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La storia di Matera: Dalla preistoria ai giorni nostri
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E-book386 pagine3 ore

La storia di Matera: Dalla preistoria ai giorni nostri

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Info su questo ebook

La Murgia Timone, il Sasso Caveoso e il Sasso Barisano, Serra d’Alto e poi le chiese rupestri, la Cripta del Peccato originale, il Castello Tramontano, la Fontana Ferdinandea.
La Storia di Matera racconta questi luoghi dalla preistoria a oggi, proponendo al lettore un viaggio nel tempo che comincia dalla scoperta dei primi insediamenti umani, affacciati sulla Gravina. Si va sulle orme di Domenico Ridola, si guarda insieme a lui dentro la Grotta dei Pipistrelli, rimanendo a bocca aperta di fronte ai reperti che tornano alla luce. Passeggiando nel tempo, si assiste al passaggio di Annibale e alla morte di Alessandro il Molosso, la cui tomba forse si trova proprio a Timmari.
Nel Medioevo si incontrano personaggi come Belisario, il grande generale bizantino, il cui nome viene dato ai bambini della città per riconoscenza nei suoi confronti, Guglielmo Fortebraccio, primo conte di Matera, e Sant’Eustachio che, secondo la leggenda, salva la popolazione dai Saraceni.
Il lettore può rivivere la nascita delle chiese rupestri e osservare da vicino l’anonima mano che dipinge le pareti della Cripta del Peccato originale, cospargendola di fiori. Ma assiste anche alle lotte per la libertà, che culminano nell’uccisione del terribile conte Tramontano in via Riscatto. Un evento che dà vita al motto della città, che ancora oggi appare sullo stemma di Matera.
La città conosce lo splendore e la miseria che nell’Ottocento dà vita al brigantaggio. Nello stesso periodo, a Matera c’è Giovanni Pascoli, neolaureato, insegnante nel locale liceo.
Il viaggio si spinge nel Novecento, sentendo risuonare le parole di Carlo Levi che in Cristo si è fermato a Eboli descrive la sua visione di questa realtà lasciata a sé stessa, la vergogna nazionale che aspetta un riscatto. Ma che è anche in grado, prima fra tutte le città del Mezzogiorno, di ribellarsi al nazifascismo.
Il libro arriva ai nostri giorni, con l’abbandono dei Sassi e la loro riscoperta, fino al grande progetto che porta Matera a essere la Capitale della Cultura nel 2019.
LinguaItaliano
Data di uscita14 mag 2021
ISBN9788836260034
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    Anteprima del libro

    La storia di Matera - Silvia Trupo

    PREFAZIONE

    Quella di Matera è una storia che assomiglia a una fiaba. La piccola Cenerentola trascurata ed emarginata per tanto tempo, che a un tratto vede cambiare la propria vita e diventa principessa. Potrebbe essere questo un modo per raccontare la parabola del capoluogo lucano ai nostri figli o a dei piccoli studenti: da città infamia nazionale e vergogna d’Italia – come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti molto crudamente l’avevano definita – a scrigno di bellezze uniche e irripetibili, patrimonio dell’Umanità e poi Capitale della Cultura europea del 2019.

    Ma fuor di metafora, e restando nel rigoroso solco della storia, il racconto di Matera è quanto di più affascinante ed emozionante si possa incontrare nel percorrere questo straordinario Paese che è l’Italia. Nelle vicende della Città dei Sassi sono comprese infatti molte delle contraddizioni e delle caratteristiche del nostro popolo, sia sul piano meramente antropologico sia dal punto di vista socio-politico. Matera è stata – ed è tuttora – un monumento alla natura più profonda di noi italiani, impasto di genio e disordine, cultura e arretratezza, miscuglio autentico di etnie frullate attraverso invasioni, dominazioni, traffici e contaminazioni di ogni genere.

    La Storia di Matera dalla preistoria ai giorni nostri, volume di Typimedia Editore curato da Silvia Trupo, con il contributo di Sara Fabrizi e il coordinamento di Simona Dolce, è un viaggio appassionante, a tratti spaventoso, perché ci sono pagine che nel loro dolore e nel loro realismo hanno letteralmente dell’incredibile. Eppure sono storia, autentica e rigorosa narrazione che – partendo appunto dall’alba dell’uomo – arriva fino alla contemporaneità, in un susseguirsi di etnie, battaglie e alleanze, dominazioni e invasori. Come tutto il Sud (ma potremmo tranquillamente dire come tutta la Penisola), anche Matera conosce il transito e le invasioni di eserciti destinati a rapidi passaggi o a più stabili dominazioni. Nella maggior parte dei casi il risultato è il bieco sfruttamento del territorio e delle popolazioni. In pochissimi casi, un progresso del tenore di vita e della sicurezza.

    Quel che è certo, è che Matera arriva fino al Ventesimo secolo in una condizione di arretratezza e di povertà abissali che stride con la situazione di quasi tutto il resto del Paese, che per quanto reduce da un terribile conflitto, riesce a ripartire fino a diventare – con il boom economico degli anni ’60 – una delle potenze economiche del mondo. Ecco, in tutto questo Matera resta al palo. E il simbolo del suo sottosviluppo è rappresentato naturalmente dai Sassi, dove vivono migliaia di persone in condizioni che, da Carlo Levi a Pier Paolo Pasolini, saranno raccontate senza fare sconti a nessuno. Ma è proprio nel Dopoguerra che comincia quel lento processo di rinascita in cui ad alcuni amministratori e cittadini materani si affianca l’opera di illuminati uomini politici, intellettuali e industriali del Paese (e non solo), fino ad arrivare ai giorni nostri.

    Con il risultato che i Sassi oggi non sono più la vergogna ma un luogo unico al mondo che contiene – a un tempo – la storia e l’epopea di un popolo, ma più ancora un’idea di comunità che arriva dai tempi più antichi. Un monumento alla civiltà e, insieme, un monito: conoscere la storia per farne consapevolezza comune.

    Buona lettura a tutti.

    Luigi Carletti

    MURGIA TIMONE. Questo luogo è abitato fin dall’epoca più antica da uomini primitivi che scavano la roccia e trovano riparo nelle grotte.

    CAPITOLO 1

    I primi passi dentro la storia e le scoperte eccezionali di un medico appassionato di archeologia

    1.1 Un inizio pieno di fascino

    Matera, piazza San Pietro Caveoso: è da qui che parte un piccolo bus che conduce a Murgia Timone. Quando si visita la città dei Sassi, è fondamentale osservarla da un’altra prospettiva, perché è proprio da Murgia Timone che nasce la Capitale della Cultura Europea per il 2019.

    Già durante il tragitto che il bus percorre per raggiungere la Murgia, ovunque si giri lo sguardo, si possono ammirare centinaia di grotte che un tempo, molto lontano, sono state le case trogloditiche dei primi insediamenti umani.

    Sono tante, sparse qua e là, e a un certo punto si ha il dubbio di non sapere più dove guardare, tante sono le bellezze primitive da cui si viene rapiti.

    La natura fa da sfondo a uno scenario insolito. C’è tanto, tantissimo verde. Somiglia a un muschio riccio e vivido che avvolge le grotte, simili a tante bocche, profonde e spalancate. Sono inquietanti e affascinanti allo stesso tempo. Il bus si ferma in un parcheggio e l’autista invita le persone a scendere e a godersi la catarsi che di lì a poco si proverà.

    C’è un vento freddo, che soffia forte. Spinge i passi più velocemente del normale, come se Eolo fosse qui ad accompagnare nel più breve tempo possibile verso uno scenario incantato. Si percorre un piccolo sentiero, circondati dal cielo e dalla terra. Non ci sono alberi, non ci sono case. Eppure, ogni passo che si fa, lo si fa dentro la storia, anzi dentro la preistoria di Matera. Mano a mano che ci si addentra nella Murgia, si lascia alle spalle il sentiero per intraprendere un cammino roccioso. È scavato profondamente, difficile da percorrere, bucherellato con fori che a volte sono voragini, altre volte sono grotte. Questa è Murgia Timone.

    Qui, ci si muove nel luogo più antico che la città di Matera conservi.

    Il desiderio di attraversarla tutta si fa sempre più forte, soprattutto quando cominciano a fare capolino, tra le rocce, le grotte trogloditiche. Ci si può anche entrare. Sono tutte diverse tra loro, a volte più profonde, buie, misteriose, altre sono più aperte, simili a delle nicchie, sufficienti a coprire un uomo nel caso di pioggia.

    Altre ancora sono simili a buchi scavati sopra un piccolo promontorio roccioso, come una specie di pozzo. Per osservarle da vicino, è necessario arrampicarsi e avere il coraggio di sporgersi per vedere cosa c’è dentro.

    Essere a Murgia Timone significa saltare sulla macchina del tempo e tornare indietro, prima di Cristo, prima dell’uomo, prima degli animali.

    Bisogna tornare all’epoca geologica chiamata Eocene, milioni di anni fa. Dal fondo del mare comincia a sollevarsi il terreno formato da una serie di strati. Ci sono, in particolare, due tipi di rocce: quelle cretacee, che contengono creta e sono, quindi, più friabili, e quelle plioceniche, formate da sabbioni calcarei e argillosi.

    Gli stessi fenomeni che fanno risalire le rocce in superficie provocano una frattura lunga e profonda. Una lacerazione che apre la terra sulla quale sorgerà Matera. Poi il vento, la pioggia e lo scorrere dei corsi d’acqua scavano questa stessa pietra, la erodono lentamente, ma in modo costante. La modellano, dandole la forma che ha ancora oggi. Basta affacciarsi da quassù e guardare in direzione della città, per vedere questo grande canyon di origine preistorica: la Gravina.

    La Gravina di Matera. Tra Matera e la Murgia si apre una frattura chiamata Gravina per il torrente che la attraversa.

    È lo strapiombo che divide Matera dalla Murgia. Laggiù, sul fondo, scorre il torrente, che le dà il nome e che ha contribuito, con le sue acque, a formarla. È questo solco enorme che affascina per la sua secolare vita. I tratti più ristretti e più superficiali, affluenti alla Gravina, si chiamano gravaglioni, grabilioni, raviglioni, o più semplicemente, come dicono gli abitanti di Matera, guarvigghioni. A causa dell’erosione carsica, provocata dalla dissoluzione del carbonato di calcio dell’acqua, si creano isolate zone di roccia, di sassi, di macigni, di rupi, e si scavano, naturalmente, delle caverne, delle conche, dei gorghi.

    Progressivamente, si formano quattro rupi di differente mole e tre sono le conche: la conca più piccola, profondamente incassata nel fondo della Gravina e ricolma di acqua perenne, costituisce un laghetto, conosciuto col nome di Gorgo, ma che in dialetto si chiama Jurio.

    La rupe più grande e più alta delle altre, poco distante dal laghetto, è la sede dell’abitato preistorico di Matera. Le altre due vallette, invece, diventeranno i Sassi, cioè rioni ricolmi di macigni. Ed è proprio in quest’area che si rifugeranno gli uomini dell’Età della Pietra, nelle grotte che si aprono numerose sui loro fianchi.

    Nel lento fluire dei secoli, giù nel fondo valle, lungo i guarvigghioni, accanto e sopra le grotte primitive, verranno poi costruite, in pittoresco disordine, casette in muratura e ne risulteranno i Sassi.

    Quindi, quella dei Sassi, è la parte più arcaica della città. Dalla prima metà del ’500, l’abitato comincerà a dilatarsi oltre la cerchia e s’irradierà nella piana collinosa a mezzogiorno e a nord dei Sassi.

    Toccherà a Domenico Ridola trovare, disseppellire, tramandare e raccontare le reliquie del passato di Matera, quel passato che è stato forgiato dalla natura, vissuto dagli ominidi e migliorato dall’uomo.

    1.2 MATERA VISTA con gli OCCHI DI DOMENICO RIDOLA

    Il 13 ottobre 1841 a Ferrandina, piccolo comune lucano distante circa 37 chilometri da Matera, da Gregorio e Camilla Ridola, nasce Domenico, e pare che il fortunato incontro con Matera sia già scritto nel suo destino. Pochi mesi dopo la sua nascita, infatti, la famiglia si traferisce nella città dei Sassi, dove il bambino crescerà.

    I Ridola sono benestanti e questo permette al giovane Domenico di frequentare le migliori scuole private, seguite dall’accesso al rinomato Seminario Lanfranchi, istituto prestigioso della città, dedicato ai figli delle famiglie più facoltose. L’edificio esiste ancora oggi, divenuto sede del Museo di arte medioevale e moderna della Basilicata. Dopo questi studi Domenico conseguirà a soli 24 anni la laurea in medicina e chirurgia all’Università di Napoli. Sviluppa così una brillante carriera da medico proprio a Matera, dove tornerà per stare vicino al padre ammalato e aprirà il suo studio in via Duomo.

    FERRANDINA. Domenico Ridola, grande studioso della preistoria materana, nasce a Ferrandina.

    Da sempre appassionato di archeologia e incuriosito dalle origini misteriose della sua città adottiva, Domenico colleziona conchiglie fossili, cocci di ceramica, piccoli resti di arnesi di selce. Quando si affaccia alle finestre del suo studio, non può non ammirare lo scenario che gli si apre davanti agli occhi: i Sassi, in tutto il loro splendore da una parte e, poco più su da via Duomo, la Cattedrale. Ogni giorno Domenico, per raggiungere il suo studio medico, percorre queste strade che trasudano storia. Allo stesso tempo, però, è convinto che esista altro da scoprire nella città che conosce e che ama.

    Palazzo Ridola. È proprio in questo edificio che il dottor Domenico Ridola aveva aperto il suo studio medico.

    Questa convinzione si fa ancora più insistente nel 1872, grazie a un dono speciale. Un giorno, infatti, gli si presenta l’amico farmacista, Francesco Cicillo Riccardi, e gli consegna un oggetto misterioso: una bellissima punta di freccia in pietra gialla, praticamente intatta. Racconta di averla trovata a Serra Sant’Angelo, in un luogo non lontano dalla Grotta dei Pipistrelli. È una delle tante cavità che si aprono nei fianchi della Murgia materana, che in dialetto è detta grotta dei "mattivagghi". Un mistero fitto la avvolge e questo piccolo reperto ne amplifica il fascino.

    Così, armatosi di una squadra di esperti scavatori, Domenico decide di scoprire cosa ci sia dentro questa grotta. Un’idea che a molti sembra pura follia. Già in passato qualcun altro ha provato a scavare ed entrarci. Da tempo, infatti, circola una strana leggenda: si dice che proprio qui, dove un tempo c’è stata una chiesa, un re Barbarossa avrebbe sepolto sua figlia, ponendo con lei un magnifico tesoro, rappresentato da un cervo completamente d’oro. A rendere ancora più favolosa la diceria, si aggiunge un altro elemento, riportato nel volume Matera dalla civiltà al piano (1984) di Leonardo Chisena. Nella grotta, a vegliare sulla sepoltura, ci sarebbe lo spirito di un guerriero ucciso proprio perché protegga il luogo da malintenzionati. Chiunque sia penetrato in questa cavità abitata da pipistrelli, è tornato indietro deluso.

    A parte qualche ritrovamento di relativa importanza, le spedizioni non danno frutto.

    I contadini, comunque, continuano a visitarla nel tempo. Sul pavimento della grotta, infatti, si accumula il guano, gli escrementi prodotti dai pipistrelli. È una risorsa importante, utile per concimare i campi.

    Ma Domenico vuole sfatare le dicerie e vuole rendersi conto con i propri occhi della verità che nasconde la grotta. Per questo, dal 1872 e per tutti gli anni a venire fino al 1878, comincia a fare diversi sopralluoghi. Addentrandosi, scopre subito che questa grotta, in realtà, è l’ultima di un intero sistema di cavità, collegate tra di loro. I vari snodi, scavati nella pietra, si rivelano al suo sguardo curioso. Alcuni sono nascosti, altri, invece, crollati e inaccessibili. Dall’imboccatura, che rappresenta l’ingresso principale, si cammina fino a raggiungere uno spazio anteriore più largo e un altro più piccolo verso il fondo. Da qui parte un altro tunnel. Domenico vi cammina per un tratto di circa 50 metri, prima di ritrovarsi dentro un’altra grotta. Un vicolo cieco.

    Nell’arco dei sei anni in cui si reca lì, il giovane Ridola ogni volta scopre qualcosa di nuovo e di diverso. Mucchi di pietre accumulati fanno presagire dei possibili resti preistorici. Tra questi ce n’è uno, in particolare, che riesce a commuoverlo.

    Si tratta di un focolare, molto grande, il più grande di tutti quelli che ha già trovato in precedenza. Questo però è diverso, perché è collocato in direzione dei primi raggi del sole nascente. La sua posizione indica che la grotta non solo non è sempre stata il regno di soli pipistrelli, come si usava pensare, ma che è stato un luogo sacro per gli antichissimi uomini del Paleolitico.

    Qui, nel buio, migliaia di anni fa, ci sono uomini coperti da pelli di animali che cercano rifugio dalle intemperie. Tra le mani, ancora inesperte, stringono delle pietre che lavorano lentamente, con pazienza. Un scheggia alla volta, battendole insieme, danno forma agli strumenti che servono loro per sopravvivere: raschiatoi per pulire le pellicce dal grasso, piccoli bulini usati per incidere su pietra, punte di armi. Fuori, l’ambiente che li circonda è pericoloso e ostile, popolato di animali feroci. Non è raro che, addentrandosi in uno dei tanti cunicoli, si ritrovino faccia a faccia con un enorme orso delle caverne, che ha scelto la grotta come tana. I maschi di questa specie possono raggiungere i tre metri d’altezza e, anche se la loro dieta è prevalentemente vegetariana, per affrontarli bisogna essere in tanti. Ci sono poi le iene, i cervi e anche dei giganteschi buoi, gli uri, i più antichi antenati dei bovini moderni. Hanno lunghe corna ricurve, a forma di lira, un corpo possente e muscoloso e un temperamento aggressivo. La loro specie si è estinta nel 1627, quando l’ultimo esemplare, una femmina, è morto nelle foreste polacche vicino al piccolo comune Jaktorów.

    Domenico è fiero di sé e del lavoro che la sua squadra ha svolto, è consapevole di aver trovato un posto unico al mondo, antico e carico di storia.

    Ovviamente questa scoperta conduce il medico-archeologo a compiere altre imprese memorabili. Infatti, insieme con i giovani archeologi Luigi Pigorini e Quintino Quagliati, scoprirà le grotte funerarie sulla collina di Timmari. All’interno di queste grotte, sulle cui pareti ci sono segni evidenti di spianamento fatto con arnesi molto probabilmente di pietra, vi è un corridoio che conduce a un pozzetto dove, una lastra di pietra, chiude l’accesso a una piccola grotta di forma ellissoidale. È la cella sepolcrale.

    CORREDO SEPOLCRALE di TIMMARI. I ritrovamenti sono così ricchi che la studiosa Maria Giuseppina Canosa ipotizza che si tratti di una tomba principesca.

    Così Domenico si convince che le ricerche devono continuare, e più scopre il passato primordiale della città, più ha voglia di capire cos’altro la terra e la pietra hanno custodito. Nel corso delle ricerche, lui e i suoi colleghi, troveranno circa una trentina di scheletri di sesso ed età differenti.

    Tra le scoperte che Ridola farà in seguito, quella di Timmari e della Grotta dei Pipistrelli saranno per lui le più importanti, e sono quelle che hanno dato il via libera alle ricerche, confermando le sue ipotesi in merito alla presenza di forme di vita a Matera già dalla preistoria.

    E in effetti, Matera è considerata tra le più antiche città al mondo, con Aleppo in Siria e Gerico in Cisgiordania, e se oggi si è a conoscenza di questo è grazie agli studi e alle scoperte compiute da Domenico Ridola.

    Sarà proprio lui a scoprire Murgia Timone, il posto da dove questo viaggio ha inizio, il posto in cui è possibile ammirare da vicino gli insediamenti trogloditici, ed è proprio da qui, da Murgecchia e Serra d’Alto, che metterà in luce diverse trincee di villaggi preistorici.

    1.3 DAL Paleolitico AL NEOLITICO

    Gli studi e le scoperte di Domenico Ridola, non si riconducono alle sole tombe o grotte. È chiaro che ogni qualvolta che il medico-archeologo entra in una grotta, la scoperta si estende anche a tutto quello che lì dentro è custodito. Un mondo sotterraneo che va riportato alla luce.

    Selci, pietre lavorate, punte di freccia, urne cinerarie, crateri, vasellame, ceramiche impresse e corredi funerari, sono solo una piccola parte di tutti i reperti che Ridola trova e custodisce all’interno

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