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Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni
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Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni
E-book380 pagine4 ore

Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni

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Info su questo ebook

I luoghi e gli aneddoti più nascosti della prima capitale d’Italia

Torino è una città che da sempre si fonda sulla dualità: riservata ma regale, nobile ma operaia, elegante ma popolare, artistica ma industriale. Soprattutto, Torino è la città in cui si incontrano la magia bianca e la magia nera, un luogo in cui segreti e leggende sono parte fondamentale della storia cittadina. Questa vocazione al mistero, unita al tradizionale riserbo che caratterizza la “sabaudità”, fa sì che il turista debba aggirarsi tra i vicoli torinesi con il piglio del cercatore d’oro, aguzzando gli occhi per non farsi sfuggire i tanti tesori di cui la città è costellata, ma che spesso giacciono lontano dalla superficie. Dalle Carceri Nuove al Museo Schneiberg, dal Villaggio Leumann alla Cappella dei Banchieri e dei Mercanti, Sarah Scaparone ci conduce alla scoperta dei luoghi e dei monumenti più curiosi e segreti di Torino e del suo circondario.

Le perle segrete di Torino e del suo territorio

Tra le imperdibili mete:

Torino città
• Borgo Campidoglio e il Museo di Arte Urbana • i rifugi antiaerei • il Cimitero Monumentale e il Vermouth • il sottomarino in centro città • la vigna urbana e Villa della Regina

Entro venti chilometri
• città della scrittura: Bic e Aurora • la fabbrica delle caramelle di zucchero dal 1857 • il Museo del Grande Torino e della Leggenda granata • Infini.to, il planetario di Torino • l’Ecomuseo Cruto

Tra venti e quaranta chilometri
• Villa Meleto, la casa di Guido Gozzano, ad Agliè • Chivasso e i Nocciolini • Caluso e i vini della provincia di Torino • Rivara e l’arte • la Villa romana di Almese

Oltre quaranta chilometri
• il Forte Bramafam • la piana di Usseglio • Vrù, il borgo dei presepi • Roure, il paese dei murales • Chiaverano, il borgo del buon vivere
Sarah Scaparone
(1976), laureata in Lettere Moderne con indirizzo cinematografico, è nata a Torino dove vive e lavora. Giornalista professionista freelance, firma articoli per «La Stampa», «Donna Moderna», «La Cucina Italiana», «Pasticceria internazionale» e altre testate nazionali legate al mondo del turismo e dell’enogastronomia. Appassionata di cucina, di viaggi e di buoni vini è sommelier AIS. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 cose da fare in Piemonte almeno una volta nella vita e Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ott 2021
ISBN9788822752451
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    Anteprima del libro

    Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni - Sarah Scaparone

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    779

    Prima edizione ebook: ottobre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5245-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Punto a Capo, Roma

    Sarah Scaparone

    Luoghi segreti da visitare a Torino e dintorni

    I luoghi e gli aneddoti più nascosti

    della prima capitale d’Italia

    marchio.front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    TORINO CITTÀ

    Torino e Gustavo Rol

    Sala Gonin a Porta Nuova

    Sulle tracce dei luoghi scaramantici e curiosi

    Borgo Campidoglio e il Museo di Arte Urbana

    I luoghi del patibolo

    Cit Turin e la Torino Liberty

    I rifugi antiaerei

    La Pellerina

    Il Museo di Antropologia criminale... Cesare Lombroso

    Torino e la nascita del cinema

    L’albero della fortuna e il Parco della Tesoriera

    La casa studio di Carol Rama

    I luoghi dove hanno vissuto i Santi Sociali

    Terrazze panoramiche

    Il Pantheon di Torino

    Torino Esposizioni e la moda

    Fred Buscaglione e Torino

    Il Museo della Radio e della Televisione

    Piffetti, il Museo Accorsi e Palazzo Chiablese

    Il sottomarino in centro città

    I ponti di Torino

    La cappella dei Banchieri e dei Mercanti

    Le Musichall

    Museo Ferroviario Piemontese

    La pista

    I cartoni cinquecenteschi di Gaudenzio Ferrari

    Il record delle statue equestri

    Piazza San Martino: De Amicis, Salgari e il Punt e Mes

    La cappella della Sacra Sindone... e la cupola del Guarini

    Il Cimitero Monumentale e il Vermouth

    Palazzo Graneri della Roccia

    Il Sermig, l’Arsenale della Pace

    Madonna del Pilone

    I luoghi di Erminio Macario

    Il Museo Lavazza e una cena da condividere

    Il Parlamento subalpino

    Piazza Bodoni e la musica del Conservatorio

    Mulassano, dove nacquero i tramezzini

    Il Campanile e la Real Chiesa di San Lorenzo

    Playground artiglieria

    Il Museo Schneiberg

    Carceri Nuove

    Museo della cipria

    La pizza di Torino

    Teatro romano e Giardini Reali

    Le Roi

    La vigna urbana e Villa della Regina

    LE METE DI VIAGGIO ENTRO VENTI CHILOMETRI

    Città della scrittura: Bic e Aurora

    Il Faro della Vittoria, il Parco della Rimembranza... e San Vito a piedi

    Superga, la cupola e le tombe reali di Casa Savoia

    Lo Studio Museo di Felice Casorati

    Il Villaggio Leumann

    La fabbrica delle caramelle di zucchero dal 1857

    Il Castello della Mandria

    Il Museo del Grande Torino... e della Leggenda granata

    Il santuario di San Pancrazio

    Ecomuseo Cruto, dove nacque la lampadina

    Infini.to il planetario di Torino

    I mercati generali

    Il Castello di Collegno

    Vinovo e i cavalli

    Villa Cerruti

    La cappella di Sant’Uberto

    Santena, gli asparagi e il Memoriale Cavour

    I grissini di Chieri

    Casa Martini

    LE METE DI VIAGGIO TRA VENTI E QUARANTA CHILOMETRI

    Villa Meleto, la casa di Guido Gozzano, ad Agliè

    Chivasso e i Nocciolini

    L’Acquedotto di Sangano

    Giaveno tra sacro e profano

    Caluso e i vini della provincia di Torino

    Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso

    Rivara e l’arte

    I tulipani di Pralormo

    La Villa romana di Almese

    LE METE DI VIAGGIO OLTRE QUARANTA CHILOMETRI

    Champlas e il Museo del Carnevale

    Il Forte Bramafam

    Lago Orfù, Gad

    Susa la romana

    Riserva naturale Orrido di Chianocco

    Novalesa e il lago del Moncenisio

    La piana di Usseglio

    Vrù, il borgo dei presepi

    Ceresole Reale e il versante piemontese... del Parco nazionale Gran Paradiso

    Castello di Miradolo e Fondazione Cosso

    Museo dell’Emigrazione Piemontese a Frossasco

    Le ceramiche di Castellamonte

    Le montagne del gusto

    Il Sentiero delle Anime

    Roure, il paese dei murales

    Pancalieri e la menta piperita

    Chiaverano, il borgo del buon vivere

    Il Castello di Masino

    Bibliografia

    Ringraziamenti

    A mio cugino Paolo Seffusatti

    che amava Torino e i suoi segreti

    Introduzione

    Come puoi raccontare i luoghi segreti di Torino senza parlare della sua storia? Impossibile. Città romana, regno di Casa Savoia, ha visto nascere l’Unità d’Italia e, nel corso dei secoli, le sue vie e i suoi palazzi sono stati protagonisti delle arti, della cultura, della moda, delle scoperte scientifiche, dell’industria, dell’enogastronomia. Tutto questo ha comportato la nascita e la crescita di un tessuto sociale fiero delle proprie origini e delle proprie esperienze, prodigo nell’aiutare gli altri, attento alle innovazioni e con uno spiccato gusto per il bello. E c’è come un sottile filo rosso che accompagna la lettura di questo libro: una linea che congiunge luoghi e persone, storie e avvenimenti che raccontano come tutto, in qualche modo, sia collegato anche a chilometri di distanza.

    Torino è conosciuta per le residenze sabaude (spettacolo di architettura come la Venaria Reale o la Palazzina di Caccia di Stupinigi), per le sue chiese (edifici secolari come la Sacra di San Michele), per il Museo del Cinema, il Museo Egizio, il fiume Po. A Torino si prega la Consolata, si passeggia lungo il Parco del Valentino, si fabbricano (ancora) le auto, si bevono il Vermouth e il Bicerin e si mangia il vitello tonnato più buono del mondo. La città possiede tesori visitabili che però vogliono restare segreti (Casa Mollino) e altri che sono segreti perché si possono vedere solo in rarissime esposizioni come L’Autoritratto di Leonardo da Vinci, custodito presso la Biblioteca Reale, o i manoscritti di Antonio Vivaldi all’interno invece della Biblioteca Nazionale Universitaria.

    Torino è una città caparbia, tenace e risoluta. È una città che ha imparato a conoscersi dopo le Olimpiadi invernali del 2006, riscoprendosi bella anche agli occhi dei suoi abitanti. Del resto vive da sempre di dualità e di opposti: fa parte del suo dna. Riservata ma regale, nobile ma operaia, elegante ma popolare, artistica ma industriale, Torino sogna il mare, convive con i suoi fiumi e guarda le montagne che la circondano e proteggono da sempre. È una città bellissima, ma controversa, nell’eterna ricerca di un’identità che si allontana sempre troppo da quella che di volta in volta le viene cucita addosso. Torino è bianca e nera, non solo per una delle fedi calcistiche che animano i cuori cittadini, ma anche perché è una città magica: luogo d’incontro mondiale tra la magia nera e bianca, è ricca di leggende e aneddoti legati all’occulto. Disseminata di palazzi storici e monumenti visibili agli occhi di tutti, possiede una vita underground che ha dato i natali a grandi gruppi musicali e correnti artistiche confermando quel fermento culturale che è sempre stato offuscato dalla sua secolare etichetta di città industriale. Prima capitale d’Italia, Torino non si dona a tutti: per conoscerla bisogna andare oltre le apparenze e volerla scoprire. Non è una città ovvia, tutt’altro. Può sembrare scostante come i suoi abitanti, con quel fare diffidente e sabaudo che nasconde dietro l’austero rigore un innato riserbo. Lo spiega bene il termine sabaudità che racconta di «una città immersa nella bellezza, viziata dal buon cibo e coccolata dalla simmetria». L’ostentazione non fa parte della sua anima, come non appartiene nemmeno al suo popolo: per questo bisogna imparare a girare tra le sue strade con il piglio di un cercatore d’oro in mezzo a un fiume. Ma qui, dove l’understatement regna sovrano sin dai tempi di Cavour e l’umiltà preclude di conservare ciò che in città viene inventato, in realtà non ci si ferma mai anche se non si corre come in una metropoli, ma si ama trovare il tempo per una pausa (golosa) in un Caffè. Per conoscere la Torino delle pepite d’oro e per amarla a dismisura occorre dunque procurarsi un bel setaccio con cui cercare le storie migliori, i luoghi più belli, gli aneddoti più misteriosi, le curiosità che mai avreste pensato di trovare proprio qui. È la Torino segreta quella che fa innamorare e, come in ogni storia d’amore, non bisogna darla per scontata, mai.

    TORINO CITTÀ

    Torino e Gustavo Rol

    Ricordo come fosse oggi quando Lorenzo Ostuni, a Roma, mi parlò per la prima volta di Gustavo Rol. Fu forse il momento della mia vita in cui mi sentii più vicina a questo torinese sui generis che non ho mai conosciuto, ma che in città continua a essere una presenza anche, ormai, ad anni di distanza dalla sua morte. Ostuni (a cui nel 2018 è stato dedicato a Tito, in provincia di Potenza, il Museo dei Simboli) era un simbologo di fama internazionale, lavorava per la Rai, incideva gli specchi con punte di diamante e aveva a Roma, in via degli Scipioni, uno studio a cui si accedeva scendendo alcuni gradini. Un luogo accogliente e colmo di libri dove, mi raccontò, una volta si incontrarono anche Rol e Federico Fellini: Rol accolse il regista con un gruppo di vestali in abito bianco e gli chiese di fermarsi vicino a quella che preferiva. Questa donna gli raccontò esattamente il sogno che il regista romagnolo aveva avuto la notte precedente: incredulo, Fellini portò immediatamente Rol nella sua abitazione per fargli vedere, all’interno del suo libro dei sogni, il disegno che aveva realizzato e che corrispondeva esattamente alla descrizione della giovane. Da quel momento tra i due nacque una grande amicizia che continuò fino alla morte di Fellini avvenuta nel 1993, un anno prima di quella di Rol. «[…] Sono vecchio e il Tempo mi ha consentito di seguire passo dopo passo la carriera di Federico. In tutto quanto egli ha fatto, anche se Giulietta non appare si sente che esiste: di qui bisogna dire che la Sua influenza su quel Colosso è stata indispensabile. E questo perché nelle persone di genio il cuore e la mente si tengono strettamente legate fra di loro […]»¹, scrisse Rol in una lettera a Giulietta Masina dopo la morte del maestro. Gustavo Adolfo Rol nacque a Torino il 20 giugno del 1903, giorno in cui da sempre si celebra in città la festa della Madonna della Consolata, in un appartamento di corso Duca di Genova (oggi corso Stati Uniti) da un’agiata famiglia piemontese. La città e il paese di San Secondo di Pinerolo, dove si recava con la famiglia per il periodo estivo, sono i luoghi in cui trascorse l’infanzia e la giovinezza prima di intraprendere la carriera giornalistica e poi quella bancaria che lo portò a lavorare nelle filiali di tutta Europa tra il 1925 e il 1930. Fu a Parigi che conobbe Albert Einstein, ma anche che incontrò l’amore della sua vita: Elna Resch-Knudsen con cui si sposò a Torino nella chiesa di San Carlo, in piazza San Carlo, nel dicembre nel 1930.

    Gustavo Rol in un ritratto fotografico giovanile del 1924.

    Gustavo_Rol.jpg

    Proprio in quel periodo acquistò in via Silvio Pellico 31, all’angolo con corso Massimo d’Azeglio nel quartiere San Salvario, un alloggio al quarto piano dove abitò per sessantaquattro anni. Ma tra i luoghi che in qualche modo segnarono la sua esistenza torinese ci furono anche la banca Donn del Sestriere e Oulx dove prestò servizio negli anni Venti nel Battaglione Exilles degli Alpini – Trentesima Compagnia Lavoratori al Vin Vert: qui dirigeva i lavori per la costruzione di strade e massicciate per facilitare l’eventuale passaggio delle artiglierie di montagna. Fu invece alla fine della seconda guerra mondiale, dopo aver abbandonato il lavoro in banca, che aprì un negozio di antiquariato in via Lagrange 2 che mantenne per una decina d’anni per poi dedicarsi all’attività di pittore; vista la sua passione per gli oggetti antichi, amava molto anche recarsi nel negozio di antiquariato dell’amica Giovanna Demeglio in corso Regina Margherita 148 dove trascorreva interi pomeriggi nel retro della bottega. «[…] Quando ancora la sede del mio negozio era in via Goito, un giorno, la giornalista de La Stampa Simonetta Conti mi stava facendo un’intervista, e dalla porta fece capolino Rol. Io non sapevo chi fosse, ma quando lui è uscito, Simonetta me lo ha spiegato. Incuriosita, qualche giorno dopo l’ho chiamato al telefono. Non volevo infastidirlo e gliel’ho detto. Ma lui mi ha risposto: Cara bambina, noi saremo amici per sempre: come due rette che si incontrano all’infinito. Ed è stato proprio così […]», racconta la Demeglio, che fu amica di Rol fino alla morte, in un’intervista su «La Stampa» del 2018.

    Nella stessa pagina parla di lui anche Maria Luisa Giordano, amica di famiglia del sensitivo torinese: «[…] Ricordo tutto di lui: che aveva la risata di un bambino, non chiedeva mai una lira a nessuno e ha fatto del bene a tante persone: agli ebrei che ha salvato in tempo di guerra, ai malati di cui intuiva la diagnosi semplicemente guardandoli, per poi accompagnarli fino in sala operatoria, se avevano paura e gli chiedevano aiuto […]». Uomo dotato di straordinarie facoltà, in tutta la vita aiutò gratuitamente centinaia di persone; per lui non esistevano barriere spazio temporali e ogni azione sembrava violare le leggi fisiche. Scriveva a distanza, leggeva nei libri chiusi, disintegrava gli oggetti con uno sguardo, li spostava senza toccarli e riusciva anche a vedere il futuro. Un mistero che resta inspiegato e che continua a far discutere chi crede ancora nei suoi poteri (e vorrebbe dedicargli un museo in città) e chi invece è sempre rimasto scettico. L’hanno chiamato l’uomo dell’impossibile e dell’incredibile, come è stato inciso sulla targa affissa sulla casa di via Silvio Pellico 31 nel ventennale della scomparsa. Nel salotto di quella casa, ricca di mobili antichi e pezzi di antiquariato, Rol accoglieva i suoi ospiti intorno a un tavolo ovale, ma era la sala degli specchi quella in cui le leggi della fisica, dello spazio e del tempo si fermavano e dove poteva accadere di tutto. Folgorato negli anni Venti da un incontro con un misterioso personaggio a Marsiglia e dalla successiva scoperta di una legge che collegava il colore verde, la quinta musicale e il calore, Rol (che sul campanello di casa aveva scritto in lettere non il suo nome, ma il numero cinque) divenne ben presto noto in tutto il mondo per le sue sorprendenti previsioni: da Einstein a Dalì, da Picasso a Mussolini, furono moltissime le personalità, italiane e internazionali, che si rivolsero a lui per un consulto.

    Fu l’ultimo sensitivo (anche se non amava essere chiamato così) apprezzato e temuto anche dai potenti: pare infatti che Gianni Agnelli, ad esempio, non volesse assolutamente che Cesare Romiti, l’amministratore delegato della Fiat, frequentasse il salotto di Gustavo Rol; ne era terrorizzato da quando, a Venezia, aveva sentito Rol raccomandare a un amico comune di non prendere l’aereo per Roma. Quell’aereo cadde e l’amico morì. Romiti però frequentò la casa di Rol e qui trovò spesso anche Marcello Mastroianni e Federico Fellini che letteralmente pendevano dalle sue labbra.

    Sala Gonin a Porta Nuova

    I ritmi frenetici della vita impongono a tutti i pendolari del mondo di entrare e uscire dalle stazioni senza porre più di tanta attenzione ai luoghi che stanno attraversando. Molto spesso, però, proprio le stazioni ferroviarie regalano inaspettate sorprese architettoniche come accade nell’elegante stazione di Porta Nuova realizzata da Alessandro Mazzucchetti (archi-star ottocentesco a cui si devono anche Genova Piazza Principe e la stazione di Alessandria) e Carlo Ceppi tra il 1861 e il 1868. Un grande atrio e le gallerie laterali da sempre contraddistinguono questo edificio che, seppur declassato a seconda stazione cittadina dopo la costruzione dell’avveniristica quanto anonima Porta Susa, resta nell’immaginario collettivo la stazione di riferimento della città. Proprio qui, entrando dall’accesso principale di corso Vittorio Emanuele ii e guardando verso sinistra, si trova un luogo nascosto che in realtà testimonia la storia dell’edificio fin dalla sua costruzione. Tra negozi e passaggi pedonali trova infatti spazio la sala d’aspetto di prima classe, conosciuta come Sala Reale, ma anche come Sala Gonin. Aperta in occasioni speciali e su prenotazione, questa sala fu realizzata come luogo di attesa per la famiglia Savoia che la utilizzava per aspettare il treno lontano da occhi indiscreti. Lo splendore, anche grazie a numerosi restauri, è lo stesso di un tempo, e si avvale dell’effetto sorpresa che assale ogni visitatore incredulo al fatto che dietro a porte vetrate impolverate e altissimi tendoni possa celarsi questo spettacolo. Del resto i lavori per la costruzione della stazione iniziarono proprio nell’anno in cui fu proclamata l’Unità d’Italia (1861) e il rigore funzionale dell’epoca non poté che unirsi alla grandezza tipica dei palazzi sabaudi. Per decorare la Sala Reale venne chiamato il pittore torinese Francesco Gonin che realizzò tre grandi dipinti dedicati a scene mitologiche con le allegorie della Terra, dell’Acqua e del Fuoco raffigurati sotto forma di personaggi. I tre affreschi sono incorniciati da fregi intagliati con festoni di putti e composizioni di frutta, realizzati dall’artista Pasquale Orsi, lo stesso che progettò i mobili intarsiati che arredano la sala, mentre gli stucchi sono di Pietro Isella. Al centro della sala, il lampadario in vetro di Murano, sottolinea ulteriormente l’importanza del luogo che ha un’ampiezza di 75 metri quadri: un piccolo scrigno affrescato con la tecnica del trompe l’oeil dove i personaggi mitologici che richiamano i quattro elementi si intrecciano alla rappresentazione dei quattro continenti raffigurati, negli angoli della sala, da carte geografiche tenute da angeli che volano nel cielo.

    Ma la Sala Gonin, pur essendo il vero luogo segreto della stazione, non è l’unico dallo spiccato valore artistico. Al suo fianco si trova infatti la Sala degli Stemmi, oggi adibita a magazzino: progettata nel 1864 per accogliere la biglietteria della stazione, prende il nome dagli oltre 100 stemmi che ne decorano la grande volta a botte e che rappresentano le città raggiungibili in treno da Torino. C’è poi un’altra curiosità che riguarda invece una storia più recente e meno felice. Va ricordato che negli anni del secondo conflitto mondiale, la stazione divenne centro di raccolta dei deportati destinati ai campi di concentramento. Il primo treno partì da qui il 13 gennaio 1944 con destinazione Mauthausen e una targa apposta in corrispondenza del binario 17, verso via Sacchi, oggi ricorda i tristi avvenimenti di quegli anni.

    Sulle tracce dei luoghi scaramantici e curiosi

    Torino scaramantica, Torino simbolica. Quante facce ha questa città? Tante, ma per scoprirle bisogna essere curiosi e aver voglia di guardarla con occhi diversi. Iniziamo dai riti più famosi: sotto i portici di piazza Castello, di fronte al Caffè Torino, sul pavimento c’è la sagoma in metallo dorato di un toro ed è risaputo che calpestarne i testicoli porti fortuna; in piazza Castello 211, invece, è di buon auspicio toccare il mignolo di Cristoforo Colombo che spunta da un altorilievo in bronzo e che è, per questo motivo, visibilmente consumato; girare tre volte intorno alla Fontana dei Tritoni che c’è all’interno dei Giardini Reali è un altro rito benaugurale poiché, si narra, riceve l’energia proveniente dalle sottostanti Grotte Alchemiche; salire sulla Mole Antonelliana prima di laurearsi pare invece che porti sfortuna e io stessa credo di esserci andata solo dopo aver concluso il mio percorso universitario.

    […]

    Tra gli affezionati del toro di piazza San Carlo c’era anche Virgilio Maroso, uno dei terzini del Grande Torino. Esile nel fisico ma solido, era famoso per la sua abilità nel nascondere il pallone all’avversario che cercava di contrastarlo, impedendogli di giocarlo. Maroso, che di solito non era superstizioso, prima di ogni partita aveva l’abitudine di vestirsi sempre allo stesso modo, con pantaloni di vigogna scuri e una giacca principe di Galles. Prima di andare allo stadio, poi, passava da piazza San Carlo e pestava il toro di fronte al Caffè Torino

    […].

    ²

    Scaramanzie a parte, Torino è ricca di simboli e di luoghi simbolici che in qualche modo concorrono a creare quell’atmosfera della città che molto contrasta con il suo essere rigorosa e a tratti austera. A guardarla bene, Torino, non lo è affatto poiché qui, in molti casi, vige la regola che nulla è come sembra. Prendiamo quell’emblema del barocco piemontese realizzato da Guarino Guarini e che porta il nome di Palazzo Carignano. Proprio sulla facciata, tra una serie di decorazioni simboliche, spiccano alcuni pellerossa. Sì, indiani d’America scolpiti tra i fregi barocchi che donano al palazzo dove nacquero Carlo Alberto e Vittorio Emanuele ii un non so che di esotico e del tutto originale. Secondo la credenza popolare, Guarini che era anche un padre teatino, avrebbe inserito gli indiani sulla facciata per evocare le opere di evangelizzazione tra i Seneca, gli Irochesi e gli Uroni del Canada in un’impresa che costò la vita a molti missionari. Un’occasione per ricordare le gesta di Emanuele Filiberto e del principe Tommaso che, a capo del Reggimento Carignano nel 1665, furono mandati da Luigi xiv a proteggere il Canada francese dagli Irochesi.

    E che dire dei muri parlanti? Torino è piena di mascheroni e portoni che conferiscono all’architettura una valenza del tutto insolita. «[…] Molti edifici del centro cittadino si avvalgono ampiamente della decorazione ottenuta con i mascheroni di stile manierista-barocco, che contrassegnano portoni e facciate con un singolare teatro allegorico: quei volti prendono vita attraverso la fantasia e provano a raccontare storie e leggende a chi abbia voglia di ascoltarle […]»³, scrive il grande Massimo Centini. Intanto dividiamo simbolicamente il centro storico in due parti: quello della Torino nera che da piazza Statuto, guardando verso piazza Castello, si sviluppa sul lato destro e quello della Torino bianca che invece ne ricopre il lato sinistro. La prima ha sui palazzi innumerevoli volti di demoni, mentre la seconda visi di angeli. A conferma di questa teoria c’è anche la credenza riguardo la cancellata alta 4 metri e lunga 33, disegnata da Pelagio Palagi, che divide piazzetta Reale da piazza Castello su cui si trovano i due dioscuri a cavallo Càstore e Pollùce, figli di Zeus. La cancellata avrebbe il potere di trattenere gli influssi del male dividendo l’area del duomo e della Sindone da quella consacrata al potere temporale prima della monarchia e, adesso, della Regione. Piazza Castello, poi, ha una facciata senza palazzo, cioè Palazzo Madama e una chiesa senza facciata che è quella di San Lorenzo.

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    La facciata di Palazzo Madama in piazza Castello in una stampa di A. Deroy del 1890.

    Proprio sul Palazzo della Regione, per esempio, c’è un mascherone a forma di Medusa che mostra la lingua. I mascheroni di solito sono realizzati in stucco e collocati sull’architrave dei portoni oppure sopra o sotto i riquadri delle finestre e hanno quasi sempre volti spaventosi e la lingua bene in vista. Sul fatto di mostrare la lingua ci sono due teorie:

    […]

    La prima vede nei mascheroni dei guardiani di soglia. La porta, e la lunga pietra che congiunge i due stipiti, hanno un valore altamente simbolico. Rappresentano il confine tra il dentro e il fuori, tra ciò che si può vedere e ciò che deve restare nascosto. Per questa ragione questo punto deve essere presidiato, in modo da impedire che entrino in casa persone o presenze indesiderate. Ma esiste anche una seconda spiegazione chi si avvicina a una casa o a un luogo con intenzioni malvage, trovandosi di fronte a una figura dalle caratteristiche così peculiari non può trattenere un sorriso. Ma nel momento in cui sorride, le sue intenzioni bellicose svaniscono. Mostrare la lingua, perciò, non sarebbe un gesto di scherno o di sfida bensì un atto irridente

    […].

    Ma oltre ad angeli e demoni, i palazzi della città sono costellati di mille altre espressioni decorative. Ci sono gli animali, come il leone di via Cavour 6 (figura presente su molti architravi di porte e portoni cittadini), il cane di via Milano 11 e di via San Francesco d’Assisi 44, i crani d’ariete all’ingresso del Conservatorio in via Mazzini 11 o i pipistrelli giganti con le ali spiegate sotto i balconi di via Madama Cristina 19, all’angolo con via Silvio Pellico, o ancora i due maestosi draghi alati che sorvegliano il portone del Palazzo della Vittoria in corso Francia 23. Sulle facciate dei palazzi si trovano anche Atlanti come in via Valperga Caluso 21, Telamoni come quelli, barbuti, di via Fratelli Calandra 9 o ancora quelli alati di via Pietro Micca 19. Tra i tanti fregi liberty ecco il cartiglio scolpito tra due finestre e le porte dei balconi sottostanti della Casa Maffei in corso Montevecchio 50 in cui è rappresentata la dea della fortuna che cavalca un’aquila e che ha tutte le caratteristiche tipiche dell’Art Nouveau. E poi non dimentichiamo gli occhi inquietanti che si aprono sui marciapiedi, come quelli di via Lascaris, angolo via San Francesco d’Assisi a pochi passi da piazza Solferino: si dice che siano gli Occhi del Diavolo (il portone invece sarebbe quello di Palazzo Trucchi di Levaldigi), ma in realtà sono solo le aperture che servono come punti di sfiato e di illuminazione per i locali sotto al palazzo. Ci sono poi, a Torino, anche dei richiami ai segni zodiacali. In via Cialdini

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