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Un dottore da calendario: Harmony Bianca
Un dottore da calendario: Harmony Bianca
Un dottore da calendario: Harmony Bianca
E-book153 pagine2 ore

Un dottore da calendario: Harmony Bianca

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Info su questo ebook

Laine Philips ha lasciato la sua casa più di dodici anni prima, decisa a non fare più ritorno. Adesso che è diventata una fotografa di fama internazionale, sa che per essere felice deve seguire solo due semplici regole: non mischiare lavoro e piacere e imparare a contare unicamente su se stessa.

Ma quando Laine è costretta a tornare a casa per realizzare un calendario di beneficenza in favore dell'ospedale locale, l'attraente - e altrettanto freddo - dottor Pierce Beaumont mette in crisi le sue certezze, costringendola a infrangere entrambe le regole su cui aveva fondato la propria vita. Nel giro di pochi giorni Laine si troverà infatti a dipendere in tutto e per tutto dal sexy sorriso del dottor Dicembre
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2020
ISBN9788830521148
Un dottore da calendario: Harmony Bianca

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    Anteprima del libro

    Un dottore da calendario - Susanne Hampton

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Falling for Dr December

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2014 Susanne Panagaris

    Traduzione di Francesca Tessore

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-114-8

    1

    «Ancora una passo e sparo!» Laine attese invano una reazione. L’uomo davanti a lei sembrava non averla nemmeno sentita. In silenzio scosse la testa, gli occhi scuri che la fissavano con freddezza. Le mascelle serrate rendevano il suo viso ancora più spigoloso. Non aveva la minima intenzione di prenderla sul serio, realizzò Laine, spaventata. Del resto, perché avrebbe dovuto? La sua figura delicata non poteva certo costituire una minaccia per un metro e ottantacinque di uomo, nudo dalla cintola in su. Non avrebbe ascoltato la sua richiesta.

    Il sole pomeridiano filtrava dalle tende, illuminandogli l’ampio torace e le braccia muscolose. Lentamente l’uomo portò le dita sulla cintura, già slacciata, cominciando ad armeggiare con la cerniera dei jeans. Laine sentì l’irrefrenabile impulso di deglutire. Chiuse un istante gli occhi, ma subito li riaprì. Fargli capire che era intimidita era la peggiore cosa che potesse fare. Questo, almeno, nel corso degli anni lo aveva imparato bene.

    «Faccia un altro passo e sarà l’ultimo, glielo giuro!» gridò. Perché era ritornata? Un errore colossale, avrebbe dovuto saperlo. Il nodo che le aveva stretto la gola sin da quando aveva imboccato la New England Highway verso Uralla non accennava a sciogliersi. Un segno. Non avrebbe dovuto essere lì. Dodici anni prima aveva lasciato la città per un buon motivo.

    Attese una replica, in azioni o in parole, ma niente. Il volto dell’uomo non tradiva la minima emozione, e Leila non sapeva come interpretare la sua espressione. Ma quando il suo sguardo cominciò ad accarezzarle il corpo con esasperante lentezza, indugiando per qualche secondo sulle labbra, iniziò a sentirsi a disagio.

    «Davvero sa come si usa?» le chiese lui all’improvviso, rompendo il silenzio.

    Leila lo vide sorridere. Lottando con tutta se stessa per ignorare la provocazione, decise di non fargli capire quanto fosse a un passo dal perdere la calma. Doveva tenere la mano sollevata e controllarsi.

    «Faccia un passo e si accorgerà di quanto so essere precisa.» Il tono era calmo e fermo, anche se dentro ribolliva. Era l’ultima possibilità che le restava di ripetere il suo ultimatum, senza farlo sembrare una minaccia vuota. Non avrebbe ottenuto quello per cui era venuta e sarebbe stato tutto inutile. Nessuno avrebbe avuto la meglio su di lei. Non lì e non in quel momento.

    Non si scompose e pregò che stavolta lui la prendesse sul serio. Per fortuna fu così. Di malavoglia e con un livello di esitazione che Laine non riuscì a comprendere, l’uomo posò gli stivali polverosi su un piolo della scala e salì, mettendosi a cavalcioni in cima.

    «Finalmente» mormorò Laine. Poi si scostò una ciocca dei lunghi capelli castani dalla fronte e si allungò per prendere un obiettivo dal tavolo alle sue spalle. Con la macchina fotografica in posizione e senza perdere il contatto visivo con il suo affascinante ma ostinato soggetto, si portò dietro la scala e cominciò a scattare fotografie con la sicurezza e la professionalità che solo una persona abile e competente come lei poteva avere.

    Pierce cominciò a sudare freddo. Deglutendo, il cuore che gli martellava nel petto, cercò di non guardare in basso. Ricordi e flash del passato iniziavano a salire in superficie. Per quanto cercasse di tenere a bada la paura, quest’ultima stava per prendere il sopravvento. Per quanto non fosse più un dodicenne in bilico sul parapetto di un balcone, si sentiva ugualmente vulnerabile. Le ginocchia strette, non vedeva l’ora che il servizio fotografico terminasse. Si grattò nervosamente un sopracciglio.

    Concentrati. Sei solo su una scala nel tuo ufficio, in ambulatorio.

    Sapeva fin dall’inizio che non sarebbe stato facile, ma non si aspettava che fosse così devastante, non dopo tutti quegli anni. Certi ricordi erano davvero indelebili.

    «Può scendere adesso, dottor Beaumont. È stato davvero così difficile?» gli chiese Laine in tono condiscendente, riponendo gli obiettivi e la macchina fotografica. «Se non avesse fatto tutte quelle scene per salire, avremmo finito venti minuti fa.» Un lieve sorriso che le increspava le labbra, si accinse a chiudere l’ombrello e il treppiedi. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa sul suo brutto carattere, ma si astenne. Meglio tenere per sé le sue opinioni.

    Pierce Beaumont non le rispose. In silenzio, scese dalla scala. Quando ebbe entrambi i piedi a terra, l’ansia si trasformò in rabbia. «Perché diavolo era così importante salire un altro gradino?»

    «Per la resa dell’immagine. Non accetto compromessi nel mio lavoro. E, per favore, domani non arrivi in ritardo. Vorrei cogliere l’alba sulla proprietà dei McKenzie.» Laine gli lanciò un’occhiata. «Ho già fotografato altri undici medici generici in giro per l’Australia, ma senza dubbio lei è stato quello meno collaborativo. Perché ha accettato, se non le andava di finire su un calendario? Ho visto il contratto... c’era sopra la sua firma.»

    «Tutta colpa del mio vecchio socio, Gregory Majors» ribatté lui, irritato. «Ha falsificato la mia firma, prima di andarsene in pensione. Ha voluto farmi uno scherzo. Magari pensava che mi sarei divertito... Ovviamente non è così.»

    Il dottor Major. A Laine quel nome faceva venire in mente mille ricordi. Era proprio da lui escogitare un tiro del genere. Aveva un lato terribilmente discolo. Quando abitava a Uralla, Laine era stata sua paziente parecchie volte. La prima per una tonsillite, poi per il braccio che si era fratturata alle superiori giocando a netball e in qualche altra occasione. Era stato il medico locale fin da quando aveva finito l’università, quando, come molto altri concittadini, era ritornato per restare.

    Laine no, invece. Se n’era andata e aveva fatto voto di non tornare mai più. Inspirò profondamente. Il tempo in cui considerava Uralla casa sua era definitivamente tramontato. Non l’avrebbe mai più chiamata così. Aveva pianificato di restare, ma il sogno era svanito, portando via con sé qualsiasi fiducia potesse avere nelle parole per sempre.

    «Quando ho cercato di svincolarmi, gli organizzatori mi hanno detto che le avevano già prenotato i voli e che il budget non consentiva loro di cambiarli. Mi hanno spiegato che non sarebbero riusciti a rispettare la scadenza e che niente calendario significava niente finanziamenti per il prossimo anno. Hanno giocato molto bene la carta del senso di colpa.»

    In realtà c’era di più. Dopo aver letto il programma di beneficenza e aver realizzato per quale causa gli veniva chiesto di immolarsi, Pierce non era stato più capace di rifiutare. Posare per quel calendario lo irritava oltre ogni dire, ma non poteva piantarli in asso. La costruzione in ogni capoluogo di case famiglia per gli orfani diventati diciottenni e perciò troppo grandi per restare in affido, era una necessità impellente e un compito enorme. Per quanto detestasse mettersi al centro dell’attenzione, aveva deciso di anteporre a tutto la beneficenza. Se ci fossero state delle ripercussioni, le avrebbe gestite.

    «Nobile, da parte sua, andare avanti, allora» ironizzò Laine, ignara di quanto Pierce avesse preso sul serio l’atto benefico. Non era affatto impressionata. La sua apparente mancanza di rispetto verso di lei e verso il progetto la irritavano. Quella causa benefica era tutto per lei. Avrebbe fatto tutto quello che poteva per dare una mano agli orfani. Qualcuno doveva pur farlo.

    Se stare in orfanotrofio a volte era duro, doverne uscire per raggiunti limiti di età lo era anche di più. Laine lo sapeva per esperienza personale. Per questo erano anni che era coinvolta in quel progetto, ogni volta con un carico di lavoro enorme. Certi giorni, quando la solitudine della vita che si era scelta diventava intollerabile, pensava agli orfani e alle loro infanzie in bilico e si riprometteva di agire per migliorare le loro esistenze.

    In silenzio, con attenzione, continuò a impacchettare l’attrezzatura, pulendo le lenti prima di riporle. Aveva molta cura degli oggetti connessi al suo lavoro e dava valore a tutto ciò che possedeva. Usava solo gli strumenti migliori, se lo poteva permettere, ma non era sempre stato così. Le difficoltà dei primi tempi le avevano insegnato a non dare mai niente per scontato.

    «Farò altre foto, ma stia pur certa che non mi arrampicherò mai più su una scala. O così o niente» dichiarò Pierce, senza celare minimamente quanto fosse infastidito.

    Laine guardò l’uomo che sarebbe stato il suo soggetto nei due giorni seguenti. Quel lavoro era destinato a diventare uno dei più frustranti e difficili dei suoi quasi dieci anni di carriera. Frustrante per colpa della persona e difficile per la location. Il dottor Pierce Beaumont non era per niente collaborativo e Uralla le faceva riemergere nella mente ricordi spiacevoli.

    Quando, tanti anni prima, aveva lasciato quella piccola città, trecento chilometri a nord di Sydney, non si sarebbe mai aspettata di ritornarci. Era parte del suo passato, senza nessuna connessione con la nuova vita che si era costruita a New York. Non sarebbe mai stata felice come ai tempi di Uralla, Laine lo sapeva bene, ma ormai non era più la ragazzina di quell’epoca e reintegrarsi le sarebbe stato impossibile. Era una cittadina del mondo, una donna per la quale la carriera era tutto. Non c’era spazio per nessun altro, soprattutto per le persone di quel posto. Né lei ne aveva bisogno. Erano affettuosi e accoglienti, è vero, ma non voleva più quel genere di sentimentalismo. Con lei non c’entrava più niente. Aver vissuto per tanti anni in una piccola città le aveva fatto capire come ci si sentiva a fare parte di una famiglia. Qualcuno si era preso cura di lei, l’aveva protetta. Per la prima volta nella sua esistenza non si era sentita abbandonata.

    L’immagine perfetta che si era dipinta di una vita con una bella famiglia – una vita che nei suoi continui spostamenti da una casa all’altra, con famiglie adottive sempre diverse e fratellastri che la maltrattavano, aveva sempre e solo sognato – era finalmente divenuta realtà. Era approdata in una casa dove aveva imparato il vero significato delle parole amore incondizionato e dove finalmente aveva trovato risposta alla domanda che si poneva da sempre. A chi appartengo?

    Ma dopo quattro anni meravigliosi, tutto era tragicamente finito. I suoi genitori adottivi erano morti in un incidente d’auto. Se n’erano andati, per sempre... e lei era di nuovo sola.

    Le cicatrici avevano reso Laine più forte. Aveva girato le spalle all’ambiente sicuro della piccola città e aveva scelto una nuova vita, lontano da Uralla. Le ci erano voluti anni per avere successo, ma fin dall’inizio sapeva di potercela fare. La ferrea determinazione di prendere in mano le redini della propria esistenza, di fare del suo meglio ogni giorno, di non appoggiarsi a nessuno, l’avevano portata al top.

    Viaggiare in giro per il mondo, lavorare con modelle famose e sapere gestire le loro esigenze e quelle dei clienti, svegliarsi in un hotel differente ogni mattina era diventato per Laine un modo di vivere,

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