Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Hummus a colazione
Hummus a colazione
Hummus a colazione
E-book109 pagine1 ora

Hummus a colazione

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Norma ama viaggiare da sola. Da Amman, in Giordania, la tentazione di entrare nel vicino Israele è forte. Gerusalemme e Tel Aviv sono luoghi ricchi di fascino, di cultura e di prelibatezze culinarie, gli ingredienti perfetti per un viaggio memorabile. Non ultimo, dai banconi dei bar, posti di riserva o piattaforme privilegiate, possono scaturire incontri piuttosto interessanti.
 
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2021
ISBN9791220801218
Hummus a colazione

Correlato a Hummus a colazione

Ebook correlati

Narrativa romantica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Hummus a colazione

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Hummus a colazione - Serena Zammartini

    dell’editore

    FEBBRAIO

    «Ciao, sei da sola?»

    «Sì.»

    «Ok, avrei posto al bancone, può andare?»

    Sorrido. «Certo, sì.»

    Mi fa strada dentro al locale e parte un lungo dejavù.

    L’ambiente è decisamente meno affollato ma pur non essendo l’orario di punta i tavoli sono ancora pieni di gente e di pile di piatti vuoti e ben spazzolati.

    «Ecco, puoi sederti qui, arriviamo tra poco per l’ordinazione.»

    Questa volta mi è andata bene, mi ritrovo al centro del bancone con ampia possibilità di movimento e una visibilità perfetta. Prendo in mano il cellulare, il Wi-Fi si connette automaticamente. Può bastare questo piccolo e insignificante particolare tecnologico a rendermi felice?

    Sono arrivata da poco più di un’ora e già mi si è stampato un sorriso di beatitudine sulle labbra. Lo sento, come quando l’insegnante di yoga dice di rilassare la mandibola. L’arrivo a Tel Aviv ha già sbloccato tutti i miei chakra.

    Ho passato una notte insonne con la solita agitazione per la sveglia, che ha suonato abbondantemente prima dell’alba. L’ansia, più che per l’aereo era dovuta al taxi che mi aspettava sotto casa alle quattro e mezza e al Malpensa Express che partiva alle cinque spaccate da Cadorna. Se l’insonnia già mi accompagna quando viaggio con altre persone, quando mi muovo da sola è totalmente fuori controllo e mi provoca risvegli cadenzati ogni mezz’ora per l’ennesimo ripasso mentale di tutti i passaggi da fare. Come se poi servisse a qualcosa, visto il mio studio certosino dei dettagli della partenza durante i giorni precedenti.

    Viaggiare molto non ha aiutato a migliorare la situazione. Né tantomeno a scegliere voli a orari più comodi e meno ansiolitici. La regola aurea delle mie vacanze è che ogni ora è preziosa, ogni sacrificio all’andata sarà ripagato da cose in più da fare a destinazione e da tramonti da togliere il fiato. Quindi è per questo che rimango nel letto a guardare il soffitto con il cellulare tra le mani: per onorare le regole e pensare alle ricompense.

    Alla mia inquietudine devo anche aggiungere il fatto che i festeggiamenti di ieri sera per il compleanno di Bianca hanno contemplato un numero di brindisi nettamente al di sopra di quelli che mi ero prefissata in funzione del turbine di spostamenti previsto per le ore seguenti.

    Tornando a casa a piedi dal Deus, avvolta nella sciarpa e nel freddo di Milano, facevo la conta di quante ore avrei dormito, una previsione della temperatura che avrei trovato in Medio Oriente e visualizzavo la mia valigia, piccola ma oculatamente organizzata per lo sbalzo termico.

    Santo Cielo, quanto fremevo. E da quanti giorni.

    Il momento che mi metteva in seria agitazione era quello dei controlli all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Stamattina è andata bene, ero decisamente calma ma soprattutto pronta a rispondere ordinatamente a tutte le domande dei doganieri senza fare quella faccia colpevole di una che deve nascondere qualche misfatto alle autorità, chissà quale poi, se non quello di non sapermi rilassare prima di una partenza.

    «Perché è venuta in Israele?»

    «Sono in vacanza.»

    «Viaggia da sola?»

    «Sì.»

    «Quanto resterà e dove alloggerà?»

    «Starò quattro giorni a Tel Aviv, ho preso un ostello a Florentin.»

    «E andrà in Palestina?»

    «No.»

    «Ok. Ecco il suo visto, può andare.»

    Ho ricominciato a respirare normalmente.

    L’aria era calda ma decisamente meno opprimente di quella di agosto, l’ho sentito fin dentro l’atrio dell’aeroporto. Ho tolto velocemente cappotto e sciarpa e mi sono sentita dannatamente più leggera.

    L’ultima regola da seguire religiosamente prima di sentirmi libera è stata la diligente fila per prendere il taxi. L’autista mi ha accolto con un sorriso caloroso degno del migliore comitato di benvenuto e appena gli ho nominato Milano ha iniziato a elencarmi una lunga lista di suoi amici sparsi per tutta Italia, dei quali, naturalmente, nessuno abitava a Milano. Mi ha fatto un sacco di battute, ma soprattutto tantissime domande.

    Lasciata l’autostrada ho iniziato a vedere i primi grattacieli della città. Sono tornata, sono di nuovo qui, ho pensato.

    «È la prima volta in Israele?»

    «No, sono venuta anche lo scorso agosto. Era decisamente più caldo. Sono tornata perché mi sono innamorata di Tel Aviv e ho trovato un volo a poco.»

    «Ah, sì, Tel Aviv è una città pazzesca, puoi andare in spiaggia e fare festa tutte le sere. A proposito, stasera c’è un party in Rothschild Boulevard. Suona un Dj che fa elettronica. Ti piace l’elettronica? Ci vado con qualche amico. Potrei passare a prenderti col taxi e andare insieme. Io stacco alle dieci.»

    «Ci penserò. Sono sveglia dalle quattro di stamattina.»

    Mi sono chiesta se avessi veramente dormito.

    «Devi esserci.» Si è girato e mi ha fatto l’occhiolino.

    Arrivati in città, nei pressi dell’ostello il mio autista ha rallentato.

    «La strada è questa ma non vedo nessuna insegna.»

    «Eccolo, il 10 è lì, quella porta nera.»

    Scesa dal taxi sono stata travolta da un’afa che mi ha fatto pentire di tutto quello che avevo pensato poco prima. Un caldo maledetto, anche a febbraio. Mi sono tolta un altro strato e sono rimasta in maglietta.

    Il mio autista mi ha messo in mano la piccola e oculata valigia e un biglietto stropicciato col suo numero di telefono e uno smile. Firmato Uria.

    «Scrivimi, eh, che ci divertiamo. Bentornata a Tel Aviv. A proposito, come ti chiami?»

    «Sono Norma. Grazie Uria, ci vediamo.»

    «See ya, Norma.»

    Avevo già deciso che non l’avrei chiamato, e avevo i miei buoni motivi.

    A quel punto desideravo solo togliermi quei dieci strati di indumenti dalle braccia e rituffarmi nelle strade che sognavo da mesi.

    Prima però dovevo affrontare un’interminabile scalinata. Come in ogni ostello che si rispetti, la comodità è un fattore che non si trova mai in prima posizione. In questo caso forse avevo raggiunto il livello più alto, letteralmente parlando, perché la reception stava all’ultimo piano. Naturalmente senza ascensore.

    In questi casi mi rendo conto di non essere più una studentessa squattrinata e che forse dovrei pensare a degli alloggi più comodi. Ma, al di là delle mie riflessioni da trentacinquenne polemica, l’accoglienza dei ragazzi è stata calorosa e mi ha rimesso subito in pace con la fatica. Ho scelto una camera col bagno privato e questo consolida la mia gioia. È piccolina, essenziale e umida. È perfetta.

    I ragazzi mi hanno spiegato come funzionano colazione, cucina condivisa e tutto il resto ma l’attività che più mi interessava era l’happy hour in terrazza prima di cena. Mi sono ripromessa che sarei tornata in tempo ma in quel momento c’erano solo due cose che desideravo veramente: vedere il mare e mangiare hummus.

    Ed eccomi qui, nel posto che più di tutti poteva soddisfare entrambi i desideri uno dopo l’altro: Jaffa, la città vecchia. Dopo essermi riempita gli occhi di onde è arrivato il tempo di soddisfare anche la pancia.

    Il barista mi porge la caraffa con acqua e limone.

    «Ciao, hai deciso cosa mangiare?»

    «Sono atterrata poco fa e sogno l’hummus da giorni, quindi un red tahini. Facciamo anche una green leaves and nuts

    «Perfetto, arrivano subito.»

    Mi guardo intorno. Alla mia destra due ragazzi discutono sulla paternità di certi maccheroni con il formaggio. Anche loro turisti, almeno uno dei due. Comunque parlano in inglese.

    «Questo è un formaggio italiano. È mozzarella, vedi come fila, vedi la consistenza? Ecco, questo è un tipico piatto del Sud dell’Italia.» Beve un sorso di caffè americano dalla sua tazza.

    L’altro ragazzo lo guarda dubbioso, e io con lui. Solleva una forchettata della sua pasta e quella gomma sembra tutto tranne che mozzarella. Vorrei intervenire in difesa della tradizione ma il suo sguardo è abbastanza eloquente.

    Dall’altra parte del bancone siede una coppia. Lei indossa uno splendido vestito a

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1