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L'armonia dell'onirico
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L'armonia dell'onirico
E-book380 pagine5 ore

L'armonia dell'onirico

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Info su questo ebook

Ci sono sempre parole scavate che restituiscono i germogli di una vita in linguaggi di tempo. In alba di vite si legge la luce. In crepuscolo di conoscenze si raccoglie l'armonia. L'onirico che è mistico e vitale, o carnale, ha bisogno di una alchimia che porta all'armonia. Come un silenzio dopo un fiume di parole. Se ho vissuto di linguaggi e vivo di parole, l'alchimia dell'onirico è una contaminazione in cui le comparazioni tra letteratura, filosofia, antropologia e misticismo diventano un viaggio. Forse il mio. O forse oltre lo stesso mio viaggio. Una alchimia che è l'attraversamento di un'armonia tutta dentro il mistero e la speculazione.
Ho abitato incontri. Ogni incontro è stato un partire. È stato un ritornare. È stato un andare per deserti, per fiumi e mari, per voli di paesi e paesaggi. Un cercare tra le pagine della vita e dei libri i fogli necessari al mio esistere. Fogli e foglie. Ed eccomi a spaginare ciò che ho impaginato. È dopo aver ascoltato lo sciamano che l'onirico ha chiesto all'attesa di farsi armonia. Perché l'inquietudine è discordanza ma la concordanza è molto di più anche navigando le parole dei linguaggi che conducono all'armonia di onirici riferimenti tra la letteratura e la vita.

Pierfranco Bruni

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all'Estero, è presidente del Centro Studi “Grisi”.
Ha pubblicato libri di poesia (tra i quali "Via Carmelitani", "Viaggioisola", “Per non amarti più", "Fuoco di lune", "Canto di Requiem"), racconti e romanzi (tra i quali vanno ricordati "L'ultima notte di un magistrato", "Paese del vento", "L’ultima primavera", “E dopo vennero i sogni", "Quando fioriscono i rovi"). Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D'Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro. Numerosi sono i suoi testi sulla letteratura italiana ed europea del Novecento.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. Ha scritto, tra l'altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo", giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra lingua.
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita5 ago 2021
ISBN9791220832588
L'armonia dell'onirico

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    Anteprima del libro

    L'armonia dell'onirico - Pierfranco Bruni

    Introduzione di Stefania Romito

    Pierfranco Bruni abita la parola quale espressione immanente, disvelatrice di luce e di armonia. Premessa che origina nella consapevolezza che la dimensione onirica si rinviene nel misticismo così come nella realità. Il presupposto inalienabile è un’alchimia di sensi che conduce a una consonanza vitale.

    L’esplorazione intellettuale di Pierfranco Bruni giunge a una stimolante e prestigiosa sintesi in questo ultimo lavoro saggistico dal titolo L’armonia dell’onirico.

    Un dialogante percorso in cui il senso armonico dell’esistenza letteraria confluisce in un ammaliante panteismo onirico. Un viaggio tra le alchemiche isole delle dissimili personalità letterarie incontrate da un Bruni errante tra illustri destini catturati nel vorticoso vortice della parola scritta.

    Il cammino bruniano assume i confini di un pellegrinaggio dell’anima in cui l’alchemica sensualità dell’onirico possiede i tratti irresistibili della seducente mente di Lou Andreas – Salomè e delle movenze conturbanti della danzatrice esotica Mata Hari.

    L’eccezionale attitudine di Pierfranco Bruni di svelare gli assunti più enigmatici della natura femminile, restituendoli a nova luce, ci rende depositari di conoscenze inedite rischiarate dalla fiamma della libertà. Quella stessa libertà di pensiero che l’autore persegue in virtù di una intrinseca capacità di giudizio critico, scevra da influenze ideologiche e contaminazioni teoriche.

    L’involgente scrittura bruniana si fa, così, esploratrice degli scavi sentimentali nell’esistenza di Lou Andreas Salomè, la seducente intellettuale sovietica che ammaliò l’anima di Nietzsche e che costituì una grande rivoluzione russa nella sua esistenza.

    Bruni scolpisce i tratti della personalità seduttiva di una spiritualità femminile in continua evoluzione sentimentale penetrando l’eros vissuto come " estetica del corpo e dei linguaggi, orizzonte nell’indefinito delle passioni. La sua verginità, a lungo preservata, si sintetizza in un’estetica del misticismo in cui la fisicità dei corpi diviene esperienza metafisica e religiosa ma anche temperanza nell’attrazione spirituale".

    Ma è nelle voluttuose movenze esotiche della inesplicabile Mata Hari, che l’indagine bruniana raggiunge il suo seducente acme trasfigurando l’avventura letteraria in un inobliabile momento contemplativo.

    La leggendaria danzatrice olandese, che infiammò l’Europa agli albori del primo conflitto mondiale e che rimase vittima della bieca barbarie umana, ritrova, tra le pieghe di queste pagine, la raffinata dignità, il supremo coraggio, l’elegante spregiudicatezza in " una morte tagliata dal vento dell’alba. La sua fatale danza è simulacro divino nell’immaginario metafisico dell’autore: Era bella, con negli occhi la sensualità di quell’Oriente che portava la trasparenza del mistero e dell’onirico senso" .

    Se l’onirico disegna fascinose forme nell’ars scribendi di Bruni, il senso del nostalgico si ancora alla spiritualità di una memoria in cui la tradizione è la linfa di una innovante genialità. Così è nell’estatica poetica di Vincenzo Cardarelli che accoglie nell’amore le radici di un tempo che è appartenenza. Radicamento a una dimensione atemporale dove a dominare è il valore dell’attesa, in un’assenza che si dissolve nella solitudine.

    La solitudine che affascina Bruni è anche quella che rimanda agli eleganti orizzonti lacustri della scrittura di Piero Chiara. Quel genio disubbidiente la cui naturale propensione al rinvenimento della bellezza femminile lo proietta in un immaginario narrativo di provocante ironia, " un percorso letterario profondamente radicato nell’antropologia dell’estasi e dell’incanto stesso della vita". Un autore anticonformista la cui ribellione volge alla contemplazione degli aspetti più stimolanti ed appaganti del vivere umano.

    L’armonico alberga anche nel dolorante misticismo della metafisica dell’estetica in un Dostoevskij interpretato da Bruni quale profeta e ricercatore di pietà nel caos di una modernità che ha smarrito i suoi valori di riferimento. Il vento arido del deserto brucia ogni speranza di veder spuntare all’orizzonte l’esercito dei Tartari. È annullata in noi la possibilità di dare un senso al tempo dell’attesa " e restiamo nel deserto umiliati e offesi. Ma siamo anche consapevoli che il Palazzo prima o poi crollerà nella sfera di metafore inconfutabili che solo la letteratura può annunciare e decifrare".

    Perché Bruni, come Dostoevskij, sa che soltanto la cultura, intesa come veridica Bellezza, sarà in grado di rivestire il mondo di quei capisaldi morali confinati nei sotterranei di una memoria vituperata. L’attesa salvifica, di buzzatiana memoria, si disperde tra le nebbie che avvolgono i nostalgici fiumi ungarettiani. Lo scavo mistico di Bruni, nella poesia di Giuseppe Ungaretti, arriva a lambire le coste della filosofia metafisica di Socrate e Seneca. Un porto sepolto nel quale ripararsi quando le temperie interiori lacerano ogni brandello di speranza. È nella desolazione del naufragio che Bruni fa riaffiorare la sofferente indole ungarettiana " che non contiene logica, né razionalità, bensì soltanto pensiero". Un lirismo che ripercorre gli strazi dell’anima in perenne conflitto tra vita e morte.

    L’armonia dell’onirico è un immaginifico compendio filosofico – letterario – antropologico in cui le costanti emozionali delle pregevoli personalità contemplate definiscono un mosaico di sensazioni e percezioni multisensoriali. Gli echi ribelli, anticonformisti, innovatori, pregni di fascinoso mistero, soffiano da remoti labirinti e accarezzano le coste di quelle isole rischiarate dalla luce della conoscenza libera. Una libera conoscenza che contraddistingue l’intera produzione letteraria bruniana, persistente e inesauribile osservazione dell’essenza trascendente nei più variegati ambiti dello scibile umano che si interfacciano con l’arte letteraria.

    Le impressioni sensoriali sperimentano, nella scrittura di Bruni, l’opportunità di una trasfigurazione visiva in direzione di una filosofia della tangibilità destinata a dimorare nei cassetti daliniani della memoria.

    Quando la letteratura diviene strumento di elevazione morale, intellettuale, spirituale e metafisica, nella sua irriverente autonomia di pensiero e di interpretazione, ha raggiunto il suo sublime obiettivo.

    Pierfranco Bruni questo lo sa.

    Prefazione

    Se ho vissuto di linguaggi e vivo di parole l'alchimia dell'onirico è una contaminazione in cui le comparazioni tra letteratura, filosofia, antropologia e misticismo diventano un viaggio. Forse il mio. O forse oltre lo stesso mio viaggio. Una alchimia che è l'attraversamento di un'armonia tutta dentro il mistero e la speculazione.

    Ho abitato incontri. Ogni incontro è stato un partire. È stato un ritornare. È stato un andare per deserti, per fiumi e mari, per voli di paesi e paesaggi. Un cercare tra le pagine della vita e dei libri i fogli necessari al mio esistere. Fogli e foglie. Ed eccomi a spaginare ciò che ho impaginato.

    Sono stato sempre in contatto con uno sciamano che mi ha dettato tutto. Sono sempre in ascolto dello sciamano. Forse oggi mi parla di altro. Anche di altro. Ho cercato di attraversare l'alchimia e di essere attraversato dall'alchimia. Le voci sono nel vento e il vento sempre mi sfiora in una alchimia di linguaggi.

    È dopo aver ascoltato lo sciamano che l'onirico ha chiesto all'attesa di farsi armonia. Perché l'inquietudine è discordanza ma la concordanza è molto di più anche navigando le parole dei linguaggi che conducono all'armonia di onirici riferimenti tra la letteratura e la vita.

    Nostalgia come spiritualità della memoria

    Giuseppe Tomasi di Lampedusa seppe dialogare con la luna

    Giuseppe Tomasi di Lampedusa moriva il 23 luglio del 1957. Nel 1958 veniva pubblicato Il Gattopardo . Un romanzo che secondo Carlo Bo rappresenta un miracolo: quello di un libro ricco di cultura letteraria che riesce a raggiungere l’animo popolare.

    Rifiutato da Elio Vittorini. Sia dall’Einaudi che da Mondatori. Trova ospitalità alla Feltrinelli. Ma chi ha subito creduto alle pagine di Tomasi di Lampedusa è stato Giorgio Bassani. La prima tiratura del libro è stata di tremila copie. La seconda di quattromila, sempre nel 1958. Il resto è nella storia di questo romanzo. Nel 1959 vince il Premio Strega. A presentarlo saranno Ignazio Silone e Geno Pampaloni. Asor Rosa lo ignora nella letteratura italiana dell’Einaudi.

    Intorno alla fine del 1954 Tomasi di Lampedusa comincia a stendere le prime pagine. La metafora della memoria lo cattura. Nei luoghi della mia prima infanzia incide: Quando ci si trova nel declino della vita è imperativo cercar di raccogliere il più possibile delle sensazioni che hanno attraversato questo nostro organismo. A pochi riuscirà di fare così un capolavoro (Rousseau, Stendhal, Proust), ma a tutti dovrebbe essere possibile preservare in tal modo qualcosa che senza questo lieve sforzo andrebbe perduto.

    Il messaggio è chiaro. I luoghi, i personaggi, i dialoghi, il pensare sono già consapevolezza di un trapasso tra vita e letteratura. I ricordi diventano l’invenzione lungo il tragitto narrante. Ci si impossessa di un parametro esistenziale e il rifiuto della storia (per parafrasare un saggio di Gian Paolo Marchi dedicato a Verga), è un ritmo che cesella la psicologia dei personaggi più che la rappresentazione e la chiusura di un tempo cronologico, che non può conoscere l’essenza della memoria come fatto rivelatore. La rivelazione delle immagini stesse è la trasformazione della storia come susseguirsi di atti cronologici in tasselli di una memoria che coinvolge il tempo quale percezione e l’avventura dei personaggi come segni di una indelebile spiritualità. Si legge Il Gattopardo nel dialogo costante tra l’Io narrante e il narrato. Il Principe e lo scrittore sono la voce e il destino.

    I tre contesti che caratterizzano Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e formano il percorso narrante anche sul piano delle finalizzazioni politiche, sono il 1860, il 1885 e il 1910. Questo romanzo si presta ad una chiave di lettura non soltanto storica, politica, ideologica nel porre all’attenzione la questione incompiuta della nascita di unità nazionale che viene disegnata e sottolineata nell’impostazione tematica.

    Giuseppe Tomasi di Lampedusa è uno scrittore che fa i conti con la storia. Ma in questa storia c’è una prevalenza tridimensionale della memoria.

    Vediamo come.

    I fatti vengono raccontati attraverso una rivisitazione in cui prevale il ricordo . La storia, pur fissando delle fasi cronologiche, si serve del ricordo. Di conseguenza viene meno la storia come momento di pianificazione della ragione.

    Nel ricordo prevale il racconto come sentimento. Negli avvenimenti che si intrecciano la forza trainante non è la logica della giustificazione storica, ma è il sentimento come coscienza popolare che prende il sopravvento. A questo primo aspetto ne subentra un secondo. La storia come ricordo non avrebbe senso se nei personaggi, che si agitano nello scenario, mancasse l’avventura del destino.

    Ogni personaggio recita la sua avventura simulando l’appartenenza a un destino in cui si intravede l’incontro tra la reiterpretazione del passato e la tragedia del futuro. Il caso emblematico è quello del Principe Fabrizio. Nel paesaggio storico di un destino epocale avvengono due ulteriori trapassi. Quello che coinvolge la fine di una civiltà e l’inizio di un nuovo modello e quello che segna la fine di una nobiltà e l’inizio di una nuova aristocrazia, ossia di una nuova borghesia (il caso di Sedara). In questo secondo aspetto sussiste un coinvolgimento che avrà i suoi effetti in ambito storico e sociale (Tancredi e Angelica rappresentano la nuova visione del mondo). Oltre a ciò vi è da sottolineare la presenza, non singolare ma assidua, del paesaggio siciliano.

    La Sicilia è parte integrante di tutta l’avventura che si compie nel romanzo e può avere una spiegazione su un versante storico e letterario dove letteratura e appartenenza al luogo costituiscono una valenza mitica.

    Il paesaggio della Sicilia, nelle fasi storiche menzionate nel romanzo, rappresenta l’humus esistenziale e culturale. Così si legge: In questa isola segreta dove le case sono sbarrate e i contadini dicono di ignorare la via per andare al paese nel quale vivono e che si vede lì sul colle a dieci minuti di strada, in quest’isola, malgrado l’ostentato lusso di mistero la riservatezza è un mito.

    Se la riservatezza è un mito, il silenzio e il sogno costituiscono, per Don Fabrizio, la presa d’atto di una tragedia che visualizza un rapporto tra caduta della nobiltà, perdita di identità e prevalenza di nuovi ceti. La Sicilia come metafora, ma anche come spiegazione di una dimensione storica e politica. La tragedia di una civiltà è il senso di decadenza che si ascolta dalle parole che Don Fabrizio dice a Chevalley.

    Così: "Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre che li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti si scorzonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia sfruttare gli enigmi del nirvana. (…) …le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l’incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto".

    Si tratta di una sottolineatura importante.

    C’è all’interno una spiegazione storica e culturale. È la spiegazione di tutto nella quale i personaggi vi trovano il loro intreccio, tra destino e memoria.

    La Sicilia e i Siciliani. Un richiamo che spesso ritorna tra le parole di Don Fabrizio e che suona come metafora e interpretazione di un profondo processo culturale.

    La tristezza e il suono di tragedia si avvertono non solo perché si è alla fine di un ciclo, quanto piuttosto perché ci si rende conto di quella coscientizzazione epocale che coinvolge il popolo meridionale. La tragedia e l’ironia del Principe sono di per sé l’indicazione di una sofferenza che è antica sopportazione di tutto un popolo. …i Siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti. Ma il dato ideologico entra dentro il processo storico di quegli anni. Don Fabrizio dice: Sono un rappresentante della vecchia classe, inevitabilmente compromesso col regime borbonico, e ad esso legato dai vincoli della decenza in mancanza di quelli dell’affetto. Appartengo ad una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due.

    La figura di Don Fabrizio campeggia e traccia percorsi all’interno del romanzo. Del resto Il Gattopardo non è un libro che possiede una sua specificità narrativa. È un romanzo di ritratti e di fissazioni di immagini. Si pensi al capitolo dedicato a Padre Pirrone, all’ultima parte o al passaggio riservato alla morte del Principe.

    Il corteggiare la morte, è avere presente la sensualità della vita. La morte del Principe annuncia la fine di tutto, ma è oltre la passionalità per la vita. Il capitolo dedicato al ballo è un preavviso di fine, ma è anche l’angoscia di una perduta sensualità. Resta l’ironia. Quel tocco magico dell’eros dalla marcata sottolineatura ironica.

    C’è un’ironia che lascia il segno. Giorgio Barberi Squarotti scrive: un’ironia incisiva, crudele, corrosiva nella sua misura critica di spietata chiarezza è dentro il romanzo. Un’ironia che diventa dimensione del narrare. Il senso di morte, che accompagna i personaggi, si lega alla memoria della morte che attraversa la storia del romanzo. E la morte è come l’eros. Don Fabrizio vive con la memoria della morte guadando a Tancredi e ad Angelica che rappresentano l’eros.

    Il Gattopardo "è un libro di morte scritto da un disilluso amante della vita. In quanto tale è destinato a restare, sgombro degli eccessivi pesi di cui si volle caricarlo", afferma Francesco Paolo Memmo.

    Non c’è alcun paradosso in Tomasi di Lampedusa. Uno scrittore che ha assorbito la consapevolezza di un trapasso epocale. Un viaggio che non interessa un fatto storico soltanto. Dietro e dentro la coscientizzazione epocale vi è il vissuto di una generazione, la responsabilità di un tempo perduto.

    In un suo racconto si può leggere: Quando ci si trova nel declino della vita è imperativo cercare di raccogliere il più possibile delle sensazioni che hanno attraversato questo nostro organismo.

    Consapevolezza del tempo che è fuga e sradicamento di identità in una civiltà nuova che avanza e chiede di essere ascoltata. I temi hanno una loro chiarezza sul versante storico, letterario, esistenziale. C’è un tema di fondo con un interesse comune che si gioca tra la sensualità della vita (eros e morte si dichiarano) e la morte, assiduo pensare alla fine. Lo spaccato è rappresentato dalla memoria, che diventa il filo che lega queste metafore. Oltre la storia, con i suoi eventi e i suoi fatti, ciò che rimane è una profonda dichiarazione letteraria che può essere letta solo se si visualizzano quelle dimensioni simboliche che ci raccontano il tutto come metafora del tempo, dell’eros e della morte.

    La bellezza di Angelica è la metafora dell’eros. La tragedia della morte è il declino di Don Fabrizio al quale si unisce la fine di un’epoca che solca destini. Ecco la metafora del corteggiamento della morte. Barberi Squarotti parla di grande poesia della morte. Ma la poesia della morte apre un altro capitolo: quello del rifiuto della storia.

    Il rifiuto della storia, scrive Franco Fortini, non è rifiuto di questa o quella storia ma rifiuto del mutamento in sé. Un mutamento che vive dentro la ricerca di una memoria sempre presente non solo tra le parole di Don Fabrizio. In realtà il Principe, come sottolinea Francesco Grisi, non si preoccupa di quello che avvilisce gli altri perché il suo mondo non è nella terra, ma della siderea infuocata natura e della dolcissima e trasparente creatura da tutti temuti: la morte.

    Morte e bellezza. Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com’era si fosse arresa a lui; l’ora della partenza del treno doveva essere vicina. Giunta faccia a faccia con lui sollevò il velo e così, pudica ma pronta ad esser posseduta, gli apparve più bella di come mai l’avesse intravista negli spazi stellari. La morte come bellezza. Ma forse come cominciamento di una nuova avventura.

    Il teatro e la recita sono nel ballo. In quel ballo in cui Don Fabrizio misura se stesso respirando sui capelli di Angelica e assaggiando la gelosia di Tancredi. La giovinezza ferita. Il tempo lacerato. La storia che riprende il suo corso. Davanti ad un mondo in decadenza la morte è l’unica risoluzione perché è oltre la realtà. Don Fabrizio è conscio di ciò. Misura se stesso rappresentandosi in quel ballo con Angelica. L’aroma di pelle giovane e liscia di Angelica è appunto la misura del tempo. Il ballo che alla fine resta anch’esso una metafora sprigiona un ‘influsso sensuale’. È la vita che recita la sua eredità tra l’amore dei due giovani e la sopportazione della maschera. Il Principe indossa una maschera. Viene lacerato dal destino. L’unica cosa che lo rende vitale è la memoria. Questa sua memoria è in una attesa che lo accompagna verso appuntamenti. Chiede un appuntamento meno effimero. Così anche la morte diventa interiorizzazione della metafora.

    Il Gattopardo raccoglie sviluppi tematici e ricerche spirituali, sul piano letterario ed umano, già in parte espresse negli scritti precedenti e in quei primi scritti che si riferiscono ad alcuni articoli apparsi sulla rivista mensile Le Opere e i Giorni. Risalgono al 1926 – 1927. Sono dei saggi critici su Paul Morand, poeta francese (1888 – 1976), sul poeta irlandese W. B. Yeats (1865 – 1936) e su Friedrich Gundolf, ovvero Friedrich Gundelfinger (1880 – 1931), storico e critico tedesco. Di quest’ultimo, Tomasi di Lampedusa prende in considerazione il suo scritto su Cesare.

    Tre scritti importanti che serviranno da base per le sue ulteriori riflessioni in questo campo. I temi che incontriamo nel suo viaggio letterario ed esistenziale trovano in questi saggi una loro premessa. Il superamento della storia come elemento materiale e come affermazione simbolica e allegorica. Soprattutto nello scritto su Cesare di Gundelfinger ha già una interpretazione emblematica nei termini di un rapporto tra biografia e memoria.

    In questo suo saggio dirà : Esistenze come la sua hanno diritto a due biografie: una limitata per quanto gloriosa che si riferisca alle gesta compiute dal corpo e dalla mente viventi; l’altra senza confini di tempo e di spazio, che narri l’aggirarsi dell’ombra smisurata e le conseguenze delle sue apparizioni. Quella la storia della vita; l’altra la storia della gloria. E ancora: Cesare, da venti secoli lontano nella carne, da venti secoli presente nello spirito. Un’immagine che ci rimanda immediatamente alla figura del Principe.

    Il Gattopardo-Principe potrebbe leggersi anche come la metafora di un Cesare che non si lascia imprigionare dalla storia-cronaca ma si impossessa sempre più del tempo-memoria. Andrea Vitello ha scritto un libro importante e robusto su Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pubblicato nel 1987 (il cui titolo rispecchia fedelmente il nome dello scrittore) ponendo in evidenza proprio un aspetto similare e sottolineando: "Il saggio cesariano e il romanzo sono lontani nel tempo; eppure psicologicamente, sono vicini. Quel saggio giovanile appartiene alla biografia spirituale di Lampedusa quanto e come Il Gattopardo". Un percorso in cui il tempo fuori dalla storia diventa una fissazione di una riproposta autobiografica nella quale il passato ha dei luoghi e dei nomi precisi. Dalle eredità familiari, alla casa andata distrutta. Un passato che si intreccia con la nostalgia e il tempo è nell’espressione proustiana delle cose che non ci sono più, ma che restano come baluardi nel sentimento dell’uomo.

    Da questo punto di vista non è condivisibile l’affermazione di Romano Luperini quando sostiene che in Tomasi di Lampedusa storia e realtà non sono che fluidi fantasmi, fenomeni di un’essenza, che è il nulla.

    Quell’essenza non è più il nulla. In una concezione materialistica potrebbe essere considerata tale. Ma è il rafforzamento di una testimonianza spirituale che trova il suo codice più alto nella religiosità della memoria. Senza di essa non avrebbe senso la storia stessa perché il racconto, o il raccontare, è il superare, il ritrovare, il rimpossessarsi di una malinconia che permette di creare e di raccordare il tempo dello scrittore con il tempo e lo scenario, le sensazioni e le atmosfere del raccontato stesso.

    Questo intreccio pone un consolidamento letterario e spirituale sul piano della riappropriazione dei ricordi, i quali costituiscono l’anima di un tempo storico e interiore. In questo gioco c’è il significato dei ricordi dell’infanzia. Il Gattopardo ritrova in sé la fantasia e i fantasmi dell’infanzia che permettono di leggere la vita attraverso il cannocchiale di un legame tra memoria e invenzione.

    Proust è stato importante per Tomasi di Lampedusa. Il tempo perduto diventa nei luoghi, nei sentieri e nella coscienza della memoria tempo ritrovato. A sancire questo rapporto, questo protocollo esistenziale, è la scrittura, ovvero la letteratura.

    Il ricordo è formato da un insieme di ricordi che sono memoria e la memoria non è soltanto nel tempo, ma è il tempo stesso. Il passato è la coscienza che ci permette di rivivere il perduto nella metafora della vita.

    In Tomasi di Lampedusa non vi sono solo sensazioni che danno voce alla scrittura. Vi sono anche perdite reali. Come la casa. Una casa distrutta è la casa distrutta. E quella casa era l’infanzia. Una stagione del tempo che si è dilatata nel tempo-memoria. La casa-infanzia è la scomparsa di una storia che non è più possibile reperire se non attraverso la visione-simbolo di un ancoraggio alla letteratura-conchiglia. A quella letteratura che custodisce ciò che Corrado Alvaro chiamava mondo sommerso.

    In alcune lettere scritte all’amico Guido Lajolo, andato a vivere in Brasile (pubblicate dal settimanale L’Espresso l’8 gennaio del 1984 a cura di Giuseppe Carrieri) alla data del 31 marzo 1956 Tomasi di Lampedusa annota: Il protagonista è il Principe di Salina, tenue travestimento del Principe di Lampedusa mio bisnonno. E gli amici che lo hanno letto dicono che il Principe di Salina rassomiglia maledettamente a me stesso. (…) Vi sono molti ricordi personali miei e la descrizione di alcuni ambienti è assolutamente autentica…. Nella lettera del 7 giugno si trova sottolineato: … il protagonista sono, in fondo, io stesso e il personaggio chiamato Tancredi è il mio figlio adottivo. Nella successiva del 2 gennaio 1957 si può leggere : Non vorrei però che tu credessi che è un romanzo storico! Non si vedono né Garibaldi né altri: l’ambiente solo è del 1860; il protagonista Don Fabrizio, esprime completamente le mie idee, e Tancredi, suo nipote, è il ritratto di Giò in quanto all’aspetto ed alle maniere; per ciò che riguarda il morale Giò è, per fortuna, assai meglio di lui. // In quanto ai ‘Vicerè’ il punto di vista è del tutto differente: il ‘Gattopardo’ è l’aristocrazia vista dal di dentro senza compiacimenti ma anche senza le intenzioni ribellistiche di De Roberto.

    È chiara la manifestazione che emerge da questa lettere. Autobiografia, superamento della storia, superamento, in termini critico-letterari, del naturalismo-verismo. È una chiave di lettura significativa poiché sposta l’attenzione dalla storia ai personaggi, dalla realtà alla memoria. In un ricordo di Gioacchino Lanza Tomasi (il figlio adottivo) apparso su Tuttolibri, supplemento al quotidiano La Stampa, si legge: Il problema autobiografico del Gattopardo va a mio avviso connesso a quanto rivela nella lettera a Lajulo. Ed abbiamo allora un esempio di autobiografia del lutto particolare… (…) Di qui la costruzione del romanzo di famiglia quale favola personale della propria famiglia, in cui i sogni di desiderio sono liberi di intessere trame di passioni appagate. Nell’opera letteraria si sarebbe attuata l’utopia consentita… (…) Come uomo sapeva di aver risolto nel romanzo il proprio problema esistenziale, sapeva di aver riacquistato attraverso il romanzo una identità che gli appariva per l’innanzi sfuggente.

    Osservazioni che riconducono il discorso al rapporto tempo-letteratura-uomo. Così commenta Andrea Vitello: "In questa orgia di parole d’inchiostro (…) i nemici più sinceri sono i marxisti, i cattolici e i neorealisti: Il Gattopardo veniva fuori in tempi di euforia economica ma di crisi del romanzo, quasi per scoraggiare ogni impegno etico nonché politico, e per favorire una restaurazione dello stile. D’altronde, per riaffermare un codice storico, questo romanzo, per dirla con le parole di Gioacchino Lanza Tomasi, aveva distrutto il mito del Risorgimento, come Le mie Prigioni l’aveva costruito".

    In questo insieme, se da una parte troviamo la presenza di Proust e quella di Stendhal, al quale aveva dedicato un saggio apparso nel 1959 su Paragone e poi come monografia nel 1977, dall’altra parte si impone la presenza di Thomas Mann con quell’alone di decadenza e di lutto. Per essere creatori, diceva Mann, bisogna esser morti. Ebbene il Lampedusa- Salina ricrea il suo mondo dalla consapevolezza della fine. La chiusa della settima parte del romanzo condensa il fascino della morte.

    Metafora? Metafora e fatalità. Ma è più giusto dire che si tratta dell’indefinibile viaggio del destino. La compiutezza del destino è nella inafferrabilità del tempo. Del tempo-memoria che si intreccia tra i suoni e le voci e nel naufragio di ogni esistere. Il Principe viveva il naufragio perché attraversato dalla corrente del tempo. È il tempo che vive il naufragio e non la storia.

    Compiutezza del destino e inafferrabilità del tempo. Ma è proprio questo che ci rivela la indefinibilità dell’esercizio storico. Il segreto del Principe rende incompiuto il destino e lo stesso mistero del tempo. Nelle Lezioni di Stendhal scrive: … è facile proporsi di rappresentare se stessi o la propria controfigura in modo lirico. È assai meno facile riuscire a farlo in modo compiuto, mostrando i propri anditi segreti, le proprie contraddizioni, le sfumature innumerevoli nelle quali si atteggia una personalità.

    Come accennato in precedenza, il capitolo del ballo è una metafora che permea tutto Il Gattopardo. Ma dentro questo scenario si consumano altre immagini.

    Ecco uno spaccato di Tancredi e Angelica: Essi offrivano lo spettacolo più patetico di ogni altro tempo, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione.

    Il destino e il tempo sono la misura dell’intreccio tra la richiesta di spiegazione della storia e la riservatezza del mito che coniuga memoria e morte. È forse questo l’epilogo nel quale Tomasi di Lampedusa storicizza il tempo definendo la verità della poesia nella memoria. Un ancoraggio in cui i fantasmi che occupano gli anni, il passato e il quotidiano possono essere esorcizzati. Il tempo non si rappresenta (lo sapeva bene il Principe) ma si interiorizza, si afferra, si spiritualizza e si decodifica proprio in ciò che Lampedusa metaforizza in questa immagine: …in quest’isola, malgrado l’ostentato lusso di mistero, la riservatezza è un mito, come è stato già ricordato.

    Il sentire

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