo, tutti dettagli che si combinarono per aggredirgli i sensi.
Un'aggressione dalla quale non gli era possibile difendersi. Tuttavia... Tuttavia qualcos'altro attirò la sua attenzione. L'espressione sgomenta dipinta sul suo viso, per la precisione.
«Stai bene, gatinha?» domandò, annullando la distanza che li separava.
Lei arretrò di scatto, si avvicinò alla scrivania, spostò una penna.
Non era solo nervosa.
Era sconvolta.
«No, non sto bene» replicò Kim scrollando le spalle. «D'altra parte non è una sorpresa, poiché tu sei qui.»
«La mia presenza ti fa star male?» chiese Diego, un sopracciglio aggrottato.
«La tua presenza mi induce a rammentare episodi che preferirei dimenticare» precisò lei, stringendo le mani sul bordo della scrivania.
«Anche le parti positive? Anche quando, per esempio, gemevi di piacere fra le mie braccia?»
Il viso in fiamme, Kim raddrizzò la schiena e tornò nell'area soggiorno, dove si accomodò su una poltrona. «Cosa vuoi, Diego?» domandò.
Ora era di nuovo calma e controllata, notò Diego, del tutto padrona di sé. E aveva di nuovo assunto quell'aria di superiorità che lui detestava tanto, anche se l'ultima volta che si erano visti era sceso dal letto lasciandola nuda fra le lenzuola, si era vestito e le aveva comunicato che la loro storia era finita.