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La Modista di Bombay
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E-book577 pagine7 ore

La Modista di Bombay

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Info su questo ebook

India, Bombay, 24 ottobre 1892
Il monsone si sta ritirando, quando il piroscafo Osiris attracca al porto di Bombay.
Insieme a mercanti, cartografi, militari e gentildonne inglesi, ne discende una giovane vedova proveniente da Liverpool. Sguardo fiero e maniere raffinate, Kathleen Allelby ha attraversato il mare per realizzare il sogno di aprire una boutique nella città indiana. Non tutto ciò che afferma, però, corrisponde al vero. Il suo passato è segnato da violenza e abusi, per questo motivo ha intrapreso un viaggio che mettesse più distanza possibile tra lei e l'Inghilterra. Desidera solo poter ricominciare da capo ed essere libera, ma, quando proprio il passato la raggiunge in quell'angolo d'Impero, si convince che per lei non potrà mai avere alcuna possibilità di riscatto.
Per il capitano Adrian Hayter, l'Esercito è la vita. Crede nella Patria, nell'Onore e nella Disciplina. Figlio di un eroe di guerra, ha lavorato duramente per ottenere rispetto e ubbidienza. Tuttavia, le sue origini sono da sempre oggetto di indiscrezioni e maldicenze, ed è quindi imperativo per lui agire con prudenza, affinché nulla possa macchiare la sua reputazione. Incontrare a Bombay l'unica donna che desidera, ma che non può avere, costituisce una tentazione contro la quale sarà costretto a combattere.
Le regole della società li divideno, ma a unirli è un sentimento capace di mettere in discussione ogni loro certezza. Tra i colori ei profumi dell'India coloniale, un uomo e una donna rivendicano il loro diritto di vivere.
Ma tutto ha un prezzo, anche l'amore.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2020
ISBN9788855311502
La Modista di Bombay

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    Anteprima del libro

    La Modista di Bombay - Estelle Hunt

    La Modista di Bombay

    La Modista di Bombay

    Amori di Fine Secolo - Vol. 2

    Estelle Hunt

    Hope Edizioni

    Titolo: La Modista di Bombay

    Serie: Amori di Fine Secolo Vol. 2

    Autrice: Estelle Hunt

    Copyright © 2020 Hope Edizioni

    Copyright © 2020 Estelle Hunt


    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    ISBN EBOOK: 9788855311502


    Progetto grafico di copertina a cura di Angelice Graphics

    Immagini su licenza Period Images.com e Bigstockphoto.com

    Fotografo: f9photos

    Editing: Annamaria Lucchese

    Correzione di bozze: Cristiana Pergolari

    Impaginazione digitale: Hope Team


    Questo libro è concesso in uso esclusivamente per il vostro intrattenimento personale. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in qualunque forma o con qualsiasi mezzo elettronico o meccanico, compresi i sistemi di memorizzazione e recupero delle informazioni, senza il permesso scritto dell’autore, tranne nel caso di brevi citazioni contenute in una recensione. Se state leggendo questo libro e non lo avete comprato, per favore, scoprite dove potete acquistarne una copia. Vi preghiamo di rispettare il lavoro dell’autore. Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, avvenimenti o luoghi è puramente casuale.

    Tutti i diritti riservati.


    Prima edizione digitale settembre 2020

    Indice

    Capitolo Uno

    Capitolo Due

    Capitolo Tre

    Capitolo Quattro

    Capitolo Cinque

    Capitolo Sei

    Capitolo Sette

    Capitolo Otto

    Capitolo Nove

    Capitolo Dieci

    Capitolo Undici

    Capitolo Dodici

    Capitolo Tredici

    Capitolo Quattordici

    Capitolo Quindici

    Capitolo Sedici

    Capitolo Diciassette

    Capitolo Diciotto

    Capitolo Diciannove

    Capitolo Venti

    Capitolo Ventuno

    Capitolo Ventidue

    Capitolo Ventitré

    Capitolo Ventiquattro

    Capitolo Venticinque

    Capitolo Ventisei

    Capitolo Ventisette

    Capitolo Ventotto

    Capitolo Ventinove

    Capitolo Trenta

    Capitolo Trentuno

    Capitolo Trentadue

    Capitolo Trentatré

    Capitolo Trentaquattro

    Capitolo Trentacinque

    Capitolo Trentasei

    Capitolo Trentasette

    Capitolo Trentotto

    Capitolo Trentanove

    Epilogo

    Glossario

    Nota dell’autrice

    Ringraziamenti

    Hope Edizioni

    Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia.

    Alessandro Manzoni, I Promessi sposi

    Capitolo Uno

    St Ives, Huntingdonshire, 1891


    La fossa si apriva sul terreno come una ferita. La bara, sorretta da funi robuste, venne fatta scivolare piano verso il basso, accompagnata dai gemiti di fatica dei becchini. Stretta in un dolore sordo, Kathleen fissava la cassa semplice, priva di orpelli proprio come era stato suo padre che ora giaceva tra quelle assi di legno. Rabbrividì quando venne investita da un refolo di vento, senza che lo sguardo riuscisse ad abbandonare il lento discendere di ciò che restava di Samuel Allelby: marito devoto, padre amorevole, indefesso sostenitore dell’arte e della parola scritta.

    La bara atterrò con un tonfo sordo, le corde vennero ritirate. Kathleen si abbassò per afferrare una manciata di morbido terriccio, lo strinse nel pugno mentre si avvicinava al bordo e fissava il coperchio ancora lucido per il passaggio della mano dell’ebanista. Allungò il braccio, aprì la mano e lasciò che la terra piovesse a sporcare l’immacolata perfezione del legno.

    «Vieni, bambina.»

    La zia Maggie le circondò le spalle e la allontanò, mentre i becchini lavoravano con le pale per chiudere la sepoltura. Kathleen non pianse. Dal momento in cui suo padre aveva tratto l’ultimo respiro gli occhi le si erano prosciugati come il letto di un fiume in secca.

    La madre era stata stroncata da una tosse che non le aveva dato tregua, finché dalla gola non era scaturito più alcun suono. Suo padre l’aveva seguita poche settimane più tardi, ucciso non dalla malattia, ma dal suo stesso dolore. Kathleen era rimasta sola, senza mezzi per mantenersi e senza una casa.

    «Andiamo, Katie, qui non c’è più nulla che tu possa fare» insistette l’anziana, tirandola verso l’uscita del piccolo cimitero.

    Si lasciò condurre via, incedendo tra due ali di volti contriti, seguita da sguardi più curiosi che addolorati e quando osò sollevare il volto, incontrò gli occhi cerulei di Robert Allen. L’uomo si affrettò ad abbassare il capo, sfuggendo alla domanda che da mesi giaceva sospesa tra loro.

    «Una bella tazza di tè è quello che ci vuole per tirarsi su» propose la zia, mentre si incamminavano lungo un sentiero frangiato da lunghi steli d’erba.

    Kathleen strinse le labbra e ingoiò le parole amare incastrate in gola.

    Sua zia possedeva il dono di mutare atteggiamento a seconda delle occasioni. Nessuno avrebbe potuto immaginare, guardando il suo fare materno, la realtà dei fatti, ovvero che la stava cacciando dalla sua casa. Il cottage della donna comparve dietro la curva. Era piccolo, ordinato e decoroso, ma, come amava ripetere Maggie, insufficiente a ospitare due persone.

    Una volta varcata la soglia, si tolsero i soprabiti e i cappellini, poi Kathleen attizzò ciò che era rimasto del fuoco, allungando brevemente le mani per dissipare il gelo raccolto sulla punta delle dita. Andò a preparare il tè, persistendo in un silenzio che era l’attesa, o meglio, la convinzione che altra sofferenza avrebbe rabboccato quella già esistente. La zia terminò di bere, seduta a fianco della nipote sul vecchio divano foderato di pesante tessuto. Il freddo saliva in volute dalle assi di legno del pavimento, una pioggia fitta e sottile cominciò a picchiettare sui vetri e persino il fuoco parve rattrappirsi in quel lento avanzare della sera.

    «Non puoi restare, Katie» esordì la zia, posando la tazzina sul tavolo. «Io sono anziana e tu... tu dovresti trovare un marito, ecco! Hai passato da un pezzo l’età per sposarti.»

    La fanciulla ingoiò a fatica il tè e appoggiò la tazza sul piattino facendo traboccare il liquido.

    «Lo farei, zia, se ci fosse qualcuno disposto a prendermi in moglie...»

    «Il signor Allen sembrava aver mostrato un certo interesse nei tuoi confronti.»

    «L’interesse di Robert si è rivelato più effimero della vita di una farfalla.»

    «Santi numi, perché mai?» Come colta da una folgorazione, la zia Maggie sbarrò gli occhi e raddrizzò la schiena. «È stato irriguardoso? Non ha mantenuto una promessa? Puoi dirmelo, Katie, suo padre è un uomo rispettabile e non mancherà di redarguire il figlio in tal senso!»

    C’era stato un bacio, in effetti, e parole piene di ammirazione, ma una donna senza dote era un peso che un uomo ambizioso come Robert Allen non si sarebbe mai accollato, non dopo aver ricevuto, e accettato, il ruolo di assistente a un giudice di Stroud, nel Gloucestershire.

    Sorrise, sperando di stemperare gli animi. «Robert non mi ha fatto promesse e si è sempre comportato correttamente.»

    La zia Maggie sbuffò. «Perciò, cosa dobbiamo fare di te? Hai perduto il lavoro dagli Harper...»

    Kathleen si abbracciò il busto. «Mi hanno licenziata! Ma come avrei potuto abbandonare mia madre sul letto di morte?»

    «Forse si sono rivelati eccessivamente rigorosi, tanto più che lavoravi per loro da molti anni. Qui non puoi rimanere, e il cielo sa che ti accoglierei a braccia aperte, se avessi una casa più grande. Ma saremmo solo di intralcio l’una all’altra...» terminò teatralmente.

    Kathleen avrebbe dormito su quel divano malmesso, lucidato il pavimento e curato il piccolo orto nel retro del cottage se le fosse stato permesso. Stentava a credere che la zia l’avrebbe mandata alla ventura in un mondo capace solo di chiuderle porte in faccia, quando aveva affermato più volte di considerarla come la figlia che non aveva mai avuto. Parole vuote, pronunciate per ispirare compassione.

    «Non disperiamo, sono certa che troveremo una soluzione» concluse l’altra, battendole piano sul braccio.

    Quella notte, Kathleen non dormì affatto. La luna piena inondava la stanza di luce lattiginosa, la zia Maggie russava senza sosta e la mente vagava in cerca di immagini con cui imbastire i ricordi. In un’altra circostanza si sarebbe permessa di piangere le proprie perdite, ma la preoccupazione per il futuro soverchiava il dolore e la mente si arrovellava in cerca di una soluzione. Sollevò una mano e con un dito percorse i piccoli calli sul palmo, minuscole cicatrici biancheggianti, e ringraziò sua madre per averle insegnato un mestiere e il signor Harper per averle permesso di perfezionarsi nell’arte del cucito, sebbene non si fosse fatto scrupolo di toglierle il lavoro, tacciandola di negligenza.

    Col nuovo giorno, la zia Maggie parve meno incline a tessere nuovi progetti, concedendole l’illusione che nulla sarebbe cambiato nella sua vita. Si accomiatò dalla nipote in tarda mattinata, allontanandosi con un passo eccessivamente baldanzoso per le gramaglie indossate.

    Kathleen spazzò il pavimento, strappò le erbacce cresciute tra le zucche e l’aquilegia, poi non avendo più nulla da fare, a parte commiserarsi, si incamminò verso il fiume, imboccando una stradina che ne seguiva il percorso. Aveva perlustrato quel tratto molte volte insieme a suo padre, mentre ascoltava racconti di luoghi lontani da lui appresi attraverso le pagine dei libri, o fantasticava sulla vita delle grandi città, Londra, Parigi, New York. Il mondo allora le appariva tanto grande e misterioso quanto la piccola realtà di St Ives modesta ma rassicurante.

    «Signorina Allelby!»

    Kathleen si voltò in direzione della voce virile e trattenne il fiato mentre Robert si affrettava verso di lei, poi gli diede le spalle fissando cieca la strada di fronte a sé. Quando la raggiunse, l’uomo si tolse il cappello e tergiversò, guardando prima lei, poi il cielo e viceversa.

    «Signor Allen.»

    «Kathleen...»

    «Signor Allen, cosa vi porta da queste parti?»

    L’uomo prese un respiro e si rigirò il copricapo tra le mani.

    «Come state?» Scosse la testa. «Che domanda sciocca, perdonatemi...»

    L’imbarazzo tra loro era tangibile come gli alberi che sfioravano con i rami il lento scorrere del fiume. Lei provò pena per il modo in cui Robert evitava il suo sguardo, per il rossore umido sulle guance piene, per le labbra che si muovevano appena come in cerca di qualcosa da dire.

    Fu Kathleen a sollevarlo dall’impaccio. «Oggi è una bella giornata.»

    Robert non trattenne il sospiro di sollievo. «E sembra incredibile, dopo la pioggia di stanotte.»

    Mossero pochi passi, prima che lui trovasse il coraggio di giungere al dunque.

    «Ho saputo che il signor Harper non si è comportato da gentiluomo...»

    «Curioso modo di definire una persona priva di scrupoli» lo interruppe Kathleen, «che per mero interesse ha licenziato una donna desiderosa solo di assistere i propri cari.»

    Di nuovo cadde un silenzio che Kathleen si rifiutò di spezzare ancora.

    «Signorina Allelby, io... Non vorrei che dopo... dopo l’episodio... insomma...»

    «Dite ciò che dovete, Robert. O se preferite, vi esimerò da questo fardello. Dovreste sapere che in un piccolo paese le voci corrono veloci. Sposerete Helena, so già tutto.»

    Robert annaspò come un pesce e il rossore sulle sue guance si intensificò fino a incendiargli le orecchie. «Signorina Allelby, sono stato costretto!»

    «Lo immagino» rispose lei con marcato sarcasmo. «Vi auguro una vita felice, figli in abbondanza...»

    «Avrei voluto sposare voi!»

    Non lo aveva mai sentito gridare, perciò si fermò per voltarsi e fissarlo a bocca aperta.

    «Avrei voluto sposare voi» proseguì Robert, voltandole le spalle. «Ma non ho potuto. Non ho potuto...» ripeté abbassando la voce e scuotendo il capo.

    Sembrava così affranto, in piedi di fronte a lei, la testa reclinata in avanti come i fiori quando stanno per morire. Non aveva parole consolatorie per se stessa, figurarsi se ne avrebbe trovate per lui. Lo superò per incamminarsi verso casa e Robert non la fermò.

    Maggie rientrò dopo di lei con un passo più disinvolto di quando era uscita e il sorriso soddisfatto di chi è riuscito a compiere un’impresa. Kathleen stava tagliando le patate e si fermò con il coltello a mezz’aria mentre la zia esordiva con «Ho trovato la soluzione ai nostri problemi!»

    «Oh...» rispose lei appoggiando il coltello sul tavolo.

    Non le cavò una parola di bocca e dovette attendere fin dopo cena per placare la curiosità. Ricominciò a piovere a dirotto e l’acqua prese a filtrare dal tetto, gocciolando proprio al centro del minuscolo vestibolo.

    Solo una candela era accesa, l’olezzo del sego faceva bruciare gli occhi, ma Maggie affermava che l’olio per le lampade costava troppo e che in qualche modo bisognava fare economia. Kathleen soffiò piano sul tè, voltandosi a guardare la zia. Quell’unica fiammella gettava più ombre che luci sul volto della parente, la linea cadente delle guance ne risultava esasperata e le orbite parevano cavità senza fondo. Era mostruosa, pensò, mentre distoglieva lo sguardo per la paura irragionevole che le incuteva, prima che Maggie cominciasse a raccontare.

    «Ho parlato a lungo con Natasha Burnes. Suo fratello è responsabile in una sartoria, a Londra.»

    Kathleen avvertì brividi spiacevoli propagarsi dalla nuca lungo le spalle. «Sì...»

    «Gli scriverà domani, nella speranza di avere sue notizie al più presto e che soprattutto siano la risposta alle nostre preghiere.»

    La zia soffiò sul tè, bevve e le lanciò una breve occhiata.

    Kathleen ammutolì. Una parte di sé aveva compreso, ma l’altra stentava a credere. Strinse le mani intorno alla tazza, in cerca del calore che andava dissipandosi nel freddo della stanza.

    Al protrarsi del silenzio, Maggie seguitò a parlare.

    «Londra è una grande città e tu dovrai prestare attenzione ai suoi pericoli, ma sei una ragazza giudiziosa, sono certa che saprai cavartela, purché tu prosegua sulla via della rettitudine.»

    Quando ritrovò la voce, questa le uscì distorta. «Devo recarmi a Londra?»

    «Nella sartoria dove lavora il signor Burnes. Non è magnifico? Una delle poche decisioni sensate prese dai tuoi genitori è stata quella di insegnarti un mestiere. Certo, non ho mai condiviso la necessità di farti leggere tutti quei libri. Avrebbero dovuto spronarti a trovare un marito, piuttosto» chiosò con durezza.

    La risposta uscì con un tono più alto del dovuto. «Volevano per me un matrimonio d’amore, proprio come il loro!»

    «Amore!» replicò l’altra, sprezzante. «Davvero vorresti difendere le scelte di tuo padre? Un uomo che si è lasciato morire di dolore, abbandonando una figlia!»

    «Mio padre era un uomo buono!»

    «L’amore rende egoisti. Samuel era ancora in vita quando avete dovuto vendere ogni cosa per pagare le cure della tua povera madre. Oh, povera, povera Vivien...» mormorò al buio.

    Finirono di bere il tè in silenzio, Kathleen aveva la gola incastrata dalle lacrime e non le sortì alcuna risposta. A quel punto le pareva inutile controbattere, in fondo la zia non aveva tutti i torti. I pezzi della loro esistenza erano andati scomparendo intorno a suo padre senza che lui se ne rendesse conto. Ogni quadro, suppellettile e mobile era stato venduto per saldare i conti salati del medico e quando non era rimasto più nulla, neppure un tetto sopra la testa, lui era scomparso come la prima nebbia del mattino.

    «Non mi sono mai allontanata da St Ives.»

    Persino in quella luce fioca percepì il fastidio di Maggie.

    «Londra è solo una città. Come un paese, ma con più palazzi, cavalli e persone.» La donna si alzò in piedi, soffiando sulla candela. «Buonanotte, Katie.»

    Rimase nel buio gelido, a osservare la pioggia scrosciare sui vetri. Aveva vissuto anni felici accanto ai suoi genitori e ora le stavano strappando via tutto, persino i ricordi. Si piegò su se stessa per sopportare il peso dell’ineluttabilità, ma il dolore la accoltellò dall’interno e la fece sanguinare dagli occhi.

    Capitolo Due

    «Kathleen cara, asciugati le guance e cerca di calmarti, o farai piangere anche me.»

    La zia Maggie tirò su con il naso in maniera assai poco elegante, prima di estrarre un fazzoletto dalla manica del vestito. Kathleen non scorse lacrime nei suoi occhi e sospettò che tutta quella contrizione fosse dovuta più alla febbre da fieno che al dispiacere di veder partire la sua unica nipote.

    Si pulì il viso con le dita come le era stato ordinato e alzò il mento, risoluta a mostrarsi forte davanti a quella vecchia megera.

    «Non vi preoccupate, zia. Andrà tutto bene, ne sono certa. Vi scriverò ogni settimana per mettervi al corrente delle novità e voi farete altrettanto, rassicurandomi sulla vostra buona salute.»

    La donna annuì, passando ancora il fazzoletto sulle gote asciutte, tanto che il cappellino mal assicurato alla chioma precipitò pericolosamente in avanti.

    «Sei una brava ragazza, Kathleen!»

    La fanciulla serrò la bocca per ingoiare le parole di biasimo che le si affollavano in gola, stringendosi nello scialle di lana grigia che era appartenuto a sua madre.

    La banchina della stazione di St Ives brulicava di viaggiatori in partenza verso Sud. Il capostazione passò loro davanti, salutandole con un cenno della testa. Kathleen osservò la lanterna e la bandierina che quello teneva in mano, pensando a quando da bambina suo padre la portava a guardare i treni in partenza e lei fantasticava su luoghi sconosciuti e lontani.

    Il carrello con i sacchi postali venne trasportato verso la coda del convoglio, dove erano stipate le merci, mentre gli ultimi passeggeri salivano in carrozza. Il momento del distacco dalla vita che conosceva era infine giunto. Si voltò verso il centro della cittadina, guardò la guglia della chiesa che svettava verso il cielo, simile al puntale con cui sua madre decorava l’albero di Natale. La sensazione che quella sarebbe stata l’ultima volta che fissava quel panorama le provocò una nuova ondata di disperazione.

    Strinse forte i manici della borsa di grosso tessuto nero, contenente i suoi pochi averi: un paio di vestiti, una camiciola, la lettera di referenze e i venti scellini raccolti dai vicini per aiutarla in quel difficile frangente.

    Abbracciò forte l’anziana parente. «Addio, zia» mormorò con voce rotta.

    La donna le accarezzò il viso con le mani ruvide e Kathleen scorse per la prima volta un luccicore nei suoi occhi.

    «Addio, Katie. Abbi cura di te. Mantieniti giudiziosa e segui i consigli della signora Burnes. È una donna saggia e accorta e conosce i pericoli di una città grande come Londra.»

    Il treno fischiò un addio.

    «Avrò cura di me, se voi mi promettete di fare altrettanto.»

    «Certo, certo, cara ragazza. Ma ora vai, aspettano solo te.»

    La spinse verso il treno, inducendola a salire. Il capostazione chiuse la porta e dopo poco il convoglio partì. Kathleen salutò la zia con la mano, senza preoccuparsi di frenare le lacrime. Rimase incollata al vetro dello sportello a fissare la stazione e la città dissolversi in lontananza, mentre il treno correva veloce.

    Solo allora si rese conto di essere davvero sola.

    Entrò nella carrozza di terza classe e cercò un posto libero. Si alzò sulle punte dei piedi per riporre la borsa sulla reticella, in alto, prontamente aiutata da un solerte giovanotto dal volto paonazzo che la guardava con ammirazione.

    «Vi ringrazio» lo liquidò Kathleen, prima di sedersi accanto a una matrona dall’aria arcigna. Cercò invano una posizione confortevole sul sedile di legno, mentre i volti della sua famiglia le tornavano alla memoria.

    «È la prima volta che vi allontanate da casa?»

    Kathleen si voltò verso una donna dal volto affabile, sul quale spiccavano vivaci occhi scuri sfumati di preoccupazione.

    «Sì, signora. Sto andando a Londra.»

    La donna annuì, arcuando le labbra in un sorriso tirato.

    «Siete giovane, mia cara. Qualunque cosa vi sia successa per indurvi ad andarvene, ricordate che avete tutta la vita davanti. Chiusa la porta, si apre un portone.»

    La fanciulla avvertì il sopraggiungere di una nuova ondata di tristezza. «Sono certa che mio padre mi avrebbe rivolto le stesse parole.»

    «Avete un parente ad attendervi a Londra?»

    «No, ma alloggerò presso il pensionato della Corbett & Dalloway. Uno dei loro responsabili è il fratello di una cara amica di famiglia.»

    «Ricordate di andare dritta verso la vostra destinazione. Londra è una città piena di gentaglia, pronta ad approfittarsi delle povere ragazze di campagna.»

    Kathleen era stanca di sentirsi rivolgere quelle parole. Sua zia, e la signora Burnes prima di lei, non avevano fatto che ripetere le stesse argomentazioni fino alla nausea. Sapeva di essere giovane e priva di esperienza, ma non era un’ingenua.

    La signora, che disse di chiamarsi Adelaide Withcomb, stava andando a Long Stanton a trovare la nipote che aveva dato alla luce il suo primo figlio. Le raccontò tutti i fatti rilevanti della sua famiglia suscitandole una tale sonnolenza, che riuscì a tenere gli occhi aperti solo grazie a uno sforzo erculeo.

    Quando Adelaide giunse a destinazione, la salutò sommergendola di raccomandazioni e auguri di buona fortuna. Kathleen non restò sola a lungo, perché venne circondata da una chiassosa famiglia diretta a Histon. I genitori ebbero un bel da fare a tenere a bada i quattro figli, e la madre si scusò per il baccano e per il disturbo, nonostante le rassicurazioni di Kathleen. Il bambino più piccolo si arrampicò sulle sue gambe, schiudendo la bocca in un sorriso che rivelò la mancanza dei due incisivi superiori.

    Lo strinse a sé, ricordando che un’orfana indigente non poteva permettersi il lusso di sperare in una famiglia tutta sua. Persuasa a non cedere alla commiserazione, si lasciò alle spalle il dispiacere delle vacue promesse di Robert e fece saltellare il bambino sulle gambe, scatenando la sua risata argentina.

    Affrontò l’ultimo tratto del viaggio da sola e la concitazione l’assalì repentina, come a ricordarle ciò cui stava andando incontro. Avrebbe affrontato l’ignoto e fatto affidamento solo sulle sue capacità. E se non fosse stata all’altezza del nuovo lavoro? Se le compagne l’avessero presa in antipatia? E Londra l’avrebbe delusa o ammaliata? Poi ripensò al padre e al suo sguardo gentile, a quando le portava nuovi romanzi che narravano di viaggi e avventure in luoghi esotici. Poteva considerare anche quella come un’avventura e Londra era quanto di più esotico potesse immaginare in quel momento.

    Il treno rallentò la corsa. Kathleen incollò il viso al finestrino e ammirò con occhi sbarrati la distesa di case grigie e le volute di fumo che si alzavano al cielo. Quella dunque era Londra. Si staccò, abbassando lo sguardo sulle mani intrecciate. Sentì un peso sul petto al pensiero di St Ives, con i suoi cottage, l’aria limpida e pulita, le piazze linde, il fiume dalle acque trasparenti che serpeggiava pacifico, solcato da barche e piccoli battelli.

    Tenne lo sguardo abbassato sulle ginocchia, in preda alla paura. Quando le ruote stridettero e il treno si fermò con un sussulto, prese un lungo respiro e osò guardare al di là del vetro. Ovunque posasse gli occhi era circondata da grigiore: grigi i treni, grigio il fumo che usciva a sbuffi dalle locomotive, grigie le persone che si affrettavano sulle banchine.

    Non ebbe più motivo di tergiversare. Si levò in piedi e afferrò la borsa dalla reticella, per poi avviarsi verso l’uscita. Scese i gradini con passo cauto e sollevò il volto verso il vetro dell’immensa volta dalla quale penetrava la luce sbiadita del primo pomeriggio. Un caldo innaturale la investì non appena mise piede sulla banchina. L’odore di fuliggine, mischiato a quello più acre di umanità, le provocò una tosse stizzosa. Oltre al concitato viavai di persone che si tiravano appresso bagagli voluminosi, osservò le file di binari occupate dai treni. La folla si muoveva veloce senza degnarla di uno sguardo e in mezzo a quella moltitudine si sentì persa.

    Si voltò indietro, incrociando lo sguardo del capotreno che non si era mosso dal predellino, indotto dalla sua evidente insicurezza a non perderla di vista. Vincendo la ritrosia si avvicinò all’uomo, mascherando il proprio turbamento con un sorriso.

    «Signore, devo recarmi in Gower Street...» Lasciò la domanda sospesa, guardandolo incerta.

    «Uscite dalla stazione, lì, da quella parte.» Il capotreno le indicò con un dito la grande porta a vetri «Dovete cercare l’omnibus diretto a Bloomsbury.»

    Kathleen lo guardò confusa. Non sapeva cosa fosse un omnibus, né dove si trovasse Bloomsbury, considerato che lei conosceva solo il nome della via dove si trovavano il negozio e il pensionato.

    Persuasa a mostrarsi sicura di sé, annuì con convincimento. «Vi ringrazio, siete stato di grande aiuto.»

    In fondo, rifletté, la sicurezza non era altro che un atteggiamento e se voleva diventare una vera londinese, non sarebbe stato un piccolo intoppo come il nome di un quartiere a fermarla.

    L’uomo si toccò il cappello e rientrò nel treno.

    Kathleen strinse i lembi dello scialle con una mano, mentre solcava la fiumana di gente, osservando di sottecchi gli abiti scuri degli uomini, molti dei quali indossavano la bombetta nera. Ormai era imperativo trovare la via per la sua nuova casa, mentre l’importanza di doversi mostrare all’altezza della situazione perdeva mordente. Tutto quello che la circondava, i treni, la gente, perfino la parlata che le giungeva alle orecchie, era diverso e nuovo e spaventoso. Uscì nella luce del pomeriggio proseguendo verso una strada larga, sul cui marciapiede si muoveva una fila di persone che guardavano avanti incuranti di quello che li circondava.

    Kathleen fu paralizzata dallo stupore e dalla curiosità. Lasciò i lembi dello scialle e voltò la testa in ogni direzione, per ammirare intimorita gli alti palazzi, le lunghe carrozze trainate da cavalli parcheggiate di fronte all’ingresso della stazione, sulle cui fiancate scorse la scritta General Omnibus Company.

    L’aria satura di fumo e polveri le lasciò in gola una traccia amara e le fece lacrimare gli occhi.

    Un monello le sfrecciò accanto, urtandola con forza, tanto da farle perdere la presa sui manici della borsa. Questa rovinò a terra, ma Kathleen non fece in tempo a piegarsi per prenderla, che ecco giungere un altro ragazzaccio dalla parte opposta. Questi fu lesto ad afferrare la sporta prima di lei e si dileguò in mezzo alla folla, una macchia nera nell’oscurità.

    Kathleen spalancò la bocca, portando le mani al viso.

    Aveva appena perduto tutto ciò che possedeva, compresi il denaro e la lettera di referenze senza la quale non poteva presentarsi al negozio e al pensionato.

    Boccheggiò in preda al panico, guardandosi intorno paralizzata dalla paura.

    «Oh, mio Dio! Oh, mio Dio...» mormorò a se stessa, con le mani tremanti e le lacrime prossime a sgorgare. Era nei guai: sola, in una città sconosciuta, senza mezzi di sostentamento.

    Sentì una mano posarsi gentilmente su un braccio. Si voltò di scatto, pronta a trovarsi di fronte al demonio, quando posò gli occhi su una signora di età indefinita, vestita di nero, il viso che faceva capolino dallo scialle avvolto intorno alle spalle e fin sopra la testa a coprire i capelli. Gli occhi scuri la fissavano dispiaciuti, la bocca piegata all’ingiù si aprì quel tanto che bastava per permetterle di parlare.

    «Mia cara, ho visto ciò che vi è accaduto. Monellacci di strada! Sono il male di Londra. Delinquenti! Meriterebbero la forca!»

    Kathleen si portò una mano al petto, sollevata nel constatare che non tutti, in quella città, erano indifferenti al prossimo.

    «Potete aiutarmi? Devo assolutamente tornare a casa...»

    «Da dove venite, piccola mia?» la interruppe la vecchia guardandola con uno scintillio negli occhi cui Kathleen non diede peso.

    «Da St Ives, nell’Huntingdonshire. Devo tornare a casa, questa città mi terrorizza. Mi hanno portato via tutto! I soldi, i vestiti, la lettera di referenze per il nuovo lavoro.»

    La donna sbarrò gli occhi, sollevando appena l’angolo della bocca.

    «A casa? No, piccola. Seguitemi, seguitemi! Dobbiamo recuperare la borsa.»

    «È davvero possibile?»

    «Per di qua» rispose e le afferrò la mano in una stretta vigorosa.

    La donna la trascinò lontano dagli omnibus, avanzando per le strade sporche, scansando i passanti, voltandosi ogni tanto indietro per incitarla ad affrettare il passo. Kathleen cercò di starle al fianco, l’altra mano che stringeva i lembi dello scialle. Imboccarono un vicolo buio e la ragazza, spaventata dai palazzi che incombevano ai lati coprendo la luce del sole, rallentò fin quasi a bloccarsi.

    «Venite, perché vi fermate? In fondo a questa strada si trovano gli agenti di polizia, loro vi aiuteranno a trovare la borsa, o a tornare a casa vostra.»

    Vinta l’esitazione, la ragazza mosse un passo dietro l’altro guardandosi intorno. Olezzi sconosciuti e ripugnanti le raggiunsero lo stomaco. Deglutì alla vista di mocciosi che giocavano mezzi nudi in pozzanghere melmose dove galleggiavano escrementi. Alcune donne, forse le stesse madri, indugiavano sugli usci delle case, le camicette aperte a rivelare generose porzioni di pelle, sul volto la stanchezza della miseria.

    Si sentì strattonare con forza, tanto che inciampò sul selciato dissestato. Sciolse la presa sullo scialle e raccolse le gonne, saltellando sui piedi per evitare le pozze fangose.

    «Veloce, veloce, non possiamo fermarci» la sollecitò la donna. «Non vedi che gentaglia?»

    Atterrita da quelle parole, Kathleen allungò il passo, notando come la postura della donna fosse mutata durante il tragitto. Se davanti alla stazione le era apparsa curva e rigida, ora ostentava una sconcertante fluidità nei movimenti.

    Imboccarono una serie di vicoli tetri, per sbucare infine in uno slargo dal selciato ben tenuto, sul quale si affacciavano una serie di costruzioni dalle facciate ordinate, con i vetri alle finestre e lanterne che illuminavano gli ingressi. Kathleen non ebbe tempo di studiare il nuovo ambiente, giacché la donna la tirò verso un uscio aperto e una volta varcata la scoglia, la lasciò andare per chiudere la porta dietro di loro.

    Kathleen sbatté le palpebre più volte per abituare la vista alla penombra, da cui emerse un ambiente lussuoso e decadente che la lasciò a bocca aperta.

    Poltrone e divani di velluto rosso erano disposti lungo una sala dalle pareti affrescate con immagini che all’inizio le parvero scene campestri, ma che a una seconda occhiata le provocarono un rossore diffuso su tutto il viso. Fanciulle e giovani discinti, che la fissavano quasi a dileggiarla, erano abbracciati in maniera sconveniente a figure strane, con corpi in parte umani e in parte animali. Una tenda cremisi ondeggiò e dal buio apparvero tre creature esotiche che Kathleen scrutò con curiosità, sbalordita per il volto imbellettato e le movenze lente e studiate. Indossavano semplici vestaglie dai colori sgargianti, per nulla preoccupate di mostrare i piedi nudi e i polpacci torniti.

    «E questa chi è?» esordì una di loro, girando intorno a Kathleen senza abbandonarla con lo sguardo.

    «L’ho trovata davanti a Liverpool Station, appena arrivata dall’Huntingdonshire.» La voce della donna la sorprese alle sue spalle. Kathleen si voltò di scatto, inorridendo di fronte al suo portamento dritto e fiero, alla massa di capelli neri che fino a un attimo prima era stata celata dallo scialle marrone. La guardava senza alcun riguardo, riponendo intanto l’indumento piegato su un tavolino.

    «Dove sono i poliziotti?»

    Sebbene la sua innocenza non le permettesse di comprendere appieno il genere di posto in cui quella donna l’aveva condotta, percepiva il maligno annidato tra i ricchi arredi. Come evocato dalle sue paure, il male si palesò nelle sembianze di un ragazzino vestito di stracci, che lanciò ai piedi di Kathleen la borsa rubata.

    «È lui!» gridò indicando il bambino che nel frattempo si era dileguato dietro la tenda. Le risatine delle donne le provocarono brividi di terrore e il ghigno dell’altra le fece accapponare la pelle.

    «Ma certo che è lui, piccola idiota. Da ora in poi mi chiamerai come tutte le altre, maman, e ti rivolgerai a me con il giusto rispetto, intesi?»

    Kathleen saettò con lo sguardo tra lei e le altre donne, che si erano accomodate sulle poltrone, incuranti delle gambe che sporgevano dalle vesti aperte.

    «Voglio tornare a casa...» la pregò.

    Mai, durante gli anni trascorsi nel suo villaggio, protetta dall’amore e dalla cura dei suoi genitori, aveva provato tanto terrore.

    «Questa è la tua nuova casa, signorina» replicò piccata l’altra, alzando il mento come a sfidarla.

    «Dove mi trovo? Chi siete?»

    Un lento, perfido sorriso increspò la bocca della donna, rivelando alcuni denti guasti.

    «Sei in un bordello. Io sono colei a cui dovrai ogni singolo attimo della tua vita, da ora e fino a che non mi tornerai più utile.»

    Kathleen scosse piano la testa, la bocca che tremava.

    «Co-cos’è un bordello?» bisbigliò, certa di essere precipitata in un incubo.

    Quella domanda scatenò nelle altre una risata divertita.

    «Un bordello, mia piccola campagnola di St Ives, è il posto dove le donne vendono il loro corpo. Sai come si accoppiano gli animali? Avrai ben visto un montone coprire le pecore?»

    Kathleen si lanciò verso la porta ma, prima che la mano potesse toccare la maniglia, maman le afferrò una manciata di capelli, tirandola indietro.

    Cadde a terra, battendo la spalla con violenza. Il dolore che si irradiò per il corpo non fu nulla in confronto alla disperazione che stava mettendo radici in lei. Non c’era scampo, era incappata in una delle insidie dalle quali era stata più volte messa in guardia. Le raccomandazioni della zia Maggie e della signora Burnes le tornarono alla memoria e assunsero un nuovo significato. Se avesse prestato più attenzione alle loro parole forse ora non si sarebbe trovata in un guaio di tali proporzioni. Se avesse tenuto ben stretti i manici della borsa, se non si fosse fidata dell’aspetto dimesso di una sconosciuta, se avesse ammesso la propria ignoranza con il capotreno, forse ora si sarebbe trovata sul primo treno diretto a St Ives, oppure al dormitorio della sartoria, ma non in quella casa dove con ogni probabilità avrebbe terminato la sua vita.

    Maman la afferrò per un braccio, rimettendola in piedi.

    «Te lo dirò ora e non lo ripeterò più. Fuori da queste mura ti aspetta la morte. Se farai ciò che ti dico, se obbedirai senza creare problemi, renderò piacevole la tua permanenza qui dentro. Se sarai furba, potrai persino trovare un protettore. Sei giovane e intatta e la vita può riservarti molte sorprese.»

    «Sorprese come questa?» la aggredì Kathleen, sorprendendo se stessa con la sua audacia.

    Maman sogghignò. «Piccola impertinente, scommetto la mano destra che dietro quel tuo fare ingenuo si nasconde una puledra selvaggia.»

    Batté le mani e subito dopo comparve una donna dai modi spicci e lo sguardo diretto. Al contrario delle altre, vestiva abiti semplici che la coprivano dal collo fino alla punta delle scarpe.

    «Lavala. Appena hai terminato chiamami per il controllo.»

    La nuova arrivata prese Kathleen per mano, ma lei si irrigidì puntando i piedi.

    Guardò maman sempre più confusa e poi le altre donne che osservavano la scena come incantate da quello spettacolo.

    «Quale controllo? Cosa mi farete?»

    Maman scosse piano la testa, sorridendo appena.

    «Devo accertarmi che tu non abbia i pidocchi, e se la mercanzia è intatta.»

    «Quale mercanzia?»

    «La tua verginità. Sarai venduta al miglior offerente.»

    Capitolo Tre

    La nuova arrivata la afferrò per un braccio, spingendola verso la tenda oltre la quale era sparito il ragazzino. La trascinò su per una scalinata che pareva non finire mai, poi svoltò in un corridoio stretto dove aleggiava un forte odore di cavolo e urina. Quella parte dell’edificio era spoglio e grigio, assai diverso dal salone tutto oro, cremisi e arredi sfarzosi che si erano lasciate alle spalle.

    «Piccole disgraziate, non hanno svuotato i vasi da notte...» bofonchiò l’altra, mentre apriva una porta, trascinandosi dietro Kathleen.

    La stanza era angusta e spartana. A parte un piccolo letto dal materasso sformato e la testata in metallo, c’erano un catino, una brocca sbeccata e una tinozza dove galleggiava un’acqua dal colore incerto. Kathleen fissò spaurita intorno a sé, mentre l’altra le si faceva addosso.

    La svestì con maniere sbrigative, accompagnando i gesti con parole abbaiate in una pronuncia acuta e nasale che le risultò sconosciuta. Non appena l’ebbe spogliata, le scansò in malo modo le mani con le quali tentava di coprirsi e arrivò persino a schiaffeggiarla.

    «Stupida ragazza, cosa pensavi di fare venendo a Londra, eh? Tutte a cercar fortuna e per che cosa?»

    La ficcò nella tinozza piena di acqua fredda e, con una pezza ruvida, prese a strofinarle la pelle delicata fino a farla diventare lucida e rossa.

    Le lacrime soffocarono qualunque risposta Kathleen avrebbe voluto darle. Si rattrappì su se stessa, mentre le mani arrivavano a toccarla in posti che lei si vergognava persino a nominare.

    «Mi chiamo Jane, comunque...» le disse con tono addolcito mentre le sfregava la schiena.

    Kathleen tirò su con il naso.

    «È inutile piangere, sai? Non cambia nulla.»

    «Do-dovrei es-sere felice?» domandò prima di rabbrividire con violenza.

    «Meglio qui che con un coltello piantato nella pancia. Poteva andarti peggio.»

    Le sollevò un braccio e passò lo straccio sotto l’ascella. «Meno male che non hai i pidocchi, maman odia dover aspettare.»

    «Anche tu sei...» Kathleen esitò. Non sapeva che nome avessero le creature chiuse in quella sorta di girone infernale.

    «Una puttana?» terminò Jane con una risatina stanca. «Un tempo, sì, prima che un cliente con il cazzo grosso come un cavallo mi rovinasse per sempre.»

    A quelle parole terribili le viscere della ragazza si torsero per il terrore.

    Jane le rovesciò addosso un secchio di acqua gelata, strappandole un grido acuto, poi la afferrò per un braccio e la fece alzare.

    «In piedi. Ah, cosa avrai da vergognarti, siamo fatte tutte allo stesso modo, cosa credi?»

    La avvolse in un telo di lino e la fece sedere di fronte al camino, dove prese a spazzolarle i lunghi capelli scuri.

    «Smettila di piangere, non otterrai nulla così!»

    Kathleen tirò su con il naso, scossa da brividi violenti e inarrestabili.

    «E cosa potrei ottenere, comunque? Non esiste un’anima caritatevole in questo posto dimenticato da Dio!»

    Il pettine scorreva tra le ciocche sciogliendo i nodi e tirando il cuoio capelluto. Lacrime di dolore e umiliazione cominciarono a fluire sul suo volto, mentre osservava le fiamme crepitanti nel camino. Il tepore del fuoco, unito al passaggio del pettine, la calmarono un poco e quando i capelli furono asciutti, Jane le ordinò di andare a sedersi sul giaciglio. Senza attendere risposta, come se fosse naturale vedere eseguiti i suoi comandi, aprì la porta e gridò che la ragazza era pronta. Maman entrò accompagnata da due fanciulle. Non parevano domestiche a giudicare dalle vesti sgargianti e, sebbene la loro giovinezza fosse incisa nella pelle levigata e luminosa, lo sguardo duro era depredato da qualunque residuo di innocenza.

    Kathleen si ritrasse davanti alla mano adunca della donna.

    «Capelli sani e lucidi» disse maman sollevandole una ciocca dalle spalle. «Fammi vedere il resto.»

    Kathleen strinse il telo intorno al corpo, deglutendo spaventata.

    Lo schiaffo giunse inaspettato e le fece voltare di scatto il viso. Sentì la guancia bruciare e il corpo soccombere a una nuova ondata di brividi.

    «Levati quel telo. Come ti chiami?»

    Chiuse gli occhi riflettendo sul fatto che, dopo tutti i soprusi e le violenze, quella donna non conosceva ancora il suo nome.

    «Ka-Kathleen Allelby.»

    «Bene, Kathleen Allelby di St Ives» la canzonò maman. «Nel momento in cui hai afferrato la mia mano davanti alla stazione sei diventata mia. Prima lo capirai, prima ti sarà facile accettarlo. Ora, togli quel telo e fammi vedere cosa nascondi là sotto.»

    Scosse la testa e serrò più forte la presa intorno al tessuto, mentre uno scottante calore le imporporava il viso e il collo, fino ai seni. Maman le mollò un altro schiaffo, prima di strapparle via il drappo umidiccio.

    Sotto gli occhi attenti e curiosi di quattro sconosciute, mostrava ciò che neppure lei aveva mai avuto il coraggio di guardare e di toccare.

    Maman inspirò forte dal naso.

    «Chi lo avrebbe mai detto! Un corpo da puttana, vali un mare di quattrini, ragazza!»

    Kathleen abbassò la testa, grata che i capelli le offrissero un misero riparo.

    «Tette grosse, vita sottile e fianchi rotondi. E le gambe! Ah, ragazza, frutterai a madame un tesoro! E ora, fammi controllare...»

    Si abbracciò il busto e ricominciò a singhiozzare. «No!» gridò, piegandosi su se stessa.

    Le quattro donne le furono sopra e la sopraffecero senza difficoltà.

    Maman tuffò le mani nei suoi capelli, aprì le ciocche, grattò la cute, tirò fino a farla gemere per il dolore.

    «Alza le braccia» la esortò, prima di indirizzare lo stesso rude trattamento alla peluria scura delle ascelle.

    «Ora sdraiati.»

    Kathleen serrò le cosce, prevedendo terrorizzata quale altra parte del suo corpo sarebbe stata perquisita.

    «Vi prego, no» piagnucolò irrigidendosi tutta.

    Con un cenno della testa, maman ordinò alle altre di procedere. Le furono sopra, bloccandola. Prese a dibattersi e a gridare, soggiogata dalla loro forza e crudeltà. Indifesa, annientata dalla disperazione, sentiva le dita della donna frugare, aprire la carne, toccarla in modo così intimo che dovette reprimere un conato di vomito.

    «È vergine» dichiarò trionfante l’altra, levandosi dritta.

    Una volta libera, Kathleen si abbracciò il corpo, portando le gambe al petto in un inutile e tardivo gesto di difesa. Tra le lacrime, vide aprirsi la porta per lasciare entrare un’altra donna.

    Era maestosa e bella nella semplicità di un abito che strideva con il grigiore della stanza. Persino maman cambiò atteggiamento, sostituendo l’espressione autoritaria con una deferenza che ne addolcì i lineamenti.

    La perfezione marmorea si incrinò in una smorfia di fastidio e gli occhi nocciola, scuriti dai cosmetici, la fissarono come un acquirente di fronte a una giumenta alla fiera di Newmarket.

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