Una mamma sotto l'albero: Harmony Bianca
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Health: L'unica cosa che mi interessa al momento è proteggere mio figlio Oscar. Ma lui non ha occhi che per Phoebe e si è messo in testa che noi tre, insieme, potremo essere di nuovo una famiglia. Phoebe è una donna speciale, solare e bellissima, ma non sono ancora pronto a farla uscire dal mio letto e a farla entrare nella mia vita. Tuttavia, se solo riuscissi a lasciarmi andare e a vedere le cose con gli occhi di un bambino, mi renderei conto che la felicità è proprio lì, a por-tata di mano.
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Anteprima del libro
Una mamma sotto l'albero - Susanne Hampton
successivo.
1
Il dottor Health Rollins distolse lo sguardo dalla mail che stava scrivendo e guardò suo padre che leggeva il giornale seduto nel suo posto preferito vicino al bovindo. Osservando la vecchia poltrona tappezzata di un tartan a righe verdi e blu non riuscì a trattenere un sorriso agrodolce. Sua madre aveva cercato per anni di liberarsene o almeno di farla ricoprire, ma Ken Rollins era stato irremovibile. Quel tartan doveva restare dov'era. Come Health aveva sentito dire mille volte da suo padre, quella poltrona era del clan dei Sutherland, uno dei Clan delle Highland scozzesi, e costituiva un legame diretto con il ramo materno della sua famiglia. Sua madre era stata spesso tentata di dirgli che si trattava di una poltrona assolutamente fuori luogo dopo che avevano cambiato arredamento scegliendone uno in stile provenzale, ma si mordeva sempre le labbra perché sapeva che l'osservazione poteva suonare offensiva.
Ma lasciando da parte il fatto che per quella poltrona i suoi genitori avevano sempre discusso molto poco, al momento, e diversamente da quanto accaduto per anni, suo padre passava molte ore su quella poltrona consumata, con la gamba sollevata dopo la recente operazione al ginocchio. Da quando sua madre era morta venti anni prima non c'era più stata nessuna discussione sul quel pezzo d'arredamento.
Poi lo sguardo di Health fu catturato dalla pila delle sue valigie accatastate contro il muro dell'ingresso con ancora le etichette della compagnia aerea. Doveva sbrigarsi a portarle nella stanza dove avrebbe dormito per il prossimo mese. La sua attenzione tornò alla mail che stava scrivendo alla chirurga podiatrica che da Washington doveva volare in Australia per lavorare con suo padre. Quando rilesse il suo curriculum alla ricerca dell'indirizzo mail, rimase ancora una volta colpito dal numero davvero ragguardevole di titoli e di esperienze professionali, e non riuscì a evitare di chiedersi cosa avesse spinto quella donna a scegliere di trasferirsi ad Adelaide per lavorare nello studio di suo padre. Poi scosse il capo. Non erano fatti suoi.
«Spero solo che tu non cambi idea all'ultimo momento, dottoressa Phoebe Johnson» borbottò mentre spediva la mail. Sperava che potesse riceverla sul cellulare, anche se probabilmente era già in viaggio e aveva spento il portatile. «Sembra che tu debba lavorare con me invece che con mio padre. Almeno finché non si rimette.»
Phoebe Johnson aveva spento il suo cellulare da un'ora. Non aveva senso tenerlo acceso quando c'era una sola persona che poteva essere interessata a chiamarla. Avrebbe fatto qualunque cosa per evitare un'altra conversazione con sua madre, che qualche ora prima l'aveva beccata proprio mentre stava uscendo di casa per andare in aeroporto.
«Perché diavolo te ne vai da Washington? Sono passati più di tre mesi da quando hai rimandato il matrimonio, Phoebe. È ora che fissi una nuova data.»
«Non ho rimandato il matrimonio. L'ho annullato, mamma.»
Phoebe era molto seccata. In piedi davanti alla porta del suo appartamento teneva nella mano sinistra il biglietto aereo e il passaporto, e con la destra cercava le chiavi di casa nella grande borsa da viaggio.
Finalmente le trovò e si affrettò a chiudere e precipitarsi fuori consapevole del fatto che nel taxi che l'attendeva fermo in seconda fila il tassametro stava correndo. Non era nello stato d'animo per affrontare un'altra discussione. Voleva mettersi il passato alle spalle.
«Come fai a sistemare le cose se scappi in un altro paese?» aveva insistito sua madre. «Tu continui a punire Giles per il suo comportamento, ma sono sicura che lui ha imparato la lezione.»
Phoebe si chiuse il bavero del cappotto per ripararsi dal gelido vento di dicembre, affrontò le scale scivolose con l'ultima delle sue valigie e la passò al tassista che aspettava battendo nervosamente il piede sul marciapiede.
«Nessuna punizione, mamma. Ho chiuso. Gli ho restituito l'anello e tutti i regali che mi aveva fatto e non lo voglio più vedere. È la conclusione più naturale di tutta la storia, anche se sono quasi diventata pazza prima di arrivarci. Non amo più Giles e non voglio più trovarmelo davanti. Mai più. E se ci penso mi stupisco ancora per avere potuto pensare di permettere a uno così di diventare parte della mia vita.»
Fece una pausa e si mise a fissare sua madre che sembrava completamente confusa dal suo modo tanto diverso di considerare la situazione.
«Giles non è l'uomo per me. Al momento non so neanche se ci sarà mai un uomo per me, ma non mi importa. Voglio dedicare tutte le mie energie al lavoro e mi rifiuto di sprecare anche un solo secondo per pensare a Giles.» E detto questo si diresse verso il taxi.
«Mi sembri così dura! Lui si è pentito per il suo comportamento. Ti prego, Phoebe, ragiona. Sua madre mi ha detto che Giles spera ancora che tutto si aggiusti. Esme dice anche che è sempre di umore nero e che non sembra più lui. Ed è convinta che abbia cominciato a comportarsi in modo più responsabile.»
Quando Phoebe afferrò la maniglia della portiera, sua madre la fermò prendendole la mano.
«Tesoro, potrebbe essere un grave errore. Giles è un gran bel ragazzo e non dimenticare la sua ascendenza. I suoi antenati sono arrivati con il Mayflower.»
Phoebe alzò gli occhi al cielo inorridita per il fatto che sua madre, quella donna perfettamente pettinata e truccata e vestita con gli abiti del suo stilista preferito, tirasse in ballo l'aspetto fisico e gli antenati del suo ex. Intanto il tassista aveva chiuso il bagagliaio ed era ritornato al posto di guida.
Si liberò la mano dalla stretta della madre. «Lasciami capire... Il mio triste ex, tanto affascinante e con il suo inappuntabile albero genealogico, è evidentemente innamorato di me, anche se questo non gli impedisce di andare a letto con altre donne! Ti prego, mamma, non farlo sembrare quello che non è. Non credo che sia in grado di amare qualcuno oltre se stesso e non credo nemmeno che voglia davvero cambiare vita. E, a essere sincera, non mi interessa. Da quando ha cominciato a prendermi in giro, ha distrutto qualsiasi possibilità perché diventassimo marito e moglie.»
Salutò sua madre con un bacio e salì sul taxi, poi abbassò il vetro e si sorbì l'ultimo degli ammonimenti di sua madre. «Tesoro, come diceva tua nonna, ogni uomo ha diritto a essere perdonato per almeno un grosso errore.»
«È stato a letto con tutte e due le mie damigelle la settimana prima del nostro matrimonio. Questo non è un grosso errore. Sono due scorrettezze talmente enormi da togliere il fiato!» Phoebe era troppo frustrata da quel ricordo per preoccuparsi del suo tono di voce. E se l'autista aveva sentito, pazienza!
«Se vuoi, tecnicamente sono due, ma visto che sono simili, non potresti considerarli un unico grande errore?»
Il taxi partì di colpo e Phoebe fu scagliata indietro contro il sedile. Fra i ruggiti del motore poté sentire parte delle ultime parole di sua madre. «Tesoro, non dimenticare... Natale è il giorno del perdono.»
Phoebe si liberò di colpo del ricordo di quella sgradevole discussione appena vide accanto al suo sedile un assistente di volo accompagnato da una ragazzina ricciuta e sorridente con un vassoio in mano. Dopo quel lungo viaggio era una visione fin troppo piacevole per lei.
«Se mastica qualcosa quando atterriamo eviterà di avere i tappi alle orecchie» le disse la ragazzina. «Gradisce un dolcetto?»
Phoebe non era sicura di desiderare qualcosa da masticare, ma prese una caramella per buona educazione. Non voleva deludere quella graziosa adolescente che chiaramente non poteva sapere le disavventure che aveva passato quella passeggera.
«Grazie» rispose Phoebe; e mentre i due passavano al passeggero successivo scartò la caramella e se la mise in bocca.
Si sentiva insicura di tutto. Avrebbe dovuto essere una donna felicemente sposata di ritorno da una luna di miele di otto settimane in Europa, e invece era una single che stava per sbarcare dall'altra parte della terra. E quello era sicuramente il primo dei molti viaggi che avrebbe affrontato da sola.
In mezzo all'Oceano Pacifico aveva guardato fuori dal minuscolo finestrino. Buio completo. Esattamente come la sua vita.
L'idea di concedere fiducia a un uomo era ridicola. Mentre tutti gli altri passeggeri cedevano al sonno, lei continuava a dirsi che il suo destino era prepararsi a vivere una vita da donna sola.
Pensò che tutti gli uomini erano uguali. Poi si corresse. Tutti meno suo padre. Era uno degli ultimi uomini rispettabili, poi avevano distrutto lo stampo.
Susy, la sua migliore amica fin dalle superiori, che aveva lasciato Washington due anni prima per andare a lavorare a Londra come avvocato per la Procura Generale Inglese, era perfettamente d'accordo con lei. Aveva giurato di chiudere con le relazioni sentimentali tre mesi prima, dopo la sua ultima storia finita in modo disastroso.
Una notte, poco prima che Phoebe partisse, durante una lunga telefonata intercontinentale le due amiche si erano trovate d'accordo sul fatto che non c'era motivo per stare male a causa di un uomo. E mentre si dicevano ciò, tutte e due si mettevano in bocca cucchiaiate di gelato.
«Non meritano niente» aveva detto Susy lasciando cadere sul tavolino la scodellina vuota del gelato alla crema.
«Assolutamente niente» aveva ribattuto Phoebe raccogliendo l'ultimo rimasuglio del suo gelato al cioccolato. «Sono solo capaci di raccontare delle balle.»
«Perfettamente d'accordo.»
«Le donne e gli uomini non dovrebbero nemmeno vivere sullo stesso pianeta.»
«Nemmeno nello stesso universo» rincarò Susy mentre scartava uno dei cioccolatini che sua madre le aveva regalato per il suo compleanno. «Credo che l'intera specie dei maschi dovrebbe essere bandita dalla terra. Tuo padre escluso, Phoebe. John è veramente bravo e quindi può restare. Il mio invece è dal giorno del mio compleanno che non mi chiama e quindi può andarsene con tutti gli altri su un altro pianeta, almeno per un po'.»
Continuarono a chiacchierare finché a Phoebe cominciarono a chiudersi gli occhi e quindi a malincuore si congedò da Susy. Era contenta di avere un'amica meravigliosa, ma era triste per il fatto che tutte e due avessero trovato dei fidanzati così inaffidabili. Non si sapeva spiegare perché fosse successo a entrambe, ma era sicura che non si sarebbe ripetuto perché nessuna delle due avrebbe più frequentato uomini. Si sarebbero preoccupate solo della loro carriera.
L'aereo cominciò ad abbassarsi per l'atterraggio e Phoebe si mise a guardare fuori del finestrino. Il paesaggio era costituito da un ondulato tappeto di campi marroni e verdi ed era del tutto diverso da quello che si poteva vedere atterrando a Washington o a New York, dove lei aveva frequentato medicina. L'Australia era lontanissima sia come distanza che come paesaggio, e questo per lei era positivo.
Era un po' in ansia per quello che l'attendeva, ma si ripeté che non era una bambina e che aveva scelto lei di finire in quella parte del mondo. Sarebbe stata un'avventura divertente che le avrebbe permesso di seppellire il suo passato e di focalizzarsi sulla sua carriera di chirurgo.
Phoebe voleva bene a sua madre, ma era contenta di non averla vicina perché era certa che avrebbe continuato a cercare di farle cambiare idea su Giles.
Invece sapeva che le sarebbero mancate le lunghe chiacchierate che era abituata ad avere con suo padre sulla politica, la teologia e in merito a quale specie di topo di fogna appartenesse Giles. Susy aveva ragione. Suo