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Oltre il tuo fuoco
Oltre il tuo fuoco
Oltre il tuo fuoco
E-book376 pagine5 ore

Oltre il tuo fuoco

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Info su questo ebook

Lilah è una demone Succubus al servizio del Raccoglitore, una delle creature più antiche di tutto l’universo. È ironica, indipendente e soprattutto odia gli arroganti, tra i quali spicca Rym Flareos, il Dio del fuoco al servizio di Ares che, suo malgrado, è costretta ad aiutare per conto del suo capo.
Anche Rym per la verità non apprezza Lilah: la crede un’arrampicatrice sociale, superficiale e dispotica. Purtroppo ha bisogno di lei per liberare la driade che ha scelto come futura compagna, che è stata rapita dal figlio del Signore del Tartaro.
Nel momento in cui i due lasciano insieme il regno del Raccoglitore, si trovato a fronteggiare una serie di minacce apparentemente slegate tra loro, ma giorno dopo giorno appare chiara un’unica verità: a muovere le fila c’è un unico, grande stratega, ma di chi si tratta? E come gestire il desiderio e i molesti sentimenti che pian piano li legano l’uno all’altro?
LinguaItaliano
Data di uscita17 gen 2024
ISBN9791220708043
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    Anteprima del libro

    Oltre il tuo fuoco - Norah Martini

    1

    Lilah si accomodò al bancone del bar di lusso, in centro a Manhattan. Posò la borsetta sullo sgabello e si spostò i lunghi capelli neri dietro le spalle, un gesto studiato per mettere in evidenza il collo.

    «Un bicchiere di champagne, per favore,» ordinò al giovane cameriere.

    Scorse le notifiche del New York Times sul cellulare mentre aspettava il suo drink, con la calma e la sicurezza di una persona avvezza a quella routine. Quella scena si ripeteva a cadenza regolare, una volta a settimana circa, tanto che avrebbe potuto prevedere gli eventi della serata con precisione.

    Quando arrivò, afferrò il calice e lo portò alle labbra rosso fuoco, come per assaggiarlo. In realtà non ne bevve nemmeno una goccia. Odiava l’alcool e, soprattutto, i suoi effetti: nulla la spaventava più del pensiero di perdere il controllo della mente e del corpo. Figuriamoci dei suoi ricordi.

    Inoltre lei non era lì per bere, ma per nutrirsi. Quella messinscena era a beneficio del suo pubblico. Così come il tubino viola, talmente aderente da sembrare una seconda pelle, e i vertiginosi tacchi a spillo. Un cappotto rosa, che aveva lasciato nel guardaroba, e la borsetta abbinata completavano l’outfit. L’obiettivo: essere notata. Non che avesse bisogno di abiti vistosi, ma un aiuto in più non guastava.

    Con il calice in mano lasciò vagare lo sguardo sulla sala e adocchiò almeno tre possibili prede: due uomini e una donna seduti ai tavoli, soli, probabilmente in viaggio per lavoro e alla ricerca di un passatempo per la notte.

    La prima preda era un mortale di mezz’età, abbastanza affascinante e curato. Di quelli che vanno in palestra con regolarità e a casa hanno moglie e figli che li aspettano. Noioso, fu il giudizio di Lilah, che di quel genere di uomini se n’era nutrita a volontà.

    Forse la bella brunetta dall’altra parte della sala avrebbe fatto al caso suo. Non era il tipo di umana che di solito frequentava bar del genere da sola. A guardarla meglio sembrava triste, forse era stata scaricata da poco e si trovava lì per dimenticare il dolore, anche se solo per una notte. Uff, noiosa anche lei. L’energia sessuale delle persone depresse era così… deprimente.

    Fu la terza persona ad avvicinarla: un tipo alto e slanciato, sulla quarantina, con uno sguardo affilato. Si muoveva con la disinvoltura di un uomo d’affari nato e cresciuto a New York, nell’Upper East Side, in uno di quei grandi attici con vista cielo e… beh, e basta. Sicuri di sé e del proprio potere. Convinti che il mondo sia ai loro piedi.

    Lilah sospirò in modo impercettibile: odiava i tipi come lui. Eppure non si mosse, attese con calma il suo arrivo, fingendo di sorseggiare champagne.

    «Buonasera.»

    La voce confermò tutto ciò che aveva supposto alla prima occhiata: arroganza, egocentrismo e un pizzico di crudeltà. Sopprimendo un moto di repulsione, Lilah sollevò il capo e sfoderò un sorriso malizioso. Ben pochi avevano resistito a quel sorriso e di certo il mortale non avrebbe fatto eccezione.

    «Buonasera, signor…» Lasciò la frase in sospeso, facendo roteare il calice tra le mani.

    «Nessun signore, per te solo Mike,» le sorrise a sua volta, scorrendo con apprezzamento lo sguardo sul suo corpo in mostra. Non si premurò di nasconderlo! «E tu sei? Possiamo darci del tu, giusto? Siamo quasi coetanei, quindici anni più, quindici anni meno.»

    Dèi, quel tizio possedeva la simpatia di una pietra. Una di quelle grigie, piccole e anonime. Lilah considerò di rivelargli la sua vera età, ossia centotrentatré anni, anche se di sicuro non l’avrebbe presa sul serio. «Lilah,» rispose, senza aggiungere altro. Il mistero aggiungeva fascino.

    «Sembra che lo champagne non sia di tuo gradimento, Lilah,» osservò, indicando con una mano dalle unghie curate il bicchiere ancora pieno. «Posso offrirti qualcosa di diverso?»

    «Del vino rosso, grazie, Mike. Mi fai compagnia?» Di solito non era così diretta, lasciava alla sua preda tutto il lavoro, ma quella sera era stanca. Aveva appena portato a termine un incarico per conto del Raccoglitore e la aspettava una settimana di assoluto relax alle Bahamas.

    Mike annuì, prendendo posto sullo sgabello di fianco al suo e ordinando due calici di vino. «Allora, Lilah, cosa ci fai qui?»

    Chissà se intendeva sola in quel bar, oppure a New York. Scelse la seconda opzione. «Lavoro.»

    «Ah, e di cosa ti occupi?» Il tono era vagamente ironico. Fece scorrere di nuovo lo sguardo su di lei, soffermandosi sulle gambe scoperte. Nonostante fosse aprile, non indossava le calze.

    «Riscossione debiti,» e non si trattava di una bugia.

    Mike la fissò, sorpreso. «Per quale azienda?»

    «Ha davvero importanza?» chiese, con sarcasmo. Accavallò le gambe, riportando l’attenzione dell’uomo sul suo corpo. «Parlami di te.»

    Di solito a quel punto il gioco era fatto. Dopo cinque minuti passati a snocciolare (presunti) successi, le sue prede erano così fiere e sicure di loro stesse da proporle subito di salire in camera insieme.

    Tuttavia, il mortale la sorprese. «Una donna come te, che si occupa di riscossione debiti, ha di certo una storia più interessante della mia. Per caso lavori per la mafia?» Era una battuta, ma Lilah colse un palpito del suo desiderio. Ah, quindi era un uomo a cui piacevano i giochi sporchi. Disgustoso.

    «Il mio datore di lavoro è… fuori dal comune, questo è sicuro, ma non è un mafioso.»

    «Cosa posso offrirti per convincerti a farmi il suo nome?»

    La tua energia sessuale andrà bene, grazie. «Dimostrami di esserne degno,» lo sfidò, mordicchiandosi il labbro inferiore. Quel gesto calamitò lo sguardo dell’uomo, che quasi lasciò cadere a terra il vino.

    «Ho una camera in questo albergo: la suite più lussuosa. Per fare ciò che chiedi, dovrò essere comodo,» sussurrò, avido.

    Bingo! Lilah sorrise. Di certo lui non poteva sapere che con la carta di credito del Raccoglitore era lei ad alloggiare nella suite più lussuosa, ogni volta che desiderava, e che sarebbe morta piuttosto che vedere cosa intendesse quel tipo per comodo. Magari boxer e calzini? Bleah. «Fai strada?»

    Khalilah, raggiungimi nella sala delle udienze, ora. Come evocato dai suoi peggiori incubi, l’ordine mentale del Raccoglitore invase ogni angolo della sua testa.

    No, dai… Proprio in quel momento? Sono in ferie, non ricordi? Inoltre, sono impegnata, rispose nello stesso modo a quell’ordine sgradito. Prese la borsa e si alzò dallo sgabello con un movimento sapiente volto a evidenziare il corpo slanciato, a malapena celato dalla stoffa inesistente del tubino viola.

    Hai un passaggio aperto che ti aspetta.

    Imprecò a fior di labbra. Forse avrebbe comunque avuto il tempo di…

    Subito, Khalilah.

    Non poteva ignorare gli ordini del Raccoglitore. Ebbe l’impressione che le sarebbe toccato rimandare la settimana di relax alle Bahamas. Si voltò verso Mike, che la guardava con concupiscente attesa. «Spiacente, devo andare.»

    «Cosa? Dove? Non ci pensare nemmeno!»

    Devo attraversare un portale dimensionale per raggiungere il pianeta privato in cui vive il mio capo. Avrebbe volentieri ceduto una delle sue Chanel per rispondere in quel modo, purtroppo fu costretta a trattenersi. Alle creature soprannaturali era severamente proibito rivelarsi agli umani. «Si tratta di lavoro. Non seguirmi.»

    Si allontanò a passo svelto, ignorando i commenti lamentosi alle sue spalle, mentre gli occhi di tutti i presenti si puntarono su di lei. Seguì la traccia di magia fino al bagno delle signore dove, invisibile ai terrestri, un portale la stava aspettando.

    Solo una volta che le si fu richiuso alle spalle ricordò di non aver preso il cappotto. «Merda,» imprecò. Adorava quell’indumento, ed era vintage! Non lo avrebbe mai ritrovato…

    «Grazie per la rapidità, Khalilah.» La voce severa del Raccoglitore reclamò la sua completa attenzione. Se si fosse trattato di qualsiasi altra creatura, avrebbe giurato di percepire dell’ironia, ma non in lui. Nessuno sapeva chi o cosa fosse. Potente più di un Dio, antico come l’Universo stesso, da secoli nascondeva il suo volto a chiunque.

    Lilah sollevò lo sguardo su di lui per incontrare la consueta maschera dorata, attraverso cui neanche gli occhi erano visibili. Indossava un lungo mantello nero con cappuccio alzato e sedeva al solito posto: un trono d’oro, posizionato sopra una pedana, al centro esatto di un’enorme sala spoglia, gremita di supplicanti disposti in modo disordinato lungo il perimetro della stanza, in attesa di essere ricevuti.

    La sala delle udienze – trono d’oro, maschera d’oro, pedana rialzata… ah, quanto amava atteggiarsi a protagonista della scena! – era l’unico luogo del pianeta aperto al pubblico, a cui si poteva accedere solo tramite un portale aperto da lui stesso.

    «Raccoglitore,» gli sorrise, ironica. «Hai interrotto la mia cena.»

    Un moto di sussulti percorse la folla. Tutti sapevano chi lei fosse e cosa significasse quell’affermazione. In quanto demone Succubus si nutriva di energia sessuale e, quindi, credevano che interrompere la sua cena volesse dire interromperla mentre stava facendo sesso. Non era vero, ma Lilah si divertiva ad alimentare le dicerie che circolavano sul suo conto.

    «Khalilah,» la rimproverò il Raccoglitore, immobile sul trono.

    «Inoltre,» proseguì lei, serafica, «cambiare le date della mia vacanza alle Bahamas ti costerà una fortuna.»

    Non le rispose, eppure fu sicura di aver suscitato il suo divertimento. Ormai lavorava per lui da così tanto tempo che riusciva a coglierne l’umore dal modo in cui inclinava il capo, o nel cambio del suo respiro, o dal suo silenzio, come in quel momento. Non si sentiva in colpa per la valanga di soldi che spendeva quotidianamente dalla sua carta di credito. Il giorno in cui aveva sacrificato la sua libertà per metterla tra le sue mani, lui le aveva dato accesso ai numerosi conti che possedeva in tutti i mondi, tra cui la Terra, invitandola a utilizzarli nel corso delle missioni senza limiti di budget. E così aveva fatto: non si era privata di niente, che si trattasse di case, auto, hotel, vestiti… tutto. Quella che era nata come una sfida nei suoi confronti, si era presto trasformata in un gioco, perché lui sembrava divertito dalla sua capacità di sperperare il denaro e lei non perdeva occasione per punzecchiarlo.

    Sì, era un rapporto piuttosto strano il loro.

    «Devi riscuotere un favore per me,» proseguì il Raccoglitore. «Credo tu conosca già Rym Flareos, giusto?»

    Lilah impietrì. Tra tutti gli esseri esistenti disposti a chiedere aiuto al Raccoglitore, non poteva essere proprio lui. Si voltò e… Merda! La sua serata stava peggiorando di minuto in minuto. Si era appena liberata di un deficiente, egocentrico e arrogante, e se ne trovava di fronte un altro. Il peggiore di tutti! «Sì, ci conosciamo,» sibilò, tornando a fissare il vuoto di fronte a sé.

    Forse se avesse finto di non vederlo, sarebbe sparito. Forse. O forse no, perché lui si fece avanti, posizionandosi proprio di fronte a lei (Dèi, che arroganza!), senza degnarla di uno sguardo e facendole capire che l’astio era reciproco. Come se non lo sapesse già, tra l’altro.

    Cercò comunque di vedere il lato positivo: non era detto che avrebbe dovuto lavorare insieme a lui. Forse si trattava di recuperare qualcosa, un oggetto, e questo le avrebbe permesso di svolgere la missione da sola e non vederlo più per i prossimi decenni.

    «Cosa ha a che fare lei con la mia richiesta?» Il tono del guerriero era basso e roco, tutti i muscoli tesi per lo sdegno.

    Lilah si ritrovò a ridere tra sé. Lui era decisamente il classico caso di potenziale sprecato. Rym era il Dio del fuoco più bello che avesse mai visto: sensuale, mascolino, con occhi infuocati e muscoli definiti. Si erano scritti poemi sulle sue gesta, per non parlare del suo corpo. Era al servizio di Ares, il Dio della guerra, da almeno un millennio e di sicuro era uno dei suoi generali più chiacchierati. Un essere perfetto, se non fosse stato un completo stronzo. E non uno stronzo del tipo: ok, me lo faccio lo stesso perché è troppo figo. Piuttosto del tipo: arrogante, saccente, bacchettone, moralista… l’aveva già detto arrogante? Si erano incrociati solo in poche occasioni e tutte le volte avevano sempre finito per litigare. Nella sua personale lista delle creature con cui non andare mai a bere un caffè, lui era in primissima posizione.

    «Hai chiesto il mio aiuto per riavere la tua compagna, non è così, Rym Flareos?» gli chiese il Raccoglitore, imperturbabile.

    Esisteva nell’universo una pazza disposta a unirsi a lui? Da non credere!

    «È così,» replicò lui. «E, come dicevo, si tratta di una questione della massima urgenza. Da non far gestire a una… bambina.»

    Dalla sua esitazione capì che bambina non era il termine che avrebbe voluto usare. Lilah sollevò gli occhi al cielo, inspirando a fondo per mantenere la calma. «Mi pare di capire ci sia stato un malinteso,» esclamò, avanzando per mettersi sulla sua stessa linea. «Nessun problema, per questa volta sei perdonato, Raccoglitore. Aprimi un portale e…»

    «Osi mettere in dubbio le mie decisioni, Rym Flareos?»

    Era arrabbiato, era evidente persino a chi non riusciva a leggere le sue emozioni bene quanto lei. E quando un essere così antico e potente è arrabbiato, non è mai un buon segno. Soprattutto per i supplicanti intenzionati a ottenere il suo aiuto. E Rym, per quanto stronzo, di sicuro non era uno stupido: non se lo sarebbe inimicato. «No, Raccoglitore. Non sono le tue decisioni a essere in dubbio, piuttosto la capacità della Succubus di eseguire il compito.»

    Silenzio. Lilah sentì gli occhi del Raccoglitore su di sé. Forse si stava chiedendo perché non reagisse con sarcasmo alle insinuazioni del Dio, come avrebbe fatto con chiunque altro. La verità era che non le interessava la sua opinione: non aveva nulla da dimostrare e di certo non avrebbe sprecato fiato per lui, se non per mandarlo al paese che meritava.

    «Khalilah Mantis è la mia mano destra, Rym Flareos. Se sarà lei ad aiutarti, avrai la compagna che il destino ha riservato per te. Altrimenti, la perderai. Il prezzo è lo stesso per tutti: un favore che riscuoterò quando sarà il momento.»

    Nonostante il suo immenso potere, il Raccoglitore era conosciuto tra le creature proprio per quella peculiare capacità, ossia quella di distribuire e raccogliere favori. O debiti, così li chiamava Lilah. Tramite la sua magia vincolava la creatura che chiedeva il suo aiuto, in modo che fosse costretta a rispettare la parola data e non potesse rifiutarsi di esaudire una sua richiesta una volta che fosse arrivato il momento. E il momento arrivava quando il Raccoglitore aveva bisogno di quel favore per soddisfare un’altra creatura e così via, in un ciclo infinito di debiti e riscossioni.

    Di sicuro avere un credito con un Dio del fuoco al servizio di Ares era un’occasione ghiotta per l’immortale millenario. Lo stesso immortale che l’aveva appena definita mano destra. Come erano arrivati a quel punto? Quando aveva smesso di odiarlo per arrivare a provare… affetto? No, non affetto. Simpatia? Nemmeno. Non avrebbe saputo definire ciò che sentiva per lui.

    «Alia è stata rapita da Laiko, il figlio del Signore del Tartaro,» ribatté Rym, «perché non puoi convocarlo e chiedergli di ridarmi ciò che mi appartiene?»

    Bella domanda, in effetti. Il Signore del Tartaro doveva più di un favore al Raccoglitore e aveva il completo controllo di tutti gli abitanti del suo regno, compreso suo figlio.

    «Sarà Khalilah a riscuotere il favore per mio conto e, posso garantirtelo, lo farà a qualunque costo. Aprirò un portale per la Terra. Lui ora si trova nella sua tenuta in Colombia.»

    Strano, ma non era la prima volta che succedeva. Lilah era la sua emissaria e per questo tutti la odiavano. «Va bene,» gli concesse con un sospiro di rassegnazione. Forse avrebbe fatto in tempo a prendere il volo del giorno seguente per le Bahamas. «Aspettami nel tuo palazzo su Olimpo, Flareos. Tornerò con la tua fidanzatina nel giro di qualche ora.»

    Per la prima volta, il Dio si degnò di guardarla. Era più bello di quanto ricordava: la barba non rasata gli dava un’aria di trascuratezza che accresceva il suo fascino, gli occhi dorati brillavano di sdegno e furia, fiamme lievi correvano tra i corti capelli biondi. Tutto in lui era fuoco: la pelle abbronzata, l’armatura di cuoio marrone scuro, lo spadone fissato sulla schiena, e tutti quei muscoli… Quanto. Potenziale. Sprecato!

    «Non se ne parla. Vengo con te.»

    Lilah sorrise, malevola. «No, Flareos. Mi occuperò della cosa da sola, grazie.»

    «Se pensi che me ne starò nel…»

    «Hai sentito il Raccoglitore? Se non sarò io ad aiutarti, non riavrai mai quella santa che ti sopporta. A proposito, dovrò chiederle qualche consiglio, perché di certo…»

    «Khalilah,» la interruppe il Raccoglitore, severo. «Avvicinati.»

    Sopprimendo l’ira, Lilah avanzò sui tacchi a spillo fino al bordo della pedana. Spalancò la bocca per la sorpresa quando lo vide alzarsi per colmare la poca distanza che li separava. Si chinò, fino a che la maschera dorata non si trovò a pochi millimetri dal suo volto. Non erano mai stati così vicini. Nessuno gli era mai stato così vicino. Riuscì persino a cogliere il suo odore, un misto di polvere di stella e chiodi di garofano.

    «Ascolta bene: ho lasciato una lettera per te nel tuo posto preferito. Quando sarà il momento, valla a prendere.»

    La Succubus aggrottò la fronte. Non era dal Raccoglitore parlare per enigmi. «Cosa intendi?»

    Le posò una mano sulla spalla, il primo contatto da quando si conoscevano. «Non dimenticarlo, Lilah. E ora andate.»

    Sconvolta e un po’ disorientata, non riuscì a fare altro che fissarlo mentre tornava ad accomodarsi sul trono. Qualcosa non quadrava, non era da lui comportarsi in quel modo. Che fosse… in pericolo?

    Accantonò quel pensiero all’istante. Si trattava di una delle creature esistenti più potenti, forse quanto la Dea della giustizia che pochi mesi prima aveva sconvolto gli equilibri dell’universo stesso, cosa mai avrebbe potuto metterlo in pericolo? Decise che avrebbe indagato una volta che si fosse liberata di Flareos.

    Capendo di essere stata congedata si voltò e, senza aspettare che lui la seguisse, imboccò il portale che l’avrebbe riportata sulla Terra.

    2

    Rym seguì la demone attraverso il portale. La rabbia gli offuscava i sensi, le fiamme dentro di lui vorticavano impazzite, tanto che faticava a pensare. La sua dolcissima Alia doveva essere spaventata a morte e lui era lì a perdere tempo con lei.

    Non rimpiangeva di aver chiesto aiuto al Raccoglitore. Pur conoscendo i rischi sarebbe stato pronto a rifarlo, anche se gli altri generali di Ares l’avrebbero definito un pazzo. Il debito che aveva appena contratto era come una presenza invisibile che collegava la sua anima alla creatura. Sarebbe stato costretto a concedere qualsiasi cosa avesse chiesto, compresa la sua vita o la vita della sua compagna.

    A onor del vero, Alia non era ancora la sua compagna. Non erano legati da nessun rito, ma Rym aveva intenzione di rimediare non appena l’avesse riportata a casa sana e salva. Aveva atteso troppo a lungo ed era stato punito per la sua esitazione.

    Il portale li condusse fino a una strada immersa nel buio della notte, circondata da basse case bianche. Non c’erano macchine di passaggio, ad eccezione di quelle parcheggiate. Il Raccoglitore doveva aver scelto quel posto proprio per la sua natura isolata. Nascondersi agli umani era sempre stata una priorità per tutte le creature, visti i massacri che si erano verificati in passato.

    Si affrettò ad attivare l’incantesimo di invisibilità che permeava la sua spada, per poi assicurarsi che gli altri oggetti incantati fossero al loro posto e ben funzionanti. Non che temesse un attacco da parte di un mortale, ma la cautela non era mai troppa. Inoltre non si poteva mai sapere cosa si nascondesse nel buio. Dopotutto la prudenza era una delle qualità che gli aveva permesso di vincere così tante battaglie per conto del suo Signore. Quella, e il suo bruciante potere.

    Al suono del picchiettio dei tacchi sull’asfalto, si voltò verso la fonte del suo astio. Chi l’avrebbe mai detto che, tra tutte le creature, sarebbe stata la demone che disprezzava con tutto se stesso ad aiutarlo.

    S’infuriò per l’ondata di desiderio che lo colse nel guardare quel corpo perfetto. Ciò che indossava non poteva nemmeno essere definito un vestito: un pezzo di stoffa di un viola irritante che la copriva a malapena dal seno al sedere. Le gambe chilometriche erano messe in evidenza da sandali con tacchi vertiginosi, le unghie di mani e piedi dipinte di rosa acceso, la stessa tinta della microscopica borsa che reggeva in una mano. Cosa ci stesse in quello spazio, di certo Rym non avrebbe saputo dirlo. Si tratta di finzione, si ricordò. I demoni Succubus sono stati disegnati dalla natura per essere desiderati. E di sicuro Khalilah non faceva nulla per nascondere le grazie che l’universo le aveva donato.

    «Dove siamo?» chiese, sopprimendo ogni sentimento che non fosse rivolto alla ricerca della sua futura compagna. Lui non sopportava la demone, era un dato di fatto, e per tantissimi validi motivi, ma se era l’unica a poter salvare Alia allora l’avrebbe tollerata per il tempo necessario e poi se la sarebbe levata dai piedi.

    Senza degnarlo di uno sguardo, lei proseguì con la schiena dritta come una regina. «Bogotá.»

    Fine. Neanche una spiegazione aggiuntiva. Rym, che era abituato ad avere a che fare con soldati che scattavano a ogni suo ordine, faticò a sopprimere la rabbia. «E?»

    «E… cosa? Bogotá è in Colombia.»

    «Sì, questo lo sapevo,» ringhiò, adattando il passo per camminarle a fianco. «Dov’è Hennoxur?» In pochi avevano il privilegio di chiamare per nome il signore del Tartaro e Rym era tra questi.

    La Succubus rise tra i baffi. «Hen,» rispose, calcando il tono sul nomignolo affettuoso, «vive in una villa fuori città. Non possiamo presentarci lì a notte fonda, non insieme perlomeno. Se mi lasciassi lavorare in pace e in solitudine, come desidero, forse potrei accellerar…»

    «Se siete così intimi, non vedo il problema,» la interruppe, già al limite della sopportazione dopo appena due minuti di conversazione.

    «Non lo vedi perché sei un arrogante incivile.» Lo disse in tono così amabile che per un momento credette di aver sentito male. «Alla fine faremo comunque come dico io, che senso ha discutere? Se proprio ci tieni seguimi, ma fallo in silenzio almeno.»

    Non aveva mai conosciuto una femmina così irritante. Mai. E ne aveva conosciute parecchie, che di solito si stendevano ai suoi piedi per compiacerlo. Aveva trascorso alcune ore interessanti tra le braccia di alcune dalla risposta pronta, ma come sua compagna aveva scelto una driade dolce e arrendevole, Alia. L’aveva incontrata per la prima volta sul campo di battaglia: Ares l’aveva mandato a far abbassare la cresta a un Dio minore del pantheon sumero e lì, nel pieno della battaglia, era comparsa lei. Una prigioniera di guerra, bella come un giorno di primavera. I lunghi capelli verdi erano adorni di fiori di campo, il volto era dolce e gentile e, seppur segnata dalla sporcizia, la pelle era pallida. L’aveva stregato. Dopo averla liberata era tornato a farle visita e lì era nata la loro storia.

    La sua dolcezza placava in qualche modo la furia che non lo abbandonava un istante, costantemente alimentata dal fuoco che gli scorreva nelle vene. Uno strumento da battaglia lo aveva definito Ares la prima volta in cui l’aveva visto combattere nell’arena, ed era così che si sentiva per tutto il tempo, tranne quando era con Alia. Con lei per la prima volta aveva provato quiete. Si erano frequentati poco in termini di tempo, appena qualche decennio, ma persino il suo pensiero bastava a placarlo. Non poteva dire di amarla, non ancora. Era certo però che sarebbero stati una coppia bilanciata. E anche il sesso non era male, dopotutto.

    Quei pensieri ebbero il potere di calmarlo. Lasciò così correre l’offesa che gli aveva rivolto la Succubus.

    Nel frattempo, camminando nel più completo silenzio, si erano lasciati alle spalle il quartiere residenziale, per arrivare in una zona più trafficata. I negozi erano chiusi e non c’era molta gente in giro. Le poche anime mortali che incrociarono, quasi tutti uomini, si fermavano per fissare senza ritegno la demone. Nessuno di loro avrebbe rivisto un’altra creatura di tale sensualità, che trasudava eleganza da ogni poro. Lei, abituata a quella reazione, proseguiva dritta, senza abbassare o distogliere lo sguardo dalla strada davanti a loro. Chissà quando si era nutrita l’ultima volta…

    Quel pensiero gli arrivò dritto al cavallo dei pantaloni, risvegliando la sua furia. Desiderarla era l’ultima cosa che voleva. Meglio odiarla, e niente risvegliava il suo odio più di quella lingua tagliente. «Il piano è di raggiungere la villa di Hen a piedi?» la aggredì.

    Per tutta risposta Khalilah si sporse lungo la strada, agitando il braccio. Un taxi si fermò all’istante a due passi da lei.

    «Sali davanti,» gli ordinò, mentre apriva la portiera dietro e si infilava all’interno del veicolo con un movimento esperto ed elegante. «Hilton Bogota Corferias, per favore,» istruì l’autista.

    Più che felice di non dover dividere il sedile con lei, l’accontentò senza replicare.

    L’auto partì e sfrecciò per le strade deserte di Bogotá fino a che non raggiunsero un edificio di lusso. Un hotel, capì il Dio scendendo dalla macchina. Khalilah ci impiegò un po’ prima di imitarlo e quando lo fece le si affollarono attorno tre galoppini, che indossavano completi identici.

    «Possiamo prenderle i bagagli, Signora?»

    Lei scosse il capo. «Li hanno persi in aeroporto, purtroppo. Faremo acquisti domani.»

    Rym possedeva un anello incantato che gli permetteva di comprendere e parlare tutte le lingue note dell’universo, così colse con facilità la scioltezza con cui sciorinò la bugia. Strinse le labbra per trattenere il disappunto.

    La seguì dentro l’albergo, dove li accolse una hall illuminata a giorno, in netto contrasto con il buio delle strade di periferia. Si avvicinarono al banco, dove una giovane umana li accolse con un sorriso.

    «Benvenuti, signori, sono Maya. Avete una prenotazione?»

    «No, ma speriamo comunque che abbiate una suite libera per noi,» le sorrise Khalilah, sfoderando tutto il suo fascino, tanto che la ragazza ne rimase per un momento abbagliata. «Solo per questa notte. E con camere separate,» aggiunse, senza perdere il sorriso.

    Per un momento la giovane parve confusa. Guardò la Succubus e poi lui con una calda luce di apprezzamento. Finalmente, esultò Rym, che iniziava a sentirsi messo da parte.

    «Inoltre,» continuò Khalilah, «ci servirà qualcosa da indossare domani mattina. Sa, hanno perso le nostre valigie in aeroporto.»

    «Oh, ma che disdetta. Mi dica pure cosa le serve e sarà mia cura farle recapitare gli acquisti nella suite.»

    «Un tailleur bianco di Chanel, taglia 42, una canotta di seta abbinata, qualsiasi colore andrà bene, e un completo grigio per lui, taglia…» si voltò a guardarlo, come se non l’avesse mai visto prima. Il Dio alzò gli occhi al cielo, spazientito. «56? Sì, va bene 56. Camicia bianca e intimo per entrambi.»

    Questo era troppo! Gli aveva ordinato dell’intimo. Come se non potesse materializzarsi nel suo palazzo, prendere ciò che gli serviva e tornare all’hotel in un battito di ciglia.

    «Un’ultima cosa: vorrei noleggiare una macchina per Macadamia per domani mattina.» Sfoderò dalla borsa una carta di credito nera e molto spessa. «No budget, si intende.»

    Alla ragazza brillarono gli occhi mentre afferrava la carta con reverenza. «Certamente, Signora. Un fattorino vi accompagnerà nella vostra suite. Si senta libera di chiamarmi in qualsiasi momento, sono a sua disposizione.» Le restituì la carta e Rym capì perché non le servisse una borsa più grande: con quell’affare poteva spalancare le porte dell’universo.

    Salirono in ascensore fino all’ultimo piano dell’edificio, dove il fattorino spalancò loro la porta di una stanza piacevole. Nulla a confronto con il suo palazzo, ma per una notte poteva andare. L’ambiente, arredato con gusto, si affacciava su una terrazza illuminata, su cui si trovavano un tavolino e delle poltrone. Un enorme divano color panna occupava invece il centro della sala principale e un tavolo in vetro completava il lussuoso quadro. Rym non notò il resto dell’arredamento. Identificò invece i luoghi da cui avrebbero potuto provenire potenziali pericoli. Nessuno sapeva dove si trovasse, quindi si sentiva abbastanza al sicuro, ma la prudenza non era mai troppa, non si sarebbe mai stancato di ripeterselo.

    Era un po’ paranoico? Forse. Non si viveva però al servizio di Ares per oltre un millennio senza diventarlo. Così o la morte, non c’erano alternative. Forse avrebbe dovuto comunicare a Mads, il suo secondo, le sue intenzioni per ogni evenienza…

    Khalilah non perse tempo, salutò il fattorino e si diresse verso la porta chiusa a sinistra della sala.

    «Aspetta,» la fermò, irritato. «Devo prima controllare che sia sicuro.»

    «Sono la mano destra di uno degli esseri immortali più potenti del cosmo,» gli ricordò, come se stesse parlando a un bambino capriccioso.

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