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La memoria legata al filo rosso
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La memoria legata al filo rosso
E-book671 pagine6 ore

La memoria legata al filo rosso

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Info su questo ebook

Elio Materassi è uno dei 650.000 Internati Militari Italiani deportati nei Lager del Terzo Reich dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Elio pagò con 20 lunghi mesi di internamento il suo “NO” al nazifascismo, costretto al lavoro coatto come schiavo di Hitler. Dalle sofferenze dei campi di concentramento e dalla miseria del lavoro forzato avrebbe potuto liberarsi optando per la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, ma decise di non farlo contribuendo alla prima forma di Resistenza: una pagina di storia non ancora completamente studiata da lasciare in eredità ai giovani.
Per la prima volta insieme Silvia Pascale e Orlando Materassi affrontano non solo la tematica storica degli IMI, ma proprio partendo dall’esperienza personale di figlio di Internato, dialogano sul senso del trauma familiare, del rapporto tra padre e figlio, svolgendo un filo rosso che unisce stima e affinità emotive.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2021
ISBN9788866603788
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    Anteprima del libro

    La memoria legata al filo rosso - Silvia Pascale

    RINGRAZIAMENTI e CONSIGLI DI LETTURA

    Orlando Materassi

    Silvia Pascale

    Il filo rosso si è unito attraverso queste pagine, il filo rosso di sofferenza ed emozione, un filo invisibile a cui è stato permesso di srotolarsi e allacciarsi legando le vicende del passato con il nostro presente. È sicuramente un volume particolare, uno scrigno di Memoria che al centro ha le persone e i luoghi. Abbiamo inteso raccontare di Elio come persona, con un viso, un sorriso, ma soprattutto con quegli occhi da cui traspare tutta la sua vita, quegli occhi che hanno catturato Silvia e per i quali ha deciso di lavorare con Orlando.

    Abbiamo inteso raccontare con semplicità la storia di un uomo che nel corso della sua vita ha disseminato valori e principi, a partire da ciò che ha deciso di lasciarci in eredità: la Memoria.

    Orlando aveva inviato a Silvia un testo di circa 80 pagine scritto qualche anno fa che in cuor suo doveva essere una sorta di riflessione sulla sua vita legata agli insegnamenti del padre Elio. La speranza era quella che potesse trovare spazio in una pubblicazione, in un piccolo volume a perpetuo ricordo di quanto suo padre aveva lasciato in eredità a lui e ai suoi figli.

    Quando quel testo arriva a Silvia, lei ne intuisce lo straordinario valore, in termini morali, affettivi, sono pagine ricche e pregnanti di significato, ma c’era un ma….

    Il testo andava sciolto, andava modulato, approfondito…. il groviglio di sentimenti, la carica emotiva andava stemperata e soprattutto accanto a queste emozioni dovevano esserci anche gli studi storici, l’approfondimento sulla documentazione che ancora non era completa sulla deportazione di Elio.

    Il diario doveva essere commentato, i capitoli andavano rielaborati, il filo rosso dei pensieri doveva essere srotolato, addolcito, le riflessioni di Orlando dovevano essere rielaborate, assimilate…la sofferenza dell’internamento del padre poteva allora diventare significante per chi l’avrebbe letto.

    Ecco allora che ogni capitolo è stato rivisto insieme, le giornate di lavoro sono state intense, ricche di dialoghi, discussioni, correzioni, e in alcuni momenti anche di lacrime.

    Anche quando Orlando parla in prima persona della sua esperienza di dieci anni di Riconciliazione, l’intervento di Silvia è forte ed efficace, si sente tra le pieghe delle parole, nella scelta dei termini, nella modulazione del ritmo di scrittura. Troverete la ricostruzione dei viaggi in Germania alla ricerca dei luoghi della deportazione, leggerete la vita di Elio attraverso il racconto emozionante di Orlando, capirete il significato dell’insegnamento che Elio ha trasmesso al figlio, ai nipoti, ma anche a tutti coloro che lo hanno conosciuto. Trovano spazio, inoltre, delle riflessioni su momenti di Memoria legati agli eccidi di Monte Sole e del viaggio ad Auschwitz, come esempi di comune Resistenza.

    Leggerete il diario di guerra e prigionia corredato anche dagli approfondimenti e dalle ricerche storiche sui Lager di internamento.

    Per questo è stato estremamente importante il lavoro che Silvia aveva precedentemente iniziato attraverso percorsi di ricerca, avvalendosi anche di importanti contatti già consolidati con personalità e studiosi tedeschi e polacchi.

    Ciò ci ha permesso di delineare tutto il percorso di internamento di Elio nei vari campi di prigionia e di ritrovare anche il campo di raccolta a Beckedorf prima del suo rientro in Italia.

    Importanti i lavori di relazione e approfondimento di Silvia con storici dei vari punti di deportazione di Elio, in particolare per quanto riguarda il campo di Hammerstein, in Polonia, finora mai indagato.

    Siamo sicuri che leggendo queste pagine capirete la scelta del NO, una scelta di vita per la libertà e per la pace, e capirete il valore della testimonianza che si trasforma in eredità per quanti sapranno raccogliere il filo della Memoria.

    Ci sentiamo di ringraziare chi ha permesso tutto questo, in primis i nostri rispettivi figli, Yuri e Nicola, Irene, Giovanni insieme con Chiara ed Elisa Sofia, che si sono lasciati coinvolgere nel nostro progetto. Un ringraziamento va anche a Lucia e Mario che continuano e continueranno a sopportare il nostro importante lavoro.

    Grazie a quanti hanno contribuito al volume arricchendolo con le proprie riflessioni.

    Grazie a tutti gli enti che hanno concesso il Patrocinio a questo nostro lavoro.

    Ringraziamo Carlo Santi l’editore senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile.

    E per finire, noi autori ci ringraziamo a vicenda, per esserci incontrati e riconosciuti come anime affini, per esserci affidati in un impegno condiviso, per aver capito che in questo modo avremmo potuto percorrere insieme il nostro ultimo tratto di vita, profondamente legati dal filo rosso della Memoria.

    Un impegno, il nostro, quotidiano, appassionato e affettivamente importante, unico nel panorama dei rapporti di lavoro nei quali ci siamo confrontati nei nostri anni di vita.

    Sicuramente, prima di incontrarci, vagavamo per la vita senza una direzione precisa e senza forse una ragione definita. Ogni passo fatto attraverso i nostri innumerevoli impegni era un passo fatto per incontrarci. Tutti gli eventi e le coincidenze esterne hanno portato al fortuito incontro, nel quale si è innescata subito una sorta di corrispondenza segreta, rendendoci capaci di riconoscerci al primo sguardo e di comprenderci senza parlare.

    Come dice Paulo Coelho, Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime prima ancora che i corpi si vedano e nel mondo esiste sempre qualcuno che attende qualcun altro, che ci si trovi in un deserto o in una grande città. E quando questi due esseri si incontrano, e i loro sguardi si incrociano, tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna importanza.

    INTRODUZIONE

    Viktor Elbling

    Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania in Italia

    La storia dei 650.000 Internati Militari Italiani è stata per troppo tempo ignorata, ma fortunatamente da alcuni anni questa situazione sta cambiando. Sono contento che, con la Commissione Storica Italo-Tedesca prima e con il Fondo italo-tedesco per il Futuro poi, la mia Ambasciata abbia potuto contribuire a questo sviluppo, anche stabilendo e migliorando un confronto attivo con le associazioni come l’ANEI.

    Quegli uomini, gli Internati Militari Italiani, ci danno un importante insegnamento morale. Loro si trovarono davanti a un bivio esistenziale: da una parte la strada verso casa, dall’altra un campo di prigionia. Si penserebbe che chiunque avrebbe scelto la prima strada, non importa a quale prezzo.

    E invece 650.000 uomini ritennero quel prezzo inaccettabile. Non furono disposti ad aderire alla guerra di Hitler tradendo la loro integrità, per questo accettarono l’internamento. Migliaia e migliaia di loro morirono di fame, di freddo, di malattie e sevizie. Molti altri tornarono a casa, ma rimasero feriti nell’anima.

    Elio Materassi è uno di loro e grazie a suo figlio Orlando e a Silvia Pascale in questo libro possiamo leggere la sua storia.

    Mi complimento con gli autori per questo importante tassello nella documentazione della storia degli IMI.

    IL FILO ROSSO TRA ELIO E L’EUROPA

    Marco Buti

    Capo di Gabinetto del Commissario all’economia,

    Paolo Gentiloni

    Quante volte lo abbiamo detto. E quante volte sarà bene ripeterlo. Chi perde la memoria storica è condannato a rifare gli stessi errori. Eventi anche recenti mostrano che, la storia rischia di ripetersi non in forma di tragedia e poi di farsa, ma due volte in forma di tragedia.

    Il diario di Elio Materassi è un preziosissimo contributo a ricostruire una vicenda, quella degli Internati Militari Italiani, che fino a poco tempo fa è rimasta largamente misconosciuta. È proprio il lavoro di Silvia Pascale e Orlando Materassi, insieme all’attività dell’ANEI, che la sta facendo emergere come memoria attiva, impegnata, militante. È quindi con profonda gratitudine che ho accolto la richiesta di Silvia e Orlando di esprimere questi miei brevi pensieri.

    Il loro lavoro è indispensabile. È motivo di grande soddisfazione che molte di queste iniziative sulla memoria, adesso e negli ultimi anni, siano state cofinanziate dal governo tedesco che ha mostrato grande sensibilità e lungimiranza. Per uno come me che ha speso la gran parte della sua vita professionale, e della sua vita tout court, nelle istituzioni comunitarie cercando di lavorare per il bene comune dei cittadini dell’Unione europea, questo fattore riconforta e motiva.

    D’altra parte, c’è un filo rosso che unisce la memoria di Elio e degli Internati Militari Italiani a noi: la riconciliazione fra i popoli dell’Europa dilaniati dal secondo conflitto mondiale si incarna nel progetto di costruzione di un futuro comune. In questo senso, le istituzioni dell’Europa comunitaria altro non sono che manifestazione concreta di una "memoria permanente". Ma conoscenza e consapevolezza di storie come quella di Elio continuano ad essere importanti per superare stereotipi e pregiudizi che ancora, purtroppo, restano accesi sotto la cenere. E ci aiutano anche ad alzare lo sguardo, per scrutare un orizzonte più lontano e ci aiutano a costruirlo.

    Pensateci bene: chi ha una memoria corta del passato ha anche una visione corta sul futuro, tende a far prevalere motivazioni particolaristiche e di breve respiro rispetto al benessere collettivo delle generazioni attuali e future. I social media ci dimostrano questo ogni giorno e contribuiscono essi stessi, il più delle volte, ad accorciare e restringere il nostro orizzonte di riferimento schiacciandoci su un "presentismo" effimero ed egoistico.

    Questi i pensieri generali. E poi c’è Elio. Il suo diario ci trasmette un condensato di amore, saggezza e generosità. Se chiudi gli occhi, sembra che sia Elio stesso che lo racconta. Non l’ho conosciuto di persona, anche se mi ricordo i miei nonni che me ne parlavano. Di Elio mi rimane un’immagine: un sorriso aperto e splendente e degli occhi pungenti in una foto del matrimonio dei miei zii Anna e Roberto intorno al 1960. Un sorriso e uno sguardo che, da soli, sembrano dirci che è nostro dovere guardare alla sua storia come trampolino per costruire un futuro migliore.

    IL VALORE DI UN NO. ELIO MATERASSI E UNA STORIA CHE CONTINUA.

    Serena Spinelli

    Assessora Regionale della Toscana

    La storia di Elio Materassi, un giovane delle Sieci che nel 1942, nel giorno del suo ventesimo compleanno, riceve la chiamata alle armi e attraverserà le sofferenze di venti mesi di internamento e lavori forzati nei campi di prigionia nazisti, da anni viene testimoniata, studiata e valorizzata dal punto di vista storico, dal figlio Orlando Materassi, che ha fatto e continua a fare molte cose per la crescita sociale, culturale e civile del Paese, dedicandosi in particolare alla Memoria, nell’intento di consegnarla alle nuove generazioni. Un impegno che dall’anno scorso è tutt’uno con il ruolo di Presidente nazionale dell’ANEI (Associazione Nazionale Ex Internati nei Lager Nazisti).

    Questo libro costituisce quindi la prosecuzione di un percorso, ma allo stesso tempo un cambio di prospettiva e un nuovo punto di vista.

    Al centro della ricerca, anche intima e personale, di Orlando, ci sono le parole, i luoghi, i fatti storici della prigionia del padre Elio, con le pagine del suo Diario, già raccolto nel volume "Quarantaquattro mesi di vita di militare", per le Edizioni dell’Assemblea del Consiglio Regionale della Toscana, ristampato in una nuova edizione proprio all’inizio del 2020, e che in più occasioni ho avuto il piacere di presentare pubblicamente.

    Ma queste nuove appassionate pagine sono scritte a quattro mani con la storica e ricercatrice Silvia Pascale, che da anni si occupa di temi legati alla deportazione e in particolare proprio alla prigionia degli IMI, gli Internati Militari Italiani. Un incontro fortunato da cui inizia a dipanarsi un nuovo filo rosso della Memoria.

    Un filo che attraversa una pagina di storia ancora non molto conosciuta, ma importante ed esemplare, quale è quella che vede protagonisti i 650mila IMI.

    Uno status ideato da Mussolini e Hitler per eludere la Convenzione di Ginevra e i diritti dei prigionieri di guerra. Nei campi nazisti essi furono usati come manodopera e subirono violenze e privazioni di ogni tipo.

    Le parole del diario di Elio danno vita a pagine drammatiche, ma allo stesso tempo cariche di speranza, nella consapevolezza di stare dalla parte giusta della Storia in virtù del rifiuto, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, di arruolarsi nelle truppe repubblichine fasciste al fianco dei nazisti. Una scelta che avrebbe potuto evitare a migliaia di giovani una prigionia dalla quale in 50mila non hanno più fatto ritorno.

    Uomini che non si sono piegati e hanno dichiarato il loro NO a un regime che da oltre due decenni stava calpestando ogni principio democratico e di libertà, portando l’Italia al fianco di Hitler, nella persecuzione contro gli ebrei e nel conflitto bellico mondiale.

    Una scelta confermata dalle pagine di storia che segneranno i successivi mesi, fino alla Liberazione: tra la spirale di morte delle stragi nazifasciste – di cui la Toscana porta molte ferite – e la lotta collettiva antifascista della Resistenza per la liberazione del Paese, che poi ci condurrà all’approvazione della nostra Costituzione repubblicana, fondata sui principi di democrazia, giustizia, uguaglianza sostanziale, pari diritti e opportunità.

    Per questo le vicende di Elio e degli Internati Militari stanno a pieno titolo nel patrimonio da consegnare alle generazioni successive: compongono una pagina di storia che è una delle prime pagine della Resistenza.

    E dall’incontro tra i due autori nasce un viaggio che si accende di emozioni quando ci racconta la storia di Elio, di una scelta, di un NO, che è personale e collettivo.

    L’esempio di Elio e di tanti uomini e donne che come lui hanno pronunciato lo stesso NO, serve per continuare a difendere ogni giorno i principi della nostra Costituzione, ancora così fortemente attuali: la democrazia, i diritti di tutte e di tutti.

    Perché niente va dato per scontato e niente è acquisito per sempre. E perché molto ancora resta da fare per la piena applicazione della nostra Carta fondamentale.

    Quei NO al fascismo, ai quali seguiranno i fondamenti della nostra democrazia, servono a tenere alta l’attenzione e a rafforzare gli anticorpi di fronte a nuovi e vecchi fascismi. Per affermare una società più giusta, sostenibile, inclusiva, per contrastare le disuguaglianze, le discriminazioni, lo sfruttamento. Per portare tutto questo nel nostro agire pubblico e anche nella nostra vita e nella nostra azione quotidiana all’interno della comunità.

    Un esempio perché ciascuno, anche con molto meno sacrificio, può fare la sua parte e contribuire a scrivere una nuova pagina di Storia.

    IL DOVERE DELLA MEMORIA E LA FORZA DELLE SCELTE

    Monica Marini

    Sindaca di Pontassieve

    Le pagine di e su Elio raccontano una storia dolorosa che lui e tutta la sua famiglia hanno avuto il coraggio di donare a tutte e a tutti noi per recuperare, attraverso il diario della sua prigionia e la memoria del figlio Orlando e dei nipoti Nicola e Yuri, una pagina troppo poco studiata della nostra storia.

    La storia di Elio, infatti, è la storia dei tanti, circa 650mila, IMI, gli Internati Militari Italiani che, dopo l’8 settembre 1943 coraggiosamente risposero con un NO all’adesione al nazifascismo, scegliendo così la prigionia nei Lager nazisti, dove sono stati privati delle tutele internazionali e costretti al lavoro forzato.

    Di loro troppo poco si è saputo e spesso è proprio grazie alla determinazione dei familiari che oggi conosciamo le loro storie, attraverso i diari, le lettere e le testimonianze, mentre le istituzioni italiane troppo tempo hanno taciuto sugli IMI, sui luoghi di tortura in cui erano stati internati, spingendoli così, come Orlando spiega bene, a vivere in silenzio i loro terribili ricordi.

    Nel 2017 la nostra Amministrazione ha dedicato loro una lapide, nell’anniversario di quel 20 settembre in cui Hitler decise di cambiargli lo status.

    Le parole di Elio e i racconti che di lui fanno figlio e nipoti, servono da monito e nella loro cruda realtà indicano nitidamente cosa, nella sua vita e in quella di tanti ragazzi, ha significato la prigionia, con il suo carico di dolore e di odio nei confronti dei propri aguzzini. Questi sentimenti non hanno mai fatto vacillare le proprie salde convinzioni politiche e probabilmente lo hanno reso ancora più determinato nel suo impegno politico e associativo a livello locale.

    Così come la fiducia in un ideale di uguaglianza lo ha sorretto durante la prigionia, allo stesso modo esso lo ha sempre guidato sulle scelte fatte nel corso della sua lunga vita, non allontanandosi mai da quell’ideale e dalla sua militanza politica.

    Nelle pagine del suo diario, così come nei racconti che di lui fanno il figlio e i nipoti, si percepisce in maniera forte come la Memoria per lui fosse un esercizio necessario, ma allo stesso tempo doloroso. Elio rappresenta quell’Italia che ha saputo scegliere e stare dalla parte giusta, anche se questo ha significato dolore e paura, per sé e per chi gli stava accanto senza mai dubitare della giustezza della sua scelta.

    Questo libro ci mette dunque davanti agli occhi ciò che ha significato vivere nei Lager, anche nella costruzione, o spesso ricostruzione, della propria vita e della propria identità di uomini, prima di tutto, di sopravvissuti e di testimoni.

    Con questo volume, Orlando e Silvia ci fanno entrare, con delicatezza e in punta di piedi, nella vita quotidiana di Elio, nei suoi silenzi, nei suoi tormenti e nelle sue paure.

    Mi chiedo quanti di noi oggi sarebbero capaci di un atto di coraggio così assoluto e immenso come quello di opporsi a un regime abietto e crudele con una convinzione così solida nel primato della solidarietà e dell’uguaglianza, tanto da non vacillare mai, nemmeno quando si era costretti a vivere in condizioni che niente avevano di umano. Così come mi chiedo quanti figli e nipoti avrebbero ancora la forza di ripercorrere il viaggio del proprio padre o nonno, guardando in faccia gli orrori da lui subiti e decidendo di renderli patrimonio comune per aiutare il nostro Paese a non ripetere gli errori del passato.

    Grazie, dunque, a Orlando, ai suoi figli e a chi con loro ha condiviso questo percorso, in primis la professoressa Silvia Pascale, grazie per non essersi accontentati di compiere la scelta, già tanto coraggiosa, di condividere la storia di Elio, andando oltre e ripercorrendo con questo libro il vissuto, indagando i sentimenti più intimi e rivelandoli, allo scopo di renderci ancora più partecipi e testimoni della storia e degli effetti che questa ha sulla vita di ciascuno di noi.

    La storia di Elio è ormai patrimonio collettivo, la sua Memoria deve essere tenuta viva da ciascuna e da ciascuno di noi, deve essere conosciuta e onorata, consentendo che i valori per cui Elio, gli IMI, le partigiane e i partigiani hanno detto NO, trovino terreno fertile nella nostra società.

    IL FILO ROSSO DI MEMORIA

    Anna Maria Casavola

    Direttore responsabile Noi dei Lager

    Ai lettori del presente libro, scritto a quattro mani da Orlando Materassi e Silvia Pascale, credo sia utile acquisire qualche notizia in più su l’Associazione Nazionale degli Ex Internati nei Lager nazisti, (ANEI) nata già nel 1945, quindi molto antica, di cui dall’aprile 2019, Orlando Materassi ricopre la carica di Presidente nazionale. Ho scelto questo argomento, per la mia prefazione, per un certo intreccio, se volete un altro "filo rosso", che lega il destino di Materassi alla sopravvivenza dell’Associazione, di cui lui oggi è il primo Presidente non ex Internato, ma figlio di un IMI.

    Questa, infatti è stata la condizione posta dall’ultimo Presidente IMI, l’avv. Raffaele Arcella per dare il suo assenso alla riformulazione dello statuto dell’associazione, che riconosceva come soci legittimi solamente gli ex Internati, per cui la fine dell’associazione sarebbe stata decretata dalla loro fine biologica. Io che sono un po’ la memoria storica dell’ANEI, data la mia militanza più che ventennale come responsabile del bollettino ufficiale Noi dei Lager, posso dire che è stata una battaglia lunga e difficile quella che ha portato al cambiamento dello statuto. Le remore erano quasi generali. E questo perché esistevano in tutti gli IMI, sopravvissuti ai campi, la convinzione fortemente radicata che la loro fosse un’esperienza difficilmente comunicabile ad altri e che c’era il rischio di una banalizzazione, o peggio dell’uso strumentale della loro memoria per fini impropri, politici o comunque personalistici, non compatibili con i loro principi. La loro è stata un’associazione, concepita nei Lager ancor prima della Liberazione, austera, solidale, rigorosa con due finalità precipue, quella di prestarsi una mutua assistenza, perché moltissimi rientravano malati e senza lavoro, e quella di testimoniare, con le sofferenze patite, il valore fondamentale e irrinunciabile della dignità della persona umana.

    Un’associazione così diversa da ogni altra a chi dopo di loro poteva essere affidata? E con quali garanzie? Questa remora l’ha espressa ancora l’ultimo Presidente della sez. ANEI di Firenze, Dino Vittori, recentemente scomparso, appunto al Congresso dell’aprile 2019, quando in conclusione della sua testimonianza, aggiunse, ripetendo le parole di Piero Caleffi:

    Auspichiamo che si vada più avanti di noi nella ricerca storica dell’episodio che abbiamo vissuto, anche se pensiamo che nessuno di coloro che studieranno domani, potranno cogliere il senso di quel si fa presto a dire fame" della quale la fame era solo un aspetto, ma la dignità dell’uomo, salvaguardata a prezzo della vita era la connotazione superiore, e questa memoria ha il potere di commuoverci ancora e di illuminare il nostro tramonto."

    Certo una tappa importante per il cambiamento dell’associazione, altrimenti destinata a sparire, era stato il XXI Congresso del 2011 a Sacrofano (Roma), promosso da Marcello Palumbo, direttore, prima di me, di Noi dei Lager e dal presidente Raffaele Arcella, dove fu trovato l’accordo su quello che avrebbe dovuto essere l’identità della futura ANEI. In quella sede fu approvato all’unanimità dagli ex Internati presenti il preambolo del nuovo statuto, che sostituiva al motto "Non più filo spinato il motto ANEI- Non più Lager nel mondo". Cioè l’ANEI avrebbe dovuto affiancare altre associazioni umanitarie (in particolare Amnesty International), per vigilare, combattere e denunciare all’opinione pubblica la pratica concentrazionaria ancora esistente nel mondo. Quindi un’ANEI non solo custode del passato, ma soprattutto un luogo di formazione e di azione rivolto alla difesa dei diritti umani calpestati negli infiniti Lager fisici e immateriali che continuano ad esistere su scala planetaria.

    Quindi, come si può ben capire, una memoria difficile da ereditare e ancor di più da praticare nella prassi quotidiana perché i valori, come soleva ripetere Paride Piasenti, che per 50anni è stato Presidente nazionale ANEI, "Si riconoscono da quello che costano non da ciò che rendono". Dal congresso del 2011, che coincise con la successiva scomparsa di Marcello Palumbo, che era stato il più grande sostenitore, altri anni dovevano passare per arrivare all’effettivo cambiamento, ratificato dai due congressi 2018 e 2019.

    Ma da che cosa era stata generata questa irriducibile sfiducia? Io penso dall’accoglienza o meglio non accoglienza che ebbero al loro ritorno in Patria nel lontano 1945. Per gli Internati, ne sono sicura per aver letto tantissime testimonianze, ha pesato negli anni più che il ricordo del Lager, per quanto durissimo, il ricordo amaro del ritorno, allorché si accorsero che il Paese, la Patria non li capiva ed era divenuta estranea se non ostile.

    Non si aspettavano fanfare e bandiere al vento ad accoglierli, ma che almeno fosse riconosciuto il contributo morale che avevano dato alla ricostruzione del loro Paese, e per sé chiedevano un inserimento nel mondo del lavoro, quel lavoro che avevano lasciato quando erano partiti per la guerra. Ma l’Italia era tutta macerie e non si curò dei problemi degli Internati.

    "Al distretto mi hanno dato il congedo a mano, il rimborso e poche lire, tutto nell’indifferenza generale. È una delle testimonianze più comuni dei superstiti ex Internati rientrati nella vita civile e ancora: Non abbiamo avuto nessun tipo di accoglienza, non eravamo considerati niente, non abbiamo avuto nessun privilegio"¹.

    Alfredo Vestuti, maggiore dei CC, così efficacemente e malinconicamente ci rappresenta il suo ritorno in Patria, nel mese di settembre e questo fu il ritorno della maggior parte degli Internati: "Siamo in viaggio da sei giorni. La tradotta lunga e pesante è di una lentezza esasperante. In compenso siamo stipati in modo inverosimile nei carri bestiame, che, però, qualche volta ci sembrano deliziosi sleeping cars al paragone di quelli che, nell’ottobre 1943 ci portarono in Germania (…). Alle 17 arriviamo al Brennero. Ci eravamo preparati lo spirito a questo primo contatto col suolo della Patria. E, come il convoglio ferma, ci precipitiamo giù verso coloro che certamente ci attendono, che certamente ci daranno il primo saluto e ci diranno le prime parole di solidarietà, di affettuosa comprensione, di conforto. Alla stazione ferroviaria del Brennero non v’è alcuno (…). Siamo soprattutto avviliti e nauseati: abbiamo attraversato quasi tutta l’Italia da Nord a Sud, tra l’indifferenza generale, leggendo anzi, sul viso della gente una espressione di disprezzo e di sospetto ².

    Analogo il racconto di un altro reduce, il caporale Vittorio Venchi: "Il treno carico di reduci entra nella stazione di Verona, ed è preso d’assalto da una folla di curiosi, che si dichiarano tutti democratici, antifascisti, che fanno domande ma non capiscono, anzi quasi irridono, "Perché vi siete lasciati catturare? Non avevate le armi? Perché non vi siete difesi? Perché avete creduto alle promesse dei nazisti? E poi, quasi a coprire con la voce le loro affannose risposte, voi non avete la minima idea di quanto noi in Italia abbiamo sofferto per colpa dei tedeschi. Intanto dall’altoparlante della stazione viene l’invito ai reduci di votare, votare, votare per L’uomo qualunque"³.

    E questa fu l’accoglienza che riferiscono, più o meno simile, tutti gli Internati, loro che avevano patito la fame, molti fino a morirne per un NO, loro che avevano creduto di combattere per l’Italia contro il fascismo, che si erano sentiti non dei vinti, ma dei resistenti, incontrano solo commiserazione, per il loro aspetto di malati, "quando uno di loro tubercolotico, affacciandosi al finestrino, strabuzza gli occhi e vomita sangue, una popolana, segnandosi con la croce, esclama " poverino".

    Stessa delusione nel ricordo del soldato Pensiero Acutis: "Quando sono rientrato in Italia, col treno a Porta Susa, mentre contavo i soldi per salire sul tram zeppo di passeggeri e come mi hanno visto han cominciato a parlottare tra di loro dicendo: noi i bombardamenti, la tessera e altro mentre loro e mentre si dicevano queste cose mi guardavano come se io e gli altri fossimo tornati da una villeggiatura. Quanta indifferenza, ignoranza, sospetto".

    La reazione naturale a questa fortissima delusione fu quella di voler tacere, voler dimenticare con un sentimento quasi di vergogna per aver sperato, per aver creduto in un riconoscimento da parte della società, da parte delle istituzioni. Così li vede un partigiano romano che aveva perduto il padre internato, morto suicida, nel campo di Meppen, il colonnello Eugenio Paladini:

    "Ritornano laceri, scalzi, affamati: con ogni mezzo di fortuna, qualcuno ancora a piedi. Ritornano dai cento campi di Germania, di Francia, di Polonia, d’Austria, e tutti hanno la stessa storia da raccontare. Anzi, non la raccontano nemmeno, come i veri combattenti non parlano mai di guerra con chi non ha combattuto, perché non potrebbero essere compresi. Sbattuti da un Comando all’altro, da un Ente assistenziale a un altro che a malapena può fornir loro una gavetta di minestra, non hanno nemmeno la forza di lamentarsi e di chiedere qualcosa. Attendono con un fatalismo assurdo che la loro tazza venga riempita, che il loro foglio di viaggio venga vistato, che i pochi soldi concessi in anticipo vengano pagati. Attendono in fila, ancora abbrutiti da una disciplina che li ha terrorizzati, annullando ogni personalità. Rispondono alle nostre domande distrattamente, senza specificare nessun particolare. Per far loro riempire i fogli di censimento dobbiamo lottare contro la reticenza di chi non vuol parlare, quasi non ci riconoscesse il diritto di penetrare nel loro dolore. Non potete comprendere, è la parola di tutti i momenti, l’accorato accento di quegli uomini".

    E per molti decenni gli Internati si chiusero nel silenzio, e seppellirono nei cassetti delle loro case o negli archivi delle associazioni di reduci, i memoriali o i diari di guerra e di prigionia che avevano compilato, a grandissimo rischio e pericolo, durante il periodo di detenzione, pensando di fare, al ritorno, cosa utile per il loro Paese.

    Dopo che nei primi tempi la stampa si era interessata agli Internati non tanto per mettere in evidenza le motivazioni politiche e morali del loro NO, quanto per denunciare le sofferenze che avevano patito, poi su di loro cadde il silenzio, la loro storia fu presto dimenticata, non una strada od una piazza a loro intestata, non una lezione o una pagina nei libri di storia per le scuole. I riconoscimenti arriveranno tardi quando parecchi di loro saranno morti con quella profonda amarezza ed altri saranno già molto anziani. Il buco nero della storia degli internati cominciò a diradarsi, negli ambienti ristretti delle associazioni, finalmente, con delle concessioni.

    Così con la legge dello Stato 1° dicembre 1977, n. 907, gli IMI ebbero il titolo di Volontari della Libertà come i partigiani e poterono fregiarsi del relativo distintivo d’onore, istituito con decreto luogotenenziale n.350, del 3 maggio 1945. Più tardi con la legge 16 marzo 1983 fu concesso loro il brevetto di Combattenti per la Libertà d’Italia, e la promozione onoraria a grado superiore, con la legge 6 novembre 1990.

    E finalmente viene nel 1998 conferita motu proprio dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, la medaglia d’Oro all’Internato Ignoto con la seguente motivazione: "Sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non venne mai meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riconquistato la propria dignità di nazione libera".

    Possono gioirne quelli che, all’epoca, erano stati poco più che ventenni e che vedono finalmente riconosciute ed apprezzate le motivazioni del loro NO. Successivamente viene concessa la Medaglia d’Onore per tutti gli IMI, ai sensi della legge n.296/2006, art.1, commi 1271, 1276 e possono richiederla alla memoria gli stessi familiari.

    Da allora, e soprattutto con il Presidente Carlo Azeglio Ciampi e con l’attuale Presidente Sergio Mattarella, gli IMI hanno avuto uno spazio pubblico, un ricordo nelle commemorazioni, ma sicuramente la loro storia, anzi le loro storie continuano ad essere ignorate dalla grande massa del Paese. Qualcosa però in seno alle famiglie italiane è cambiato negli ultimi 10 anni, 15 anni: i figli, i nipoti, spesso alla morte del loro caro, genitore o nonno, si sono interrogati su quel silenzio e hanno provato rimorso per non aver chiesto, per non aver voluto sapere, per non essersi resi conto di quanto quel buco nero doveva aver pesato sulla loro vita di dopo.

    Da qui è nato un gran risveglio di interesse, una volontà di sapere, di informarsi, di andare a caccia di documenti e finalmente la voglia di valorizzare quelle carte e fotografie scolorite ritrovate in fondo a bauli o cassetti mai aperti. Così sulle pagine del bollettino Noi dei Lager già dal 2012, nella rubrica della corrispondenza, io mi sono incontrata per la prima volta con i figli di Orlando Materassi, i nipoti di Elio, che mi informavano di essersi recati in Germania a fotografare i Lager dove era stato rinchiuso il nonno, e da lì era nata in loro l’idea di una mostra itinerante, "In Ricordo" per far conoscere quella storia ancora poco conosciuta. Il padre Orlando, in un suo intervento, sempre su Noi dei Lager del 3/4 2018, ha confidato che da ragazzo aveva letto il diario del padre, ma l’aveva letto come un racconto, non comprendendo quanta sofferenza ci fosse stata dietro quel NO, poi il padre era morto e lui si era pentito di non averne mai parlato, ma ormai era troppo tardi…

    Allora erano intervenuti i suoi figli: "Ho conosciuto la storia di Elio internato per la caparbietà dei miei figli, che desiderosi di visitare i luoghi di prigionia del nonno, caparbiamente vollero portarmi  in Germania e lì ho conosciuto la storia di Elio…Mai avrei immaginato l’importanza di quel breve viaggio capace di cambiare dentro di me la visione storica della guerra, della prigionia subita da mio padre ed in particolare di quella vissuta dagli IMI, mai avrei immaginato di dover conoscere ancora di più mio padre, dopo morto, di quanto lo avessi conosciuto quand’era in vita."

    Così per una singolare eterogenesi dei fini, che sovente si ritraccia negli accadimenti della vita, la storia di uno è diventata simbolicamente, per l’impegno che Orlando poi ci ha messo a farla conoscere, prima in Germania e poi in Italia, (a partire dalle istituzioni del suo comune di residenza, Pontassieve), una storia di tanti. Una storia che è anche arrivata al cuore degli ex nemici in Germania e ha costruito ponti di amicizia e di sincera volontà di riparazione. L’informazione, tramite il giornale Noi dei Lager, che faceva da cassa di risonanza, è arrivata al nostro Presidente IMI, all’epoca già nonagenario, Raffaele Arcella, e agli altri IMI ancora viventi, convincendoli che forse c’era chi avrebbe potuto raccogliere degnamente il testimone, e che, insomma, c’era una speranza per far sopravvivere la loro amata associazione.

    Molto indovinato, quindi, a mio avviso, il titolo "Il filo rosso" che è stato posto a questo libro, da Orlando e da Silvia Pascale, che ricostruisce passo, passo, lo snodarsi della vicenda, e l’arricchisce di particolari privati, interiori, familiari, affettivi che, di solito, in questo genere di scritti, sono taciuti, sicché, nonostante il libro sia costruito intorno al diario di Elio, a fare da protagonista della narrazione diventa tutta la famiglia Materassi, in quanto tutti hanno tirato il loro filo al dipanarsi della storia, non solo i giovani nipoti e i loro figli infanti, non solo Orlando , ma anche la nonna cioè, la moglie di Elio, la signora Angiolina, allora fidanzata, che rappresenta quella che fu all’epoca la condizione sofferta di tante donne italiane, divise tra il desiderio di riavere subito sano e salvo in Italia il proprio caro e il rispetto e la condivisione del loro NO, dettato da ragioni superiori a quelle del cuore.

    Nel libro si sente anche molto l’intervento dell’amica Dirigente ANEI Silvia Pascale, professoressa e ricercatrice, che è stata l’interlocutrice, l’intervistatrice e, a volte, la voce narrante nei tanti viaggi della memoria che Materassi ha fatto in Germania nei luoghi una volta campi di detenzione di Elio e poi divenuti quasi meta di un rinnovato pellegrinaggio spirituale.

    Silvia ha arricchito di un apparato di note esplicative importanti il diario del padre di Orlando ricostruendo anche particolari che erano rimasti in ombra nelle precedenti edizioni, perché era mancata la verifica sul posto, l’indagine con i possibili testimoni, il riscontro dei documenti, insomma il contributo dei ferri del mestiere dello storico.

    Quindi questa nuova edizione del diario di Elio presenta una forte connotazione di novità con un’appendice di

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