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Un mare di favole
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E-book290 pagine3 ore

Un mare di favole

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Info su questo ebook

C’erano troppe cose che non tornavano, c’erano troppe porte rimaste socchiuse.
Paolo aveva bisogno di dare un senso ai pensieri dei suoi ultimi trent’anni e Lupo doveva necessariamente mettere ordine alla sua vita prima di ritornare dall’altra parte del mare.
Ma c’erano anche molte idee da far diventare realtà, molti schizzi da trasformare in disegni a cui poi dare voce.
Un viaggio nel tempo alla scoperta del passato, per dare un senso compiuto al presente.
Un disegno del mondo visto dagli occhi di un bimbo per dare colore all’oggi e rendere vivo il futuro.
A bordo della barca dipinta di blu, l’eterno ragazzo Luca torna ad essere il capitano che tra un post scritto e un racconto sussurrato naviga tra Bellaria e Rimini in un incrocio di sogni, speranze e rimpianti.
Un romanzo che per parlare dell’amore e dare colore al mare si affida alla magia delle favole.
LinguaItaliano
Data di uscita30 ott 2021
ISBN9788861558625
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    Anteprima del libro

    Un mare di favole - Gianluca Bota

    Gianluca Bota

    Un mare

    di favole

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

    info@giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-862-5

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2021

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Questo libro è un’opera di fantasia. I personaggi ed i locali pubblici raccontati sono un’invenzione dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone è assolutamente casuale.

    Alcuni locali pubblici, strade e luoghi sono invece reali ed hanno contribuito con la loro bellezza, i loro colori, i loro profumi, ad ispirare quest’opera.

    A tutti coloro che nonostante tutto riescono ad andare a letto

    ogni sera con l’idea che domani sarà un giorno migliore

    Ringraziamenti

    I ringraziamenti per questo libro vanno a tutti coloro che mi hanno emozionato in questo ultimo anno. A coloro che hanno letto La Barca dipinta di blu, raccontandomi poi di essersi ritrovati nella vita dei personaggi.

    Agli amici di sempre per la sincerità con la quale mi hanno confidato che non si sarebbero mai aspettati che io potessi scrivere per davvero un romanzo.

    A tutti i miei amici sui social, a volte diventati anche amici di vita, per l’energia che mi hanno trasmesso, per la forza con la quale mi hanno spinto e incoraggiato a continuare a raccontare di Lupo e Luca. Alle scombriccolate, per ogni pensiero e sorriso condiviso.

    A mia madre e mio padre che mi hanno regalato una vita normale grazie alla quale oggi conosco e posso raccontare di famiglia ed amore.

    A mia moglie e i miei figli che con gioia mi sopportano e supportano in ogni mia scelta.

    Un grazie speciale a:

    mio figlio Cristian che ha realizzato tutti i disegni,

    mio figlio Fabio che mi ha aiutato nella scrittura di tutti i testi del quaderno del piccolo Luca,

    mio figlio Paolo che ha ideato il faro e la grafica della copertina.

    22 febbraio 2018

    «Ok. Ora Lanciati.»

    «Non ci riesco. Ho troppa paura.»

    «Non guardare in basso. Conta da uno a tre e poi giù» disse Alberto.

    Il bimbo era praticamente terrorizzato. Immobile, non riusciva a fare alcun movimento. Non aveva il coraggio di girarsi su sé stesso e tornare indietro. Ma allo stesso tempo l’idea di lanciarsi da quella altezza non gli passava neanche per la testa, nonostante non avesse ancora reso pubblica la sua idea. Né ad Alberto, il suo allenatore di nuoto, né a Paolo e a Lupo che lo guardavano dagli spalti.

    «Cristian» lo chiamò nuovamente Alberto, «guarda davanti a te, non guardare in basso e fai come ti dico, segui i miei movimenti.»

    Mentre parlava, quel ragazzone alto quasi due metri e con spalle larghe poco meno, si piegò in avanti mantenendo le gambe tese e portando le mani a toccare i piedi uniti. E lo faceva guardando in alto per assicurarsi che il bimbo lo imitasse.

    Urlò nuovamente per incitarlo ma all’ennesimo dai campione, Cristian strinse le narici tra il pollice e l’indice della mano destra e si lanciò nel vuoto restando in posizione dritta e rigida, rompendo l’acqua prima con i piedi, quindi le gambe ed infine con il torace seguito dalla testa.

    Lupo rise e Paolo guardò in alto tra il divertito e lo sconfortato.

    «Prima o poi ce la farai, non preoccuparti» disse Paolo al nipote mentre lo aiutava ad asciugarsi i capelli negli spogliatoi della piscina di Igea.

    «Non so se ci riuscirò mai invece. Ho troppa paura quando sono lì sopra a quel trampolino. È troppo alto.»

    «In realtà è molto meno alto di quanto tu immagini. Dovresti guardarlo dal basso. Ti accorgeresti che non è come credi».

    «Nonno, dici così perché sei un adulto.»

    «È possibile. Forse dalla tua altezza può sembrare molto più alto di quanto realmente non sia ma sono certo che prima o poi riuscirai a tuffarti da lì».

    «Ho fame» disse Cristian incurante di quello che diceva suo nonno.

    Lupo, che se ne stava seduto ad attendere sfogliando disinteressato un giornalino di annunci di lavoro, rise alla richiesta di cibo del piccolo e tirò fuori dalla tasca una barretta di cioccolato.

    «Io credo che tu debba lasciargli il tempo utile a capire che lanciarsi da quella tavola non è pericoloso» disse l’anziano uomo al figlio mentre se ne stavano seduti alla loro panchina preferita nel parco che circondava la piscina.

    A differenza del martedì, quando riuscivano ad essere fuori dagli spogliatoi con il cielo oramai buio, l’allenamento del giovedì si teneva alle 14,30 e durava soltanto un’ora. E così, una volta fuori alle sedici circa, si godevano l’ultima ora di giornata illuminata dal sole chiacchierando all’aria aperta mentre Cristian giocava su scivoli ed altalene con i suoi compagni di corso.

    «Giorgio, si chiama trampolino. E non deve riuscire a lanciarsi ma imparare a tuffarsi.»

    «Ok. Ma è una tavola di plastica e per riuscirci deve lanciarsi.»

    «Sì lo è; ma se tu continui a chiamarla così, nostro nipote continuerà a dire che lui si lancia da una tavola anziché dire che fa scuola di tuffi dal trampolino.»

    «Ok allora dirò che si tuffa da una tavola di plastica» replicò Lupo con un sorriso sornione; e poi aggiunse: «O preferisci che dica che si lancia da un trampolino?» e scoppiò a ridere.

    «Dilla come ti pare» rispose Paolo quasi rassegnato. Poi chiamò Cristian: «È ora di andare campione, tuo padre ci aspetta in porto.»

    23 febbraio 2018

    «Lo sai vero che tuo figlio frequentando quei due diventerà un delinquente?»

    «Sì. Lo penso anche io» rise Luca mentre si versava del caffè caldo nella sua tazza preferita.

    «Credo sia l’unico bimbo che a cinque anni preferisce stare con i nonni anziché con gli amichetti di scuola.»

    «Sì, forse l’unico contemporaneo però… a me ricorda qualcuno.»

    «Ok, ma almeno tu hai aspettato i tuoi tredici anni.»

    «Certo. Ma solo perché mio nonno ha deciso di aspettare per sconvolgere la vita di tutti noi.»

    «Beh lo benedirai per sempre probabilmente, amore mio» disse Silvia sorridendo al marito, mentre sorseggiava il suo cappuccino.

    «In effetti però una cosa c’è di differente. Io ero al centro tra quei due matti. Uno che da un lato faceva di tutto per conquistarmi parlandomi di mare e facendomi dipingere barche, sapendo di essere mio nonno. L’altro che invece faceva di tutto per allontanarmi da quel pericoloso uomo del porto non sapendo che si trattasse di suo padre. E quindi per poter vivere dei momenti con entrambi ho dovuto aspettare anni, quando oramai ero grande.»

    «Cioè mi stai dicendo che tu sei riuscito a salvarti mentre nostro figlio è fottuto, in pratica» rispose la donna ridendo di gusto. Poi si alzò e si avviò verso la zona notte: «Vado a prepararmi. L’appuntamento è fra un’ora ma il sabato mattina non sono così puntuali. Ci conviene arrivar lì un po’ prima.»

    «Sì. Ti raggiungo subito» rispose Luca.

    Aprì quindi la finestra che affacciava sul piccolo parco che circondava la casa nella parte posteriore ed urlò a suo padre e suo nonno: «Ehi voi… io e Silvia fra quindici minuti usciamo di casa. Se non vi dispiace vorrei trovare Cristian ancora sano quando rientriamo.»

    «Ok ragazzo» urlò Lupo «non garantisco nulla ma ce la metteremo tutta.»

    Luca alzò la mano destra con il pollice in su e la mostrò a quei tre in segno di accettazione. In realtà lui la viveva più come una pacifica rassegnazione. La scena che guardava, infatti, non lo rassicurava affatto.

    Suo padre, vestito di cappotto color cammello e cappellino rosso con visiera, aveva una sega elettrica in mano con la quale oramai da un’ora rompeva il silenzio di un tiepido sabato mattina bellariese tagliando rami da un pino morto. E suo nonno continuava a battere con martello e chiodi al tronco di un grande faggio. Ci fissava listelli della lunghezza di circa sessanta centimetri, uno sotto l’altro a creare una scaletta per salire sull’albero.

    Ma quello che lo preoccupava di più era il figlio Cristian che cantava con quei due canzoni degli anni Sessanta mentre se ne stava affacciato alla finestrella di una casa che era stata posizionata sull’albero due giorni prima da una squadra di operai di un’azienda polacca specializzata nella produzione e installazione di case in legno.

    Era un regalo che i due nonni avevano voluto fare al piccolo Cristian e che ora stavano provando a completare con arredi ed accessori, in modo artigianale e soprattutto sprovveduto.

    Chiuse la finestra scuotendo la testa nel movimento tipico di chi pensa poveri noi e si diresse verso l’uscita di casa.

    24 febbraio 2018

    «Tanti auguri felici, tanti auguri a teeee.»

    Appena finito il coro, Cristian, seduto sulle gambe di Chiara, soffiò sulle candeline che affiancavano i numeri cinque e sei.

    «Tanti auguri nonna» urlò e la abbracciò stringendole le braccia al collo.

    «Grazie piccolo campione» rispose la donna felice di festeggiare il suo compleanno circondata da tutte le persone che amava. Suo marito Paolo, suo figlio Luca accompagnato da moglie e figlio, e l’amato suocero.

    Tra gli ospiti c’erano anche Fabio con sua moglie, l’eterno ragazzo Bobo, i bagnini Carletto e Simona e due colleghe dell’hotel in compagnia dei rispettivi mariti. Il pomeriggio passava piacevole, tra un bicchiere di amaro, un pasticcino e un caffè.

    Cristian era l’unico bimbo ma trovava facilmente il modo di divertirsi con i presenti. Dopotutto, oltre a genitori e nonni, anche le altre persone presenti alla festa erano un po’ tutte come parenti per lui. Bobo era lo zio matto che sin da neonato lo lanciava in alto per poi riprenderlo al volo. Da quando aveva iniziato a parlare, ogni volta che lo incontrava, Cristian gli correva incontro e gli chiedeva mi fai volare?

    Carletto e Simona erano praticamente i nonni della spiaggia. Il piccolo era cresciuto prima gattonando e poi correndo tra gli ombrelloni del bagno I fantastici 4 che i due simpatici romagnoli gestivano con i loro due figli che lui chiamava i suoi cuginetti, nonostante il diminutivo non si addicesse del tutto a due ragazzoni lunghi più di centottanta centimetri.

    L’ultima ora il piccolo l’aveva trascorsa seduto sul divano posizionato nell’ambiente di ingresso alla casa che, se non fosse per la libreria che faceva da separé, era quasi un tutt’uno con la grande sala in cui si svolgeva gran parte della vita da svegli. Accanto a lui Lupo sfogliava un quaderno con la copertina rossa con strisce nere e fogli a quadretti pieni di scritti e disegni. La calligrafia era quella di chi sapeva già scrivere ma non ancora in modo del tutto fluido. Si trattava del quaderno al quale suo nipote Luca, quando aveva dodici anni, aveva cominciato a raccontare le sue avventure, emozioni o semplici momenti delle sue giornate da ragazzino. Una specie di diario segreto sul quale aveva cominciato a scrivere da quando, appena arrivato a vivere a Bellaria da Bologna, aveva incontrato per la prima volta in porto uno strano personaggio di nome Lupo che dopo qualche anno avrebbe scoperto essere suo nonno Giorgio, il papà di suo padre Paolo.

    Lupo sfogliava il quaderno che aveva trovato per caso tra i libri nella libreria mentre ne cercava uno da poter leggere al piccolo Cristian.

    Lo guardava e riviveva le sensazioni di quelle giornate di più di venti anni prima. E leggeva ad alta voce per Cristian, a volte quasi recitando, le frasi riportate da Luca, stralci di dialoghi tra loro, pensieri sul mare, sul sole, la vita.

    Cristian lo ascoltava e guardava attentamente quelle pagine, spesso stropicciate ed a tratti ingiallite.

    Si soffermava molto su alcune frasi che sentiva leggere al suo bisnonno e chiedeva spiegazioni tempestandolo di domande. Fino a quando non cominciò a perdere l’attenzione. Chiese ad un certo punto di tornare indietro di qualche pagina. Lupo sfogliava il quaderno lentamente andando verso la prima pagina quando Cristian lo fermò a voce alta: «Ecco aspetta, fermati qui.» Lo bloccò su un foglio in cui era disegnata una barchetta in legno alla quale Luca aveva aggiunto occhi, naso e bocca.

    «Questa è bellissima» disse sorridendo il bimbo come a dire ma quando mai si è vista una barca con la bocca?

    «Cosa c’è scritto qui?» chiese.

    «Barbaluc» rispose l’uomo.

    25 febbraio 2018

    Luca rilesse per l’ultima volta e mentre premeva il tasto INVIO sul suo Mac, si appoggiò comodamente allo schienale della poltrona del suo studio e bevve un sorso di tè dalla sua tazza preferita. Gliel’aveva regalata suo figlio in occasione dell’ultimo compleanno; completamente bianca ma personalizzata con un disegno che il bimbo stesso aveva realizzato su un foglio qualche giorno prima della festa e che rappresentava due omini, uno più grande e l’altro più piccolo, che si abbracciavano. Silvia lo aveva fatto stampare sulla tazza quando il piccolo le aveva raccontato che quei due erano lui e il suo papà.

    Il tempo di fare un refresh della pagina del suo blog e comparve la pubblicazione della riflessione del giorno di Barbaluc dal titolo "Io e mia madre".

    Quando ero piccolo ero un grande rompipalle.

    Diciamo che anche oggi mi riconoscono una grande arte in tal senso. Ma da piccolo... da piccolo ero proprio nel momento più magico della mia carriera. E mia madre era chiaramente uno dei principali fruitori di questo mio status. Mi adorava, mi amava. Così tanto che mi rincorreva spesso in casa per abbracciarmi, coccolarmi, stringermi nelle sue braccia, stritolarmi nelle sue mani, staccarmi il collo, lesionarmi gli arti. Ricordo ancora i miei venti, trenta giri intorno al tavolo tondo della sala da pranzo mentre lei mi correva dietro.

    Che sarebbe bastato spostare il tavolo ed ero fottuto.

    Mi chiamava sempre amore mio e mi ricordo la dolcezza con la quale mi augurava una vita felice e piena di emozioni. Come quando mi diceva ti auguro di avere dei figli. E che almeno uno sia come te. Un piccolo che ti regali le stesse cose che tu stai regalando a me. Cioè in realtà non usava queste parole. Diceva avrai un figlio un giorno! Devi averlo e spero ti faccia impazzire anche solo un decimo di quanto tu fai con me. Cioè capite? Un decimo soltanto. Mi voleva bene. E poi le promesse. Me ne faceva tante. Ricordo quando, con quella voce gentile, mi raccontava cosa mi sarebbe accaduto se non avessi ottemperato alle sue indicazioni. È come se la vedessi ancora quando, un pochetto incazzata, mi parlava a monosillabi dettati a ritmo di orologio. Una delle promesse che amava di più riguardava il mare. Diceva se continui così, un giorno o l’altro il mare te lo faccio vedere in televisione. E poi nonostante io continuassi così il mare in televisione non l’ho mai dovuto vedere perché poi alla fine ogni estate mi ritrovavo beatamente in spiaggia a piedi nudi sulla sabbia.

    26 febbraio 2018

    «Oggi cominceremo a conoscere i colori» disse Doriana, la maestra di Cristian alla scuola materna, rivolgendosi ai bimbi tutti seduti su tappetini morbidi al centro dell’aula Margherita.

    «Per cominciare vi presento il Rosso. E per farlo mi farò aiutare dalle pagine magiche di Un mare di favole

    «Buongiorno bimbi sono il rosso

    Sono bello a più non posso

    Io coloro la bocca e il cuore

    Ma anche fragole, mele e more

    Anche il semaforo ha un pallino rosso

    Come il tramonto sul mare mosso

    È mio il colore del fuoco e del calore

    Come quello della rosa, della vita e dell’amore.»

    «E quindi per questo pomeriggio hai il compito di colorare quei disegni con il colore rosso?» chiese Silvia, indicando i fogli che il piccolo teneva in mano mentre rientravano a casa.

    «Sì. Una mela, un papavero e un cuore.»

    Cristian frequentava il terzo anno alla scuola materna in una sezione dedicata ai bimbi di cinque anni. Viveva quell’impegno quotidiano appunto come un impegno; senza grandi entusiasmi ma anche senza problemi a svegliarsi presto al mattino e ritrovarsi con compagni e maestre. Considerava amici tutti i compagni di scuola tranne due, Vincent e Mirko, che erano invece per lui i suoi migliori amici.

    Quando gli venivano assegnati compiti da svolgere il pomeriggio, se ne occupava appena entrato in casa, per poi essere libero di dedicarsi ai suoi giochi, alle macchinine, ai disegni, al suo mondo fantastico fatto di disegni.

    Era un bimbo che godeva di numerosi e differenti stimoli in casa e fuori. Come tutti i figli unici, viveva molto tempo in compagnia di adulti ed a lui piaceva molto. Per lui trascorrere del tempo con il papà o con Lupo e Paolo era un po’ come per altri bimbi trascorrere una giornata in un parco divertimenti con patatine e popcorn illimitati. Con loro andava in barca, raccoglieva funghi, costruiva case sugli alberi, giocava a tiro con l’arco, tuffi dal trampolino e molte altre attività che non erano proprio quelle che un bimbo di cinque anni tipicamente fa col suo papà o con i suoi nonni.

    Ma era anche un bimbo con una spiccata fantasia che gli consentiva di essere sereno e soddisfatto anche quando si ritrovava a passare del tempo da solo. Tempo che difficilmente dedicava alla tv o a monitor e video games. Non aveva quei vari dispositivi come play station o simili. Il suo gioco preferito erano fogli matita e pennarelli. Disegnava Cristian; disegnava tantissimo e senza neanche grande talento. Ma lo faceva e si divertiva a colorare ciò che creava e poi ad inventare storie di fantasia intorno alle sue opere, spesso animandole con l’immaginazione.

    Quel pomeriggio colorò la mela, il papavero ed il cuore. Mostrò le immagini rosse alla mamma per avere il nulla osta e, dopo aver divorato due fette di pane caldo con nutella e noci, recuperò dal cassetto della sua scrivania un blocco di fogli bianchi e un foglietto sul quale suo nonno Giorgio gli aveva disegnato una barca in legno, copiata in modo impeccabile dal quaderno di Luca dodicenne.

    Mentre fuori veniva giù una leggera pioggia e il cielo era oramai completamente buio, il piccolo disegnava barche standosene sdraiato a pancia in giù sul tappeto che divideva il grande divano della sala dalla parete sulla quale troneggiava una tv 46" a schermo piatto che trasmetteva le immagini del film Non ci resta che piangere che Silvia guardava con un entusiasmo ed attenzione che non avrebbero mai fatto pensare lo avesse già visto almeno altre dieci volte prima di allora.

    27 febbraio 2018

    «Sveglia dormiglione» disse Luca aprendo gli infissi della finestra.

    Si sedette accanto al figlio avvolto completamente dalle coperte, gli diede un bacio sulla guancia e gli sussurrò nell’orecchio: «Sono le 7.00 piccolo mio, c’è una buonissima colazione. Ti aspetto in cucina per divorarla insieme.»

    Mentre si alzava dal letto notò il foglio che, grazie a due piccoli pezzi di nastro adesivo, restava appeso all’armadio.

    «E questo quadro da dove viene fuori?» chiese ad alta voce mentre sinceramente stupito si avvicinava all’armadio per guardarlo meglio. Chiamava quadri tutti i fogli con disegni che Cristian appendeva qua e là per casa. Al piccolo piaceva che il padre li considerasse quadri e che li ammirasse come tali.

    Non capiva come fosse

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