Medici in prima linea
Di Dianne Drake
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Info su questo ebook
Marc sa benissimo che Anne è off-limits per uno come lui. Ma lavorare al suo fianco giorno dopo giorno è una dolce tortura a cui non riesce più a rinunciare.
Dianne Drake
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Anteprima del libro
Medici in prima linea - Dianne Drake
978-88-3052-672-3
1
«Un attimo prima era tutto a posto. Poi mi sono messo a correre, a seguire mio fratello Nick. Gli avevano esplicitamente ordinato di restare dov'era, ma lui era voluto andare a salvare qualcuno, e poi...»
Il dottor Marc Rousseau deglutì e chiuse gli occhi, come se cercasse di ricordare il giorno che aveva cambiato per sempre la sua vita. O che l'aveva distrutta. Dipendeva dai punti di vista. «Era andato a salvare un suo compagno e alla fine ha dovuto salvare me. Nick era un irresponsabile. Avrebbe potuto farci uccidere entrambi. Non avrebbe dovuto disubbidire.»
Era sempre lì, sempre nella sua testa, quando non era latente, in agguato, pronto a saltare dentro. Quel giorno fatale, come avrebbe potuto definirlo qualcuno. Per lui era il giorno dell'inferno. «Non mi ha preso direttamente. Ho capito di essere stato colpito quando ho sentito dolore. Prima ero così distaccato dal mio corpo che non ho neanche realizzato che ero io quello che era stato ferito. E riuscivo a pensare solo: Devo aiutare qualcuno, sono un medico. Devo aiutare qualcuno.
«Probabilmente ho impiegato un buon paio di minuti, in cui sono rimasto disteso a terra, prima di rendermi conto che ero io ad avere bisogno di aiuto. Ero io quello ferito. Quello che gridava.»
Prese il bicchiere di acqua gelata dalla scrivania del direttore del personale e ne bevve un sorso. «La cosa più terribile è stata che anche dopo che avevo capito di essere stato colpito hanno dovuto comunque dirmelo. Il corpo forse se n'era reso conto, ma la testa non voleva accettare che il corpo avesse ceduto così facilmente. Volevo tornare indietro, sul campo, ma non riuscivo a muovere le gambe. Mi dimenavo, quello sì. E il sangue... ce n'era un sacco, ma non poteva essere mio. Non ero disposto ad ammettere che fossi ferito. Dopotutto, ero un medico, un volontario, non un soldato vero e proprio.
«Certo, anch'io ero stato addestrato al combattimento, ma il mio compito era quello di rimettere insieme i corpi, non di diventare uno di quei corpi martoriati. Invece lo ero e credo di essermene reso veramente conto per la prima volta quando hanno portato la barella e mi ci hanno caricato sopra. Portavano via me dal campo di battaglia.»
«E come ti sei sentito?» chiese il dottor Jason Lewis. Jason era un uomo gentile, più o meno coetaneo di Marc che aveva trentasei anni, con i capelli biondi sottili e gli occhiali dalla montatura di metallo. Marc, invece, era corpulento e scuro. Capelli scuri, occhi scuri, espressione cupa.
«Come mi sono sentito? All'inizio ero terribilmente arrabbiato. Pensavo: Come hanno osato! Non sanno che io sono qui per curare i feriti, anche quelli nemici?»
«Ma gli IED, gli ordigni esplosivi improvvisati, sono impersonali. Sono fatti per uccidere chiunque capiti nel loro raggio d'azione.»
«Non dirlo a me» borbottò Marc.
«No, infatti» replicò il medico. «Cos'è successo dopo che sono venuti a prenderti?»
«Mi hanno messo in mano un telefono e mi hanno detto di chiamare chi volevo. La mia ragazza, un genitore, mio fratello...»
«Perché?»
«È il protocollo quando pensano che tu possa morire. La mia schiena era piena di shrapnel, di chiodi. Dio solo sa cos'avevo conficcato nella schiena. È un brutto segno quando si sanguina molto e io mi stavo dissanguando. Il mio corpo stava cercando di morire. Ero così malridotto che non credevano che sarei sopravvissuto.»
«Ma non sei morto.»
«Troppa indignazione. Si attraversano alcuni stadi, come dopo una morte... negazione, rabbia... Sai, tutte quelle stronzate. Io sono passato subito alla rabbia...»
«E ci sei rimasto?»
«A lungo.» Scrollò le spalle. «Non mi piaceva, non avrei voluto, ma capita, ed è giusto che tu lo sappia se mi vuoi assumere.»
«Credi che sia l'atteggiamento giusto per dirigere un programma di riabilitazione dei veterani?»
«Tu no?» lo sfidò. «Immagino che possa essere dannoso tenersi dentro tutta la rabbia. Ma quando la si tira fuori, allora diventa uno sprone. Più sono arrabbiato e più lavoro. Più lavoro e più guarisco.»
«Ha funzionato davvero per te, dottor Rousseau? So che eri un famoso chirurgo, ma quei giorni ormai sono passati. Non opererai mai più, neanche se dovessi arrabbiarti molto. Questo come ti fa sentire?»
«Mi brucia terribilmente che qualcuno abbia potuto avere così tanto potere su di me da cambiare a tal punto la mia vita. Avevo un progetto ed è andato a monte, la mia vita è cambiata, e non per colpa mia, perciò sono indignato, ma è un mio diritto esserlo. Come ho detto, continuo a combattere come ho sempre fatto. Non nego che avrei preferito continuare a fare il chirurgo, ma non accadrà.»
«Vedi, la cosa che mi preoccupa di più è che la tua acredine possa ripercuotersi sui nostri pazienti, su quelli che stanno lottando per riprendersi o su quelli che ce l'hanno già fatta. Non voglio che la tua rabbia o il fatto che avresti preferito fare il chirurgo piuttosto che lavorare in un centro di riabilitazione li scoraggi. Non voglio neanche che si rendano conto di questo tuo stato d'animo.»
«Non accadrà, né l'una né l'altra cosa.»
«Come faccio a esserne sicuro?»
«Non puoi perché hai solo la mia parola. Però sono tornato. E sono paraplegico. Chi meglio di me per lavorare con uomini e donne nella mia stessa condizione? So cosa significa vedersi portare via la propria vita e consegnare al suo posto qualcosa contro cui dovrai combattere ogni giorno della tua vita. So quanta forza bisogna metterci per non affondare. È la mia esperienza.»
«Le tue lotte interiori non t'impediranno di riconoscere le persone la cui sofferenza e disperazione sono così profonde da far loro contemplare il suicidio? Di tanto in tanto capitano pazienti così.»
«Ho pensato anch'io per un po' al suicidio, perciò so riconoscere i sintomi.»
«Che cosa significa per un po'
? Per quanto tempo?»
«Qualche settimana, forse. Non mi impegnavo per guarire e desideravo solo morire. Che senso aveva vivere? Non potevo avere quello che volevo, la mia ragazza mi aveva lasciato, i miei amici mi evitavano per paura di dire o fare la cosa sbagliata. I miei famigliari non facevano altro che piangere. Mio fratello era consumato dal senso di colpa. Lui ne era uscito illeso e non riusciva neanche a guardarmi negli occhi... Era un ufficiale medico ed era stato lui a convincermi a partire come volontario. Si sente in colpa perché ha disobbedito agli ordini. Adesso non riesce neppure a starmi vicino. Si considera responsabile.»
«Della tua disabilità o del tuo atteggiamento?»
«È chiaro che il mio atteggiamento è una conseguenza della mia disabilità. E così ho voltato le spalle a persone che ancora tengono a me, ma solo perché non sopportavano più di starmi vicino. Loro ci hanno provato, ma io le ho respinte.»
Marc cambiò posizione nella sedia a rotelle, si sollevò con le braccia robuste e poi si riabbassò. «Non si sapeva quanto avrei recuperato, se sarei stato oppure no in grado di occuparmi di me stesso, di farmi una nuova vita, di funzionare come uomo... Era una cosa schiacciante e mi spaventava e più avevo paura più volevo farla finita. Ma non sono uno che molla. Quell'atteggiamento rinunciatario mi faceva arrabbiare e alla fine mi ha spinto a voler dimostrare che stavo bene. È un circolo vizioso, come puoi vedere. Lo è stato e lo è ancora. Ma sono forte.»
«Perciò non ne sei ancora fuori?»
«Adesso mi so gestire. Ma ho bisogno di lavorare e di potermi concentrare su qualcosa che non sia solo la mia disabilità, perciò mi sono riqualificato, ho fatto un secondo internato presso il Boston Mercy Hospital e adesso sono qui a candidarmi per questo posto.»
«Vuoi dire che tutta la tua frustrazione latente ti ha trasformato in un medico riabilitatore di prim'ordine?»
«È incredibile quello che può fare una buona dose di rabbia, eh? Sai come si dice...» Per un attimo lo sguardo di Marc divenne distante. «Ciò che non ti ammazza ti fortifica. Be', finora non mi ha ammazzato.»
«Ho letto il tuo curriculum e ho parlato con il tuo primario al Boston Mercy Hospital. Hai fatto un ottimo lavoro per loro, ma cosa ti fa pensare che potresti fare altrettanto qui, dove saresti responsabile dello staff e avresti anche incarichi amministrativi?»
«So essere autorevole e so farmi ascoltare. Mi sono fatto una certa reputazione da duro. Se tu venissi nella tua clinica come paziente, a chi daresti più ascolto? A uno come te che al massimo si è tagliato col rasoio facendosi la barba o a uno come me?»
«Non hai tutti i torti, dottor Rousseau.»
Quell'uomo cominciava a dargli ai nervi, lo sapeva. Ma sapeva anche che Jason Lewis aveva il diritto di pungolarlo finché voleva perché stava per assumere un medico senza esperienza in quel campo specifico. «Ti basta per affidarmi l'incarico?» Ne avevano parlato per settimane, al telefono, su internet, messaggiandosi. Quel colloquio infinito lo stava massacrando. Sapeva di essere un problema... un grosso problema. Ma sapeva anche di essere un buon medico. Cosa avrebbe prevalso?
Lewis rise. «Devo dire che hai avuto coraggio ad assecondare il tuo atteggiamento.»
«E non mi serve molto altro per relazionarmi con questi ragazzi e queste ragazze. Perciò offrimi adesso, subito, questo lavoro e io vedrò d'impegnarmi per cercare di correggere il mio brutto carattere.»
«Subito? Senza neanche parlarne al consiglio o alle persone che dovranno collaborare con te?»
Marc inarcò le sopracciglia. «Puoi farlo, no?»
«Sì, ma non sono ancora sicuro che tu sia la persona giusta.»
«Vediamo... Ho esperienza amministrativa, sono un buon medico, ho esperienza pratica... Cos'altro vuoi?»
Il dottor Lewis scrollò il capo. «Sulla carta sei il candidato perfetto.»
«Ma?»
«Non voglio che questa clinica diventi il tuo battaglione.»
«In altre parole, non credi che sarei in grado di tenere la vita personale separata da quella professionale. Dimmi una cosa... Tu ci riesci? Non ti porti mai a casa il lavoro e al lavoro la vita familiare?»
«Quasi mai» rispose Lewis.
«Posso fare altrettanto. Hai la mia parola e basta. So di dover ancora mettere a punto il mio comportamento, ma il mio vissuto è un valore aggiunto per aiutare i pazienti, per convincerli che non sono soli. Allora? Sono assunto?» chiese alla fine, tendendo la mano al dottor Lewis.
Lewis inspirò profondamente ed espirò piano, stringendo la mano a Marc. «Sei assunto, ma con tre mesi di prova a partire da oggi. Poi rivaluteremo la sua posizione.»
«Non chiedo di meglio» dichiarò Marc. «Grazie.»
«Ti avverto, Rousseau, quando sarai qui a lavorare per me, sarai un medico riabilitatore, niente di più e niente di meno. Sono stato chiaro?»
Marc annuì. «Spero che il mio studio sia più grande del tuo, perché questo è davvero troppo piccolo per me e non riuscirei a muovermi agevolmente.» Era contento di avercela fatta. Adesso non gli restava che stare a vedere se era davvero il posto giusto per lui.
Anne Sebastian guardava i giardini che si stendevano a perdita d'occhio fuori dalla finestra. Ma non erano i giardini che vedeva. In realtà, vedeva rosso! Era furibonda. «Davvero l'hai assunto per metterlo a capo del reparto di Riabilitazione Fisica?»
Jason Lewis scrollò le spalle. «Ha tutti i requisiti.»
«Peccato che il suo pessimo carattere lo preceda. Ho un amico al Mercy che dice...»
«Si metterà tranquillò» la interruppe Jason. «Qui si troverà bene e si calmerà.»
«E se così non fosse?» chiese lei, troppo perplessa per voltarsi e guardare in faccia suo cognato.
«Lo manderei via, come un qualsiasi altro membro dello staff che dovesse creare problemi alla struttura o ai pazienti.»
Lei si voltò di scatto. «No, non lo