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Storia delle librerie d’Italia
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E-book453 pagine5 ore

Storia delle librerie d’Italia

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Dai negozi storici ai librai indipendenti, fino alle grandi catene moderne: l’evoluzione della vendita dei libri nel nostro Paese

Le librerie non sono semplici negozi, ma sono qualcosa di più e di diverso. Sono luoghi di incontro, di diffusione culturale, con alle spalle vicende incredibili (personali, aziendali, famigliari). Vins Gallico ricostruisce la storia delle librerie italiane, mostrando l’evoluzione che il commercio dei libri ha seguito, ma soprattutto racconta la storia di una passione, di una devozione, di un’utopia. Dalle botteghe ottocentesche alle soluzioni più moderne, dagli enormi store di catena alle minuscole librerie di quartiere dove c’è posto a malapena per qualche cliente alla volta, questo è un viaggio fra passato e presente, fra le metropoli e le realtà più periferiche, un racconto della storia d’Italia attraverso una specifica lente d’ingrandimento. Destinato non soltanto agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che credono nella magia e nell’unicità dei libri e che si riconoscono nella comunità dei lettori.

Ogni libreria è un mondo, un esperimento sociale, un portale magico

Tra le librerie citate:

Beuf/Bozzi a Genova - Nanni a Bologna - Fiaccadori a Parma - Gozzini a Firenze - Bocca a Milano - Canova a Treviso - Goggia ad Asti - Montan a Motta di Livenza - Moneta a Savona - Libreria internazionale Luxemburg a Torino - Gonnelli a Firenze - Galla 1880 a Vicenza - Tombolini a Roma - Cesaretti a Roma - Gioberti a Firenze - Prampolini a Catania - Alterocca a Terni - Fogola ad Ancona - Ghibellina a Pisa - Bassanese a Bassano del Grappa
Vins Gallico
È nato a Melito Porto Salvo (RC) nel 1976. Ha pubblicato Portami Rispetto (Rizzoli 2010), Final Cut (Fandango 2015), La barriera (Fandango 2017), A Marsiglia con Jean-Claude Izzo (Giulio Perrone Editore 2022). È stato direttore delle librerie Rinascita e Fandango Incontro a Roma.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ott 2022
ISBN9788822764393
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    Anteprima del libro

    Storia delle librerie d’Italia - Vins Gallico

    INTRODUZIONE

    Le librerie sono esercizi commerciali, ma non sono semplici negozi.

    Sono spazi simbolici, contenitori di sogni, deflagratori di idee, spesso emblema di resistenza e altrettanto spesso roccaforti di retorica. Sono rifugi e perdizioni, punti di partenza e labirinti. Qualcuno le considera una specie in estinzione, qualcun altro un patrimonio dell’umanità.

    Esistono librerie gigantesche, che per frequentazione e modalità ricordano i non-luoghi di Marc Augé, cioè prodotti della surmodernità, spazi in cui gli individui transitano senza entrare in relazione, sospinti dal desiderio di consumo. Quasi simili a centri commerciali, al loro interno tutto è calcolato con precisione, dalla disposizione degli scaffali al tipo di musica e all’intensità delle luci.

    E ci sono librerie minuscole, rocambolesche, disordinate, dove il contatto umano è primario rispetto all’aspetto finanziario, dove la crescita culturale e lo scambio personale rappresentano l’obiettivo principe.

    Ovviamente non sono le planimetrie e le dimensioni catastali a creare questa distinzione, ma la progettualità che c’è dietro.

    Le librerie racchiudono mito e realtà.

    Sono ormai migliaia le narrazioni – fra cui best seller o film molto noti – che raccontano le librerie. E che comprendono nel titolo la parola libreria, libraio, libraia.

    Ma anche questi luoghi mitici affrontano il duro impatto con le crisi economiche, le chiusure, i licenziamenti, le liquidazioni finanziarie.

    Sono pronto a scommettere che chiunque stia leggendo queste pagine abbia un ricordo importante della propria vita collegato a una libreria.

    Io in libreria ho conosciuto la donna della mia vita.

    E in una libreria per l’infanzia, L’ora di libertà, porto spesso i miei figli per leggere loro delle storie e scroccare un caffè alla paziente e generosa libraia che ci sopporta.

    Era alla libreria La Pecora Elettrica che mi spedivano i libri da recensire prima che la malavita di Centocelle la bruciasse per ben due volte.

    È in libreria che ho cercato riparo, che mi sono nascosto, che ho sbirciato in mondi che non conoscevo.

    Sono stato direttore di due librerie a Roma: Rinascita a Garbatella e Fandango Incontro e mi sono sentito ripetere con voce sognante: «Ah, che bel lavoro!» oppure «Chissà quanto tempo hai per leggere».

    Annuivo come si fa con chi parla senza consapevolezza.

    Sarebbe stato inutile provare a spiegare. Lo studio certosino per costruire l’impianto, la concentrazione davanti alle tabelle Excel per far quadrare i conti, la fatica quando si svuotano gli scatoloni delle ultime uscite e devi riallestire l’esposizione, l’imbarazzo della resa quando non hai altra scelta se non restituire i libri e smantellare il catalogo per ottenere una nota di credito dai distributori, la noia di certi pomeriggi estivi, il freddo di alcuni banchetti all’aperto, il dolore alla schiena a furia di caricare e scaricare colli per presentazioni in posti dimenticati da Dio, la dipendenza dagli antistaminici a causa della polvere, la disciplina marziale nell’impari lotta contro la muffa e l’umidità, l’adrenalina mentre insegui il ladro professionale che ha rubato un volume Adelphi da 75 euro, e la connivenza mentre ti accorgi che un adolescente ha messo nello zaino un tascabile (forse un regalo per la persona di cui è innamorato… o il libro che gli cambierà la vita, forse rovinandogliela), la pazienza per sostenere il dialogo con un’anziana signora che pretende di restituire i romanzi che non le sono piaciuti, romanzi che ha sgualcito e sottolineato.

    Fare il libraio è un mestiere romantico che richiede molto sforzo e ripaga con soddisfazioni difficilmente quantificabili (anche perché se lo si quantifica dal punto di vista economico è meglio cambiare lavoro).

    Questo libro vuole essere il racconto di una fase pionieristica, una raccolta di vicende dal sapore artigiano e di frammenti di storia italiana. Ci sarà chi potrà leggerlo come un frattale di sociologia, o chi potrà ricomporre un’epopea che si incastra come le tessere di un puzzle. Ci sarà chi ricorderà alcuni episodi locali e chi sorriderà di sogni, ambizioni e meschinerie personali.

    Si parte dai primi argonauti, da una stagione in cui l’Italia non era ancora unita, dalle librerie storiche di fine Settecento-primo Ottocento che hanno resistito: Bozzi a Genova, Nanni a Bologna, Gozzini a Firenze, e dai fratelli Bocca, primo esempio di libreria di catena, con sedi a Milano, Roma, Firenze, Torino e Parigi.

    Poi ci muoveremo in un arcipelago composto di tentativi, troverete le librerie nate nell’Ottocento e quelle fondate nel Novecento. Nell’Ottocento le antiche botteghe vendevano libri, ma anche altro materiale, di cancelleria e non, spesso legate ad attività di stamperia o rilegatura. Anche perché in quanti erano in grado di leggere un libro all’epoca?

    Con il Novecento il livello di alfabetizzazione aumenta, la letteratura diventa una possibilità di raccontare un secolo e una comunità nelle sue sfaccettature, con le sue contraddizioni. L’unità nazionale prevede una lingua unica, la scolarizzazione implica una necessità di distribuzione.

    Confermando il rapporto arcaico fra libraio e stampatore/editore, nel Novecento si sviluppano e prendono piede le librerie legate alle case editrici, spesso librerie di catena, che accentuano ancora di più l’oligarchia culturale. E poi sorgono le librerie ideologiche, quelle che si contrappongono per la diversa fede (Don Camillo o Peppone?). E poi alla fine arriveranno i franchising.

    Insomma l’editoria da un mestiere a conduzione famigliare e modalità artigianali si trasforma in un meccanismo industriale e parcellizzato. E in questo mondo mutato la professione del libraio cambia e necessita di ulteriori competenze.

    Il viaggio termina all’inizio degli anni Novanta, considerando dunque le librerie che hanno più di trent’anni.

    Due capitoli, quasi in appendice, sono dedicati rispettivamente alle librerie che non ce l’hanno fatta e a quelle più recenti, ma che probabilmente entreranno nella prossima storia delle librerie.

    In questo viaggio spazio-temporale ho provato a spiegare com’è cambiato un lavoro dalle origini fino ai giorni nostri e come si sia formato il mito dell’avamposto culturale. Ho provato a farlo con i librai e le libraie di oggi. Ho incontrato e parlato con moltissime persone che mi hanno raccontato le vicende delle loro famiglie, l’incrocio di destini, i passaggi societari. A quasi tutti ho chiesto: ma chi ve lo fa fare, in un Paese dove si legge sempre di meno?

    Troverete le loro risposte in questa Storia delle librerie d’Italia.

    Chiunque abbia in mano questo libro lo sa: una libreria è un piccolo mondo. Un esperimento sociale o un portale magico. Dietro tutto questo ci sono le persone, le storie, gli scaffali, le saracinesche, gli swiffer, le fideiussioni, i conti aperti con le distribuzioni, le rese, i bancali, gli affitti, le mura di proprietà.

    Questo libro è il racconto della passione di una comunità formata da tanti singoli, che nel nostro Paese, e anche fuori confine, hanno deciso di lanciarsi nell’impresa, di credere di poter vivere con i libri e grazie ai libri, con tutto l’amore e tutti i demoni di chi ha una fede: quella nell’inchiostro, nella pagina, nell’odore della carta e in quella materia di cui sono fatti i sogni.

    Le sempreverdi e ottocentesche

    Questo primo capitolo comprende alcune librerie nate grosso modo nell’Ottocento e che incredibilmente hanno resistito fino a oggi. Si tratta di librerie pioniere, ma anche superstiti. In alcuni casi hanno avuto passaggi societari, ma la loro identità originaria era talmente marcata che si è preferito mantenerle qui. All’interno di questo capitolo sarebbero potute comparire decine di librerie antiquarie, ma si trattava di esercizi la cui vocazione è nettamente legata al collezionismo d’arte, dove il libro non è oggetto di diffusione culturale o di intrattenimento o di crescita sociale, ma elemento da custodire e preservare, da tenere in bacheca. Da non sottolineare mai.

    Libreria Bozzi/Beuf, via Cairoli 2/r e via San Siro 28/r, Genova (1810)

    A cavallo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento Genova è un grande cantiere. La città cresce, si costruisce, si abbatte, si rimodula. La Strada Novissima, che collega la via Aurea (all’epoca Strada Nuova) e Strada Balbi, rappresenta uno dei cambiamenti topografici. Lungo quel percorso interno che mette in relazione la porta di San Tommaso nei pressi della Lanterna con i punti nodali della città fino a piazza Fontane Marose, un giovane francese ha preso casa e gli viene un’idea, magari non originale, ma comunque novissima: vuole aprire una libreria al piano terra della sua abitazione.

    Non è un’idea originale perché esistono già botteghe di cartografi, stampatori, editori, miniaturisti, legatori di libri, indoratori. Anzi a dire il vero esistono già librerie.

    Eppure quando parliamo della prima libreria d’Italia, sempre si indica questa: Bozzi, già Beuf a Genova. In effetti è abbastanza unico il fatto che sia rimasta lì senza quasi nessuna interruzione per più di due secoli. Ma ritorniamo al 1810 e al giovane francese con l’idea.

    Marc Antoine Beuf è stato commesso dai Gravier, che hanno una tipografia in via della Maddalena e che si sono trasferiti in Strada Novissima. La famiglia Gravier opera a Genova dal 1727, ma è soprattutto al Meridione che ha il proprio core business.

    Un loro antenato, tale Jean Gravier di stanza a Napoli, nel suo testamento del 1776 riporta scambi commerciali impressionanti con gli editori ginevrini Cramer, dai quali avrebbe ricevuto qualcosa come 13.000 volumi per venderli.

    Beuf invece ha altre tradizioni e meno rinomato blasone nel campo. Il padre René era Capitaine général des fermes royaux, cioè il capo degli esattori delle tasse reali, il tipico mestiere che non ti rende la più amabile delle persone. La famiglia di origine ebraica si sposta da Briançon a Torino e poi a Genova nel 1807.

    Su Strada Novissima, dove si era già trasferito Gravier, Marc Antoine e il fratello Carlo decidono di fare concorrenza ai vecchi padroni. Al civico 784, negli stessi locali in cui è ancor oggi, applicando il principio di casa e bottega aprono prima una cartoleria specializzata, che si trasforma in un negozio di strumenti scientifici e nautici, e poi in una libreria inizialmente di carattere scientifico, tecnico e marittimo.

    Nel giro di qualche anno la libreria Beuf rifornisce la Real scuola di marina, gli istituti scientifici della marineria sarda e tutto sommato la comunità della gente che va per mare a Genova e nella Riviera. Perché per navigare la pratica non basta.

    Marc Antoine però non si limita alla letteratura nautica. Sceglie per la libreria il motto «Aut prodesse aut delectare» riprendendo la lettera di Orazio ai Pisoni, per cui i poeti vogliono o giovare o divertire. Queste due caratteristiche di impegno e leggerezza, questo doppio binario didattico-pedagogico, ma anche di intrattenimento si riflettono nell’ampio catalogo, come riportato in un annuncio della «Gazzetta di Genova» del 1833:

    Gli amatori delle scienze e della letteratura vi troveranno un assortimento di libri matematici, legali, di letteratura e libri ascetici, tanto francesi che inglesi ed italiani, come pure libri di divozione legati elegantemente, globi terraqui e sfere di diverse grandezze. Il sig. Beuf è ugualmente determinato a stabilirvi un Gabinetto di Lettura ove si trovano libri, giornali francesi, italiani ed inglesi come anche giornali di letteratura e di scienze.

    Vasto catalogo, ma anche globi e sfere, per la buona pace dei puristi delle librerie. Inoltre l’obiettivo di Marc Antoine è chiaro. In libreria è permesso, anzi è consigliato leggere: libri, giornali, riviste. Non è solo un negozio, è un punto di approfondimento ed eventualmente anche di aggregazione.

    Marc Antoine sogna da imprenditore. È stato a scuola dai Gravier e ha imparato come si fa, e così diventa editore di libri scientifici, piccole guide e storie di Genova, stampe a soggetto locale. Il fatto che i Reali Principi e la Real Marina siano annoverati fra i suoi clienti è motivo di vanto: Beuf ne è fornitore ufficiale, come si legge ancora oggi nell’insegna in bronzo e legno dorato conservata in libreria («Libreria della R. Marina e dei R.R. Principi»), al cui interno sono visibili anche alcune colonne marmoree del chiostro di San Siro, le cassettiere in legno originali, le balaustre con l’antica ringhiera.

    Ma soprattutto Marc Antoine Beuf è un cittadino di Genova, un animale politico nell’accezione aristotelica. Il suo nome appare nel Comitato Organizzatore della Mostra dei prodotti nazionali che si tiene nel 1847 e in molti altri organismi ufficiali della città. Fino alla sua morte la sua partecipazione alla collettività genovese è molto attiva.

    Come spesso capita nelle storie di famiglie imprenditoriali, il figlio dell’uomo di successo tende a essere meno zelante. Infatti al primogenito Luigi piace più la vita in società che il duro lavoro. Ma le relazioni sono anche pubblicità, forme di marketing estremamente funzionanti e così la clientela della libreria si allarga. Diventa il luogo di ritrovo di Genova per discutere di letteratura, di politica, e nel 1866 si fonda e ha sede nei locali della libreria la Società di Letture e Conversazioni Scientifiche. Il sogno di Marc Antoine che si realizzava. La Società poi influenzerà molto la vita intellettuale e politica della città, sia nel tardo Risorgimento che durante la Resistenza, e prosegue ancor oggi la propria attività.

    Dopo Luigi è il turno di Emilio: «Era un uomo di media statura, secco, ossuto, con la pelle del viso tirata, gli occhi celesti, con uno sguardo tra il malinconico e lo scontroso, eternamente vestito di un completo blu lucido per il lungo uso, con una giacchetta di vecchissimo taglio, corta e abbottonata molto alta, un colletto a punte molto sporgenti, e i pantaloni, senza traccia di stiratura, tirati molto in su, sugli stivaletti con gli elastici.

    La bottega era austera; e il signor Beuf era austerissimo». Così lo descrive Giovanni Ansaldo che nel 1946 gli dedicò un reportage dal titolo Un libraio misantropo, pubblicato sulla rivista «Il Libraio» (Longanesi).

    Uomo tanto colto quanto privo di spirito imprenditoriale, Emilio è umbratile e lunatico, e durante la sua gestione la libreria che proveniva da un periodo florido inizia a decadere. Perché è incapace ad adattarsi ai tempi, e ha un certo disprezzo misto a orgoglio nei confronti dei nuovi gusti del pubblico che considera frivoli. Capita che non risponda alle signore che vogliono comprare un nuovo romanzo, e che non ordini i libri scolastici, perché per lui vanno bene solo i testi universitari. Se un cliente che non gode della sua stima richiede un’opera di pregio, Emilio Beuf evita di procurargliela. È un libraio giudice.

    Discute a lungo con il suo commesso Negro, dato che vuole evitare qualsiasi acquisto fuori dall’ordinario (e finisce che quello si apre una libreria tutta sua a Genova) e in generale evita qualsiasi manutenzione. Così l’insegna si annerisce, gli scaffali bianchi filettati d’oro si piegano.

    Figurarsi se Emilio vuole saperne di luce elettrica o gas: la libreria rimane illuminata a petrolio, lasciando vaste zone del negozio nell’ombra, fumose e puzzolenti.

    A volte organizza con i dipendenti delle gite, dalle quali il commesso e il garzone tornano con i piedi gonfi. Colazione al sacco, pane e uova sode, il cui costo è diviso alla romana. Emilio offre invece mezzo litro di vino bianco. D’altronde il garzone doveva essere allenato: Emilio a volte lo manda a fare consegne a piedi distanti anche trenta chilometri, pur di risparmiare una lira di treno o di tram a cavalli.

    L’ultimo dei Beuf librai si ritira dal commercio nel 1924; muore qualche tempo dopo suicida, lasciando trecentomila lire in titoli dello Stato all’albergo dei Poveri.

    L’attività la porta avanti il nipote della moglie, Salomone Lattes.

    Lattes ovviamente non è un cognome qualsiasi. Riporta a una famiglia di esiliati spagnoli, che l’avevano tratto intorno al Cinquecento da una cittadina nei pressi di Montpellier.

    Simone Lattes a fine Ottocento aveva lavorato nella libreria Casanova di Torino e poi nel 1893 ne aveva aperto una sua, a suo nome, in via Garibaldi 3.

    La Libreria Buef prende il nome di Lattes, che mantiene anche quando nel 1927 Salomone Lattes la cede al genero Alberto Colombo, padre della prima moglie di Mario Bozzi. Nel 1930, probabilmente a tutela dal crescente antisemitismo fascista, la libreria cambia ragione sociale e diventa Bozzi.

    Quando nel 1932 Mario pubblica Critica della pena di morte del giovane socialista Paolo Rossi, il libro viene sequestrato e Bozzi bollato come sovversivo.

    Nel 1942 la libreria viene parzialmente incendiata e distrutta dai bombardamenti, comportando la dolorosa perdita dell’archivio che comprendeva le fatture, la corrispondenza, gli appunti che testimoniavano il passaggio dei molti illustrissimi visitatori e i contatti con i clienti fuori Genova.

    Fra quei corridoi è più che verosimile immaginare Stendhal, Manzoni, Dickens, Melville, James e altri visitatori illustri, che si fermano a dare un’occhiata alle loro edizioni o ai giornali francesi e inglesi.

    Nel 1952 Mario Bozzi inaugura i locali rinnovati. Si riparte con la stessa energia e lo stesso amore per i libri.

    Al figlio Tonino del mestiere del libraio dice: semel abbas et semper abbas.

    Infatti quello del mestiere del libraio ne fa una vocazione: Tonino è stato per dodici anni presidente dell’ALI (Associazione Librai Italiani) e nel 1983 ha fondato, con Luciano Mauri e Gianni Merlini, la Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri.

    Nel suo pregevole libretto taschinabile, Piccola storia di una libreria genovese, uscito nel 2002 e poi ristampato nel 2007 e nel 2020, ripercorre le vicende dagli albori fino alla gestione insieme alla sorella Rosaline.

    Così si può leggere di quando suo padre Mario, nell’immediato dopoguerra, fu invitato dal suo cliente e amico Oberto Gentile Farinola a valutare la biblioteca di famiglia, nei pressi di Firenze. Ci andava nel finesettimana a studiarla e alla fine della ricognizione Gentile voleva pagarlo. Ma Mario Bozzi si era sentito trattato come un ospite e per di più, vista la qualità della biblioteca, si era molto divertito. Gentile lo convinse allora almeno a prendere un libro della sua collezione e Mario Bozzi scelse allora l’esemplare chiosato dal Tommaseo dell’edizione del ’27 de I promessi Sposi.

    La biblioteca Gentile conteneva incunaboli e manoscritti miniati di valore ben superiore, ma anche quello era un gran libro.

    Molti anni dopo, Alberto Vigevani lo notò nella biblioteca privata di Bozzi e cominciò ad assillare l’amico affinché glielo vendesse. Oltre all’offerta allettante, Vigevani sottolineava il fatto che si trattava di un libro milanese e che la sua destinazione naturale era Milano, non Genova. Era un argomento che apriva una breccia. Così quando Vigevani trovò una bellissima copia della raccolta di costumi genovesi del Pittaluga (Parigi, 1826), Mario Bozzi accettò l’offerta. Manzoni lasciò casa Bozzi e Mario non cessò mai di rimpiangerlo.

    Erano altri tempi, altri modi di interpretare la cultura e il suo valore immateriale.

    Nel 2014 la libreria Bozzi ha un contenzioso con il proprietario delle mura, Tonino rimane in una parte della struttura continuando la parte antiquaria. Un’altra parte dello stabile invece viene acquisita, il 20 agosto 2018, dal Libraccio, per cui la libreria Bozzi che invece si occupa dei libri moderni si sposta a pochi metri di distanza in via S. Siro 28 Rosso, dove è gestita delle figlie di Tonino, Laura e Paola.

    È quest’ultima che mi fa fare un giro per i settori: un vasto assordimenti di editoria territoriale comprende circa cinque scaffali, poi c’è una parte nel campo della nautica (dove i Bozzi sono anche piccoli editori), c’è un reparto universitario e un fornito angolo guide.

    «Mio nonno era amico di Montale, ogni tanto ci passava anche Calvino, ma con Montale era strano, perché mio nonno e il poeta si assomigliavano. E c’erano alcuni che dicevano: Ma quello è Bozzi o è Montale?».

    Libreria Nanni, via de’ Musei 8, Bologna (1825)

    È il più bel ricordo di Bologna. Mi ricorda L’Idiota di Dostoevskij, mi ricorda il Macbeth di Shakespeare... A quindici anni ho cominciato a comprare lì i miei primi libri, ed è stato bellissimo, perché non si legge mai più, in tutta la vita, con la gioia con cui si leggeva allora.

    Così Pier Paolo Pasolini ne I Quaderni ripercorre i suoi quindici anni quando passa ore e ore al Portico della Morte, dove si vendono i libri usati. L’adolescente PPP si mette lì a scegliere, a leggere titoli, a spiare pagine e indici. Fino ad allora ha letto solo libri d’avventura. Poi improvvisamente gli capita fra le mani Dostoevskij ed è una rivelazione.

    Il luogo di questo primo incontro con la letteratura è la libreria Nanni, la più antica della città di Bologna.

    Alla fine del Settecento è una stamperia, l’Antica Stamperia della Colomba, e dopo il primo quarto dell’Ottocento diventa libreria antiquaria, gestita dalla famiglia Marchesi.

    Il contesto è quello dell’ospedale di Santa Maria della Morte, fondato nel XV secolo da una confraternita di laici che si occupano soprattutto dell’assistenza ai carcerati e ai condannati a morte.

    Con il passare dei secoli l’ospedale della Morte viene soppresso perché accorpato a quello della Vita in via Riva Reno, e nel 1801 cambia la destinazione d’uso. Diventa una fabbrica di seta e falegnami. La cappella venne chiusa nel 1799 e affittata come magazzino.

    Dopo l’Unità d’Italia la struttura viene usata come sede provvisoria di un liceo statale, fino al suo trasferimento in via Castiglione, nel 1882, e subisce una radicale ristrutturazione, a cura dell’ingegnere Coriolano Monti, diventando sede del Museo Civico Archeologico.

    Dopo più di un secolo di gestione Marchesi, Arnaldo Nanni rileva la libreria.

    «I suoi studi si erano fermati alla terza elementare, eppure ho conosciuto pochissime persone che amassero i libri quanto lui. Era un grande appassionato di storia, leggeva molto nel tempo libero e nei nostri incontri non dimenticava mai di chiedermi cosa stessi leggendo in quel momento», racconta il nipote Andrea Nanni, che oggi lavora nella libreria di famiglia.

    Arnaldo l’attrezza con le bancarelle parigine sotto al portico, ma lascia la direzione a Carmine Marchesi, capace di lavorare per la Libreria Nanni per settant’anni. Pare che non perdesse mai la calma, un vero maestro nel gestire la pressione nei momenti di grande lavoro, con una memoria pazzesca e una grande conoscenza del mercato antiquario e scolastico.

    Trent’anni dopo le sue frequentazioni adolescenziali Pasolini torna davanti alle bancarelle e si guarda intorno amareggiato (non a causa della libreria, ma per la metamorfosi antropologica e il cambiamento dei tempi che PPP pativa). Sotto il grande portico trova il solito gelo, «l’ombra del bel giorno d’autunno (la morte)», ma i libri non sono più quelli dei poeti indecifrabili editi da Salani, i suoi Coleridge o Novalis, soltanto libri gialli, divulgativi, o di successo.

    In quel passaggio domenicale, prima di ritornare a casa (come riporta «Il Giorno» del 6 novembre 1963), «per questo rovesciamento di situazione – in una situazione in realtà immutata – che mi venne voglia di comprare il libro di Freud da leggere in treno al ritorno».

    Alla fine dunque Pasolini un libro lo compra, i Casi clinici di Freud: vuol dire che il catalogo della libreria Nanni il suo scopo l’ha raggiunto. E lo raggiunge anche con Federico Fellini, Massimo Arcangeli, Enzo Biagi, Umberto Eco che in quegli anni la frequentano.

    Soprattutto la presenza del professore e semiologo lascia intendere la qualità dei volumi rari della libreria, per cui ogni tanto Eco arrivava in cerca di qualche volume per la sua straordinaria biblioteca milanese.

    Infatti nonostante la nota pasoliniana, dal secondo dopoguerra in particolare, la libreria Nanni è un luogo di incontro per il pubblico soprattutto dell’antiquariato librario.

    Ancora oggi la policy consiste nel rintracciare testi rari (o altrove assai difficilmente reperibili) abbinandola a una strategia editoriale che ristampa opere di filosofia, medicina, scienze naturali, ingegneria, letteratura.

    Così accanto all’attività libraria vera e propria, si è creato un deposito culturale, composto da migliaia di opere rare e pezzi di interesse scientifico letterario. Un parco libri di notevolissima rilevanza tale che configura i depositi della Libreria Nanni più come una biblioteca privata di carattere pubblico che una semplice azienda del settore librario.

    Questo quello che Andrea Nanni racconta in un’intervista a Giorgia Negrini, basandosi sulla propria esperienza dal suo esordio come librario dai primi anni Novanta fino a oggi: «La libreria Nanni racchiude in realtà diverse anime, quella antica è molto forte, non le permette di avere tutti i libri esposti in consultazione, questo perché gli arredi sono studiati per essere funzionali anche durante la campagna dei libri di scuola, per noi da sempre molto importante. Cerchiamo quindi di mettere in evidenza libri di qualità, ovvero quelli che ci piacciono. Visto che i tempi sono cambiati, il catalogo dei libri non più in commercio, di difficile reperibilità, edizioni rare, non è più cartaceo, ma presente sul sito della libreria e suoi principali siti di settore. La sfida principale, al momento, è quella di comunicare e trasmettere al pubblico il fatto che non siamo solo una libreria scolastica o antiquaria ma siamo una libreria dove i lettori possono tranquillamente chiedere consigli, di diversi generi letterari, a librai preparati».

    Andrea Nanni, dopo aver cominciato nella libreria di famiglia, ha lavorato per undici anni alla Libreria Duomo, in via Indipendenza. Era un’attività che lavorava soprattutto nelle ore serali e rimaneva aperta fino a mezzanotte. Quando, nel giro di pochissimo tempo, sono stati chiusi tutti i cinema della strada, la libreria ha perso molto del suo potenziale. Nel 2005 ha aperto la Libreria dei Colli, in una zona residenziale di Bologna che aveva anche una vocazione commerciale, visto che esistevano diversi negozi sufficienti a soddisfare la spesa quotidiana, una grossa banca, e il parco pubblico più importante della città.

    Nel 2019, a malincuore, quando ormai gli altri esercizi commerciali avevano da tempo abbassato le saracinesche, Andrea ha chiuso la Libreria dei Colli ed è tornato alla Libreria Nanni.

    Pietro Fiaccadori S.r.l., strada Duomo 8/a, Parma (1829)

    Pietro Fiaccadori è un grande tipografo nato alla fine del Settecento, nel 1791. Nel 1829 affitta alcune stanze all’interno del palazzo vescovile di Parma, a due passi dal Duomo e dal Battistero, e fonda la libreria Fiaccadori.

    Si crea dunque un binomio fra attività editoriale e libreria, che ha nell’ambito religioso e nella sua scuola il suo punto d’azione. Mentre la casa editrice sarà attiva fino alla fine degli anni Novanta, la libreria affronta parecchie traversie molto complicate da ricostruire.

    Di certo la libreria viene inglobata fra le salesiane presenti in varie parti d’Italia. C’è testimonianza che la SAID-Buona Stampa apra due nuove filiali, a Parma, con l’acquisto della libreria Fiaccadori, e poi a Catania, prima della Grande Guerra. Trascorsi gli anni del conflitto e superate le difficoltà legate al rifornimento della carta, nel 1919 l’impresa assunse l’intitolazione con la quale è universalmente nota, Società Editrice Internazionale o, più semplicemente, SEI.

    Negli anni Ottanta la libreria dovrebbe passare sotto le Edizioni Piemme, almeno secondo i frammenti della memoria orale.

    Attualmente la libreria è stata rilevata dalla San Paolo a partire dal 2005, acquistandola da una cordata di soci parmigiani capitanati dal signor Greci. Una parte delle azioni sono di pertinenza diocesana, cosa che è stata mantenuta anche dopo l’acquisto di San Paolo.

    Si tratta ovviamente di una libreria all’interno di un contesto religioso, dove una parte di proprietà è sempre stata in mano alla Curia.

    Oggi la Fiaccadori è una libreria di circa 400 metri quadri con un catalogo di varia con una vasta offerta di libri di argomento religioso, letteratura per l’infanzia e volumi illustrati, oltre a saggistica, narrativa e poesia.

    Al piano terra ci sono gli arredi di inizio Novecento, si tratta di scaffali che arrivano al soffitto, a un’altezza di oltre tre metri.

    C’è anche una sala con soffitto a volta e colonne antiche. Si organizzano frequenti presentazioni di volumi di saggistica e narrativa e ogni mese ospita gli appuntamenti del circolo di lettura Malamud, che vedono la partecipazione della sua clientela più affezionata. A cadenza mensile, vengono inoltre proposti incontri dedicati alla poesia.

    Libreria Gozzini, via Ricasoli 49-103/r, Firenze (1850)

    Firenze 1850 circa: Oreste Gozzini è un ragazzo con la passione per i libri e pensa che da questa possa trarne anche un lavoro. Così inizia una compravendita in piazza del Duomo, si tratta di una libreria ambulante che chiama Libreria Dante.

    «Aveva un banchino e pare che riuscì anche ad aprire un fondo, prima in piazza del Duomo e poi in via Ghibellina, nel cosiddetto Casino Borghese», racconta Edoardo Chellini, uno dei due attuali proprietari della Libreria Gozzini, «anzi la leggenda racconta di uno che lavorava in libreria e spendeva tutti i guadagni dentro al Casino».

    «Le donne, i cavallier, l’arme e gli amor», verrebbe da citare, considerando che Oreste oltre a essere un libraio è soprattutto un ragazzo, e il Risorgimento è il Risorgimento: il giovane Gozzini si ritrova a combattere al fianco di Garibaldi nelle battaglie di Bezzecca e di Mentana nel 1866-67.

    L’Italia si unisce e Oreste torna al lavoro, nel 1878 sposta l’attività in via Sant’Egidio 10.

    Nel 1887 la libreria è cresciuta, e insieme a quella, anche la famiglia Gozzini. Oreste e il figlio Gino aprono una succursale a Roma, in via Sant’Ignazio 44.

    È un periodo di alti e bassi, e dopo la Grande Guerra e una serie di vari sfortunati trasferimenti, Gino si sposta nel 1928 nella Strada delle librerie, via Ricasoli, al numero 28 dove rimane fino al 1958.

    Intorno agli anni Quaranta però Gino, che di passione per i libri ne ha certamente meno del padre, cede l’attività al genero Renato Chellini. Nel 1950 Pietro, figlio di Renato, affianca il padre nella gestione.

    Pietro rappresenta la fase di svolta, è la colonna della libreria. Cavalca l’onda dell’antiquariato, specializza la libreria in testi giuridici ed economici, riprende la tradizione di Oreste Gozzini che aveva due cataloghi distinti di diritto e varia. E ha come collaboratore Sergio

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