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La legge sei sensi
La legge sei sensi
La legge sei sensi
E-book190 pagine2 ore

La legge sei sensi

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Info su questo ebook

Una ricetta perfetta firmata da Jo Leigh: trasgressione quanto basta, una buona dose di fantasia e un pizzico di sentimento. Perché senza anche il sesso migliore risulta insipido.

Margot Janowitz è un'eccentrica per natura. Non per niente si guadagna da vivere preparando piatti golosissimi per gli spot pubblicitari in televisione. È una vera artista nel creare capolavori che sembrano aver scritto sopra mangiami a caratteri cubitali. Peccato che non possa dire lo stesso di se stessa. La sua vita sessuale recita calma piatta e Margot comincia a essere stanca.

L'architetto Daniel Houghton III è convinto di essere finito in una gabbia di matti. Gli basta una cena con i nuovi vicini per rendersene conto. Fino a quando incontra Margot, prorompente e disinibita, e capisce che le sue notti da quel momento saranno molto meno solitarie.

Jason Parker non ha mai affrontato un incarico tanto singolare: deve pedinare una splendida bionda dal comportamento sospetto. Jason sa bene che il suo lavoro non prevede distrazioni di nessun tipo, ma come resistere a tanta prorompente sensualità quando, una notte, lei si spinge oltre e lo seduce?
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2016
ISBN9788858948460
La legge sei sensi
Autore

Jo Leigh

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    La legge sei sensi - Jo Leigh

    successivo.

    1

    La lattuga faceva schifo. Fantastico. Proprio il modo migliore per presentarsi da Whompies come food stylist il primo giorno. Sì, proprio Whompies, quello degli hamburger di filetto Angus con le speciali patatine fritte. Ovviamente lei non lavorava direttamente per Whompies, ma per Galloway & Donnelly, una delle migliori agenzie pubblicitarie di Manhattan. I quali, se avessero apprezzato questo lavoro, avrebbero potuto assumerla definitivamente, cosa che, per dirla con le parole di zia Sadie, sarebbe stata una benedizione. Galloway & Donnelly pagavano fior di soldi, e si assicuravano sempre i lavori migliori.

    Da parte sua, lei aveva già fatto delle buone presentazioni. Quella per Bon Appétit era stata strepitosa. Ma lavorare regolarmente per G & D sarebbe stato il punto di arrivo. Dopo cinque o sei anni con loro, il nome di Margot Janowitz sarebbe stato una garanzia per chiunque, consentendole di tornare a lavorare in proprio. Avrebbe potuto chiedere la luna... e ottenerla.

    Ma prima doveva rendere appetitosa un'insalata appena passabile. Estrasse la sua agenda e si diresse in cucina, inciampando quasi nei cavi dello studio Stage Four. Avrebbe trascorso parecchio tempo lì, nei prossimi cinque mesi. Non continuamente, visto che tra una ripresa e l'altra avrebbe dovuto continuare a preparare manicaretti anche per le pubblicità sui giornali, ma il fatto di lavorare per la prima volta per la TV la mandava letteralmente in fibrillazione.

    Nella cucina del set, due cameraman mangiavano cibo cinese da asporto con i piedi comodamente appoggiati al tavolo bianco. Margot si sforzò di non dare in escandescenze. «Sapete a cosa serve questo tavolo?»

    Uno dei due, un ventenne dai capelli unti, replicò a bocca piena: «Eh?».

    «Ho detto, sapete a cosa serve questo tavolo?»

    Scosse la testa inghiottendo il boccone.

    «È un tavolo per la preparazione del cibo. Cibo vero. E, soprattutto, non sopporto l'odore dei piedi altrui.»

    Entrambi i ragazzi levarono i piedi dal tavolo, senza smettere di sgranocchiare.

    «Sciò, via, sparite!» intimò Margot, mentre i due raggiungevano l'area riservata allo staff.

    Finalmente era sola. Erano le cinque e mezza di mattina e le pietanze dovevano essere pronte per le otto. Il resto del personale, che aveva già incontrato, sarebbe arrivato presto. Stando alle sue precedenti esperienze, ci sarebbero stati un altro stylist e tre o quattro assistenti. Il che era una manna: tutto ciò che doveva fare era procurarsi dell'insalata fresca e croccante. Facile facile. Dopotutto aveva una lista di fornitori lunga un miglio. E allora perché il cuore le batteva come un assolo di batteria dei Led Zeppelin?

    Inspirò a fondo. Era un lavoro uguale a tutti gli altri di cui si era occupata prima. In veste di assistente, però. Questa volta, invece, era lei la responsabile.

    Doveva esserne fiera. Aveva lavorato come una matta per questo risultato e d'ora in poi avrebbe raccolto un trionfo dopo l'altro. Sapeva cosa fare e come farlo. Liscio come l'olio.

    Tornò sul set principale dove altra gente era arrivata. Non conosceva nessuno, per il momento, ma presto si sarebbe creato quello spirito di cameratismo ideale per lavorare bene, quel genere di cooperazione che serviva ad alleggerire e a rendere più produttive le ore di lavoro.

    Adorava questo aspetto della sua professione, letteralmente. Sentirsi parte di una squadra. Questo era il bello di fare televisione.

    Il cellulare vibrò nella tasca del grembiule. Lo aprì, l'auricolare già al suo posto, come da programma. «Margot. Chi parla?»

    «Il tuo più caro amico.»

    Margot sorrise alla voce del suo vicino, mentre si avvicinava al tavolo per prendere un caffè. «Ciao, Devon. Cosa mi racconti?»

    «Volevo solo sentire come sta andando il primo giorno.»

    «Be', a parte le telefonate all'alba, direi a meraviglia.»

    Dall'altra parte del filo si udì uno sbadiglio feroce. «Sto per andare a letto. Oggi si trasferisce l'inquilino nuovo.»

    «Hai scoperto qualcos'altro su di lui?»

    Devon ridacchiò. «Eric pensa che sia etero.»

    Margot passò in rassegna i nuovi arrivati al tavolo delle ciambelle. «Dio benedica Eric.»

    «Lui non sbaglia mai. Dice anche che è un fusto di prima categoria, nonostante l'abbia visto vestito.»

    «Mi sorprende che non sia caduto fulminato.»

    Devon rise. «Sono stanco morto. Stendili tutti, piccola. Ci sentiamo domani.»

    Margot chiuse la comunicazione quando ormai era il suo turno alla macchinetta per il caffè. Stava per presentarsi alla donna davanti a lei, così, per cominciare a conoscere qualcuno, quando il telefono squillò di nuovo.

    «Margot.»

    «Ciao, tesoro.»

    «Mamma.»

    «Non ti ho svegliata, vero?»

    «No, sono in piedi dalle tre e mezza.»

    «Ma non va bene. Non dormi?»

    «Lavoro nuovo. Ricordi?»

    «Certo. È per questo che ti sto chiamando, per augurarti in bocca al lupo.»

    «È molto carino da parte tua, mamma. Purtroppo sono nel bel mezzo di...»

    «Faresti qualcosa per me?»

    Margot sospirò. Sganciarsi da sua madre al telefono era un'impresa titanica. «Cosa?»

    «Parlagli.»

    Il lui in questione era suo padre. «Cosa c'è questa volta?»

    «Ha ordinato cinque casse di piatti rotti!»

    «Sei sicura che siano tutti rotti?»

    «Se non lo sono, lo diventeranno non appena glieli tirerò addosso. Ma dimmi tu se si può: cinque casse! Perché?»

    «Non so, mamma. Avrà avuto le sue ragioni.»

    «Ma quali ragioni! E adesso dice anche che ci serve un nuovo deposito per la merce!»

    «Gli parlerò, mamma, ma adesso devo lasciarti.»

    «Okay, tesoro. Ci sentiamo più tardi.»

    Non erano ancora le sei e si erano fatti sentire quasi tutti. Mancava solo Corrie, l'altra sua vicina, ma magari l'avrebbe chiamata anche lei, prima delle sette.

    In fondo le andava bene così, però. Le piaceva circondarsi di amici, e la cooperativa di Chelsea in cui viveva era un vero e proprio centro di aggregazione, pieno di persone straordinarie a cui aveva imparato a voler bene. Un mese prima il povero Seth Boronski era mancato, lasciando libero il suo appartamento al secondo piano che era stato comperato da un certo Daniel la settimana prima. Margot non sapeva niente di più su di lui, stranamente per lei, visto che conosceva vita, morte e miracoli degli abitanti del numero 18 della sedicesima strada.

    Ma da giorni ormai il nuovo lavoro era l'unica cosa a cui riusciva a pensare. Avrebbe avuto tempo per conoscere Daniel domenica, alla cena settimanale del palazzo.

    Per ora, la sua priorità era la lattuga.

    Daniel trasalì mentre i suoi amici Terry e Bill sballottavano malamente la testiera di quercia. «Accidenti, state attenti con quella.»

    Bill lo guardò in tralice. «Lo sai cosa ci puoi fare con i tuoi consigli?»

    «È un pezzo del diciottesimo secolo!»

    Terry interruppe la diatriba con un'imprecazione.

    «Mettetela lì» li istruì Daniel facendo strada in camera da letto.

    I due uomini, amici dai tempi dell'università, posarono la testiera con un grugnito. «Mi raccomando, scegliti dei mobili più pesanti la prossima volta.»

    «Farò del mio meglio» borbottò Daniel, ansioso di tornare al camion, dove Steve controllava il resto dei suoi beni. Aveva ordinato le pizze di lì a un'ora e sperava di finire il trasloco in tempo. «Coraggio, c'è ancora il resto del letto.»

    Terry, che era già grosso ai tempi dell'università e lo era ancora di più ora che faceva l'agente di borsa, si asciugò il sudore dalla fronte. «Non riesco a credere che tu mi abbia convinto a fare una cosa simile, di giovedì per giunta. Sto perdendo milioni, e per cosa, poi? Per sudare come un asino.»

    «Ma se sei in vacanza! Inoltre, non ricordo di aver dovuto faticare molto per convincerti.»

    «Bella vacanza. Dovevo andarmene ad Aruba, a fare il pieno di sole, altro che storie.»

    «Ehi, e io, allora?» intervenne Bill. «Io non sono nemmeno in vacanza.»

    «Tu sei sempre in vacanza» lo sfotté Terry.

    «Però avevo offerto di pagare dei professionisti per il trasloco.»

    Daniel rise. «È questo che mi piace di te, Bill. Quando non sai cosa fare, sperperi denaro.»

    Bill scrollò le spalle. Era ancora un bel ragazzo, sebbene la vita dissennata che conduceva cominciasse a lasciare dei segni sul suo viso. Erede di un'immensa fortuna, aveva lasciato le redini dell'attività di famiglia al fratello minore per dedicarsi a uno stile di vita completamente dissoluto. Ma era talmente generoso che difficilmente qualcuno osava redarguirlo e tutti i suoi amici gli volevano un bene dell'anima. Eppure Daniel non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui...

    Salirono sull'ascensore e si appoggiarono alle pareti, esausti. Daniel non riusciva ancora a credere di avercela fatta. Aveva lasciato Greenwich, Connecticut, e si era trasferito nella Grande Mela. Già il fatto di non esser più un pendolare valeva la pena, ma aver trovato casa a Chelsea, be', era semplicemente incredibile.

    Chelsea. Tutti la conoscevano. Tutti sapevano come la scena artistica ne aveva modificato il tessuto urbano sul finire degli anni Ottanta, quando la gente aveva cominciato a lasciare il Village in massa a causa del rincaro degli affitti, trasferendosi qui, riadattando loft e trasformando vecchi magazzini in cooperative di lusso. Inizialmente il quartiere era stato soprattutto gay, ma attualmente era abitato da un mix eclettico, quel mix che rendeva Chelsea vivace e vibrante, il posto ideale per Daniel.

    Uscirono dall'edificio e si diressero verso il camion parcheggiato in doppia fila. Steve li aspettava appoggiato al paraurti posteriore. Alzò un indice con aria interrogativa. «Il letto?»

    «Sì» confermò Daniel. «E ti annuncio che è il tuo turno, quindi vedi di darti una mossa.»

    Steve si rivolse agli altri due. «Ma vi rendete conto?»

    «Dopo queste parole direi di fargli trasportare il materasso da solo» propose Bill.

    «Sentite, la pizza arriva tra un'ora e a me piacerebbe mangiarla calda.»

    Terry accennò a fargli il verso, ma Daniel non gli fece caso. Salì sul camion seguito dagli altri ragazzi. Questa volta fu Bill a restare di guardia, ma riuscirono comunque a trasportare il materasso di sopra senza il suo aiuto. Una volta arrivati sulla soglia dell'appartamento, una donna li accolse inaspettatamente.

    «Ciao» li salutò sorridendo. «Benvenuto nel palazzo. Io sono Corrie, del trecentodue. Abito qui con mio marito Nels.»

    «Piacere, Daniel.» Le porse la mano. «Daniel Houghton Terzo.»

    Lei gli porse a sua volta la sua. «Di solito la domenica abbiamo una cena comune» gli disse. «Vengono tutti. Passiamo da un appartamento all'altro, organizziamo cose... aperitivi, insalate, piatti unici...» Arrossì, rivelando un'aria quasi da ragazzina. «Comunque, visto che sei appena arrivato nessuno ti chiederà di cucinare, ma mi raccomando, fatti vedere.»

    Daniel annuì. «Ne sarò lieto.»

    Lei gli sorrise di rimando. «Bene. Cominciamo alle cinque e... Be', se vuoi puoi portare una bottiglia di vino, magari...» Arrossì ancora.

    «D'accordo.»

    «Ciao, allora.»

    «Ciao.»

    Non appena Corrie scomparve dietro la porta di casa sua Terry commentò: «Adesso capisco».

    «Cosa, capisci?»

    «Perché ti sei trasferito qui. È arcinoto che questo è un quartiere con una certa penuria di maschi eterosessuali. Così le donne hanno meno uomini tra cui scegliere.» Si voltò verso Steve. «Il ragazzo non è scemo come sembra.»

    «Grazie, grazie. Troppo buono. E ora che ne dici di muovere le chiappe e tornare al lavoro?»

    Mancava ancora poco e avrebbero finito, poi avrebbe avuto quattro giorni per disfare gli scatoloni. Infine, di nuovo al lavoro, da Kogen, Teasdale & Webster, uno degli studi di architettura più affermati della città.

    Daniel controllò l'orologio. Ancora tre ore o giù di lì e sarebbe rimasto solo. Non che non apprezzasse la compagnia degli amici, ma voleva rendere quel posto abitabile il più presto possibile, in modo da dare il via a questa nuova fase della sua vita.

    E poi, perché no, pure la cena con i nuovi vicini.

    «Oh, mio Dio, è così carino! Ti giuro, Margot. Sarà alto un metro e ottanta o poco più, ha questi capelli scurissimi con un taglio totalmente fuori moda, porta degli occhiali, rotondi, che sembrano usciti dagli anni Ottanta e ha i jeans sti-ra-ti! Con la maglietta infilata dentro! Se non fossi sposata me lo mangerei col cucchiaino.»

    Margot non poté fare a meno di ridere. «Verrà domenica?»

    «Sì, sarà dei nostri. Oh, Dio, un vero bambolotto. Da' retta a me, con questo tipo ci divertiremo un mondo.»

    «Vuoi rifargli il look?»

    «Da capo a piedi. E ti ho parlato delle sue scarpe da ginnastica?»

    «No. Ma dovremo rinviare, ho un sacco di cose da fare adesso.»

    «Oh, sono una vera stupida. È il tuo primo giorno con questo nuovo lavoro e io sto qui a tediarti con Daniel.»

    «Non preoccuparti. Ci risentiamo più tardi, okay?»

    «Okay. Mi raccomando, in bocca al lupo.»

    «Crepi. Ciao.» Margot chiuse la comunicazione e osservò Bettina, uno

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