La volontà delle parole
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Info su questo ebook
La ricerca che l’autrice e i suoi cari hanno condotto lo scorso anno è però riuscita in un obbiettivo insperato; ha infatti portato alla luce una storia bellissima e dimenticata, fatta di amore, di famiglia, di prigionia negli Stalag nazisti prima e nelle tenute di una contessa poi, di aiuti insperati e di solidarietà fraterna, riuscendo, non solo a ricostruire gli ultimi mesi di vita di Alcide, ma a riportare a casa le sue ultime parole dette prima di morire, chiudendo finalmente un cerchio aperto molti anni prima tra persone che oggi non sono più su questa terra.
In tale percorso l’Amore è stato la causa, lo strumento ed il fine di tutto.
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Anteprima del libro
La volontà delle parole - Valentina Peselli
Tavola dei Contenuti (TOC)
Titolo pagina
Prefazione
Orlando Materassi e Silvia Pascale
Capitolo 1 – Là dove tutto ebbe inizio
Capitolo 2 – Come una falena sul vetro
Capitolo 3 – La chiave di volta
Capitolo 4 – Quando le parole hanno una volontà propria
Capitolo 5 – Verso Varsavia
Capitolo 6 – Raccogliendo le ultime briciole
Capitolo 7 – Il viaggio
Capitolo 8 – Epilogo
Note
ALCUNE IMMAGINI DEL NOSTRO VIAGGIO PER ALCIDE
BIBLIOGRAFIA
img1.jpg愍
Valentina Peselli
La volontà delle parole
img2.pngISBN 978-88-6660-438-9
LA VOLONTÀ DELLE PAROLE
Autrice: Valentina Peselli
© CIESSE Edizioni
www.ciesseedizioni.it
info@ciesseedizioni.it - ciessedizioni@pec.it
I Edizione stampata nel mese di luglio 2023
Impostazione grafica e progetto copertina: © CIESSE Edizioni
Immagine di copertina fornita dall’autrice
img3.pngCollana: Le nostre Guerre
Editing a cura di: Silvia Pascale
Direttore di Collana: Silvia Pascale
Coordinatore storico-scientifico di Collana: Orlando Materassi
Editore e Direttore Editoriale: Carlo Santi
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati.
È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale, pertanto nessuno stralcio di questa pubblicazione potrà essere riprodotto, distribuito o trasmesso in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo senza che l'Editore abbia prestato preventivamente il consenso.
Liberamente ispirato ad una storia vera
Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola.
Khalil Gibran
Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre
Albert Einstein
La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro
Frank A. Clark
Questo romanzo è dedicato a mia madre e mio padre,
i migliori compagni che avrei mai potuto desiderare,
per questo viaggio e per il sentiero sconosciuto della vita,
con tutto l’amore del mondo.
Prefazione
Orlando Materassi e Silvia Pascale
Questo volume si inserisce in quella che è una sempre più diffusa bibliografia di testimonianze degli IMI (Internati Militari Italiani) per l’interessamento di una pronipote, nel voler rendere pubblica la storia di prigionia e di morte del prozio Alcide Baldi.
Un altro importante tassello per definire un mosaico che attiene alla conoscenza della SCELTA di quei militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 e deportati nei Lager nazisti per loro volontà pur di non aderire alle lusinghe del governo e dell’esercito di Salò con la costrizione di continuare a combattere accanto alle truppe germaniche.
Il valore delle singole testimonianze arricchisce indubbiamente la biografia delle persone alle quali erano legati affetti familiari le cui sofferenze, seppur diverse, vivevano una quotidiana resistenza di attese e di speranze.
È una storia, quella degli IMI, che è stata relegata nell’oblio per moltissimi anni e quasi mai risulta presente nella didattica di ogni scuola di qualsiasi ordine e grado.
L’8 settembre all’annuncio della proclamazione dell’armistizio da parte del gen. degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower da Radio Algeri anticipando di quattro giorni quanto concordato nel momento della firma avvenuta a Cassibile (località della Sicilia), dopo poco più di un’ora lo stesso gen. Badoglio fu costretto all’annuncio da parte italiana, mettendo in difficoltà le nostre strutture militari impegnate nelle varie operazioni belliche a cui nessun ordine era pervenuto, dai vertici, a come comportarsi in presenza dell’avvenuta rottura con l’alleato germanico e la fine delle ostilità nei confronti delle truppe anglo-americane.
Da considerare la fuga, avvenuta nella prima mattinata del 9 settembre, di tutti i vertici militari, del capo del Governo Badoglio, del re e di tutta la casa reale, che da Roma si recarono a Pescara per poi imbarcarsi raggiungendo Brindisi via mare e lì farne sede del neonato Regno del Sud.
In questa situazione non fu difficile da parte delle truppe della Wehrmacht mettere in atto il Piano Acshe sia in Italia sia all’estero facendo prigionieri una gran massa dei nostri soldati.
Il 12 settembre 1943, Benito Mussolini, rinchiuso in prigionia sul Gran Sasso d’Italia, veniva liberato da truppe speciali di paracadutisti tedeschi e portato a Monaco di Baviera dove lo attendeva Hitler, il quale dopo due giorni di colloqui impose la costituzione di un governo fascista nel Nord Italia, così come la riorganizzazione del partito.
Il 23 settembre 1943 si formalizzerà la costituzione di uno stato fascista dando vita al primo governo della RSI (Repubblica Sociale Italiana) alleata politicamente e militarmente con la Germania nazista, che non riconosceva il neonato Regno del Sud con sede a Brindisi né tanto meno l’appartenenza ad esso dei militari italiani fatti prigionieri.
Quindi per il Terzo Reich i nostri soldati non potevano essere considerati prigionieri di guerra come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1929 perdendo così ogni tutela e aiuti alimentari e di vestiario da parte della Croce Rossa Internazionale.
Oltretutto da parte tedesca vi era anche la volontà di adottare misure punitive nei confronti di soldati ex alleati e di rendere la loro prigionia ancora più difficile e sofferente. Secondo gli ordini emanati dal Comando supremo della Wehrmacht, i prigionieri dovevano essere trattati nel seguente modo: "Soldati italiani, che non siano disposti a continuare la lotta a fianco dei tedeschi, devono essere disarmati e considerati quali prigionieri di guerra. In un primo tempo questi saranno assunti in forza dal Capo reparto prigionieri di guerra del Comando Supremo della Wehrmacht. Successivamente, in collaborazione con il Plenipotenziario generale per l’impiego della manodopera, Fritz Sauckel, si dovrà reperire fra i suddetti prigionieri di guerra tutto il personale specializzato, da utilizzare ai fini dell’economia bellica e metterlo a disposizione del Plenipotenziario generale per l’impiego della mano d’opera."{1}
Il 12 settembre un successivo ordine del Führer prevedeva che gli ufficiali di quei reparti che avessero resistito al disarmo, dovevano essere immediatamente passati per le armi. Si trattava quindi di ordini criminali, che non solo prevedevano l’uccisione di chiunque si fosse opposto ai voleri della Wehrmacht, ma anche l’utilizzo dei prigionieri di guerra a fini di lavoro per la produzione bellica, cosa espressamente vietata da tutte le leggi e convenzioni internazionali.
Nel giro di alcuni giorni l’esercito italiano si sfasciò completamente. I prigionieri di guerra presi in Italia, in Francia, nella ex Jugoslavia e in Grecia furono oltre un milione, concentrati prima in campi provvisori e poi trasferiti lentamente verso i Lager in Germania e in Polonia. Solo dall’Italia, al giorno undici ottobre 1943 erano stati trasferiti al Nord delle Alpi 316.222 prigionieri;{2} dai Balcani furono deportati 393.000 uomini.{3} Complessivamente, nel febbraio del 1944, nei Lager tedeschi erano presenti circa 620.000 Internati Italiani, provenienti dai vari fronti di guerra. Di questi, oltre a quelli provenienti dall’Italia, 144.599 venivano dalla ex Jugoslavia e 184.000 dalla Grecia. Altre migliaia furono utilizzate in loco dai vari comandi della Wehrmacht nei Balcani, in Unione Sovietica ed in Grecia.
Il 20 settembre 1943, lo status di prigionieri di guerra fu cambiato in Internati Militari Italiani (IMI), status che da una parte teoricamente migliorava le condizioni dei prigionieri, ma dall’altra permetteva l’utilizzo dei prigionieri stessi come manodopera coatta. A circa metà dicembre la massa dei prigionieri si vide impiegata nell’industria e nell’agricoltura.
Come ben sostiene la storica tedesca Gabriele Hammermann nel suo volume "Gli Internati Militari Italiani in Germania 1943-1945": Quanto meno da parte italiana, ciò era dovuto come misura punitiva nei confronti dell’ex esercito italiano: i tedeschi l’avrebbero messo in atto per sottrarre gli italiani alla competenza in maniera di assistenza ai prigionieri di guerra spettante alla Croce Rossa.
{4}
Ed è pur vero come sostiene la storica tedesca che: In realtà, questo primo mutamento di status dipese principalmente dagli obbiettivi dell’occupazione in Italia. Così come l’esistenza del governo fascista mascherava la realtà dell’occupazione tedesca, allo stesso modo lo status di internati militari minimizzava l’importanza del prolungamento della prigionia dei soldati italiani. Se i militari catturati dai tedeschi avessero mantenuto lo status di prigionieri di guerra, essi sarebbero stati considerati prigionieri di un paese nemico e ciò avrebbe anche comportato il riconoscimento del Regno del Sud e del governo Badoglio
.{5}
Con la nascita della RSI e la costituzione dell’esercito fascista, ai nostri soldati fu offerta la possibilità di aderire alla costituita repubblica fascista e di far parte dei suoi reparti armati.
Ciò avrebbe comportato la loro immediata liberazione e il ritorno in Italia.
Circa 650.000 rifiutarono la libertà con un deciso NO facendo la SCELTA di non collaborare con il nazifascismo.
Diverse le motivazioni che indussero il loro rifiuto.
Per gli ufficiali il loro NO era sicuramente dettato dal giuramento di fedeltà fatto al Regio Esercito e alla casa reale, più plurali furono le motivazioni etiche e morali dei sottufficiali e dei soldati non solo per motivi politici, ma anche per dire basta a continuare a combattere una guerra che fino all’8 settembre 1943 era stata anche per l’Italia una guerra di invasione, di eccidi perpetrati dalle nostre truppe anche nei confronti di civili nei Balcani, in Russia e prima ancora in Africa fin dal 1935 con le invasioni coloniali.
Un NO di una generazione nata ed educata durante il ventennio fascista al "credere, obbedire, combattere".
La loro fu una SCELTA che rese onore ad un’Italia offesa per vent’anni dalla dittatura fascista e distrutta da una guerra voluta da Mussolini con il consenso della casa reale.
Fu la prima forma di Resistenza contro regime, una SCELTA antifascista che li collocava a pieno diritto all’interno di quel secondo Risorgimento nazionale che combatté e sconfisse il nazifascismo, gettando le basi per una rinnovata Italia i cui Valori repubblicani ed antifascisti vennero sanciti all’interno della Carta costituzionale.
Fame, freddo, violenze, mancata assistenza sanitaria, mancanza di servizi igienici, i nostri IMI saranno costretti per venti lunghi mesi a sopravvivere a disumane condizioni di vita.
Diversi saranno i lavori a cui sarà destinato anche Alcide, pesanti, nella difficoltà ambientale e poi dover sopravvivere alla fame e la freddo. La fame aumentava sempre più, perché la fame era tanta come non l’avevamo mai provata prima
. Con una razione giornaliera di un solo mestolo di sboba di rape ed un pezzo di pane, composto da più segatura che farina di segale.
E poi il freddo, la neve sempre più copiosa, le temperature che raggiungevano anche i 20° sottozero, il vestiario sicuramente non consono a quelle temperature specie per chi doveva lavorare all’aperto, come il nostro Alcide Baldi.
Si calcola che in 23mila moriranno di fame e di stenti prima della Liberazione. Complessivamente in 50mila troveranno la morte durante la prigionia, senza contare coloro che trovarono la morte durante il trasferimento nei Lager o a Liberazione avvenuta.
Per i nazisti, i nostri IMI erano considerati dei pezzi (Stück) da usare fino alle loro possibilità di vita e da sostituire con altri nel momento della loro mancanza.
Il libro di Valentina Peselli rappresenta quello che noi consideriamo il passaggio di Memoria, la consegna di una sorta di staffetta alle nuove generazioni.
Valentina, infatti, è la pronipote di Alcide Baldi, IMI morto nello Stalag III B, precisamente nell’Arbeitskommando 35 e di cui in Italia, alla famiglia, non erano più arrivate notizie.
Una storia che accomuna altri Internati Militari Italiani che hanno trovato la morte nei Lager nazisti.
È decisamente un libro particolare, che unisce amore familiare, testardaggine nella ricerca, precisione nella consultazione delle fonti: tutto questo per ricostruire la storia della deportazione, la morte e la sepoltura del prozio Alcide.
Un viaggio nella Memoria e nel Ricordo, sia in senso fisico che spirituale, la voglia di conoscere un passato così tragico che ha segnato indelebilmente la famiglia Baldi, come moltissime altre che non hanno più potuto riabbracciare i loro cari.
img6.jpgInternati militari italiani diretti al campo di prigionia (Stalag) III B a Fürstenberg, settembre 1943. Privatarchiv Strankmeyer, Ellerau, Foto: Heinrich Voß
img7.jpgInternati militari italiani diretti al campo di prigionia, settembre 1943
img8.jpgArrivo nel campo di prigionia.
img9.jpgInternati militari nel Lager di Furstenberg
img10.jpgSalag III B FÜRSTENBERG, interno baracca
img11.jpgStalag III B FÜRSTENBERG, vista parziale delle baracche di legno
img12.jpgSTALAG III B FÜRSTENBERG, torretta di guardia con comandanti e personale di servizio del Lager
La volontà delle parole愍
Capitolo 1 – Là dove tutto ebbe inizio
Era un caldo pomeriggio estivo, di quelli che si trascinano fiacchi e indolenti fino al calar del sole. Quel giorno ero in casa, come raramente accade nella bella stagione, e stavo facendo scorrere pigramente il mio tempo tra la televisione e qualche piccola faccenda quotidiana, un modo come un altro di salutare la domenica in attesa della quotidianità del lunedì.
Ebbene, proprio quel giorno i miei genitori passarono a trovarmi e mai avrei pensato che da lì sarebbe cominciata un’avventura così incredibile, così unica da lasciarne traccia sulla nostra pelle per sempre.
Chissà perché ci si aspetta comunemente che gli eventi più straordinari della nostra vita siano annunciati da momenti speciali, da luci fluorescenti, da fuochi di artificio. Beh, quella volta non accadde nulla del genere.
Ci sedemmo fuori in giardino ad ascoltare il frinire delle cicale, un bicchiere di tè freddo in mano e la voglia di sentire la pelle accarezzata da qualche alito di brezza del mare lì vicino. Ci mettemmo a chiacchierare delle ferie ormai vicine; io e mio marito avevamo appena prenotato i voli per il nostro prossimo viaggio in Grecia nelle Cicladi, per cui i nostri pensieri erano orientati ai sapori speziati e caldi di quella terra meravigliosa, alla sabbia granulosa color oro e al blu cobalto dell’acqua che si staglia fosforescente nell’opale del cielo.
I miei genitori ci ascoltavano con tutta la pazienza del caso, innamorati essi stessi di quella terra libera e magica, che rapisce il cuore con le sue atmosfere hippie e allo stesso tempo tradizionali, in cui avevano appena soggiornato alla fine di maggio.
Cominciai, come mio solito, a punzecchiare mio padre, in una sorta di gioco delle parti che si ripete da quando sono in grado di parlare, chiedendo dove avrebbe trascorso le sue prossime vacanze, se, come sempre, avrebbe scelto il Trentino o se, finalmente, avrebbe optato per una qualche isoletta selvaggia, magari in qualche angolo incontaminato della Terra.
Fu proprio in quel momento che il mio abitudinario papà, tanto legato ai gesti e ai sapori familiari, ai luoghi già noti e in cui sentirsi a casa, ai percorsi già battuti e sicuri, mi stupì per la prima volta in modo completamente inaspettato. Se ne uscì, infatti, annunciando la sua intenzione di fare un viaggio in auto partendo da Carrara, la nostra piccola città, proseguendo poi per l’Austria, attraversando la Germania